«Il paradiso comincia sulla terra»

Racconto le vite di tossici barboni e prostitute che ho trovato in 50 anni da sacerdote in mezzo alla strada

GABRIELE CONTA, la provincia pavese-17 novembre 2010
PAVIA. Tutto sa di strada nelle parole di don Gallo. A partire dalla voce, una cantilena genovese che profuma di mare. «La mia cattedrale è la strada. I miei insegnanti sono le prostitute, i barboni e i tossici», dice il sacerdote nato a Genova nel 1928 e prete da cinquant’anni,. con una voce resa roca dai sigari. E’ una vita dedicata agli ultimi, la sua. Una vita da «prete da marciapiede», come qualcuno lo chiama; «una vita dedicata a quelle che sono le vere anime salve di De Andrè», come preferisce dire lui. Don Gallo è stato a Pavia per la rassegna culturale «Quattro chiacchiere con», alla libreria Loft 10, di piazza Cavagneria. Presentato da don Franco Tassone, parroco di San Mauro e già responsabile della casa del giovane e prendendo spunto dal suo secondo e ultimo libro «Così in terra come in cielo» (135 pagine, Mondadori, 17 euro), don Gallo ha raccontato la sua vita, a partire dal suo primo incarico da sacerdote nel 1960 (quando fu nominato cappellano della nave-riformatorio Garaventa) fino all’incontro con Beppino Englaro, a cui ha chiesto perdono «per tutto ciò che gli era stato fatto».
Il titolo inverte la frase del «Padre nostro», come mai?
«Il senso del titolo è di cominciare a creare un mondo a misura di essere umano qui e ora, sulla terra prima che in paradiso. Il titolo è anche un invito a riscoprire la dignità umana che c’è in ogni persona. Sono stati i ragazzi della comunità a suggerirmelo».
Con don Franco parlerete del libro?
«Il libro sarà un pretesto per parlare di tante cose. La mia storia è solo uno spunto: racconterò le storie dei ragazzi della “Comunità di San Benedetto al porto”, che da tanto tempo opera nell’angiporto e nelle strade di Genova e che l’otto dicembre compirà quarant’anni. Parlerò delle vite degli ultimi e degli invisibili che ho incontrato in questi cinquant’anni da sacerdote». Come sono stati questi 50 anni?
«Sono stati anni d’incontri. Sulla strada ho conosciuto molte vite, molte gioie e anche molti dolori. Sono stati anni passati con i perdenti, i senza voce, i diversi. Anni gridando la parola “pace” e cercando sempre le cause delle ingiustizie. Raccontare questi 50 anni è come guardare un grande film che cammina».
Sono stati anche anni di scontri con la Chiesa?
«La mia non è una contestazione contro la Chiesa, che è la mia casa e che amo. Io sono contro il potere economico e moralistico di tutte le chiese, e soprattutto contro l’ipocrisia. Mai come in questo momento le gerarchie ecclesiastiche sono in collusione coi poteri per riacquistare privilegi. Anche per questo mi arrabbio quando sento dire “La Chiesa ha detto che ti devi comportare così”, perché la Chiesa sono tutti i battezzati, non solo le gerarchie».
Cosa ne pensa dell’evoluzione della Chiesa oggi?
«Le conquiste del Vaticano II da troppo tempo sono in pericolo, e tutte le strade del concilio sono state cancellate. Io ho sempre detto chiaro quello che penso, sulle spinte soltanto del Vangelo. Perché la fede devi viverla davanti al Vangelo, non al meeting di Rimini o nell’anticamera dello Ior».
E’ per questo che oggi molti si allontanano dalla Chiesa?
«Certo. Ma ai delusi dalla Chiesa io dico “Andate dai vostri vescovi e ditegli quello che pensate”. E’ inutile dirsi credenti e poi non andare in chiesa. Anche qui la mia è una guerra all’ipocrisia e al moralismo: la Chiesa deve smettere di parlare e di giudicare. Prima bisogna ascoltare e accogliere».
Che cosa trova negli ultimi?
«La vera forza viene da loro, dagli scartati, dagli emarginati. Ti regalano la possibilità di riscoprire la tua vera identità. Ho incontrato persone di tutte le religioni e di tutti i sessi: ho parlato con trans, malati di mente, tossici, e in tutti ho trovato del buono. Bastava ascoltarli».
Nel suo studio sono passati i più importanti personaggi della cultura italiana. Che ricordo ha di Fernanda Pivano?
«Fernanda è stata uno dei miei più grandi maestri, e per me rimarrà sempre la “signorina anarchia”. Ho avuto la gioia e la fortuna di incontrare molti personaggi importanti, come Mario Monicelli, Moni Ovadia, Vasco Rossi, Paolo Rossi. Mi vengono a trovare nel mio studio, e da loro ricevo il sostegno di andare avanti. Sapendo che il male grida forte ma che la speranza grida ancora più forte».
E di Fabrizio De Andrè?
«Per me Fabrizio era e rimane un poeta, sempre con lo sguardo rivolto al futuro. La sua voce dava espressione a tutti quelli che non ce l’hanno: cercava di dar voce persino al Mediterraneo e al mondo intero. Nel 1999 non gli abbiamo detto addio: De Andrè è di tutti ormai. Fabrizio era ed è un grande musicista e un grande cantautore. Ma soprattutto De Andrè è anarchico».
Che cos’è l’anarchia per lei?
«Non è un catechismo, un’iscrizione a un movimento. L’anarchia è un atteggiamento profondo dell’animo costantemente inquieto. E’ l’aspirazione alla libertà, è un intreccio tra la coscienza civica e la spiritualità di ciascuno. L’anarchia è come tutta l’opera di De Andrè, che cammina su due binari: la giustizia sociale e la ricerca di un mondo nuovo».
Che cosa significa la musica di De Andrè oggi?
«La musica di Fabrizio per noi nati nei vicoli intorno al porto di Genova è la colonna sonora di una vita. Per tutti quanti la sua poesia ancora oggi è antifascismo, antimilitarismo, non violenza. Le sue canzoni mettono le ali oggi più di ieri. Fabrizio guardava agli invisibili, ai diversi, ai non produttivi. Che poi sono i ragazzi della nostra comunità».
Di cosa si occupa la sua comunità?
«Non è la mia comunità, io sono soltanto uno dei tanti che la fanno andare avanti. Accogliamo tutti quelli che hanno bisogno di una mano, per tanto o poco tempo, italiani e migranti. Il primo nucleo della comunità è nato nel 1965, e ha vissuto in pieno il 68 e tutte le tappe fondamentali di quell’epoca».
Cosa è cambiato dagli anni ’60 ad oggi?
«Oggi è cresciuta a dismisura l’indifferenza. L’indifferenza è abulia, è essere fuori dalla storia, è vigliaccheria. Secondo me andrebbe aggiunta ai peccati capitali. Eppure continua a aumentare. Invece bisognerebbe alzarsi ogni mattina e chiedersi “Che cosa posso fare per la mia casa, per il condominio, per il quartiere?”, e da lì si arriva presto all’Italia e al mondo intero. Però ci sono segni di ripresa, segnali di una nuova presa di coscienza».
Lei è già stato a Pavia in passato?
«Ci sono stato diversi anni fa. Mi ricordo che era il periodo in cui nasceva la casa del giovane: una bellissima comunità che muoveva i primi passi sul tema della tossicodipendenza».
Don Gallo ci saluta con una storia. E’ un piccolo apologo, che gli ha raccontato una volta un monaco tibetano: «Se in un bosco vedi una grossa ombra hai paura, perché sei convinto che sia un animale feroce. Poi però ti avvicini e scopri che è un uomo. Allora ti avvicini ancora di più e scopri che è un fratello. E se ti avvicini ancora di più scoprirai che è un amico». Questo è l’incontro secondo Don Gallo. E questo è anche il senso del suo camminare sempre «in direzione ostinata e contraria».

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