Alfio al casolare in rovina ritrova i tempi andati

«Ascoltare i luoghi, stare loro accanto, senza una volontà dissennata di impadronirsene…
Una grammatica fondata sulle stagioni, parole declinate alla fisicità del lavoro, duro, dei campi, sintassi della pianura…
Con questi pensieri Alfio andava spesso al Goredo per "interrogare" quel che restava del bel cascinale immerso nella pianura pavese ai confini con il Lodigiano.
Mandamento e parrocchia di Villanterio, l'azienda agricola era tuttavia molto più vicina alla frazione Ranera e quindi a Sant'Angelo Lodigiano.
E lui immaginava che la nonna Aneris, ultima di 14 figli, doveva recarsi spesso oltre quei filari di pioppi che delimitavano le due province per le parche provviste di quel primo difficile dopoguerra del '900.
Una tipica cascina lombarda il Goredo, con l'ala principale dove abitavano i proprietari, poi la stalla, il fienile, l'aia e sullo sfondo le umili casette degli "ubligà".
La vita contadina ora non esiste più, il luogo è stato abbandonato e il nuovo proprietario del fondo arriva ogni settimana dal Novarese per dare acqua alle risaie e così favorire il radicamento delle deboli piantine di riso.
Sui fusti di alcuni alberi sono ancora fissate le crocette delle "rogazioni", le funzioni serali estive promosse dallo zelante arciprete don Emilio per propiziare un raccolto sano e abbondante.
La casa padronale è stata preventivamente murata nei suoi accessi principali, i tetti sono pericolanti, gli intonaci scrostati.
Eppure - pensava - la facciata di una casa è come il volto di una persona.
Sorridente, triste, vistosamente intarsiato da grinze, solcato da rughe, screpolato.
Il tempo ha depositato sulla sua superficie il peso degli anni.
Dalla sagoma di gronda, da cui parte il tetto, alle modanature intorno alle finestre, all'intonaco, tutto si consuma e si fonde in un attimo bloccato nel tempo.
In fondo alla corte, amplissima, le casette dei contadini paiono ancora più piccine ed Alfio si ricorda della nonna quando frugando nel suo portacarte ne rinviene il ritratto con una breve didascalia sforbiciato da una pubblicazione del Museo Contadino della Bassa Pavese: "Aneris, donna feriale e verace, senza tempo, con le mani gentili solcate dalle ferite di umili faccende, viveva da stagioni immemorabili come sullo sfondo di quei muri sbeccati, chiazzati qua e là da lecerti d'intonaco".
La penna di un giornalista milanese aveva fissato così i contorni di quella figura di donna, dalla fede coriacea e dai tratti genuini.
Così ogni estate Alfio scappava dal suo confortevole nido metropolitano per venire nella bassa a spigolare emozioni e ricordi.
Qui non rimbombavano le ossa di ferro dei rutilanti tram milanesi e non si intossicava per il rombato sgassare delle quattro ruote motrici della suv-manìa, in corsa verso i set smaniosi di nottata.
Niente a che fare con lo spreco di sprint e miscele, di veicoli cromati in fiondanti lamiere: qui era la pace.
Anche quel mattino pedalando meditabondo tra spigoli e tagli d'aria Alfio aveva varcato il cavo Marocco per spingersi fino al Goredo e faceva come rivivere nella sua fantasia quegli scampoli di vita contadina impressi nella sua mente negli anni dell'infanzia.
Quando, in cucina, la nonna apriva la generosa sporta sul gramo tavolaccio familiare ed era come se i colori ed i sapori stessi delle rive vi si versassero con tutte le loro striature e screziature.
Poi al primo brontolìo della minestra, il vapore scappava a sbuffi per la cappa del camino e diffondeva il suo aroma amarognolo.
Ed era come sedersi di nuovo a tavola e risentire le sue parole rassicuranti e invitanti "sa vòt a stà servì…!"».

Edoardo Peviani
L’autore è sacerdote dal 1987 e vicario parrocchiale di Villanterio-Gerenzago dal 2009.
la provincia pavese, 19 luglio 2011

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