Desmond Tutu: «La nostra fame è colpa dei governi»

di Umberto De Giovannangeli, l'Unità

Un «Grande d’Africa» alza la sua voce per «quelli che non hanno più la forza per farlo»: le «sorelle e i fratelli della Somalia e del Corno d’Africa, i più indifesi tra gli indifesi». Alza la voce per lanciare un appello accorato alla Comunità internazionale perché agisca subito, «con determinazione e generosità» per salvare milioni di vite umane messe a rischio dalla carestia che sta segnando la regione dopo due anni di siccità. A parlare è Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace nel 1984, Arcivescovo benemerito della Chiesa anglicana a Città del Capo, eroe, assieme al suo amico di una vita Nelson Mandela, della lotta contro il regime dell’apartheid in Sud Africa.
«Vorrei poter dare un nome e un volto al mezzo milione di bambini che nel Corno d’Africa rischiano di morire di fame - dice Desmond Tutu - Ogni giorno, mentre noi stiamo parlando, nella sola Mogadiscio muoiono 6-7 bambini. Ognuno di loro è una entità unica, irripetibile. Non sono numeri, sono esseri umani». Il Nobel per la Pace è tra le personalità mondiali che hanno aderito alla campagna lanciata a giugno da Oxfam : COLTIVA. Il cibo. La vita. Il pianeta». Nello scritto che ha accompagnato la sua adesione, Desmond Tutu concludeva così: «Naturalmente molti governi e imprese opporranno resistenza al cambiamento delle loro modalità operative, delle loro abitudini, delle loro ideologie e del loro modo di perseguire il profitto. Dipenderà pertanto da noi – da voi, da me – convincerli, scegliendo alimenti che sono prodotti in modo corretto e sostenibile, riducendo al massimo la nostra impronta di anidride carbonica, schierandoci con Oxfam e pretendendo che le cose cambino. Non sarà facile. Ma non è mai valsa la pena lottare per niente di più importante». Un impegno tanto più vitale oggi, a fronte della caastrofe umanitaria in atto in Somalia e nel Corno d’Africa. «In tutto il pianeta - ricorda l’Arcivescovo anglicano - sono circa un miliardo gli uomini, le donne e i bambini che anche questa notte andranno a dormire affamati. Malgrado tutto, l’esperienza di tutta una vita mi ha insegnato che non esiste problema così grande da essere insolubile, né ingiustizia così radicata da non poter essere estirpata. E tra queste vi è la fame».

Le notizie che giungono dalla Somalia si fanno sempre più drammatiche. C’è chi parla della più grave catastrofe umanitaria oggi al mondo…

«Purtroppo è così. Nonostante l’impegno generoso, eroico, dei volontari delle Ong internazionali e delle agenzie delle Nazioni Unite, la situazione rimane gravissima. A rischio è la vita di nove-undici milioni di esseri umani. E a rendere ancor più devastante la situazione è il costo dei generi alimentari, del carburante, e i conflitti regionali che segnano l’area. Il mondo non può chiudere gli occhi di fronte a questa immane tragedia. Nessuno può dire: non sapevo, non potevo”. A cominciare dai Grandi della Terra. E’ a loro che mi rivolgo in primo luogo, ai Paesi ricchi che altre volte in passato hanno dato prova di generosità. A loro dico: Ricordate l’Africa!. L’Onu ha valutato che occorrono 1,4 miliardi di dollari per far fronte alla più stretta emergenza. Cosa sono, chiedo, di fronte al denaro delapidato in armamenti…Usare il denaro per salvare vite e non per spezzarle: quale miglior uso…Un appello sento di doverlo rivolgere anche alle nazioni dell’Africa: non indietreggiate. Diamo il buon esempio. Costituiamo la linea più avanzata di attenzione per i nostri fratelli, le nostre sorelle, i nostri bambini e parenti che si trovano in queste terribili difficoltà. Dimostriamo di essere uniti nella solidarietà, ciò ci renderà più forti e autorevoli nel mondo. La malnutrizione è diffusa a Mogadiscio, in una vasta area del centro e nel nord della Somalia, e tra i profughi somali che hanno attraversato i confini del Kenya, spesso a piedi, a centinaia di migliaia. Per tutti loro speranza significa vivere. Spetta a ognuno di noi garantirla. Fare appello ai potenti della Terra non significa in alcun modo delegare un impegno che deve riguardare ciascuno di noi. E’ un concetto a me caro, che ripeto spesso a quanti hanno la pazienza di ascoltarmi: fai la tua piccola parte di bene dove ti trovi; sono queste piccole parti di bene messe insieme che riempiono il mondo».
Quando si parla di carestia, di emergenza-fame spesso si fa riferimento a “catastrofi naturali”…

«Non sono d’accordo. La fame non è un fenomeno naturale, bensì una tragedia provocata dall’uomo. Non si ha fame perché non c’è abbastanza da mangiare, ma perché i meccanismi che trasportano i generi alimentari dai campi alla tavola non funzionano bene. I nostri governi dovrebbero addossarsene la responsabilità. Le loro politiche di governo e di amministrazione stanno favorendo un sistema fallito che offre benefici a poche industrie potenti e pochi gruppi di interesse a discapito di molti. Hanno speso miliardi di dollari per il settore dei biocombustibili e per i coltivatori a nord, ma hanno abbandonato 500 milioni di piccoli coltivatori che messi insieme sfamano però un terzo del genere umano. I governi, soprattutto quelli dei potenti Paesi del G-20, devono dare il via alla trasformazione, devono investire nei produttori poveri e assicurare loro il sostegno di cui necessitano per adattarsi al cambiamento del clima. No, la fame non è davvero un «fenomeno naturale».
I primi ad essere colpiti sono i più deboli tra i deboli: i bambini.
«È sempre così. Vorrei poter dare un nome e un volto al mezzo milione di bambini che nel Corno d’Africa rischiano di morire di fame. Ogni giorno, mentre noi stiamo parlando, nella sola Mogadiscio muoiono 6-7 bambini. Ognuno di loro è una entità unica, irripetibile. Non sono numeri, sono esseri umani. Di fronte agli appelli lanciati dalle agenzie Onu, dalle organizzazioni umanitarie, in molti, tra i potenti, rispondono facendo promesse. Una promessa fatta ai poveri è particolarmente sacra. È un atto di grazia e di grande autorità quando vengono fatti tutti gli sforzi per onorare questi patti. A volte, però, queste promesse restano tali. Ciò non deve accadere in questo terribile frangente. Una promessa fatta a un povero è particolarmente sacra. Non mantenerla è un peccato».


31 luglio 2011

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