"Scatto foto per raccontare storie e persone, è una sfida con me stessa”

Elisa Moretti, 36 anni di insegnamento, da sempre ha l'hobby della fotografia. Da quando è in pensione viaggia alla scoperta di mondi nuovi e di persone da descrivere per immagini.

Elisa Moretti in questo periodo si trova in Guatemala, perchè quando ami scattare fotografie ti piace anche girare il mondo, conoscerlo, immortalare volti e storie. Per trentasei anni Elisa ha insegnato educazione fisica all'Istituto Volta, la fotografia è stata sempre la sua passione fino a quando il pensionamento le ha dato la possibilità di viverla con un impegno e un entusiasmo a trecentosessanta gradi. Se poi aggiungiamo che molti degli scatti di Elisa vanno incontro a una logica di solidarietà e di beneficenza, perchè aiutano a promuovere e far conoscere l'attività nel mondo di piccole associazioni allora il quadro, pardon la fotografia, è completa.

Elisa, partiamo dalle radici della sua passione per la fotografia quando nasce e perchè?
Diciamo che la passione per la fotografia è nata in conseguenza del mio amore per la natura e infatti molte delle mie immagini sono scattate in ambienti naturali, soprattutto nelle nostre zone. Ho sempre vissuto all'aria aperta, amavo da bambina correre alla Vernavola, nei campi. E mi piacevano anche le fotografie , sono infatti colei che cura e conserva le vecchie foto di famiglia perchè attraverso un'immagine fissi sguardi e ricordi che altrimenti andrebbero a finire nel dimenticatoio”.
Ha frequentato qualche corso di specializzazione particolare?
Si, qualche corso a Milano. Ma credo che la componente principale sia costituita dall'esperienza che si fa sul campo. Almeno per me è stato così”.
Ha seguito l'evolversi della fotografia oppure è ancora affezionata, come tanti appassionati, alla vecchia pellicola...
Io ho naturalmente iniziato, come quasi tutti i fotografi, con le diapositive Velvia e quelle sono state davvero un “cult”. L'aspetto che ancora ricordo con nostalgia di quei periodi era l'attesa, prima di vedere il frutto del proprio lavoro: spesso quelle diapositive dovevano essere mandate a sviluppare in Svizzera o in Olanda, quindi aspettavi almeno una settimana. E poi la pellicola ti insegnava il gusto di “cogliere l'attimo”, anche perchè c'era un certo costo nello sviluppo e non potevi permettere di scattare a raffica. Con l'avvento del digitale tutta questa parte affascinante è scomparsa, si deve pensare molto meno perchè puoi scattare mille foto e poi scegliere la migliore. Chiaramente c'è un risparmio notevole e le tecniche ottiche sono molto migliorate nel tempo”.
C'è qualcosa che proprio ancora non riesce a “digerire” delle nuove tecniche fotografiche?
Si, tutta la parte dei fotoritocchi, che rendono possibile la manipolazione. Quella proprio non mi piace. Per chi ama la fotografia il bello sta proprio nella sfida con se stessi, nel fare subito la foto che piace”.
La fotografia è un hobby che si sente di consiliare anche ai bambini?
Decisamente!Credo che tutti i genitori dovrebbero insegnare ai propri bimbi a usare la macchina fotografica, magari quella digitale con cui possono provare e riprovare. In una società dove tutto passa in un battito d'ali, scattare una foto significa fermarsi a osservare, concentrarsi su ciò che circonda e poi anche riguardare insieme quel che si è fatto”.
Che cosa non può mancare nella borsa fotografica di Elisa Moretti?
"Chiaramente un corpo macchina con un obiettivo professionale, che forse è l'accessorio più importante di tutti. Poi anche un flash, che è fondamentale saper usare correttamente perchè altrimenti può rovinare una foto bellissima. E infine non può mancare....il cuore! Henry Cartier-Bresson diceva sempre “Di tecnica non so granchè”, eppure era un grande fotografo. Ci può essere una foto tecnicamente perfetta che non trasmette nulla e una con qualche imperfezione che però sa arrivare al cuore di chi la guarda”.
Parlando di cuore mi viene da chiederle se esista un'etica del fotografo...
Esiste eccome! Un fotografo deve sapere che ogni persona ha una propria dignità, anche chi vive nel Terzo Mondo e non ha niente. E questa dignità va sempre rispettata, senza mai violare il desiderio di non farsi immortalare in certe situazioni. Per intenderci un vero fotografo è qualcosa di diverso dal paparazzo”.
Lei ha fatto mostre e pubblicato foto su libri dedicati alla natura di “casa nostra”, che ama molto. Però ha anche girato il mondo per raccontare grazie alle immagini realtà molto distanti...
Sono sempre stata molto attratta dalla possibilità di viaggiare e di conoscere persone. Ero ancora bambina e ricordo il mio primo viaggio, con i genitori, a Londra nel 1963, senza autostrade. Un'esperienza indimenticabile, tutto un mondo da osservare e scoprire...otto anni fa ho realizzato il mio primo reportage fotografico in Brasile, a Barbosa, nello stato di San Paolo. Ho accompagnato una mia collega del volta che, per la Croce Rossa, doveva consegnare delle medicine e inaugurare un nuovo ambulatorio. Venti giorni di “full immersion” vera tra la gente, un ricordo splendido. E li ho capito che non potevo fermarmi! L'anno seguente sono partitra alla volta del Guatemala per l'associazione Ains e anche in quel caso sono rimasta affascinata dalla storia complessa di un Paese travagliato da trentasei anni di guerra civile, ma bellissimo nei volti della gente e nei colori della natura. E là ho conosciuto una religiosa, madre Antonietta, che gestisce una scuola e che è davvero capace di rubarti il cuore e restituirtelo gonfio d'amore. Un'altra esperienza stupenda è stata quella nel Ladaq, il “Piccolo Tibet” dell'India: insieme a un'insegnante del Cairoli ho trascorso tre settimane per conto di una piccola associazione di Travacò, “Per una scuola in Himalaya”. Siamo arrivati sino a 4500 metri, per incontrare la popolazione di Photoxar, che vive sei mesi all'anno nel più totale isolamento. E' stato un viaggio molto stancante ma ne valeva la pena!
La fotografia che porta nel cuore.....
Non ne ho una in particolare, ma nel mio computer c'è una cartella che raccoglie le mie foto cui sono più affezionata. Tra queste l'immagine di un bambino guatemalteco sotto la pioggia: niente di costruito, mi si è presentato davanti all'improvviso mentre ero in macchina e mi piace perchè sul suo volto si leggono la storia e la sofferenza del Guatemala”.
Ha un sogno nel cassetto?
Continuare a viaggiare e, siccome credo che quello dell'insegnante sia uno dei lavori più belli al mondo, per deformazione professionale comunicare agli altri le mie emozioni e condividerle”.

Daniela Scherrer, IL TICINO- venerdì, 18 gennaio 2013

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