Francesco, infermiere ad Haiti per Medici Senza Frontiere
intervista di Daniela Scherrer
Francesco Di Donna ha trentadue anni, di professione è infermiere e ha scelto di esercitarla nei Paesi dove c’è bisogno di tutto, dai generi di prima necessità agli ospedali, al materiale sanitario, al personale qualificato. Francesco ha infatti lasciato ilsuo lavoro nelle strutture pubbliche e private delle nostre zone, perché era diventato troppo complicato coniugare ferie e aspettative con il desiderio di affrontare le emergenze nel mondo, e partecipare ai progetti di Medici Senza Frontiere. La sua esperienza “sul campo” ha preso avvio nel 2008, quando è stato selezionato dopo un anno e mezzo di formazione - aspetto importantissimo per non trovarsi impreparati di fronte alla sofferenza umana, psicologica e materiale – per prendere parte ad un progetto nel Darfur, in Sudan. Quindi è seguita l’esperienza in Pakistan, a Pachaua, per accogliere i tantissimi profughi e fronteggiare un’epidemia di colera, ed ora è appena tornato da un progetto di tre mesi ad Haiti, a Legane, sul mare, trentacinque chilometri da Port-au-Prince.
Medici Senza Frontiere gestisce oltre venti progetti ad Haiti. Quello a cui ha partecipato che cosa riguardava?
“Leogane è stata completamente rasa al suolo dal terremoto. La nostra è stata una missione esplorativa: sul terreno dell’Oratorio abbiamo costruito una tendopoli che fungeva da ospedale. La sezione principale naturalmente era riservata all’ortopedia e alla traumatologia, con una sala operatoria, poi è stata aggiunta anche un’ala per l’ostetricia. Diciamo in totale una novantina di posti per l’ortopedia e una decina per le neo mamme. Era infine presente anche una sezione per il pronto intervento e un dipartimento di psicologia , per gestire i traumi da catastrofe naturale “.
Quale è stato il suo ruolo?
“ Ero responsabile della farmacia, il che significa gestire gli ordini dei medicinali, stilare l’inventario sia dei farmaci che dei macchinari, rifornire i vari dipartimenti del progetto “.
Impegnativo?
“ Abbastanza. In pratica devi essere attivo ventiquattro ore su ventiquattro, pensi che mediamente distribuivamo diecimila “ paracetamolo “ alla settimana; la fatica maggiore era quella di riuscire a riposare, anche per le condizioni difficili; per un periodo abbiamo dormito anche in otto in una tenda “.
Da dove nasce il suo desiderio di connotare così specificatamente la sua professione infermieristica? Un fattore umano?
“ Sicuramente operare in queste zone ha con sé una carica umana speciale, però credo che l’umanità sia fondamentale anche da noi, le soddisfazioni professionali sono maggiori, perché conosci culture e tradizioni differenti e ti confronti con colleghi che provengono da ogni parte del mondo. A Legane eravamo in quindici a curare la parte medica e una trentina l’aspetto logistico. Persone provenienti da sedici Paesi diversi, molto interessante “.
Domanda scomoda. In questi casi c’è sempre chi pensa che l’aspetto fondamentale sia il tornaconto economico. È vero ?
“ Assolutamente no. I rimborsi che ho sono sicuramente inferiori agli stipendi normali di un infermiere e oltretutto l’Italia non garantisce quei sussidi che invece altrove sono riconosciuti, come la garanzia di una percentuale di stipendio. La scelta non è sicuramente dovuta a motivi economici. Anche ad Haiti c’erano chirurghi e anestesisti che avevano lasciato il loro lavoro e possibilità di carriera importanti “.
Qual è la situazione attuale ad Haiti, visto che da noi non se ne parla ormai quasi più ?
“ Nei tre mesi in cui sono stato non è cambiato molto. È tutto distrutto e la tragedia si è abbattuta su un popolo che era già disastrato. Però hanno voglia di risollevarsi, gli operatori umanitari sono stati accolti con entusiasmo e la gente collaborava molto. In Pakistan sicuramente la realtà era molto diversa, meno collaborativi “.
Qual è la filosofia di azione di Medici Senza Frontiere ?
“ MSF agisce su due fronti: in Italia punta sulla formazione di personale qualificato, organizzando per i propri operatori umanitari corsi di aggiornamento e finanziando anche borse di studio. L’obiettivo è portare sul luogo gli infermieri in maniera che possano diventare lo strumento di formazione per lo staff locale nei progetti in corso. Noi lavoriamo nella situazione d’urgenza, ma saranno poi gli esponenti della sanità locale a gestire il post-emergenza “.
È quindi particolarmente curata la vostra selezione….
“ Molto. Io ad esempio ho dovuto attendere un anno e mezzo prima di poter partire per il Darfur. Avevo esperienza in area critica, conoscenza delle lingue e la volontà di fare questa esperienza. Ma a Roma, durante le selezioni cercano sempre di incentivare a perfezionarti sempre più. Io ad esempio ho scelto di “ testarmi “ per qualche tempo in Guatemala con l’associazione Ains onlus di Pavia e dopo sono stato accettato da MSF “.
Francesco Di Donna ha trentadue anni, di professione è infermiere e ha scelto di esercitarla nei Paesi dove c’è bisogno di tutto, dai generi di prima necessità agli ospedali, al materiale sanitario, al personale qualificato. Francesco ha infatti lasciato ilsuo lavoro nelle strutture pubbliche e private delle nostre zone, perché era diventato troppo complicato coniugare ferie e aspettative con il desiderio di affrontare le emergenze nel mondo, e partecipare ai progetti di Medici Senza Frontiere. La sua esperienza “sul campo” ha preso avvio nel 2008, quando è stato selezionato dopo un anno e mezzo di formazione - aspetto importantissimo per non trovarsi impreparati di fronte alla sofferenza umana, psicologica e materiale – per prendere parte ad un progetto nel Darfur, in Sudan. Quindi è seguita l’esperienza in Pakistan, a Pachaua, per accogliere i tantissimi profughi e fronteggiare un’epidemia di colera, ed ora è appena tornato da un progetto di tre mesi ad Haiti, a Legane, sul mare, trentacinque chilometri da Port-au-Prince.
Medici Senza Frontiere gestisce oltre venti progetti ad Haiti. Quello a cui ha partecipato che cosa riguardava?
“Leogane è stata completamente rasa al suolo dal terremoto. La nostra è stata una missione esplorativa: sul terreno dell’Oratorio abbiamo costruito una tendopoli che fungeva da ospedale. La sezione principale naturalmente era riservata all’ortopedia e alla traumatologia, con una sala operatoria, poi è stata aggiunta anche un’ala per l’ostetricia. Diciamo in totale una novantina di posti per l’ortopedia e una decina per le neo mamme. Era infine presente anche una sezione per il pronto intervento e un dipartimento di psicologia , per gestire i traumi da catastrofe naturale “.
Quale è stato il suo ruolo?
“ Ero responsabile della farmacia, il che significa gestire gli ordini dei medicinali, stilare l’inventario sia dei farmaci che dei macchinari, rifornire i vari dipartimenti del progetto “.
Impegnativo?
“ Abbastanza. In pratica devi essere attivo ventiquattro ore su ventiquattro, pensi che mediamente distribuivamo diecimila “ paracetamolo “ alla settimana; la fatica maggiore era quella di riuscire a riposare, anche per le condizioni difficili; per un periodo abbiamo dormito anche in otto in una tenda “.
Da dove nasce il suo desiderio di connotare così specificatamente la sua professione infermieristica? Un fattore umano?
“ Sicuramente operare in queste zone ha con sé una carica umana speciale, però credo che l’umanità sia fondamentale anche da noi, le soddisfazioni professionali sono maggiori, perché conosci culture e tradizioni differenti e ti confronti con colleghi che provengono da ogni parte del mondo. A Legane eravamo in quindici a curare la parte medica e una trentina l’aspetto logistico. Persone provenienti da sedici Paesi diversi, molto interessante “.
Domanda scomoda. In questi casi c’è sempre chi pensa che l’aspetto fondamentale sia il tornaconto economico. È vero ?
“ Assolutamente no. I rimborsi che ho sono sicuramente inferiori agli stipendi normali di un infermiere e oltretutto l’Italia non garantisce quei sussidi che invece altrove sono riconosciuti, come la garanzia di una percentuale di stipendio. La scelta non è sicuramente dovuta a motivi economici. Anche ad Haiti c’erano chirurghi e anestesisti che avevano lasciato il loro lavoro e possibilità di carriera importanti “.
Qual è la situazione attuale ad Haiti, visto che da noi non se ne parla ormai quasi più ?
“ Nei tre mesi in cui sono stato non è cambiato molto. È tutto distrutto e la tragedia si è abbattuta su un popolo che era già disastrato. Però hanno voglia di risollevarsi, gli operatori umanitari sono stati accolti con entusiasmo e la gente collaborava molto. In Pakistan sicuramente la realtà era molto diversa, meno collaborativi “.
Qual è la filosofia di azione di Medici Senza Frontiere ?
“ MSF agisce su due fronti: in Italia punta sulla formazione di personale qualificato, organizzando per i propri operatori umanitari corsi di aggiornamento e finanziando anche borse di studio. L’obiettivo è portare sul luogo gli infermieri in maniera che possano diventare lo strumento di formazione per lo staff locale nei progetti in corso. Noi lavoriamo nella situazione d’urgenza, ma saranno poi gli esponenti della sanità locale a gestire il post-emergenza “.
È quindi particolarmente curata la vostra selezione….
“ Molto. Io ad esempio ho dovuto attendere un anno e mezzo prima di poter partire per il Darfur. Avevo esperienza in area critica, conoscenza delle lingue e la volontà di fare questa esperienza. Ma a Roma, durante le selezioni cercano sempre di incentivare a perfezionarti sempre più. Io ad esempio ho scelto di “ testarmi “ per qualche tempo in Guatemala con l’associazione Ains onlus di Pavia e dopo sono stato accettato da MSF “.
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