Non possiamo ridurci soltanto a distributori automatici di beni

Parlano alcuni sacerdoti responsabili delle Caritas parrocchiali

Ai centri di aiuto della Caritas in Italia bussano ogni giorno per avere soldi, vestiti e cibo oltre mille persone. La situazione è ormai pressante anche nelle sedi parrocchiali della Caritas diocesana, prese d’assalto nelle loro aperture settimanali con una modalità che spesso induce gli stessi sacerdoti a interrogarsi sull’opportunità di qualche modifica. L’aspetto messo in risalto è soprattutto uno: aprire le porte indistintamente a tutti rischia di premiare chi è più spregiudicato e di svantaggiare chi invece ha realmente bisogno ma con dignità resta chiuso nel suo nascondimento.
Di questo parla apertamente don Antonio Razzini, parroco a Mirabello, una delle comunità storicamente più aperte all’aiuto verso i bisognosi grazie alla Caritas parrocchiale e al Gruppo Vincenziano che sostiene una settantina di famiglie. “Sia ben inteso, noi non vogliamo rinunciare a dare aiuti -spiega don Antonio- ma organizzarci per poter servire meglio e soprattutto venire incontro a chi ha realmente bisogno. Abbiamo anche discusso di questo con l’assessore comunale ai servizi sociali Sandro Assanelli e con altre Caritas parrocchiali: penso che sia fondamentale una mappatura della povertà reale a Pavia e un’opera di coordinamento dei nostri interventi”.
Il rischio altrimenti è quello -ribadisce don Antonio- di avere persone che usufruiscono di tutte le mense e girano ogni Caritas parrocchiale nei rispettivi giorni di apertura creando una sorta di “turismo dell’aiuto” a svantaggio degli altri. Chi troppo, chi niente: è questo insomma il pericolo.
Non possiamo essere considerati alla stregua di un distributore automatico di beni -spiega ancora don Antonio- nel senso che bussi alla porta e ti vengono dati cibo o vestiti secondo richiesta, anche perchè ogni bisognoso è un caso a sè che va analizzato nella sua globalità. E soprattutto non possiamo più pensare solo a questa forma di aiuto per gli extracomunitari quando ormai il bisogno è diventato comunitario e interessa famiglie senza lavoro che hanno però tanta dignità e non vengono a bussare alle porte. I nostri volontari ad esempio sono a conoscenza di alcune situazioni e portano a domicilio il necessario”.
Chi ha recentemente fondato la Caritas parrocchiale è don Vincenzo Migliavacca, alla Sacra Famiglia, con una laica -Lucia Colombo- come responsabile. Il gruppo collabora con i volontari vincenziani. “Lo abbiamo fatto perchè le tre realtà che ci aiutano per gli alimenti (Banco Alimentare, Carrefour e La Torretta) vogliono avere come interlocutore la Caritas parrocchiale. Noi li ringraziamo perchè ci sostengono fortemente anche in virtù della nostra fedeltà nel ritiro della merce. Addirittura ci siamo dotati di un locale apposito igienicamente a norma e di celle frigorifere per poter meglio conservare i prodotti da distribuire. La carità -se fatta bene- costa in termini di finanze, di tempo e di impegno. Ringrazio i miei volontari che sono un tesoro prezioso, addirittura mi vien da dire che servirebbero dei dipendenti per garantire oggi la carità a tutti coloro che hanno bisogno”.
Don Vincenzo conferma che la povertà è in aumento e lo verifica ogni mercoledì quando apre le porte della distribuzione e trova la fila. “Sono circa settanta le famiglie che aiutiamo, c’è uno zoccolo costante che ormai conosciamo e altre che si aggiungono oppure che magari non vengono più perchè hanno risolto parzialmente le loro difficoltà -commenta il parroco della Sacra Famiglia- certamente si percepisce il bisogno e la Caritas può farlo meglio dell’Istat semplicemente perchè l’Istituto Nazionale non annovera tra i poveri gli irregolari. Noi invece apriamo le porte a tutti, senza chiedere permessi di soggiorno”. Anche don Vincenzo sottolinea l’esigenza di andare oltre alla semplice erogazione di alimenti. Proprio per questo i volontari a volte vanno a domicilio a verificare l’effettivo stato di indigenza di chi chiede aiuto, ma anche per aprirsi al dialogo e all’ascolto dei bisogni per una semplice parola di conforto che in certe occasioni vale almeno quanto una borsa della spesa.

Daniela Scherrer

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