un arcobaleno da capire

scritto da Giovanni Ferma il giorno Lunedì 15 ottobre 2012 alle ore 6.37

Scrivo questa prima nota da El Rancho, una città di El Progreso nel Guatemala. La scrivo non perchè abbia granché voglia di scrivere o ne senta il bisogno. Di solito scrivo per dar voce a miei pensieri o per provare a produrre o condividere una qualche emozione.

Questa nota la scrivo perché dopo 15 giorni è giusto che non scriva sul miodiario di bordo ma che scriva qualcosa che tutti possano vedere, per rendervi un pò partecipi della realtà che sto vivendo ma che ancora non capisco per nulla.
Ieri gli altri italiani che erano partiti con me sono ritornati a casa e ora inizia un periodo totalmente diverso. Con loro abbiamo viaggiato tutti i giorni andando a visionare i vari progetti che AINS contribuisce a mantenere in piedi. Ognuna di quelle realtà pare quasi fare a gara per vincere il premio del "non mi salverò mai", e su questo concetto ci tornerò dopo o sicuramente in altre note, poiché è stato parte integrante del tipo di cooperazione che mi sto trovando a portare avanti e, forse,lo è in generale per la cooperazione. 
fotografia di Giovanni ferma

Iniziamo col rispondere subito alle domande più comuni! Ho mangiato bene in questi giorni e la pancia è aumentata; certo, si mangia piu o meno sempre le stesse tre cose a tutti i pasti, ma in fondo sono un abitudinario. Dicevano dovesse essere un periodo senza pioggia e invece ha piovuto tutte le sere o quasi, producendo comunque grande piacere viste le alte temperature. Le zanzare ci sono, anche se ce ne sono altre molto piu piccole, come dei moscerini che mordono sempre nello stesso punto e i miei piedi sono arrivati a contare n+1 punture... il gioco è "quale di queste porterà la malaria"!
E' cara la vita? Chiaramente no, non lo è, anche se ancora devo prendere confidenza con i quetzales, la moneta locale. Mi sento un pò come un anziano alle prese col cambio lira-euro...
La gente com'è? Bella domanda! Visto il breve tempo non posso che avere una prospettiva parziale. Diciamo che alla Champa, il luogo in cui ho vissuto queste due settimane, la gente è molto cordiale, nel senso guatemalteco del termine. Ti guarda, ti saluta sorridendo e dopodiche non ti rivolge la parola mai. Non perchè gli stai sulle balle ma solo perchè qui parlano tutti poco. I bambini della mensa, quelli invece parlano un sacco. E se col mio spagnolo non capisco nulla, basta sapere due parole sole con loro: pelota e barileta, rispettivamente pelota e aquilone! Sono molto vitali e vengono tutti i giorni al comedor (mensa) a ricevere un pasto sano. Adesso inizia il periodo di vacanza da scuola che durerà per alcuni mesi. Il primo progettino meso in pidi con gli altri della ciurma è stato la creazione di un cineforum una sera a settimana con pellicole per bamibini, con buon risultato di pubblico anche tra i genitori. I fruitori principali sono i bambini della Champa che si appoggiano al comedor. Ho visitato un paio di volte la zona in cui vivono e penso che l’unica parola che possa vagamente farvi capire com’è la realtà in cui vivono è bidonville. Forse l’unica eccezione è che le loro case son fatte spesso di mattoni e non di cose trovate qua e là, ma il contorno, l’interno, il fumo che campeggia, la mancanza totale di igiene, la presenza di animali negli stessi spazi…tutto questo è della più tipica bidonville che ci si può immaginare. Non mi è stato facile fare il primo giro in questo luogo, non per la pericolosità, che assolutamente non si avverte, quanto piuttosto per la difficoltà ad entrare in una realtà che in parte ti colpisce per il suo degrado e in parte ti colpisce perché vorresti parlare con questa gente ma il mio spagnolo non me lo permette ancora. Sapessero l’inglese… ecco, infatti, non cambierebbe niente J
Comunque, apparte gli scherzi, un po’ mi son stupito del poco stupore che ho provato in quel luogo, o altri tipi di emozione particolare. Ma questo lo lascio al diario di bordo. Qua dico che l’unica sensazione è stata quella di voler fortemente imparare lo spagnolo per poter chiedere a questa gente che pensa, cosa prova, che aspirazioni ha sull’avvenire. Un po’ di rabbia viene, certo. Però in fondo bisogna anche bilanciare i propri pensieri con quello che mi immagino che pensino. Sembra che vivano bene con le loro “arretratezze”, e questo è importante e mi deve far riflettere sempre due volte prima di provare a sostenere un loro “cambiamento”. Quello che mi pare di capire che chiedano, sempre senza risposta se non dalle ong, è la sanità e l’educazione…e oltre a questo, ma è un’esigenza difficile da far uscire se non si soddisfano le altre due, la voglia di comunità, di aggregazione… quella gran voglia di stare insieme che noi in occidente abbiamo perso e che qua si trova molto più spontanea seppur non facilmente; la si trova negli adulti che giocano con gli aquiloni insieme ai bambini, nella comunità che viene a vedere una partita di calcio giocata da bambini e bambine con un pallone buco, nei genitori che se la ridono alla grande durante la proiezione dell’era de Hielo…
Ok, mi sto rendendo conto che sto andando un po’ troppo per le lunghe. Perché ci sarebbe in fondo molto da dire. Le foto forse parlano molto meglio, senza soggettività eccessiva.
Vi dico solo che ho visto cose di vario genere, che fanno pensare che qua non c’è più o meno un cazzo da fare. Ho visto una comunità di montagna che faceva la coda per ricevere un semplice consulto medico poiché lo sanità pubblica non li considera. E li cosa fai, ci siamo chiesti? Li fai sentire meno soli, gli dai un consulto medico un giorno al mese? Per loro è essenziale, ma è “come distrarre per un giorno un villaggio malato terminale”… stessa cosa in altri posti che ho visto, come alla champa, dove la caduta del ponte non permette il contatto diretto con il paese e taglia fuori da tutti i servizi, peraltro già scarsi nel paese del rancho. A fianco della champa però ci stanno due grandi appezzamenti di terra incolta. La gente della champa ha provato a metterci catapecchie negli anni passati. È arrivato l’esercito e li ha cacciati. E la gente è tornata a vivere in pochi metri quadri, senza zone da coltivare o senza zone per far pascolare maiali, capre o galline. Terra y libertad si dice… terra è libertà… su quella “e” che da congiunzione diventa verbo ci tornerò tante volte in questi due mesi, perché la causa dei mali qua passa sempre da li.
Volevo dire troppo e alla fine non ho detto niente. Vi ho dato flash sparsi di quello che è l’attività qua. Provare a rendermi conto di come è la realtà, provare a entrare nella loro cultura per capire se c’è qualcosa che possiamo fare per loro senza invadere il loro modo di vivere. Sono confuso, tra la bocca aperta nel vedere le rovine maya maestose e la natura magnifica di questo luogo da un lato; tra le città spagnole, bellissime anch’esse ma che rappresentano il popolo per cui qua c’è cosi tanto schifo… e la rabbia, l’ammirazione, il relativismo, la sconsolazione e la voglia di provarci comunque si mischiano tutti insieme, come se fossero un abito tipico guatemalteco, che in fondo si cura sempre di tenere dentro di se tutti i colori, perché loro lo sanno che i colori sono essenziali e il motivo lo sa bene il buon Magno! ;) per questo motivo che non mi sbilancio oltre, e mi limito a farmi un in bocca al lupo per questo nuovo periodo che inizia con la nuova settimana e che mi vedrà molto solo, molto lontano da casa, scosso tra le diverse sensazioni che la realtà ti sbatte addosso e concentrato a carpire anche solo qualcuna delle mille sfumature di quell’arcobaleno che è il Guatemala.




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