Ogni “forma d’arte” (letteratura, poesia, musica, cinema…) aiuta a riflettere: il suo scopo è appunto questo. La riflessione, il ragionare, stimolano l’uomo a capire, prima, e ad agire, poi. In una parola: a fare. Per tale motivo siamo convinti che riflessioni, romanzi, poesie, canzoni, films, siano in grado di promuovere e orientare la cultura (anche in campo sociale), forse meglio dei convegni “tecnici” e di qualunque trattato filosofico o sociologico."
Andrà tutto bene". Lo leggiamo sui cartelli, dipinti con cura commovente, dagli scolari di tante nostre località.  Pendono dalle finestre di case dove intere famiglie sono consegnate da giorni. Dunque anche il tener occupati figli piccoli, nipoti, con matite, pennarelli e grandi fogli da riempire, può essere una soluzione. Per fronteggiare un tempo che si è fatto interminabile. Per sviare pensieri angosciosi.Non è vero. Va bene per i più piccoli. Ma non sono parole adeguate per prendere  per mano pensieri adulti. Meglio dire - come suggerisce la matita di Altan in una vignetta che tutto riassume - "Ce la faremo. E se no, ce la faremo...". Rappresentarci dunque le cose che ci stanno succedendo con la veridicità dell'intelligenza. Non con la superficialità effimera di un ottimismo che non ha ragione di essere. O, peggio, con la teatralità un po' scomposta delle cantate da balcone,  assai poco in sintonia con le immagini terribili che ci arrivano da questa Lombardia diventata il punto più colpito dal contagio che investe il mondo. Immagini che mai avremmo potuto immaginare. Come lo sfilare notturno dei camion militari che portano fuori regione, ai forni crematori, le salme degli uccisi dal corona virus in una Bergamo martoriata. E a noi così vicina. Per pensieri adulti occorre la veridicità nell'intelligenza delle cose, unita alla caparbia volontà, che gli italiani hanno sempre tirato fuori nei momenti più drammatici, di non demordere. Appunto: "Ce la faremo. E se no, ce la faremo". Certo, la verità è durissima. Nessuno di noi può sapere - al di là di queste settimane, forse dei mesi, terribili e lunghi, e delle perdite che ci aspettano per andare oltre questa epidemia - se ci sarà ancora. Tuttavia  - al di là del nostro destino individuale e di quello dei nostri cari (non poca cosa, come ci dice in ogni istante la paura che ci afferra il cuore, l'angoscia che cerchiamo di tenere sotto controllo) - rimane una considerazione inoppugnabile. Averne consapevolezza sembra irrilevante, rispetto al nostro esserci al singolare. Tuttavia può fare la differenza.
Almeno nel come affrontiamo questa prova. Come ha scritto il saggista Yuval Noah Harari, autore del best-seller "Homo Deus. Breve storia del futuro", la considerazione inoppugnabile è che, nonostante la tragedia immane che stiamo vivendo, "...l'umanità sopravviverà. La maggior parte di noi resterà viva...". Il mondo, insomma, ci sarà ancora. Non solo: come sarà questo mondo, sia nelle grandi come nelle piccole cose, lo stiamo decidendo ora. Proprio nel corso di questa prova che ci coinvolge tutti. Perché quello che stiamo affrontando non è solo un virus micidiale. E' anche un rimodellamento radicale del nostro modo di vivere. L'architettura sociale che ne verrà fuori - priorità di valori e modalità di vita,  dinamiche comunitarie e stili di governo,  egoismi e solidarietà   - dipenderà non solo dalla svolgersi dell'epidemia, né dalle scelte delle leadership che ci governano ( rivelatisi così fragili davanti ai compiti caduti sulle loro spalle). Dipenderà anche da come agisce, qui ed ora, ciascuno di noi. Il virus ci ha messo davanti il vuoto profondo di stili di governo - mondiale, nazionale, regionale - mirati solo alla tattica e all'immediato.  Di penosi ping-pong tra chi deve decidere. Di annunci spesso slegati dalla realtà. Un esempio? L' emblematica decisione del governo di Roma di rendere abilitante la laurea di medicina senza però sbloccare le relative risorse per i contratti di formazione per gli specializzandi. Quindi i diecimila medici in più ci sono. Ma solo in teoria. Il problema da affrontare ora, con assoluta priorità, è l'epidemia. Ma chi non sa affrontare adeguatamente un problema diventa parte del problema stesso.  Cerchiamo di non dimenticarcelo.                                                                                                               
Giorgio Boatti - "Andrà tutto bene”? Le fragilità micidiali di superficiali ottimisti.

Commenti

Post più popolari