Dal Guatemala ai piani di Lesima


Carissime amiche ed amici,
qualche giorno fa, colto da puro disinteresse e senza fini pubblicistici, ho scritto un raccontino sulla falsa riga dell'invito che appare nelle pagine "estive" del nostro quotidiano locale, La Provincia Pavese.
Vi anticipo: nulla di eccezionale.
Solo fantasia, mediata dalle situazioni quotidiane e dagli episodi accaduti nel tempo.
Questo raccontino è stato pubblicato, insieme ad altri, sul sito della Provincia Pavese on-line.
Buona lettura!
Emanuele Chiodini


Racconti per l'Estate
Dal Guatemala ai piani di Lesima
di Emanuele Chiodini

Rividi Annamaria dopo dieci anni. Ci incrociammo, l’ultima volta, in Guatemala nel suo villaggio, El Rancho, dove frequentava la scuola San Josè. Eravamo soliti, io e i miei amici, recarci in America Latina almeno una volta l’anno. Ci imbarcavamo in questi viaggi lunghissimi soltanto e unicamente per soddisfare le brecce del nostro carattere, aperte sul registro della solidarietà e del disinteresse. Niente di più. Niente ricerche spasmodiche di se stessi. Niente ricerche di benessere personale. Non sentivamo nè la necessità di adorare luoghi comuni, nè di rincorrere l’abbaglio di facili evasioni esotiche. Nessuna fuga dal nostro ambiente d’origine, il Siccomario, terra di confine e di passaggi millenari. E di grandi ritorni. Si andava laggiù per ritrovare le bambine e i bambini della scuola e i tanti amici che ripagavano con naturali gesti fraterni i nostri passaggi in Centro America. Con un’antica semplicità ormai scomparsa dalle nostre parti. Allora Annamaria aveva quattordici anni, ragazzina intelligente e determinata. I risultati scolastici non lasciavano dubbi: negli anni successivi sarebbe arrivata con scioltezza all’università per conseguire la laurea in diritto e per esercitare, subito dopo, la professione di avvocato. La ritrovai in Italia dopo così tanti anni di silenzio. Giovane donna, dal fascino dirompente: alta, capelli nerissimi, corvini e lucenti, occhi di uno scuro profondo. Una sintesi perfetta della genetica indigena e mediterranea. La sua persona un libro aperto di bellezza frutto di impasti secolari.Venne nella nostra città, borsa di studio alla mano, ospite di un noto collegio cittadino: stava seguendo a Milano un corso di specializzazione in diritto internazionale. Un dottorato di ricerca che le avrebbe aumentato la fama, già larga nel suo paese d’origine, come avvocato difensore dei diritti delle donne. L’emozione e la mia sorpresa furono grandi. Ci vedemmo e organizzammo in breve tempo una festa ai piani di Lesima a casa di Serena e Maria Paola, architetti pavesi cresciute alla scuola di Zaha Hadid. Le due professioniste dividevano un vecchio casolare, ristrutturato rispettando i criteri rurali e montanari, posto quasi in cima alla montagna più affascinante del nostro Alto Oltrepò: si ritiravano quassù d’estate aprendo spesso la loro dimora ad amici e conoscenti. Un quadrivio di province, i piani di Lesima, adatti ad accogliere le situazioni sorprendenti.Annamaria, ricordavo bene, aveva tra i suoi talenti anche quello della musica. Suonava alla perfezione il flauto traverso: riuscì, tra i tanti suoi impegni, a diplomarsi con il massimo dei voti al Conservatorio Nacional de Mùsica di Città del Guatemala. Suonammo insieme: io dilettante, al pianoforte di Serena, e lei musicista col suo flauto traverso. Eseguimmo, con l’eco dei boschi in contrappunto, solamente musiche di Piazzolla. Ci travolse «Libertango». Ci lasciammo sulle note di «Oblivion».Passarano altri dieci anni prima di rivedere ancora, bellezza immutata, Annamaria

(03 agosto 2010)

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