Simone Deri ha incontrato Francesco Gesualdi, del Centro Nuovo Modello di Sviluppo per parlare del suo libro, che tratta delle prospettive concrete su cui lavorare per pensare diversamente e cambiare i nostri stili di vita ( tratto dal sito: www.ztl.eu)
Qual è stato lo spunto di partenza di questo libro, che tra l'altro inizia non con un'introduzione ma con un appello?
Lo spunto riguarda due ragioni, di carattere sociale e ambientale, perché fondamentalmente esse si tengono per mano e vanno di pari passo. Sai bene che noi ci occupiamo da sempre di squilibri internazionali, ma in questo caso non si tratta solo di scoprire i meccanismi che li stanno provocando; vogliamo cominciare a parlare di prospettive.Se vogliamo iniziare a fare un serio discorso di sollevamento dei popoli del Sud del mondo bisogna inevitabilmente fare i conti con la distribuzione delle risorse e il rispetto dell'ambiente. Questo ci fa capire quanto sia importante interrogarci sul nostro modello di sviluppo, cominciando a ragionare su come organizzare in modo migliore la nostra economia e la nostra società occidentale in un'ottica di sobrietà, intesa come minore utilizzo di risorse e minore produzione di rifiuti.
Cosa è cambiato, secondo te, nel sistema di sviluppo di questi ultimi anni rispetto ai decenni '70 e '80?
Il sistema sta procedendo in una maniera schizofrenica, rispetto agli anni '70 sta cominciando finalmente ad ammettere che esistono seri problemi di carattere ambientale. Lo dimostrano il protocollo di Kyoto, i problemi energetici attuali e, ahimé, anche la guerra in Iraq per il controllo del petrolio.Da una parte mi pare che il sistema stia cominciando ad ammettere la carenza di risorse e l'incontrollata emissione dei rifiuti, dall'altra però non accetta di trarre le dovute conseguenze, continuando a parlare in maniera folle di crescita.In altre parole, penso che ci troviamo in un momento di passaggio durante il quale si comincia ad ammettere che qualcosa bisogna rivedere, tuttavia questo sistema è ancora troppo ancorato al "vecchio" per indirizzarsi seriamente nell'ottica della trasformazione.
Sottolinei più volte in questo libro la questione del debito, qualsiasi debito, come una sorta di motore economico del capitalismo.Qual è il tuo pensiero, anche alla luce delle recenti esplosioni economiche di India e Cina?
Qui di nuovo il sistema è di fronte alle sue contraddizioni e alle sue schizofrenie. Credo che sia necessario premettere che questo è il sistema dei mercanti, pensato ad immagine e somiglianza dei mercanti.Dei grandi mercanti, naturalmente.La parola d'ordine è stata sempre quella di dare quanto più impulso possibile al commercio, così oggi ci troviamo in una situazione totalmente dominata dalle grandi imprese di livello mondiale dove l'unica prospettiva è quella del commercio globalizzato, che ha messo poi in moto tutta una serie di altri meccanismi i quali accompagnano - se addirittura non ne stanno alla base - il boom economico della Cina, dell'India e di altri paesi dei Sud del mondo.La prospettiva alla quale noi stiamo assistendo è che, se questa tendenza continua a proseguire lungo la strada che ha imboccato, risulterà poi possibile un reale trasferimento di produzione di ricchezza dal Nord verso il Sud.La Cina, ad esempio, si sta sempre più affermando come la fabbrica mondiale dei beni materiali.Il che significa che se non ci saranno dei settori di compensazione, e sono ancora tutti da individuare, ci potrà essere non un allargamento della ricchezza a livello mondiale, bensì un semplice spostamento: prima si produceva di qua, dopo si produrrà di là.Anche perché l'idea che ci sia una nuova divisione internazionale del lavoro dove in Cina e in India si producono i beni materiali e nel Nord del mondo i servizi e le tecnologie avanzate non è detto che funzioni. In effetti una nazione, quando si incammina verso la rivoluzione industriale, tenta di utilizzare tutte le ricerche tecnologiche per sostenere la propria crescita, pertanto è presumibile che in futuro occupi pure questi altri spazi di sviluppo. Aggiungo che, se da un lato non si capisce bene dove stiamo andando, dall'altro al capitale internazionale interessa produrre in Cina o in Italia esclusivamente per motivi economici.Se è così, allora l'unico potere che in una situazione del genere potrebbe incontrare qualche problema è quello politico il quale, per forza di cose, è ancora ancorato ai confini nazionali.Qualora si creasse una situazione che genera un eccessivo scontento nella nostra parte di mondo, il potere politico potrebbe trovarsi di fronte al decidere cosa fare: se appoggiare i capitalisti alimentando questa confusione sociale oppure accontentare le proprie popolazioni che ricercano sicurezza, occupazione, servizi. La chiave di volta potrebbe essere proprio l'indebitamento. Gli Stati Uniti fanno scuola da questo punto di vista dato che sono un paese che campa assolutamente al di sopra delle proprie possibilità; hanno una bilancia commerciale che è in deficit spaventoso, hanno un bilancio pubblico in deficit, sono indebitate le famiglie, lo stato, le imprese e la loro economia vive rastrellando risparmi dal resto del mondo.Quindi la situazione che si potrebbe creare in futuro è che in una parte del mondo si produce ma, in virtù della forza militare e politica che si è costruita nel tempo, il Nord continua a risucchiare risorse dal resto del pianeta anche attraverso il meccanismo del debito il quale, naturalmente, riesce poi a essere imposto anche attraverso l'uso delle armi.
Parliamo del lavoro, che oggi viene visto dalle imprese come un costo, anzitutto. Tra l'altro il FMI ha approvato le riforme sulla mobilità introdotte in Italia. Eppure per le attuali generazioni di giovani stanno scomparendo le tutele conquistate nei decenni scorsi.
Nella logica capitalista il lavoro è solo un costo ed è sganciato dalla persona umana. Mentre in altri tempi e culture il lavoro era visto come una necessità dell'uomo finalizzata alla sopravvivenza, il capitalismo l'ha trasformato in una questione esclusivamente monetaria, per cui se fosse svolto da robot a un costo ancora più basso, per il capitalismo andrebbe ancor meglio, perché i robot non avrebbero nemmeno pretese sindacali.Questo spiega perché il capitalismo si lascia andare anche alle forme più aberranti di lavoro, fino alla schiavitù. Non dobbiamo dimenticare che il processo di rivoluzione industriale si è costruito a partire dal 1700 sul lavoro in schiavitù degli africani che venivano deportati nelle piantagioni di cotone negli Stati Uniti, da cui poi partiva il cotone che veniva filato in Inghilterra attraverso l'industria tessile, che è stata la prima a usufruire di macchinari per la produzione.Poiché in questo momento di globalizzazione la concorrenza internazionale si è fatta più aspra, il lavoro è finito sotto assedio: per ridurne i costi vengono smantellate tutte le sicurezze che la socialdemocrazia aveva eretto e che le aziende vivono come rigidità.Da qui la richiesta delle aziende di avere più libertà per impiegare nuovi lavoratori, salvo poi licenziarli quando gli pare.
La domanda che ci dobbiamo fare è "lavoro per chi e per che cosa?"
Per questo dobbiamo cominciare a uscire dalla logica del lavoro come costo, propria di un'ottica di tipo mercantilistico, mentre si deve tornare a rivederlo come un qualcosa che serve anzitutto a soddisfare i propri bisogni. Può essere considerato come fatica, ma in effetti è fatica, però è anche creatività e realizzazione. Per costruire una società dal volto umano dobbiamo quindi ricreare le condizioni affinché il lavoro riacquisti queste caratteristiche. Deve essere un lavoro che dà sicurezze, un lavoro di qualità per la realizzazione della persona che lo compie, pertanto dobbiamo essere capaci di operare profonde trasformazioni.Intanto però si può cominciare a riaffermare, senza uscire dagli schemi di questo mondo, che il lavoro deve comunque rispettare alcune caratteristiche di fondo. Se continuiamo a considerare il lavoro come costo, non si può tuttavia trascinarlo su un piano di concorrenza che non ha limiti. Dobbiamo cominciare a mettere dei paletti; ad esempio il salario, in qualsiasi parte del mondo, deve permettere di vivere dignitosamente. In più, i diritti fondamentali devono essere rispettati ovunque. Questo impone che si rivedano i trattati internazionali dei rapporti economici come quelli del WTO.
Interpretando le tue risposte, mi sembra di capire che la politica possa agire come freno contro questa deriva capitalistica se noi, come società civile, riusciamo a farci sentire presso i nostri rappresentanti politici.
Certamente. La politica deve assumere un predominio sull'economia. Ma oggi sta succedendo l'esatto contrario; c'è una sudditanza paurosa da parte del mondo politico verso gli interessi economici. Viviamo in un paese, l'Italia, dove addirittura assistiamo a una coincidenza tra interessi politici ed economici, al punto che è perfino ovvio che la politica si diriga nella direzione opposta. Al contrario, essa deve riacquistare la chiarezza del suo ruolo tornando ad essere quel luogo dove si scrivono le regole per dare un volto umano alla società e all'economia.
Leggendo il tuo libro, riflettevo sul fatto che gli eventi degli ultimi anni hanno messo alle corde le democrazie occidentali. Siamo forse arrivati al limite della democrazia al punto di doverla ripensare?
A mio avviso non va ripensata come sistema di civiltà.Bisogna però chiedersi quali siano le condizioni che stanno alla base di una società democratica.La prima condizione è che la gente possa esercitare il proprio diritto di sovranità. Questo presuppone che la gente abbia un certo tipo di preparazione, dei princìpi e dei valori di riferimento. In tutto questo un ruolo centrale va alla scuola, ovviamente. Oggigiorno si sta utilizzando la democrazia come maschera, come un alibi per consentire ai furbi di poter governare per i loro interessi dando apparentemente l'impressione che abbiano ottenuto una delega a governare da parte della gente.Essi ci riescono proprio perché al tempo stesso stanno facendo di tutto per demolire la scuola, riducendola ad uno straccio che non garantisce più la preparazione necessaria per mettere la gente in condizione di partecipare, di capire e di determinare le scelte. Oltretutto il potere politico ha anche il controllo dei mezzi d'informazione.Ma in un sistema globalizzato le decisioni vengono prese in base all'idea che ti fai rispetto ai fatti, quindi il potere dei media diventa fondamentale, perché i media hanno il potere di poter interpretare la realtà facendotela vedere in una maniera o in un'altra, condizionando così il modo di pensare. In altre parole, non dobbiamo ripensare il sistema di gestione dei nostri stati, ma dobbiamo assolutamente creare le condizioni affinché la democrazia possa funzionare seriamente. La prospettiva è che si viva in uno stato dittatoriale dalle apparenze democratiche e questa è la peggior beffa che si possa fare alla democrazia.
Sviluppo e progresso. Nelle pagine del tuo libro mi sembra di leggere una limitata fiducia da parte tua nella tecnologia e nella scienza. Eppure il pensiero comune è tutto l'opposto: se si ammette che ci siano problemi di ordine ambientale ed energetico, al tempo stesso si presuppone che prima o poi le cose vadano a posto da sole.
Siamo in un mondo strano, da una parte pieno di affermazioni illuministe secondo le quali non ci dobbiamo fidare dei nostri sensi perché tutto deve essere rigorosamente scientifico, cioè basato sulle conoscenze e sui dati di fatto; dall'altra, invece, abbiamo un atteggiamento per una serie di tematiche, come il progresso e la tecnologia, che appartiene più alla fede e ai dogmi. La cosa curiosa è proprio questa: un settore altamente scientifico come la tecnologia sta in realtà trasmigrando verso una sorta di fede incondizionata, stando a quanto si legge nella mentalità della gente.Di fatto, tutto ciò toglie la scienza dalla sfera illuminista. Eppure si tratta solo di avere la capacità di dire: ancora non abbiamo trovato la soluzione a questo o a quel problema. Se è così non possiamo attendere speranzosi, perché la speranza ha a che fare con la fede, appunto, e non con la scientificità.Invece dobbiamo muoverci secondo le conoscenze e le tecnologie che abbiamo e se questo significa che la tecnologia attuale non mi permette di fare certi progetti, allora io faccio, molto scientificamente, un passo in linea con quel che ho. Se domani la tecnologia cambierà, farò un altro passo ancora. Oggi si vaneggia rispetto al creare il sole sulla terra come fonte d'energia, ma allo stato attuale è solamente un vaneggiamento; stiamo superando l'era dei combustibili fossili però non abbiamo ancora una soluzione futura in tasca. A conti fatti, questo sistema sta creando tutte le premesse per scavare la propria fossa, perché senza energia esso non può esistere.Allora mi permetto di fare un appello alla concretezza, anche in difesa degli esclusi che appartengono al Sud del mondo: costruiamo il presente e il futuro con quello che abbiamo e non con quello che potremmo solo avere.
Mi pare che questa visione "dogmatica" della tecnologia vada a braccetto con una certa visione consumistica comune: ci troviamo in un mondo pieno di cose da comprare, le compriamo, ma non riflettiamo sulle origini e sulle cause dei processi, fidandoci esclusivamente di quello che ci viene presentato…
Purtroppo oggi viviamo in una società terribilmente irresponsabile.Tutte le popolazioni che ci hanno preceduto, magari senza averlo scelto ma semplicemente perché si sentivano parte integrante di un mondo che avvertivano più grande di loro, inserivano il loro vivere dentro i cicli naturali e così facendo creavano le condizioni affinché le generazioni successive trovassero le medesime condizioni per poter continuare a vivere. Noi, in questa sbornia dell'essere i dominatori del mondo, non ci preoccupiamo assolutamente di ciò che succederà nel lungo periodo, ma puntiamo soltanto a fare le scorpacciate del momento, senza nessuna prospettiva storica. È un sistema che chiede ad ognuno di fare man bassa di ciò che può… e poi staremo a vedere.
In effetti sembra quasi che parliamo di due mondi diversi: quello apparente e quello reale che alcuni, come te, tentano di descrivere senza pregiudizi…
Credo che ci siano stati altri momenti storici in cui le "avanguardie della popolazione" avvertivano la crisi all'orizzonte, mentre le rappresentanze del sistema continuavano a ostentare e proporre il modello del momento senza pensare di trovarsi già sul crinale della decadenza.Pensando alle decadenze passate, mi viene da fare un paragone con la caduta dell'impero romano: fino a quando non c'è stata l'invasione dei barbari e la disfatta totale, credo che coloro che detenevano il potere continuassero a riproporre il loro modello. Un po' come sul Titanic; la barca stava affondando e i passeggeri continuavano a ballare.Credo che questo sia un po' il destino della storia: il potere in tutti i modi tenta di non ammettere che ci siano segnali del tracollo, continuando ad andare avanti come se niente fosse.Leggendo i giornali mi rendo conto che su pagine diverse si dicono cose totalmente contrarie: a pagina X mi capita di leggere qualcosa sui problemi della biosfera e del surriscaldamento, mentre poche pagine più avanti ci sono le notizie economiche dove si dice che si deve crescere sempre di più.La schizofrenia di cui si diceva prima si vede proprio dentro agli stessi strumenti del potere. Quest'ultimo tenta finché può di conservare se stesso, ma è solo quando l'avanguardia s'ingrossa fino a mostrare a tutti l'imperatore nudo che si creano le condizioni per poterci salvare in tempo.
Tempo fa ho letto sul sito di un quotidiano nazionale un articolo di Lovelock, lo scienziato che negli anni '70 rivoluzionò l'analisi dell'ambiente con la teoria di Gaia, il quale avvertiva che siamo ormai giunti ad un punto di non ritorno per quanto riguarda il surriscaldamento terrestre, con conseguenze catastrofiche per il clima.
In effetti il punto è proprio questo. Non è in gioco il futuro del pianeta terra, che continuerà a girare attorno al sole generando nuove forme di vita adattabili alle nuove condizioni. Il problema è il genere umano che probabilmente non possiede la capacità di adattarsi velocemente ai cambiamenti climatici mondiali.Le trasformazioni climatiche, che ci sono sempre state nel pianeta ma che avvenivano nel corso di millenni, oggi avvengono nell'arco di pochi anni.Noi corriamo il grosso rischio che queste rapide trasformazioni mettano a repentaglio attività per noi vitali come l'agricoltura. Inoltre assistiamo a catastrofi come gli uragani, sempre più frequenti, mentre la società che abbiamo costruito ci ha spinto ad un individualismo che mina la solidarietà umana.I problemi più seri sono proprio sul piano agricolo con probabili carenze di cibo.Ma è quantomeno preoccupante che i mass media, quando si rendono conto che un certo messaggio può essere dannoso per i loro interessi, lo omettano subito.Da un lato essi cercano di apparire come una vetrina democratica pubblicando certi messaggi, dall'altro si affrettano a toglierli perché non vogliono che si affermino. Da questo punto di vista la loro responsabilità è molto grave.
Cosa ne pensi della diffusione e dell'accettazione delle idee di cui tu parli - e non sei il solo a farlo? Potrebbero essere inserite in altre forme di comunicazione?
Ormai certe consapevolezze iniziano a radicarsi, dato che alcune trasformazioni sono ormai evidenti.Ma è perlomeno curiosa la schizofrenia attuale, a tutti livelli; se da un lato constatiamo certi cambiamenti, dall'altro abbiamo paura di rimettere in discussione l'esistente in quanto offre sempre più sicurezza rispetto al nuovo che richiede fantasia, impegno e creatività.Io credo che siamo anche sopraffatti dalla pigrizia oltre che dalla paura, quindi preferiamo poi rimettere la testa sotto la sabbia per far finta di non vedere. Ritorna ancora la "fede" di cui si diceva prima.Il numero di persone che acquistano la consapevolezza che le cose non funzionano sotto il profilo sociale e ambientale sta crescendo; i giovani lo stanno toccando con mano: non hanno più un lavoro sicuro, non possono più programmare la loro vita e così via. Da qui però a trasformarlo in un progetto di cambiamento ce ne corre.Questa è la grande sfida che abbiamo di fronte a noi: riuscire a capire che tipo di prospettiva ci vogliamo costruire. È questo lo sforzo più grande che faccio nel libro: capire quali potrebbero essere dei meccanismi nuovi di funzionamento di una società che fa i conti col senso del limite invece che con la crescita infinita. Per questo è importante che certi temi inizino a circolare proprio creando il consenso tra la gente.Anche la narrativa può giocare il suo ruolo: individuiamo tutti gli strumenti possibili per raggiungere la gente. Tuttavia non si può pensare di andare avanti a spot parlando di trasformazioni così profonde.Non si può passare attraverso semplici messaggi pubblicitari. La gente deve essere consapevole dello spessore della trasformazione necessaria. Però non abbiamo più molto tempo, quindi quelli che hanno raggiunto una certa consapevolezza si attrezzino per condividerla, questa consapevolezza.Chi sa fare saggistica, utilizzi quella forma, così pure la narrativa, la fumettistica e così via. Gli strumenti sono tanti e vanno usati tutti, ma io dico che soprattutto è importante iniziare a sperimentare nei fatti, perché la sperimentazione ha anche una connotazione di comunicazione che diventa testimonianza visibile.La gente vede e inizia a interrogarsi su questo sistema e su come sia possibile superarlo con delle alternative. Queste devono essere le nuove frontiere della comunicazione: la sperimentazione e la testimonianza.
Per finire, quali sono i tuoi progetti e a cosa stai lavorando attualmente?
È appena uscita la Guida al vestire critico. Nel nostro Centro ne parliamo da molto tempo, ma abbiamo sempre fatto molte resistenze rispetto a questo argomento perché sembrava estremamente difficile da indagare. Però alla fine ci siamo detti di provarci, provando a descrivere l'esistente, dando i consigli possibili per un vestire equo e rispettoso del lavoro che c'è dietro. Per il resto, siamo una piccola realtà che di volta in volta si misura con le proprie forze e con le proprie possibilità.
Francesco Gesualdi, Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti, Feltrinelli, 2005, pp.163, 9 €
22 dicembre 2009
Natale 2009: meno buoni e più giusti, meno caritatevoli e più solidali
Siamo a Natale e tutti diventano più buoni. Ma subito dopo tutti ritornano come prima. E poi noi italiani sembra che siamo di natura campioni di generosità. Infatti, lo si nota ogni qualvolta accadono delle emergenze umanitarie. Il terremoto degli Abruzzi ha scosso tutti e ha suscitato una grande generosità del nostro popolo italiano, sia in forma di aiuti economici e sia anche di disponibilità a livello di volontariato per l'assistenza dei colpiti dalla calamità. La stessa cosa è avvenuta anni fa nei confronti della vittime del Tsumani, oppure nei confronti di tante altre emergenze che sono avvenute sia in Italia che nel mondo. Anche la crisi economica ha provocato tante forme di generosità nei confronti di chi perde lavoro o di chi viene impoverito. Come pure quante campagne di beneficienza vengono promosse continuamente nei confronti dei poveri del Sud del Mondo.
Tutta questa generosità è senza dubbio importante e stimabile, si tratta di un segno evidente che il nostro popolo ha un substrato di bontà.
Ma quello che mi fa pensare parecchio è che si manifesta solamente nelle situazioni di emergenza e a livello assistenziale, mentre non riesce a diventare impegno quotidiano di ricerca della giustizia sociale. Con altre parole, si tratta di un agire legato solamente alla cura ma non riesce a diventare prevenzione per poter rimuovere le cause che generano poi l'emergenza, l’impoverimento, le ingiustizie e i conflitti sociali.
La crisi finanziaria ha cause ben precise e ci sono dei responsabili che sono coloro che da anni avevano predicato più mercato libero e meno Stato, permettendo la speculazione finanziaria proprio perché non hanno voluto norme e leggi in modo da inserire la giustizia nel mondo finanziario, dando etica alla finanza.
Così pure una analisi attenta e seria sulle calamità naturali ci rivela che la colpa non è sempre e solo della natura, ma ci sono delle cause umane ben precise. Come pure i cambiamenti climatici ci stanno rivelando che l’origine antropica è molto consistente, ossia provocati soprattutto da cause umane.
Di fronte a tutto questo noi continuiamo ad agire soprattutto ad un livello di generosità e di carità economica, coinvolgendo solamente il nostro portafoglio ma non la nostra vita. È la linea dell’assistenzialismo che primeggia ancora nelle nostra testa e nelle nostre azioni. Mentre facciamo ancora molto fatica coniugare la giustizia con le nostre scelte di vita.
Siamo dunque molto generosi e buoni, ma non riusciamo a fare un salto di qualità sulla linea della giustizia sociale. Facciamo molto fatica masticare la giustizia e farla diventare vita quotidiana. Con altre parole, farla diventare quel valore e quella virtù che orientano le nostre azioni e scelte.
Non sarebbe meglio essere meno buoni e caritatevoli, ma impegnarsi di più nell’essere giusti e per una solidarietà intelligente che rimuova finalmente le cause dei problemi?
Dobbiamo far uscire la nostra solidarietà dall’assistenzialismo e darle intelligenza, affinché possa rimuovere finalmente le cause che generano i vari problemi sociali.
Questo tessuto di giustizia sociale è molto fragile in Italia. Allora, ci si riduce ad essere buoni e generosi.
Questa bontà tende a non riconoscere i diritti, ma offre solamente dei favori in forma di assistenzialismo, esigendo dall’altra parte solo doveri, senza l’impegno di promuovere i loro diritti. Mentre la giustizia riconosce sia i diritti che i doveri: gli uni non esistono senza gli altri. E tutti devono farne l’asse portante della propria vita secondo le proprie responsabilità dovute dai propri compiti civili e umani.
Bisogna riscattare una politica che faccia della giustizia sociale l’asse portante del suo esistere, educando il proprio popolo in tutte le sue dimensioni ad incarnare nella propria vita quotidiana il valore del bene comune, della legalità, del senso civico delle istituzioni democratiche, del primato dell’umano sull’economico ecc.
Una politica che non insegua i consensi, conformandosi a quello che la gente vuole a livello di pancia o di istinto, ma educhi ai valori e alle realtà basilari per un futuro davvero migliore per tutti. Insomma, una politica che svolga il ruolo di leadership e non di followship nei confronti della gente, recuperando anche il primato sull’economia e sulla finanza.
Dobbiamo chiedere anche alla nostra Chiesa uno slancio nel riscoprire la giustizia come una delle caratteristiche fondamentali di Dio, come ci ha ricordato il Card. Carlo Maria Martini. Superando quel periodo storico, dove per molti anni si è chiesto ai ricchi solamente di dare qualcosa ai poveri, senza il coraggio di far capire a loro che devono fare giustizia, inserendola in tutte le fase della vita economica e non solamente nel dare una parte del profitto, come sottolinea molto bene la recente enciclica del Papa “Caritas in Veritate”.
Ecco perché nella coscienza della gente c’è un grande substrato di generosità ma molto scarso e debole è tuttora l’impegno per la giustizia.
E allora, dobbiamo imparare ad essere meno generosi e più giusti, meno caritatevoli e più solidali.
Che il “Dio con noi” ci sproni a fare della giustizia sociale una grande passione dell’umanità, per poter realizzare davvero il suo Regno in mezzo a noi: la convivialità delle differenze e il villaggio del bene comune.
Padova 21 dicembre 2009
Adriano Sella
(missionario del Creato e discepolo dei nuovi stili di vita
Tutta questa generosità è senza dubbio importante e stimabile, si tratta di un segno evidente che il nostro popolo ha un substrato di bontà.
Ma quello che mi fa pensare parecchio è che si manifesta solamente nelle situazioni di emergenza e a livello assistenziale, mentre non riesce a diventare impegno quotidiano di ricerca della giustizia sociale. Con altre parole, si tratta di un agire legato solamente alla cura ma non riesce a diventare prevenzione per poter rimuovere le cause che generano poi l'emergenza, l’impoverimento, le ingiustizie e i conflitti sociali.
La crisi finanziaria ha cause ben precise e ci sono dei responsabili che sono coloro che da anni avevano predicato più mercato libero e meno Stato, permettendo la speculazione finanziaria proprio perché non hanno voluto norme e leggi in modo da inserire la giustizia nel mondo finanziario, dando etica alla finanza.
Così pure una analisi attenta e seria sulle calamità naturali ci rivela che la colpa non è sempre e solo della natura, ma ci sono delle cause umane ben precise. Come pure i cambiamenti climatici ci stanno rivelando che l’origine antropica è molto consistente, ossia provocati soprattutto da cause umane.
Di fronte a tutto questo noi continuiamo ad agire soprattutto ad un livello di generosità e di carità economica, coinvolgendo solamente il nostro portafoglio ma non la nostra vita. È la linea dell’assistenzialismo che primeggia ancora nelle nostra testa e nelle nostre azioni. Mentre facciamo ancora molto fatica coniugare la giustizia con le nostre scelte di vita.
Siamo dunque molto generosi e buoni, ma non riusciamo a fare un salto di qualità sulla linea della giustizia sociale. Facciamo molto fatica masticare la giustizia e farla diventare vita quotidiana. Con altre parole, farla diventare quel valore e quella virtù che orientano le nostre azioni e scelte.
Non sarebbe meglio essere meno buoni e caritatevoli, ma impegnarsi di più nell’essere giusti e per una solidarietà intelligente che rimuova finalmente le cause dei problemi?
Dobbiamo far uscire la nostra solidarietà dall’assistenzialismo e darle intelligenza, affinché possa rimuovere finalmente le cause che generano i vari problemi sociali.
Questo tessuto di giustizia sociale è molto fragile in Italia. Allora, ci si riduce ad essere buoni e generosi.
Questa bontà tende a non riconoscere i diritti, ma offre solamente dei favori in forma di assistenzialismo, esigendo dall’altra parte solo doveri, senza l’impegno di promuovere i loro diritti. Mentre la giustizia riconosce sia i diritti che i doveri: gli uni non esistono senza gli altri. E tutti devono farne l’asse portante della propria vita secondo le proprie responsabilità dovute dai propri compiti civili e umani.
Bisogna riscattare una politica che faccia della giustizia sociale l’asse portante del suo esistere, educando il proprio popolo in tutte le sue dimensioni ad incarnare nella propria vita quotidiana il valore del bene comune, della legalità, del senso civico delle istituzioni democratiche, del primato dell’umano sull’economico ecc.
Una politica che non insegua i consensi, conformandosi a quello che la gente vuole a livello di pancia o di istinto, ma educhi ai valori e alle realtà basilari per un futuro davvero migliore per tutti. Insomma, una politica che svolga il ruolo di leadership e non di followship nei confronti della gente, recuperando anche il primato sull’economia e sulla finanza.
Dobbiamo chiedere anche alla nostra Chiesa uno slancio nel riscoprire la giustizia come una delle caratteristiche fondamentali di Dio, come ci ha ricordato il Card. Carlo Maria Martini. Superando quel periodo storico, dove per molti anni si è chiesto ai ricchi solamente di dare qualcosa ai poveri, senza il coraggio di far capire a loro che devono fare giustizia, inserendola in tutte le fase della vita economica e non solamente nel dare una parte del profitto, come sottolinea molto bene la recente enciclica del Papa “Caritas in Veritate”.
Ecco perché nella coscienza della gente c’è un grande substrato di generosità ma molto scarso e debole è tuttora l’impegno per la giustizia.
E allora, dobbiamo imparare ad essere meno generosi e più giusti, meno caritatevoli e più solidali.
Che il “Dio con noi” ci sproni a fare della giustizia sociale una grande passione dell’umanità, per poter realizzare davvero il suo Regno in mezzo a noi: la convivialità delle differenze e il villaggio del bene comune.
Padova 21 dicembre 2009
Adriano Sella
(missionario del Creato e discepolo dei nuovi stili di vita
21 dicembre 2009
Per un Natale sobrio
Legambiente Circolo "Chico Mendes"
Indichiamo di seguito alcuni suggerimenti per ridurre questi pesanti impatti ambientali e sociali e per trasformare le festività natalizie in un’occasione per ricercare uno stile di vita più sobrio e sostenibile:
1. Rinunciare ad ogni acquisto superfluo. Evitiamo di farci travolgere dalla corsa agli acquisti indotta dalla pubblicità, dalle offerte speciali e dalle vetrine luminose: dovremmo sempre chiederci se quello che stiamo acquistando è davvero necessario o se è solamente l’ennesimo bene superfluo di cui le nostre case sono già piene.
2. Regalare la solidarietà. Un suggerimento per un regalo alternativo e di forte valore sociale ed educativo, è quello di regalare una donazione ad un progetto di cooperazione internazionale e/o di una associazione di volontariato.
3. Autoproduzione: regalare un oggetto o un dolce fatto con le proprie mani è sicuramente più divertente ed apprezzato. Chi lo dice che dolci e decorazioni dobbiamo per forza acquistarli?
4. Scegliere i prodotti del commercio equo e solidale. Regali e oggetti davvero “buoni” , ottenuti senza lo sfruttamento dei lavoratori e che sostengono le popolazioni più povere del pianeta, possono essere acquistati nelle botteghe del commercio equo e solidale.
5. Scegliere oggetti durevoli e a basso impatto ambientale. Riteniamo fondamentale scegliere sempre prodotti resistenti e durevoli, rifiutando in ogni caso i prodotti “usa e getta”, che comportano uno spreco di risorse naturali e di energia e incrementano la produzione di rifiuti.
6. Ridurre le luminarie ed i consumi energetici. Proponiamo di ridurre il numero delle luminarie, da sostituire con altri addobbi riutilizzabili (magari autoprodotti) e di limitarne comunque il periodo e gli orari di accensione. In ogni caso, consigliamo di spegnere sempre le luminarie prima di andare a dormire e quando si esce di casa.
7. Per quanto riguarda i tradizionali “cenoni”, suggeriamo di sperimentare l’alternativa vegetariana: esistono infatti moltissime ricette per realizzare pietanze deliziose nel pieno rispetto degli animali.
Indichiamo di seguito alcuni suggerimenti per ridurre questi pesanti impatti ambientali e sociali e per trasformare le festività natalizie in un’occasione per ricercare uno stile di vita più sobrio e sostenibile:
1. Rinunciare ad ogni acquisto superfluo. Evitiamo di farci travolgere dalla corsa agli acquisti indotta dalla pubblicità, dalle offerte speciali e dalle vetrine luminose: dovremmo sempre chiederci se quello che stiamo acquistando è davvero necessario o se è solamente l’ennesimo bene superfluo di cui le nostre case sono già piene.
2. Regalare la solidarietà. Un suggerimento per un regalo alternativo e di forte valore sociale ed educativo, è quello di regalare una donazione ad un progetto di cooperazione internazionale e/o di una associazione di volontariato.
3. Autoproduzione: regalare un oggetto o un dolce fatto con le proprie mani è sicuramente più divertente ed apprezzato. Chi lo dice che dolci e decorazioni dobbiamo per forza acquistarli?
4. Scegliere i prodotti del commercio equo e solidale. Regali e oggetti davvero “buoni” , ottenuti senza lo sfruttamento dei lavoratori e che sostengono le popolazioni più povere del pianeta, possono essere acquistati nelle botteghe del commercio equo e solidale.
5. Scegliere oggetti durevoli e a basso impatto ambientale. Riteniamo fondamentale scegliere sempre prodotti resistenti e durevoli, rifiutando in ogni caso i prodotti “usa e getta”, che comportano uno spreco di risorse naturali e di energia e incrementano la produzione di rifiuti.
6. Ridurre le luminarie ed i consumi energetici. Proponiamo di ridurre il numero delle luminarie, da sostituire con altri addobbi riutilizzabili (magari autoprodotti) e di limitarne comunque il periodo e gli orari di accensione. In ogni caso, consigliamo di spegnere sempre le luminarie prima di andare a dormire e quando si esce di casa.
7. Per quanto riguarda i tradizionali “cenoni”, suggeriamo di sperimentare l’alternativa vegetariana: esistono infatti moltissime ricette per realizzare pietanze deliziose nel pieno rispetto degli animali.
16 dicembre 2009
Guatemala: rapporto di Amnesty International sulle uccisioni da parte della polizia
In un nuovo rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha condannato l'operato delle autorità del Guatemala, che non svolgono indagini approfondite sulle uccisioni extragiudiziali in cui sono coinvolti agenti di polizia. L'organizzazione per i diritti umani continua a ricevere segnalazioni di uccisioni di persone, spesso di giovane età, incensurate o sospettate di aver commesso reati.
"Nonostante le ripetute segnalazioni e inchieste da parte di organismi locali e internazionali per i diritti umani, si tratta di un problema costante" - ha dichiarato Kerrie Howard, vicedirettrice del Programma Americhe di Amnesty International. "Il governo del Guatemala deve prendere in seria considerazione le denunce e avviare indagini approfondite e tempestive".
Gli organi d'informazione e le autorità guatemalteche definiscono frequentemente queste uccisioni extragiudiziali come operazioni di "pulizia sociale", destinate a "ripulire" la società da persone sospettate di essere coinvolte in attività criminali.
Amnesty International chiede al governo del Guatemala di rispettare i suoi obblighi di diritto internazionale relativi al diritto alla vita e di sottoporre a processo i responsabili delle violazioni di tale diritto.
Il Guatemala presenta tassi assai alti di crimine violento, ma una percentuale di condanne molto bassa. Si stima che il 98 per cento dei casi di omicidio nel paese rimanga irrisolto.
Amnesty International ha ricevuto numerose notizie di persone che, dopo essere entrate in contatto con la polizia, non sono più state viste vive. I corpi delle vittime, in alcuni casi persino tredicenni, vengono ritrovati per lo più in discariche o in terreni abbandonati, con le mani legate dietro la schiena, strangolati o con molti segni di colpi di arma da fuoco esplosi da distanza ravvicinata. Le indagini vengono spesso aperte dopo mesi, un lasso di tempo nel corso del quale la maggior parte delle prove per identificare i responsabili finisce per essere persa.
Chiedendo la fine delle esecuzioni extragiudiziali ad opera della polizia, l'organizzazione per i diritti umani fa presente come finora non sia stata assunta alcuna seria iniziativa per portare i responsabili di queste violazioni a rispondere del loro operato.
Roma, 15 dicembre 2009
Per approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it
"Nonostante le ripetute segnalazioni e inchieste da parte di organismi locali e internazionali per i diritti umani, si tratta di un problema costante" - ha dichiarato Kerrie Howard, vicedirettrice del Programma Americhe di Amnesty International. "Il governo del Guatemala deve prendere in seria considerazione le denunce e avviare indagini approfondite e tempestive".
Gli organi d'informazione e le autorità guatemalteche definiscono frequentemente queste uccisioni extragiudiziali come operazioni di "pulizia sociale", destinate a "ripulire" la società da persone sospettate di essere coinvolte in attività criminali.
Amnesty International chiede al governo del Guatemala di rispettare i suoi obblighi di diritto internazionale relativi al diritto alla vita e di sottoporre a processo i responsabili delle violazioni di tale diritto.
Il Guatemala presenta tassi assai alti di crimine violento, ma una percentuale di condanne molto bassa. Si stima che il 98 per cento dei casi di omicidio nel paese rimanga irrisolto.
Amnesty International ha ricevuto numerose notizie di persone che, dopo essere entrate in contatto con la polizia, non sono più state viste vive. I corpi delle vittime, in alcuni casi persino tredicenni, vengono ritrovati per lo più in discariche o in terreni abbandonati, con le mani legate dietro la schiena, strangolati o con molti segni di colpi di arma da fuoco esplosi da distanza ravvicinata. Le indagini vengono spesso aperte dopo mesi, un lasso di tempo nel corso del quale la maggior parte delle prove per identificare i responsabili finisce per essere persa.
Chiedendo la fine delle esecuzioni extragiudiziali ad opera della polizia, l'organizzazione per i diritti umani fa presente come finora non sia stata assunta alcuna seria iniziativa per portare i responsabili di queste violazioni a rispondere del loro operato.
Roma, 15 dicembre 2009
Per approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it
5 dicembre 2009
Santo, sobrio Natale
Non sprecare inutilmente l’acqua, usare lampadine a basso consumo, non lasciare in stand by gli elettrodomestici, praticare il car-sharing, utilizzare criteri "etici" quando si fa la spesa: nel mondo cattolico si afferma la tendenza ad adottare quelli che vanno sotto il nome di "nuovi stili di vita". Una correzione ecologica ed evangelica al consumismo imperante: la rivoluzione, a partire dalle piccole cose.
Passare dal Pil al Fil (Felicità interna lorda). Da ciò che misura il portafoglio al termometro della felicità. Nel Natale della crisi, è questa la Buona Novella che annunciano gruppi, parrocchie e associazioni cattoliche, insieme a tanti uomini e donne di buona volontà. Non parlano di sacrifici, ma di consapevolezza. Propongono di cambiare il proprio stile di vita per migliorare la qualità dell’esistenza di tanti. Suggeriscono di sfruttare la crisi come "kairòs", tempo propizio per diventare "virtuosi", per individuare il superfluo e rinunciarvi.
È la filosofia che guida la Rete interdiocesana dei nuovi stili di vita – ventisei diocesi, fino a oggi, distribuite per lo più al Nord – e che anima tante esperienze che al Centro e al Sud indicano percorsi di vita controcorrente. «Non siamo né eroi né santi, ma cristiani responsabili e cittadini solidali», dice padre Adriano Sella, missionario, coordinatore della Rete. «Il nostro è un movimento nato dal basso che vuole coinvolgere le comunità e arrivare anche a livello istituzionale, avere un risvolto politico». L’idea del movimento è che cambiare è possibile senza fare cose straordinarie, ma intervenendo nella vita feriale, da quando ci si alza al mattino a quando si spegne la luce prima di addormentarsi: chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti, senza sprecare acqua; usare lampadine a basso consumo, non lasciare in stand by gli elettrodomestici, fare ogni tanto un "digiuno" da sms, automobile e gratta e vinci; praticare il car-sharing e, soprattutto, capire che fare la spesa non è un’operazione neutra ma "etica". «Quando si fa la spesa si esprime un voto», spiega padre Adriano, citando l’economista Leonardo Becchetti.
In un volume pubblicato da Il Margine lo scorso anno, il docente di Economia politica e presidente del Comitato etico di Banca etica spiega che, oltre al voto politico, anima della democrazia, c’è un voto che esercitiamo ogni giorno scegliendo quali prodotti acquistare. Preoccupandosi non soltanto del prezzo, ma orientando anche le scelte di spesa verso le aziende attente alla qualità sociale e ambientale, si attua una rivoluzione vera e propria, perché «le imprese, per fronteggiare una domanda etica forte ed esigente, sono costrette a corrispondere alle aspettative dei consumatori, mettendo la sostenibilità al primo posto».
Il "voto nel portafoglio" è dunque un’azione in grado di cambiare radicalmente l’economia e si esprime attraverso una scelta concreta che compie il consumatore. Pura utopia? «Non direi. Basta guardare al commercio equo e solidale, che è partito da un gruppetto di ragazzi e oggi è diffuso in maniera capillare. Sapere che dietro ogni prodotto c’è un’impresa, capire come tratta i lavoratori, quale rispetto ha per l’ambiente, imparare a leggere le etichette, sono operazioni etiche», aggiunge padre Adriano. «Una spesa giusta promuove meccanismi economici giusti».
Su queste tematiche da circa due anni gli uffici di alcune diocesi si sono messi in Rete: nella maggior parte dei casi, è la Pastorale sociale e del lavoro che promuove una tale attenzione. Ma in alcune realtà, come a Rimini, la Commissione nuovi stili di vita rientra nella Pastorale familiare; oppure, come nel caso di Fidenza, fa riferimento all’Ufficio missionario; o ancora, a Belluno, riguarda uno specifico Ufficio per la cultura e gli stili di vita in montagna. In concreto gli uffici organizzano riunioni interregionali a scadenze regolari. E, dal 2007 – anno in cui Padova, con padre Adriano, ha promosso la Rete, insieme con altre 5 diocesi – si sono alternati ogni anno laboratori e convegni. I primi per mettere a confronto gli operatori impegnati direttamente, una cinquantina di persone; i secondi per coinvolgere più realtà e persone su tematiche di interesse comune.
«Nel primo laboratorio fatto a Verona a fine 2007, abbiamo individuato le piste pastorali da seguire», spiega padre Sella. Lavorare in Rete tra uffici pastorali diocesani ma anche con realtà organizzate della società civile; approfondire la pista dell’economia, dal consumo consapevole ai "bilanci di giustizia"; prestare attenzione alla salvaguardia del creato; individuare linguaggi efficaci per comunicare, facendo lavorare cuore e cervello, fantasia e immaginazione, e non soltanto le parole. Da questa ultima suggestione, per esempio, sono nati alcuni laboratori proposti a gruppi e parrocchie. È il caso della "tenda degli stili di vita", un gazebo con sei pannelli espositivi che raccontano come una vita diversa generi a catena un rapporto nuovo con gli altri, le cose, la natura, la mondialità. La tenda in questi mesi gira per varie diocesi e sul sito di Padova (nuovistilidivitapadova.wordpress.com) è possibile richiedere un kit per fabbricarsela da soli. «La usiamo in scuole e parrocchie, cerchiamo di spiegare ai giovani l’influenza che le nostre scelte hanno anche sul Sud del mondo», racconta per esempio Francesco Panigaldi, responsabile dell’Ufficio animazione e formazione del Centro missionario di Modena. La tenda si ferma in media una settimana a parrocchia e viene accompagnata da un incontro formativo, ma alcuni richiedono più tempo e ulteriori approfondimenti per le varie fasce di età. «L’impressione è che la nostra proposta trovi comprensione soprattutto quando diciamo che occorre rallentare il ritmo di vita. Ma per tutti questa è la parte più difficile».
Grazie, invece, al laboratorio "Boicottega", si può capire che tipo di consumatore si nasconde in noi: integralista-maniaco, critico-consapevole, superficiale-istintivo o conformista-manipolabile. L’esperienza proposta, infatti, punta a far conoscere i prodotti delle multinazionali, del commercio equo e solidale e dell’agricoltura biologica e insegna a boicottare i prodotti di imprese che hanno comportamenti dannosi verso i lavoratori e verso l’ambiente. In concreto si tratta di fare una spesa virtuale in una bottega dove sono presenti merci di diversa provenienza, ciascuna con la sua etichetta di presentazione, che racconta la storia del marchio, della società, dell’azienda, e dei suoi comportamenti, più o meno responsabili. Dopo aver annotato cosa si vorrebbe comperare si passa alla valutazione delle scelte da cui emerge il profilo di consumatore. Alla fine, qualunque sia l’esito del test, viene consegnata una miniguida al consumo critico e al boicottaggio, realizzata dal movimento Gocce di Giustizia di Vicenza.
«È un cammino lento, ma notiamo che qualcosa sta cambiando», commenta Elisabetta Angelucci del Centro missionario di Reggio Emilia. «Le parrocchie alle sagre cominciano a usare materiali riciclabili. L’acqua è quella del rubinetto, in brocche di vetro, come suggerisce la campagna "Imbrocchiamo" lanciata da Altra Economia». Elisabetta parla di un ottimo lavoro di Rete, fatto in collaborazione con il Comune e con altre associazioni, che per esempio ha fatto registrare a Reggio Emilia, che aveva la percentuale più alta di consumo di bottiglie di acqua minerale in Italia, un calo del 10 per cento delle vendite. A Reggio la promozione delle campagne sui nuovi stili è affidata a un coordinamento di vari uffici diocesani, il Granello di Senape.
La fantasia fa moltiplicare le iniziative: all’ultimo meeting regionale missionario, tenuto a Piacenza, si è promosso il concorso "Impatto zero", che ha premiato i partecipanti che hanno usato mezzi di trasporto non inquinanti: «Da Fiorenzuola i ragazzi sono venuti in bicicletta, noi da Reggio siamo andati con un pullman di 72 posti, senza auto, e questo ha contribuito anche a farci scambiare quattro chiacchiere, a conoscerci meglio», dice Elisabetta.
Quello delle relazioni non è un argomento secondario. A Padova, per esempio, è stato realizzato un laboratorio da usare in gruppo, ai campi scuola, o in occasioni di ritrovo in piazza, tra sagre e feste popolari, proprio sulle relazioni umane. «Dobbiamo educarci a recuperarle e a farle diventare priorità della nostra vita quotidiana», dice padre Sella. «Noi europei non soffriamo molto la povertà economica, come nel Sud del mondo, ma viviamo in un contesto di grande povertà relazionale». Fermarsi ad ascoltare l’altro, parlare di sé, compiere un gesto di accoglienza: il laboratorio propone una sequenza di comportamenti guidati e finalizzati «a recuperare la ricchezza delle relazioni umane che abbiamo perso a causa del correre dietro all’accumulazione di tante cose. I beni relazionali sono essenziali per la vita umana e sono fondamentali per la felicità e il gusto del vivere», dice il religioso.
Nel 2007 queste riflessioni hanno portato al primo Convegno nazionale della neonata Rete, dove lo slogan «Dal Pil al Fil» venne coniato per parlare dei "Nuovi indicatori di benessere". Ai cambiamenti climatici è invece stato dedicato il secondo convegno nazionale, tenuto a Bologna lo scorso fine novembre. «La terra si scalda, è tempo di cambiare» è lo slogan delle Rete, che ha lanciato un appello in vista del vertice di Copenaghen, dal 7 al 18 dicembre.
Su "Giustizia, pace e salvaguardia del creato", temi lanciati dalle assemblee ecumeniche europee di Basilea e Graz, lavora da 15 anni la Fondazione della diocesi di Bolzano-Bressanone, che lo scorso mese è diventato Istituto di Etica sociale affiliato allo Studio teologico. L’uomo che ha guidato la Fondazione, monsignor Karl Golser, è oggi vescovo di questa diocesi, pioniera nello studio di tali tematiche, prima a lanciare in Italia la Giornata del creato, attenta alle esperienze maturate oltreconfine, interfaccia con il mondo tedesco.
«Oltre a trattare tematiche diverse, dall’educazione alla democrazia alla nuova Europa, con un’attenzione anche alle minoranze linguistiche e culturali», dice il teologo Paolo Renner, attuale direttore dell’Istituto, «siamo intervenuti su argomenti che riguardano la qualità della vita». Le proposte sono andate dai cimiteri eco-compatibili («corone realizzate con materiali biodegradabili?»), alla colazione responsabile («basta con marmellatine monodose, torniamo al vecchio barattolo per risparmiare sugli imballaggi»), alla borsa della spesa in tela, ai detergenti ecologici. Nel ’99 l’allora arcivescovo William Egger «dedicò all’ecologia la sua lettera pastorale e da allora la diocesi ha smesso di usare carta patinata e il giornale diocesano arriva agli abbonati in buste di carta».
Anche la vicina Trento ha lanciato una serie di proposte, prendendo spunto dall’anno liturgico. Così la scorsa Quaresima ogni settimana veniva proposto un digiuno particolare, motivato da un brano della Scrittura: penitenza da internet per valorizzare l’ascolto, digiuno dal denaro e quindi dal gioco dell’Enalotto e del gratta e vinci, per riflettere sulla speculazione e sul lavoro nero...
Un’altra diocesi pioniera su questi temi è Venezia. Si è partiti coltivando l’orto dietro la parrocchia e usando lampadine a basso consumo nelle sale dell’oratorio e si è arrivati al contatto con centinaia di famiglie e decine di sacerdoti. L’Ufficio per la pastorale degli stili di vita della diocesi è stato istituito il 25 maggio 2003 dal patriarca, il cardinale Angelo Scola. «Partendo dalla Parola di Dio, ci occupiamo di ecologia, problemi dell’ambiente e disparità nella divisione dei beni», racconta il responsabile dell’Ufficio, don Gianni Fazzini. Il pallino del sacerdote sembra proprio la formazione a «un’affascinante sobrietà»: sono numerosi, infatti, gli incontri rivolti a bambini, giovani, fidanzati, famiglie e preti per una qualità della vita lontana dal "torpore" del consumismo. Originale la proposta fatta a tutte le parrocchie affinché usino stoviglie lavabili (e non quelle di plastica). In una lettera ai parroci, don Gianni ha motivato così il gesto: compiere «un segno di amore per il creato» e arginare l’impatto sullo smaltimento rifiuti, acquistando anche piatti e bicchieri biodegradabili che tornano "terra" se raccolti come organico.
Con i vescovi emeriti Raffaele Nogaro (Caserta) e Luigi Bettazzi (Ivrea), don Fazzini figura pure tra i numerosi sacerdoti firmatari della petizione "Meno fuochi d’artificio, più compassione", rivolta ai comitati organizzatori delle feste patronali in tutta Italia. Migliaia di euro vanno in fumo tra botti, luminarie, bande e spettacoli: la proposta è destinare ogni anno il 10 per cento di queste spese alla realizzazione di impianti fotovoltaici sui tetti delle parrocchie e investire poi i soldi risparmiati delle bollette della luce in progetti di autosviluppo nel Sud del mondo. Virtù ecologiche che sembrano aver contagiato molti: don Domenico Francavilla, uno dei preti che hanno siglato l’appello, è direttore della Caritas diocesana di Andria, già da tempo impegnata a promuovere in ambito ecclesiale scelte eco-compatibili. Tra le altre cose, organizza corsi di educazione ambientale e nella parrocchia Madonna di Pompei – come al seminario diocesano – gli impianti fotovoltaici, con i quali si produce energia elettrica per conversione diretta dei raggi solari, sono già una realtà. «Opere-segno che testimoniano la praticabilità, oltre che il fascino e la forza educativa, di un modo di produrre energia a zero emissioni nell’atmosfera», le definisce don Francavilla.
Andria è una delle tante diocesi che potrebbe aderire a una potenziale Rete interdiocesana del Centro-Sud sui nuovi stili di vita. Fino a oggi, infatti, la Rete si estende soprattutto al Nord. «Noi siamo aperti a tutti», dice il coordinatore, padre Adriano, «ma le difficoltà logistiche per incontri e scambi regolari suggerirebbero di far nascere coordinamenti anche tra le diocesi del Centro-Sud». Tra l’altro, le esperienze non mancano, nelle diocesi e nel mondo dell’associazionismo cattolico: come la Rete capillare delle Acli, che quest’anno, nel popolare quartiere romano della Garbatella, ha aperto un Gruppo di Acquisto Solidale Familiare (Gasf). «L’esperienza è nata dal desiderio di circa 200 famiglie che si ritrovano per fare insieme formazione», racconta Rosario Pavone, responsabile del Gasf. Accorciando la filiera – dal produttore direttamente al consumatore – si ha la sicurezza della qualità e un ottimo rapporto prezzo-qualità. Via mail ogni settimana le famiglie ordinano la spesa e tra venerdì e sabato vanno a ritirarla.
Sostenibilità ambientale e monitoraggio dei consumi sono anche l’anima della campagna «Bilanci di giustizia», lanciata nel ’93 da Beati i costruttori di pace e rivolta alle famiglie (oggi 500), per indirizzare la microeconomia domestica verso scelte eque e solidali: un’esperienza approdata anche al Centro-Sud, in provincia di Chieti e di Bari. Su scala più "vasta" opera l’Associazione nazionale famiglie numerose (coppie con almeno quattro figli tra naturali, adottivi o affidati), nata nel 2006 e promotrice di "Gruppi d’acquisto familiari" per materiale scolastico, cibo, pannolini, fino ai pacchi natalizi per sostenere famiglie in difficoltà.
La possibilità di fare acquisti equi esiste anche tramite la Rete degli empori solidali del Magis (Movimento e azione dei Gesuiti italiani per lo sviluppo): cominciata con la vendita tramite Web e telefono a famiglie, associazioni e comunità religiose dei prodotti provenienti da progetti missionari, l’iniziativa si stabilizzerà in una serie di punti vendita sparsi per la penisola. La scelta dei nuovi stili di vita, in effetti, non poteva non esercitare il suo fascino anche sui consacrati: nel novembre scorso il coordinatore della Rete interdiocesana ha incontrato, a Roma, decine di responsabili di Commissioni giustizia, pace e salvaguardia del creato di vari ordini religiosi. L’incontro ha fatto seguito a quello del 2008 con economi ed econome delle direzioni generali delle Congregazioni femminili e maschili, ideato per «sensibilizzare chi è responsabile dell’economia delle congregazioni a mettere in atto nuovi stili di vita, come una spesa etica, giusta e solidale», dice padre Sella. Inoltre, annuncia il religioso, «abbiamo in programma di realizzare anche una Rete intercongregazionale dei nuovi stili di vita. Ho già la disponibilità di alcune congregazioni religiose. È un impegno per il futuro prossimo».
Passare dal Pil al Fil (Felicità interna lorda). Da ciò che misura il portafoglio al termometro della felicità. Nel Natale della crisi, è questa la Buona Novella che annunciano gruppi, parrocchie e associazioni cattoliche, insieme a tanti uomini e donne di buona volontà. Non parlano di sacrifici, ma di consapevolezza. Propongono di cambiare il proprio stile di vita per migliorare la qualità dell’esistenza di tanti. Suggeriscono di sfruttare la crisi come "kairòs", tempo propizio per diventare "virtuosi", per individuare il superfluo e rinunciarvi.
È la filosofia che guida la Rete interdiocesana dei nuovi stili di vita – ventisei diocesi, fino a oggi, distribuite per lo più al Nord – e che anima tante esperienze che al Centro e al Sud indicano percorsi di vita controcorrente. «Non siamo né eroi né santi, ma cristiani responsabili e cittadini solidali», dice padre Adriano Sella, missionario, coordinatore della Rete. «Il nostro è un movimento nato dal basso che vuole coinvolgere le comunità e arrivare anche a livello istituzionale, avere un risvolto politico». L’idea del movimento è che cambiare è possibile senza fare cose straordinarie, ma intervenendo nella vita feriale, da quando ci si alza al mattino a quando si spegne la luce prima di addormentarsi: chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti, senza sprecare acqua; usare lampadine a basso consumo, non lasciare in stand by gli elettrodomestici, fare ogni tanto un "digiuno" da sms, automobile e gratta e vinci; praticare il car-sharing e, soprattutto, capire che fare la spesa non è un’operazione neutra ma "etica". «Quando si fa la spesa si esprime un voto», spiega padre Adriano, citando l’economista Leonardo Becchetti.
In un volume pubblicato da Il Margine lo scorso anno, il docente di Economia politica e presidente del Comitato etico di Banca etica spiega che, oltre al voto politico, anima della democrazia, c’è un voto che esercitiamo ogni giorno scegliendo quali prodotti acquistare. Preoccupandosi non soltanto del prezzo, ma orientando anche le scelte di spesa verso le aziende attente alla qualità sociale e ambientale, si attua una rivoluzione vera e propria, perché «le imprese, per fronteggiare una domanda etica forte ed esigente, sono costrette a corrispondere alle aspettative dei consumatori, mettendo la sostenibilità al primo posto».
Il "voto nel portafoglio" è dunque un’azione in grado di cambiare radicalmente l’economia e si esprime attraverso una scelta concreta che compie il consumatore. Pura utopia? «Non direi. Basta guardare al commercio equo e solidale, che è partito da un gruppetto di ragazzi e oggi è diffuso in maniera capillare. Sapere che dietro ogni prodotto c’è un’impresa, capire come tratta i lavoratori, quale rispetto ha per l’ambiente, imparare a leggere le etichette, sono operazioni etiche», aggiunge padre Adriano. «Una spesa giusta promuove meccanismi economici giusti».
Su queste tematiche da circa due anni gli uffici di alcune diocesi si sono messi in Rete: nella maggior parte dei casi, è la Pastorale sociale e del lavoro che promuove una tale attenzione. Ma in alcune realtà, come a Rimini, la Commissione nuovi stili di vita rientra nella Pastorale familiare; oppure, come nel caso di Fidenza, fa riferimento all’Ufficio missionario; o ancora, a Belluno, riguarda uno specifico Ufficio per la cultura e gli stili di vita in montagna. In concreto gli uffici organizzano riunioni interregionali a scadenze regolari. E, dal 2007 – anno in cui Padova, con padre Adriano, ha promosso la Rete, insieme con altre 5 diocesi – si sono alternati ogni anno laboratori e convegni. I primi per mettere a confronto gli operatori impegnati direttamente, una cinquantina di persone; i secondi per coinvolgere più realtà e persone su tematiche di interesse comune.
«Nel primo laboratorio fatto a Verona a fine 2007, abbiamo individuato le piste pastorali da seguire», spiega padre Sella. Lavorare in Rete tra uffici pastorali diocesani ma anche con realtà organizzate della società civile; approfondire la pista dell’economia, dal consumo consapevole ai "bilanci di giustizia"; prestare attenzione alla salvaguardia del creato; individuare linguaggi efficaci per comunicare, facendo lavorare cuore e cervello, fantasia e immaginazione, e non soltanto le parole. Da questa ultima suggestione, per esempio, sono nati alcuni laboratori proposti a gruppi e parrocchie. È il caso della "tenda degli stili di vita", un gazebo con sei pannelli espositivi che raccontano come una vita diversa generi a catena un rapporto nuovo con gli altri, le cose, la natura, la mondialità. La tenda in questi mesi gira per varie diocesi e sul sito di Padova (nuovistilidivitapadova.wordpress.com) è possibile richiedere un kit per fabbricarsela da soli. «La usiamo in scuole e parrocchie, cerchiamo di spiegare ai giovani l’influenza che le nostre scelte hanno anche sul Sud del mondo», racconta per esempio Francesco Panigaldi, responsabile dell’Ufficio animazione e formazione del Centro missionario di Modena. La tenda si ferma in media una settimana a parrocchia e viene accompagnata da un incontro formativo, ma alcuni richiedono più tempo e ulteriori approfondimenti per le varie fasce di età. «L’impressione è che la nostra proposta trovi comprensione soprattutto quando diciamo che occorre rallentare il ritmo di vita. Ma per tutti questa è la parte più difficile».
Grazie, invece, al laboratorio "Boicottega", si può capire che tipo di consumatore si nasconde in noi: integralista-maniaco, critico-consapevole, superficiale-istintivo o conformista-manipolabile. L’esperienza proposta, infatti, punta a far conoscere i prodotti delle multinazionali, del commercio equo e solidale e dell’agricoltura biologica e insegna a boicottare i prodotti di imprese che hanno comportamenti dannosi verso i lavoratori e verso l’ambiente. In concreto si tratta di fare una spesa virtuale in una bottega dove sono presenti merci di diversa provenienza, ciascuna con la sua etichetta di presentazione, che racconta la storia del marchio, della società, dell’azienda, e dei suoi comportamenti, più o meno responsabili. Dopo aver annotato cosa si vorrebbe comperare si passa alla valutazione delle scelte da cui emerge il profilo di consumatore. Alla fine, qualunque sia l’esito del test, viene consegnata una miniguida al consumo critico e al boicottaggio, realizzata dal movimento Gocce di Giustizia di Vicenza.
«È un cammino lento, ma notiamo che qualcosa sta cambiando», commenta Elisabetta Angelucci del Centro missionario di Reggio Emilia. «Le parrocchie alle sagre cominciano a usare materiali riciclabili. L’acqua è quella del rubinetto, in brocche di vetro, come suggerisce la campagna "Imbrocchiamo" lanciata da Altra Economia». Elisabetta parla di un ottimo lavoro di Rete, fatto in collaborazione con il Comune e con altre associazioni, che per esempio ha fatto registrare a Reggio Emilia, che aveva la percentuale più alta di consumo di bottiglie di acqua minerale in Italia, un calo del 10 per cento delle vendite. A Reggio la promozione delle campagne sui nuovi stili è affidata a un coordinamento di vari uffici diocesani, il Granello di Senape.
La fantasia fa moltiplicare le iniziative: all’ultimo meeting regionale missionario, tenuto a Piacenza, si è promosso il concorso "Impatto zero", che ha premiato i partecipanti che hanno usato mezzi di trasporto non inquinanti: «Da Fiorenzuola i ragazzi sono venuti in bicicletta, noi da Reggio siamo andati con un pullman di 72 posti, senza auto, e questo ha contribuito anche a farci scambiare quattro chiacchiere, a conoscerci meglio», dice Elisabetta.
Quello delle relazioni non è un argomento secondario. A Padova, per esempio, è stato realizzato un laboratorio da usare in gruppo, ai campi scuola, o in occasioni di ritrovo in piazza, tra sagre e feste popolari, proprio sulle relazioni umane. «Dobbiamo educarci a recuperarle e a farle diventare priorità della nostra vita quotidiana», dice padre Sella. «Noi europei non soffriamo molto la povertà economica, come nel Sud del mondo, ma viviamo in un contesto di grande povertà relazionale». Fermarsi ad ascoltare l’altro, parlare di sé, compiere un gesto di accoglienza: il laboratorio propone una sequenza di comportamenti guidati e finalizzati «a recuperare la ricchezza delle relazioni umane che abbiamo perso a causa del correre dietro all’accumulazione di tante cose. I beni relazionali sono essenziali per la vita umana e sono fondamentali per la felicità e il gusto del vivere», dice il religioso.
Nel 2007 queste riflessioni hanno portato al primo Convegno nazionale della neonata Rete, dove lo slogan «Dal Pil al Fil» venne coniato per parlare dei "Nuovi indicatori di benessere". Ai cambiamenti climatici è invece stato dedicato il secondo convegno nazionale, tenuto a Bologna lo scorso fine novembre. «La terra si scalda, è tempo di cambiare» è lo slogan delle Rete, che ha lanciato un appello in vista del vertice di Copenaghen, dal 7 al 18 dicembre.
Su "Giustizia, pace e salvaguardia del creato", temi lanciati dalle assemblee ecumeniche europee di Basilea e Graz, lavora da 15 anni la Fondazione della diocesi di Bolzano-Bressanone, che lo scorso mese è diventato Istituto di Etica sociale affiliato allo Studio teologico. L’uomo che ha guidato la Fondazione, monsignor Karl Golser, è oggi vescovo di questa diocesi, pioniera nello studio di tali tematiche, prima a lanciare in Italia la Giornata del creato, attenta alle esperienze maturate oltreconfine, interfaccia con il mondo tedesco.
«Oltre a trattare tematiche diverse, dall’educazione alla democrazia alla nuova Europa, con un’attenzione anche alle minoranze linguistiche e culturali», dice il teologo Paolo Renner, attuale direttore dell’Istituto, «siamo intervenuti su argomenti che riguardano la qualità della vita». Le proposte sono andate dai cimiteri eco-compatibili («corone realizzate con materiali biodegradabili?»), alla colazione responsabile («basta con marmellatine monodose, torniamo al vecchio barattolo per risparmiare sugli imballaggi»), alla borsa della spesa in tela, ai detergenti ecologici. Nel ’99 l’allora arcivescovo William Egger «dedicò all’ecologia la sua lettera pastorale e da allora la diocesi ha smesso di usare carta patinata e il giornale diocesano arriva agli abbonati in buste di carta».
Anche la vicina Trento ha lanciato una serie di proposte, prendendo spunto dall’anno liturgico. Così la scorsa Quaresima ogni settimana veniva proposto un digiuno particolare, motivato da un brano della Scrittura: penitenza da internet per valorizzare l’ascolto, digiuno dal denaro e quindi dal gioco dell’Enalotto e del gratta e vinci, per riflettere sulla speculazione e sul lavoro nero...
Un’altra diocesi pioniera su questi temi è Venezia. Si è partiti coltivando l’orto dietro la parrocchia e usando lampadine a basso consumo nelle sale dell’oratorio e si è arrivati al contatto con centinaia di famiglie e decine di sacerdoti. L’Ufficio per la pastorale degli stili di vita della diocesi è stato istituito il 25 maggio 2003 dal patriarca, il cardinale Angelo Scola. «Partendo dalla Parola di Dio, ci occupiamo di ecologia, problemi dell’ambiente e disparità nella divisione dei beni», racconta il responsabile dell’Ufficio, don Gianni Fazzini. Il pallino del sacerdote sembra proprio la formazione a «un’affascinante sobrietà»: sono numerosi, infatti, gli incontri rivolti a bambini, giovani, fidanzati, famiglie e preti per una qualità della vita lontana dal "torpore" del consumismo. Originale la proposta fatta a tutte le parrocchie affinché usino stoviglie lavabili (e non quelle di plastica). In una lettera ai parroci, don Gianni ha motivato così il gesto: compiere «un segno di amore per il creato» e arginare l’impatto sullo smaltimento rifiuti, acquistando anche piatti e bicchieri biodegradabili che tornano "terra" se raccolti come organico.
Con i vescovi emeriti Raffaele Nogaro (Caserta) e Luigi Bettazzi (Ivrea), don Fazzini figura pure tra i numerosi sacerdoti firmatari della petizione "Meno fuochi d’artificio, più compassione", rivolta ai comitati organizzatori delle feste patronali in tutta Italia. Migliaia di euro vanno in fumo tra botti, luminarie, bande e spettacoli: la proposta è destinare ogni anno il 10 per cento di queste spese alla realizzazione di impianti fotovoltaici sui tetti delle parrocchie e investire poi i soldi risparmiati delle bollette della luce in progetti di autosviluppo nel Sud del mondo. Virtù ecologiche che sembrano aver contagiato molti: don Domenico Francavilla, uno dei preti che hanno siglato l’appello, è direttore della Caritas diocesana di Andria, già da tempo impegnata a promuovere in ambito ecclesiale scelte eco-compatibili. Tra le altre cose, organizza corsi di educazione ambientale e nella parrocchia Madonna di Pompei – come al seminario diocesano – gli impianti fotovoltaici, con i quali si produce energia elettrica per conversione diretta dei raggi solari, sono già una realtà. «Opere-segno che testimoniano la praticabilità, oltre che il fascino e la forza educativa, di un modo di produrre energia a zero emissioni nell’atmosfera», le definisce don Francavilla.
Andria è una delle tante diocesi che potrebbe aderire a una potenziale Rete interdiocesana del Centro-Sud sui nuovi stili di vita. Fino a oggi, infatti, la Rete si estende soprattutto al Nord. «Noi siamo aperti a tutti», dice il coordinatore, padre Adriano, «ma le difficoltà logistiche per incontri e scambi regolari suggerirebbero di far nascere coordinamenti anche tra le diocesi del Centro-Sud». Tra l’altro, le esperienze non mancano, nelle diocesi e nel mondo dell’associazionismo cattolico: come la Rete capillare delle Acli, che quest’anno, nel popolare quartiere romano della Garbatella, ha aperto un Gruppo di Acquisto Solidale Familiare (Gasf). «L’esperienza è nata dal desiderio di circa 200 famiglie che si ritrovano per fare insieme formazione», racconta Rosario Pavone, responsabile del Gasf. Accorciando la filiera – dal produttore direttamente al consumatore – si ha la sicurezza della qualità e un ottimo rapporto prezzo-qualità. Via mail ogni settimana le famiglie ordinano la spesa e tra venerdì e sabato vanno a ritirarla.
Sostenibilità ambientale e monitoraggio dei consumi sono anche l’anima della campagna «Bilanci di giustizia», lanciata nel ’93 da Beati i costruttori di pace e rivolta alle famiglie (oggi 500), per indirizzare la microeconomia domestica verso scelte eque e solidali: un’esperienza approdata anche al Centro-Sud, in provincia di Chieti e di Bari. Su scala più "vasta" opera l’Associazione nazionale famiglie numerose (coppie con almeno quattro figli tra naturali, adottivi o affidati), nata nel 2006 e promotrice di "Gruppi d’acquisto familiari" per materiale scolastico, cibo, pannolini, fino ai pacchi natalizi per sostenere famiglie in difficoltà.
La possibilità di fare acquisti equi esiste anche tramite la Rete degli empori solidali del Magis (Movimento e azione dei Gesuiti italiani per lo sviluppo): cominciata con la vendita tramite Web e telefono a famiglie, associazioni e comunità religiose dei prodotti provenienti da progetti missionari, l’iniziativa si stabilizzerà in una serie di punti vendita sparsi per la penisola. La scelta dei nuovi stili di vita, in effetti, non poteva non esercitare il suo fascino anche sui consacrati: nel novembre scorso il coordinatore della Rete interdiocesana ha incontrato, a Roma, decine di responsabili di Commissioni giustizia, pace e salvaguardia del creato di vari ordini religiosi. L’incontro ha fatto seguito a quello del 2008 con economi ed econome delle direzioni generali delle Congregazioni femminili e maschili, ideato per «sensibilizzare chi è responsabile dell’economia delle congregazioni a mettere in atto nuovi stili di vita, come una spesa etica, giusta e solidale», dice padre Sella. Inoltre, annuncia il religioso, «abbiamo in programma di realizzare anche una Rete intercongregazionale dei nuovi stili di vita. Ho già la disponibilità di alcune congregazioni religiose. È un impegno per il futuro prossimo».
Vittoria Prisciandaro
(ha collaborato Laura Badaracchi)
tratto da Jesus di dicembre 2009
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