«NON È QUESTO LO SVILUPPO»

Non è disposto a mollare. «Non posso:come faccio a lasciare sola la mia gente?», dice ad Avvenire in perfetto italiano monsignor Álvaro Ramazzini, vescovo di San Marcos, cittadina del Guatemala a 300 chilometri dalla frontiera messicana. Una zona difficile.
La violenza della guerra civile è impressa col fuoco nella carne e nella memoria degli indigeni, la quasi totalità degli abitanti. All’epoca – è arrivato qui nel 1988 – Ramazzini difendeva le comunità di San Miguel Ixtahuacan e Sipakapa dagli abusi dei gruppi armati. A 15 anni dalla firma degli accordi di pace, don Álvaro – come ama farsi chiamare – continua a combattere per i diritti degli indios minacciati, ora, dalla miniera Marlin del colosso canadese Goldcorp. Tanto da essersi Aggiudicato il soprannome di "vescovo ecologista". «Non sono un ambientalista radicale. Ma la miniera sta avvelenando i villaggi», spiega. Impossibile negare il forte impatto di Marlin su San Marcos: la cava si estende per 573 chilometri. Qui, dal 2003, le ruspe ingoiano 5 milioni di tonnellate di roccia al giorno, alla ricerca dell’oro di cui la terra è ricca: nel 2008 ne sono state estratte oltre 241 mila once. Dal 2005 al 2010, l’impresa ha guadagnato quasi 1,5 miliardi di dollari dalla vendita di oro e argento.
Per isolare il metallo, il metodo è quello classico del bagno di cianuro e acqua. Molta acqua: 12 litri al secondo. Una famiglia contadina deve farsene bastare 30 per l’intera giornata. «Vengono utilizzate 9 tonnellate di esplosivo al giorno per creare voragini che non verranno mai più ricoperte. Le detonazioni fanno tremare le case, di continuo. Il cianuro, poi, filtra contaminando terra e acqua. E gli abitanti non ricevono alcun beneficio: appena l’1 per cento della ricchezza prodotta resta in Guatemala, in base alla legge sulle concessioni minerarie del 1997. Gli indigeni sono rimasti poveri e per di più devono vivere in un ambiente devastato».
Una visione estremista e parziale, ribatte la Goldcorp. Eppure, alle ripetute denunce di Ramazzini e della Conferenza episcopale guatemalteca, che si è schierata contro la miniera, ha creduto un anno fa anche la Corte interamericana per i diritti dell’uomo. Che, nel maggio 2010, ha ordinato la chiusura di Marlin.
A San Marcos, però, niente è cambiato: ruspe ed esplosioni continuano a ferire la terra. E l’oro fluisce abbondante dalle sue viscere. Il governo guatemalteco del progressista Alvaro Colom ha ignorato per oltre un anno la sentenza della Corte. E lo scorso 12 giugno ha detto esplicitamente che non c’è motivo per bloccare l’attività di Marlin.
Ramazzini e le comunità di San Marcos, però, non sembrano intenzionate ad arrendersi:
«Le miniere a cielo aperto non sono una via per lo sviluppo del Paese. Che deve essere in armonia con l’ambiente e rispettoso dei diritti dei suoi popoli. Credo che il sogno di un Guatemala più giusto non sia irrealizzabile. Certo, la strada sarà lunga. Per questo non possiamo fermare la nostra marcia…».
Lucia Capuzzi, Avvenire 7 luglio 2011

pubblicato anche sul sito http://orizzonte-guatemala.blogspot.com/

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