Dal monte Lesima a Baires. Una porta aperta sul mondo

Verso la fine d'agosto, ai piani di Lesima, cominciava a far freddo. La sera, in particolare, si presentava con la sua veste di colori, luci e penombre; un abito sempre nuovo calato su vallate, campi e vegetazione. Il preludio quotidiano della natura annunciante la notte con il suo carico di stelle, più vicine da lassù, a scorgersi e vedersi in fantastici nomi di costellazioni eterne; una ricerca colma di stupore perduta in mezzo al cielo terso, tirato a specchio dal crocevia dei venti che in questo luogo, di confini d'alta quota, trovano spazi agiati in cui assortirisi. I confini, il vento non li conosce. Ed è sua la presenza più somma, tra gli agenti atmosferici, concepita per ricordarci quanto siamo piccoli quando ci lasciamo ingannare e incastrare da queste linee immaginarie, forse messe lì apposta per limitare, regolare, restringere in recinti definiti la libertà della natura umana. Spesso anche le nostre menti e i nostri cuori sono pieni di confini. Un segno di debolezza e sottomissione a parametri contrari all'immaginazione e alla coscienza sapiente, la “sofia”, anche questa un soffio, spesso perduto. Il vento che soffia sui piani di Lesima ci invita, cortese, ad abbatterli per lasciar spazio a fantasia e a versatilità aristica. Questo l'humus che si respira nella casa di Serena e Maria Paola, una depéndance adagiata sulle vette dell'Oltrepo Pavese del loro studio di architettura posto invece in pianura laddove il Ticino compone uno dei più attraenti paesaggi naturalistici sciogliendosi in una valle dai lineamenti sinuosi e galanti. La discesa dai Piani di Lesima verso Torre d'Isola non fu diretta. Ci dovemmo fermare a recuperare una serie di documentazione d'archivio presso la mia edicola in via Roma a San Martino, dove conservo una raccolta di riviste e quotidiani d'epoca, alcuni abbastanza antichi. Ricordi di generazioni e storie passate, carta e inchiostro, sinonimi di vite reali, accadute tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, e poi più su fino ai giorni nostri. Bisognava progettare una porta da consegnare - pensate un po’ - ad una grande musicista pavese, Floraleda Belli, violoncellista solista presso l'ochestra stabile del Teatro Còlon di Buenos Aires. La porta del suo camerino. Dall'ingegno di Maria Paola e Serena scaturì un manufatto di gran pregio. Una porta gialla con impressi in diagonale alcuni articoli e titoli di prima pagina tra i più significativi della storia del mondo e di quella locale. In questa composizione non potevano mancare certi memorabili numeri della Provincia Pavese. Il giallo e l'obliquo furono il filone ideale che accomuno' questa realizzazione. Giallo oro come le messi bionde del grano maturo, delle spighe di riso pronte ad essere raccolte, della paglia addormentata sui campi, del sole a mezzogiorno che spacca i sui raggi sui tetti, le teste, le strade le terre della bassa. Il giallo è l'oro, il giallo non ingiallisce. Il giallo è vita piena. Non ha caso e' il colore che simboleggia la misericordia di Dio. E l'obliquo è la cima dei pioppi accarezzati dal vento, il volteggiare noncurante in capriole fiabesche delle rondini sopra i nostri paesi, è il corso del Ticino mai lineare nella sua andatura verso il Po, è il cammino di ciascuno, è il ruotare della Terra intorno al suo asse , inclinato, obliquo...Il giallo e l'obliquo, elementi ideali di libertà ed energia spazio-temporale... L'idea piacque così tanto a Floraleda che ci invitò al primo concerto della stagione del Teatro Còlon, nel novembre successivo. Io, Maria Paola e Serena a Buenos Aires: una particella di pavesità calata in una delle più affascinanti e cosmopolite città del Sud America. Floraleda ci dedicò il pezzo più pregiato della musica per violoncello solo: il preludio della suite numero 1 in sol maggiore di Johan Sebastian Bach. Alla fine del concerto vedemmo, con soddisfazione, la nostra porta campeggiare dal suo camerino. Un concentrato di libertà vera: il vento dei piani di Lesima: senza confini. Via Roma a San Martino, la spina dorsale di questo paese: passaggi e miraggi di storia e società tra il capoluogo lombardo e l'approdo del porto di Genova e da lì per chissà dove attraverso l'autostrada del mare: senza confini. La valle del Ticino a Torre d'Isola: senza confini. Buones Aires e la Musica: senza confini... Anche Nietzche lo ricorda: “senza musica la vita sarebbe un errore”. Senza confini.

Emanuele Chiodini
L’autore del racconto è edicolante, in via Roma, a San Martino Siccomario.

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