10 domande a Filippo Ticozzi


Il cinema di Filippo Ticozzi (Pavia, 1973) è una dimensione dell’evanescenza, dove le figure prendono forma per dissolversi, scoprendosi significati da ultimo come segni. Al regista di Lilli non è retorico attribuire un’idea di arte come impegno di tipo esistenziale, al modo di un Diogene contemporaneo con la cinecamera a fare da lanterna. Nella predilezione per le ellissi, sostenuta da una raffinata vocazione alla sintesi narrativa, confluiscono lirici silenzi ed angosce implose, sotto il segno comune del rimando. L’opera di Ticozzi è legna da ardere: solida, corposa, eppure capace di fiammante inconsistenza. Un grande Autore, sensibile come pochi. Per approfondimenti, visitare www.dallaltrapartedellastrada.blogspot.com e www.lilli09.blogspot.com. Buona lettura e… buona visione!

1) Il momento in cui hai deciso che saresti diventato un regista
Tardi. Prima ho tentato la via del terzo teatro, ma non è andata. Poi ho deciso di finire l’università e ho lavorato per un bel po’: dovevo mantenermi, ero solo e senza soldi. Non era un buon periodo. Poi ho incontrato quella che ora è mia moglie e lei mi ha convinto a buttarmi in questa faccenda, che comunque mi “abitava” da un po’. Fin da piccolo i film mi attiravano mostruosamente, anche se l’idea di farli, e non di viverli, di non credere che fosse vita, mi infastidiva, non mi piaceva. Intorno ai 30 anni mi sono iscritto a un corso FSE di regia. Il corso era inutile, ma la casa di produzione dove l’ho fatto, Drop Out a Milano, era fantastica (ora è fallita, come tutte le cose buone): ci facevano usare le loro costose videocamere, cercavano di farci partecipare ai progetti. Mi sono fatto il braccio sulla tecnica. Dopo un paio d’anni ho fondato la mia piccola casa di produzione, procreatrice di soddisfazioni e debiti.
2) La tua idea di cinema
Il reale è ambiguo, polimorfo, epifanico. Il cinema può farlo risuonare.
3) Il modello di macchina con cui giri
Giro in digitale perché le mie produzioni sono sempre low budget, per non dire no budget. Per ora ho girato con Sony Z7 e Panasonic 200. Ma la pellicola, vorrei, la pellicola! Direttamente non l’ho mai usata, ma sento che è il mio “materiale”, anche se adesso sembra superata. Concreta, come il legno per il falegname. Inoltre giro sempre poco sul set, perciò un giorno potrei anche farcela.
4) Gli autori che ti hanno influenzato maggiormente
Non so sinceramente, quando giro dimentico queste cose. Però posso dire che mentre scrivo alcuni film mi vorticano per la mente e sicuramente qualcosa rubo. Forse faccio prima a dire quali autori sono per me un’ossessione: Werner Herzog, Robert Bresson, Robert Kramer, Marco Ferreri, John Ford.
5) Il film (altrui) che avresti voluto girare tu
Strozsek di Herzog. Tra i recenti Animal love di Ulrich Seidl.
6) Il tuo spettatore ideale
Non riesco a immaginarne uno. Il cinema è talmente una cosa assurda.
7) La volta in cui avresti voluto mollare tutto (e il motivo per cui non l’hai fatto)
Dico la verità: più o meno ogni settimana. Un lavoro in cui si sta troppo da soli: prima, sul set e dopo. E poi un’impresa assurda: trova i soldi, contatta le persone, scendi a patti con il mondo, gira. Dopodiché comincia il vero delirio: la distribuzione, i debiti fatti, i festival con i loro maledetti entry form, ecc. e mai il becco di un quattrino (soprattutto in questo momento). Ma non lascio perché non saprei che altro fare. Questa cosa mi dà emozioni e direi che è già molto.
8) Un regista emergente che consiglieresti
Se intendiamo registi che non hanno ancora fatto il grande salto verso il lungometraggio, allora penso sicuramente a Gianclaudio Cappai. Vidi il suo So che c’è un uomo a Visioni Italiane (dove ha vinto) e sono rimasto di stucco. Un cinema intenso, carnale, dove la storia sul momento pare non ci sia, ma poi nasce e deborda in particolari pieni di vita, vita che eccede e si disperde. Un po’, mi si perdoni il paragone ardito, come il Faulker di The Sound and the Fury, dove alla fine tutto è cristallino, ma siamo passati attraverso il sangue. Per un cinema invece più sperimentale, che ragiona più su di sé, Carlo Michele Schirinzi. Riesce a creare un tipo di percezione in sala diversa, un modo inedito di “seguire” un film, di percepire quella visione del mondo, senza eccessivi sperimentalismi, avvicinandosi alla video arte in modo deciso, senza però mai cedere alle lusinghe dell’intellettualismo (vedi l’ultimo lavoro, Notturno Stenopeico), e poi, nelle cose più narrative, che spesso anche interpreta, ha una comicità lunare e stramba (e direi profonda) che è irresistibile. Ma ce ne sono tanti, tantissimi. Molti non li conosco nemmeno. Questi tra quelli che ho incontrato e/o visto. Una piccola polemica: tanti, troppi cortometraggi furbi, simili a spot pubblicitari lunghi. Che poi ti ritrovi a tutti i festival. Poco sangue, tanta testa; troppe idee, pochi azzardi.
9) Il progetto a cui stai lavorando in questo momento
Ora sto lavorando a due progetti documentaristici: uno su Lotta Continua e l’altro su Jimmy il fenomeno. Il primo non sarà nulla di storico, né di compilativo. Saranno cinque ritratti, oggi, di ex militanti che hanno avuto un particolare percorso di vita. Tre in vita e due in morte. Questi ritratti serviranno come cortocircuito per riflettere sul più grande movimento di pensiero (e non solo movimento politico) degli anni duri di casa nostra e sulle tracce rimaste oggi. L’altro sarà una sorta di pedinamento del famoso caratterista. Jimmy ora vive in una casa di riposo, ha qualche acciacco e sta affrontando gli anni della senilità. Il film vuole partire dalla sua figura per riflettere sull’età avanzata, su come la vita si adatta e germoglia, su cosa si prova a stare poco prima della fine. Attraverso la maschera di Jimmy cercherò, arduo compito, di entrare dove maschere non ce ne sono più.
10) Un giudizio su CinemaDonia
Mi sembra una gran cosa! Date spazio agli invisibili con un piglio davvero professionale. Lunga vita a CinemaDonia!!!

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