30 novembre 2010

Infermieri, volontari all’estero

Il progetto di associazioni e Ipasvi. Insieme per affrontare crisi e taglio dei finanziamenti
Missione di 15 giorni: vitto, alloggio e viaggio aereo pagato a metà.

PAVIA. La crisi colpisce il mondo del volontariato e le onlus, sempre più povere, devono reinventarsi il lavoro, raddoppiare la fatica e chiedere la collaborazione della società civile. Nei giorni scorsi hanno stretto un patto con l’Ordine degli Ingegneri (disposti a missioni all’estero per costruire pozzi e manufatti), ieri (29 novembre 2010) con il collegio Ipasvi che riunisce circa 4mila infermieri in tutta la provincia. Sotto il tetto del Centro servizi volontariato, in via Taramelli, si sono messi attorno a un tavolo il presidente Ipasvi Enrico Frisone e i responsabili di alcune onlus che fanno cooperazione internazionale: Ains (che opera in Guatemala), Italia -Uganda, Pavia-Asti-Senegal, le Canossiane (Uganda, Togo e India) Fildis, le donne laureate a Pavia (Kenya). «Cerchiamo 4 infermieri disposti a partire come volontari per 15 giorni nel 2011 per un paese straniero in via di sviluppo - spiega Ruggero Rizzini di Ains, anche consigliere Ipasvi -. Il collegio mette a disposizione 2mila euro per pagare parte dei biglietti aerei, le onlus provvedono a dare vitto e alloggio. E’ un’ esperienza importante, che permette di crescere ma anche di imporate conoscenze preziose qui da noi, dove l’immigrazione è in crescita». «La crisi colpisce pesantemente le associazioni di volontariato - conferma Pinuccia Balzamo - e diminuisce la loro capacità di intervento. Le onlus hanno perso il 75% degli introiti provenienti dal 5 per mille, il 45 per cento dei finanziamenti per la cooperazione, riportandoci alla situazione di 20 anni fa. E a questo si aggiunge il 400 per cento di aumento per le spese postali che rende impossibile comunicare con i soci. Non resta che chiedere la collaborazione di pezzi della società civile. Non possiamo fermarci davanti alle difficoltà». Sono tante le realtà che si occupano di cooperazione, da quello con migliaia di soci a singoli, come suore o sacerdoti, che hanno raccolto anche centinaia di adozioni a distanza. «Una realtà variegata che vorremmo mappare - dice Balzamo -. Quindi chiediamo a tutti quelli che si occupano di cooperazione internazionale, a vario titolo, di contattare il Csv.

Il numero di riferimento anche per gli infermieri che vogliono candidarsi ad andare all’estero è 0382-526328.


(maria grazia piccaluga, la provincia pavese-30 novembre 2010)

28 novembre 2010

[gas-amici] MERCATINO IN UNIVERSITA'.....E CATERING A "KM ZERO"...

ciao a tutti,

anche questa settimana vi proponiamo una carrellata a 360° sulle attività della Fattoria Sociale Balancin, dalle produzioni del nostro orto, a quelle delle aziende agricole associate al progetto, per arrivare alle attività di ristorazione "km zero" ed alle manifestazioni a cui partecipiamo :
Partiamo dagli orti di Arkè e Mulino di Suardi ; nessuna novità sostanziale da segnalare per i prossimi giorni ( come potete vedere dal listino che trovate nel nostro sito intyernet
http://balancin.arke-coop.it/) . Possiamo ancora offrirvi lattuga cappuccio, insalata lollo, erbette biete, puntarelle, verza, cavolo rosso, cavolfiore, broccoli, finocchi, cavolo nero e cavolo a cappuccio . Sono in campo ed arriveranno nelle prossime settimane Cicoria palla rossa, radicchio, porri, cime di rapa .
Vi ricordiamo,inoltre, che il Microcaseificio Cima Colletta ha iniziato a produrre la"molana", il formaggio a pasta molle che viene prodotto solo nei mesi più freddi perchè necessita di una lavorazione della cagliata a temperature molto basse . Il formaggio ha pezzature che vanno dai 700 ai 1000 gr circa e potete ordinarlo fino a venerdì sera .
Passiamo a parlarvi delle nostre collaborazioni; nell' ambito della convenzione stipulata con il CRAL dell' Univeristà di Pavia, con il quale abbiamo predisposto l' iniziativa "La spesa in ufficio", grazie alla quale i soci Cral possono ordinare e ricevere in sede la loro spesa Balancin, abbiamo deciso di allargare il numero delle sedi coinvolte dalla sperimentazione : dopo la "nave" ed il polo Cravino ( cui la spesa viene consegnata il martedì pomeriggio tra le 16 e le 16.30 ), è la volta del Palazzo Centrale e dell' Orto Botanico . Pertanto, a partire dalla prossima settimana, verrà organizzata il servizio anche per i lavoratori di queste due sedi, con consegna il mercoledì pomeriggio, sempre tra le 16 e le 16.30, presso il cortile del Palazzo del Maino ( per la sede centrale ) e presso l' entrata di Via S. Epifanio ( per l' orto botanico ) . Rimangono ancora escluse le facoltà con sede in Piazza Botta, per le quali stiamo studiando una soluzione per le prossime settimane .
A proposito di cesti, ed in vista delle festività natalizie ancora abbastanza lontane, vi ricordiamo la possibilità di ordinare i cesti contenenti i nostri prodotti e da noi confezionati . Già a partire dalla prossima settimana, saremo in grado di iniziare a raccogliere gli ordinativi dei cesti e di prenotare, per chi lo richiedesse, le richieste di consegna a domicilio degli stessi.

Cambiamo pagina e torniamo a parlare dei servizi di ristorazione "km zero" che stiamo promuovendo : vi ricordiamo che, oltre alla gestione di mense scolastiche, di centri anziani, di comunità e centri diurni, siamo attrezzati anche per organizzare e predisporre buffet, aperitivi, catering per cerimonie, sempre a base dei nostri prodotti e con preparazioni e servizio a cura dei nostri addetti .

Infine, vi iniziamo ad accennare ad una proposta di uno dei nostri produttori, che approfondiremo la prossima settimana . Valter e Davide Calvi,dell' Azienda Vitivinicola Calvi di Castana, per continuare a servire il consumatore nell' ottica della massima qualità ad un prezzo giusto, hanno deciso, dopo un' attenta verifica dei materiali e della conservabilità del vino, di adottare ( in aggiunta alla bottiglia ed alla damigiana ) per alcuni vini fermi la soluzione del "Bag in Box" . Questo tipo di contenitore ( una sacca da 5 lt con apposito rubinetto per l' erogazione ), ormai collaudato in Italia ed all' estero, offre diversi vantaggi, tra cui la riduzione dell' imballaggio, il minore costo di confezionamento, la possibilità di spillare il vino quando si vuole senza compromettere la qualità di quello rimanente, per molto tempo ( contrariamente a quanto avviene per la bottiglia una volta stappata ). Crediamo possa essere una soluzione interessante, e sicuramente conveniente da punto di vista economico, per la famiglia che consuma vino quotidianamente . Vi daremo ulteriori dettagli la prossima settimana ; intanto vi invitiamo a segnalarci eventualmente l' interesse per una soluzione di questo genere e per richiedere chiarmenti o ragguagli tecnici che sarà nostra cura riferire direttamente a Valter e Davide .

Vi ricordiamo che potete ordinare fino a venerdì sera e che il nostro spaccio è aperto ogni martedì dalle 14 alle 17.30. Dalle 18 alle 19.30 è attivo un servizio di consegna a domicilio, per chi lo desiderasse . E' possibile prenotare la propria spesa anche presso il "Mercatino", in C.so Garibaldi n° 22 .


Grazie a tutti per il sostegno
Fattoria Sociale BalançinVia Pollaioli, 4 - 27100 Pavia
fattoria.sociale@arke-coop.ithttp://balancin.arke-coop.it

Des hommes et des dieux

Qualche sera fa, colto dalla solita curiosità, sono andato a Milano al cinema a vedere 'Uomini di Dio'.
Bisogna andare fortunatamente nella vicina Milano per soddisfare il desiderio degli occhi e per accomodarsi a pensare davanti al grande schermo; una pellicola di pregio raramente si puo' ancora visionare a Pavia. Nella nostra città le sale cinematografiche che arricchivano il centro storico, non solo per un motivo ornamentale o decorativo, sono state chiuse, abbattute, rase al suolo per far spazio ad 'appartementi di lusso', dove il lusso, in questo caso, diventa la misura censuaria di un ritornato modo di vivere tanto falso quanto feudale.
La concezione patrimoniale della politica ha invaso tutto e tutti e le sue metastasi sono ormai dilaganti e incontrollate. Pavia, Italia, spaccati di un povero paese intristito e impoverito nelle sue strutture vitali e civiche.
Aspettiamo e lavoriamo con ardore perche' questa nottata passi, e auspichiamo che i frammenti di Resistenza Civile di questi tempi possano con profitto germogliare domani e disegnare un nuovo periodo di Rinascimento e Liberazione.

Frammenti di Resistenza Civile: guardare, vedere, contemplare 'Des hommes et des dieux'.
Questo film francese racconta la verità di una comunità di monaci benedettini da secoli presenti nei monti dell'Algeria e assassinati con l'usuale brutalità dal fondamentalismo della violenza organizzata.
Di stato o dei gruppi di guerriglia islamica poca è la differenza.
Il titolo francese è stato tradotto troppo genericamente nell'italiano 'Uomini di Dio'. L'originale rende meglio: 'Degli uomini e degli dei'. Il fulcro di questa traduzione dimora in un Salmo, l'82, nella cui premessa d'apertura si dice 'contro i giudici corrotti' e più in giù al versetto 6 si proclama: "Io ho detto: 'Voi siete dei, siete tutti figli dell'Altissimo".
Già, 'voi siete dei' l'umanità già divinizzata solo per il fatto di essere carne, sangue, anima, pensieri, sentimenti, relazioni; a segnare un'uguaglianza partecipata tra l'Altissimo e i suoi figli. Un'uguaglianza non banale e frutto di una tensione presente nell'intimo di ciascuno rivolta al compimento della propria natura, del proprio essere.
L'umanità spesso gira i tacchi e se ne va da un'altra parte. E qui non valgono le distinzioni tra credenti e non credenti. Assurdo rinchiudere sempre l'espressività di ciascuno in categorie predefinite.
E' quello che hanno saputo testimoniare questi monaci benedettini: guardare al di là del particolare, non lasciarsi ingabbare da categorie, promuovere la convivenza con le comunità pacificamente e profondamente islamiche loro vicine, praticare la sincera spiritualità benedettina dell'accoglienza, farsi prossimo con le esigenze di tutti, curare le ferite senza domandare l'identità a nessuno.
Hanno preso in mano il Vangelo di Gesù Cristo e ne hanno fatto loro cibo quotidiano.
Non hanno avuto paura ad essere 'radicali quindi giusti', a lambire gli estremi confini della testimonianza, a vivere la gratuità con leggerezza e vivacità, a porre con mitezza la questione della coerenza. Sono stati segno evidente di uno stile di vita alternativo, veramente cristiano, in aperta critica con quello stesso Sistema che li ha poi assassinati.
Che e' quel Sistema ' della terra e della guerra' della conquista e della colonizzazione consumistica delle coscienze che attenta quotidianamante alle nostre esistenze. E continua a illudere il mondo ponendo il denaro e il profitto come unico paradigma di successo e sviluppo.
Non è così.
Anche tutto questo si puo' capire guardando il film.
Si lascia il cuore sui panorami circostanti il monastero di Tibhirine.
Le orme impresse nella neve, scesa con vigore in una vorticosa notte di tormenta, segnano la salita a Gerusalemme di questi uomini, grano donato.
Di questo Dio, sorgente di Luce e di Amore, sconfitto su un legno.
("La terra stanca sotto la neve dorme il silenzio di un sonno greve/l'inverno raccoglie la sua fatica di mille secoli, di un'alba antica/Ma tu che stai perchè rimani?Un altro inverno tornerà domani/cadrà altra neve a consolare i campi/cadrà altra neve sui camposanti/" ; di Franco Battiato, 'Inverno' )

Emanuele Chiodini

25 novembre 2010

Natale di Solidarietà


Care amiche ed amici, care sostenitrici e sostenitori,

quest'anno Ains Onlus, in occasione delle Festività Natalizie e del Nuovo Anno 2011, non è più nelle condizioni di proporre la tradizionale raccolta di dentifrici, spazzolini e piccola cancelleria.
Le ragioni sono contingenti e imposte: la compagnia aerea con la quale viaggiamo in direzione America Latina ha drasticamente ridotto il peso dei bagagli traportabili riducendoli da 43 a 23 Kg.
Il gesto di solidarietà che vi proponiamo, di conseguenza, passa dalla natura 'materiale' a quella più squisitamente economica.
Tuttavia il nostro punto di riferimento su cui far convergere forze e gesti rimane LA CASA DI ACCOGLIENZA PER BAMBINE MALTRATTATE 'Santa Maria de Jésus' sita in MAZATENANGO.

Di cosa si tratta nella sostanza?
Questa struttura è un luogo dove vengono ospitate bambine e ragazze provenienti da situazioni di grave disagio familiare e sociale, o, peggio, perchè vittime di abusi e violenze di diversa natura e gravità. L'età delle ospiti, attualmente, è compresa tra i 10 mesi e i 22 anni. Gradualmente le 'grandi' stanno uscendo collocandosi verso un preciso e regolare luogo di lavoro o costruendosi la loro vita familiare e personale in modo autonomo, per lasciar spazio sempre maggiore alle piccolissime. Oggi le ospiti sono 34.
La Casa è situata nella periferia agricola di Mazatenango - Nord-Ovest del Guatemala, Costa del Sur, non lontana dall'Oceano Pacifico, e prossima al confine col Messico - ed è immersa in un contesto ambientale molto ricco caratterizzato dal tipico verde brillante della foresta tropicale.
Questa Casa è gestita e diretta dalla Congregazione di suore locali che di nome fa 'Misioneras de la Caridad de Maria Imaculada'. Con queste religiose, come ben sapete, Ains collabora da diversi anni con soddisfazione e compiacimento reciproco.

Le nostre proposte concrete per un Natale di Solidarietà a vantaggio della Casa di Mazatengo.

Proponiamo un sostegno economico e personalizzato per ciascuna delle ospiti lì residenti.
Nello specifico:

CON 30 EURO ANNUI si garantisce ad una bambina un'adeguata assistenza psicologica fornita da personale specializzato operante in loco.
CON 80 EURO ANNUI si garantisce il sostegno alimentare: un aspetto, quest'ultimo, importantissimo per la salute fisica e psichica delle ospiti.
CON 190 EURO ANNUI si garantisce l'intero sostegno ad una bimba: vitto, cura della persona, igiene personale, scuola, utili scolari, spese mediche, spese generali ecc.ecc.
Alla Casa di Mazatenango il gruppo di Ains Onlus tiene in modo particolare.
Perchè è un luogo di ri-creazione educativa e personale.
Perchè è un luogo dove una bambina puo' rinascere e ricostruirsi una vita lontana da insidie e minacce.
Perchè è un Casa dove i sogni possono, piano piano, diventare realta'.I nostri,i vostri, i loro.
Un fiore all'occhiello per Ains Onlus e un gesto di concretezza vera per chi lo compie.
Sosteneteci a realizzare questi sogni!!!!!...e far sbocciare sempre di più questo fiore....!!!....

BUON NATALE A TUTTI E FELICE ANNO NUOVO 2011!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Giulia dezza, Elisa Moretti, Andrea Bellingeri, Emanuele Chiodini, Ruggero Rizzini,....e tutte le amiche e gli amici che in questi 12 anni hanno condiviso con noi l'esaltante esperienza dei viaggi in Guiatemala.
Conto corrente postale n. 46330429
intestato ad Ains onlus c/o CSV Pavia, via taramelli 7 - 27100 Pavia
causale: natale di solidarietà

Magdalena, Gregoria, Teresa e Amparo

Registrazione del 13 ottobre 2010

Magdalena, Gregoria, Teresa e Amparo sono quattro donne concrete che abbiamo incontrato in Guatemala durante l’ultimo nostro viaggio. Vivono nell’aldea El Conacaste e la loro storia è importante per comprendere che anche in un contesto precario come quello del Guatemala, si può, attraverso la progettualità e il microcredito, riuscire a trovare uno stimolo per cambiare e, prendendosi delle responsabilità, costruirsi un’alternativa

Magdalena: “
Il Guatemala è un paese dominato da una mentalità machista, maschilista, e non è facile per una donna avere una propria autonomia e credibilità. Mi chiamo Magdalena, ho 32 anni e 4 figli, un maschio e tre femmine. L’ultimo ha tre anni. Sono stata violentata a 12 anni e la stessa sorte è capitata a una delle mie figlie quando aveva 12 anni. È stata violentata da uno zio paterno che ora si trova in prigione perché l’ho denunciato.
Tutto è successo un giorno che ero fuori casa, nel campo a lavorare la terra. Mia figlia non mi ha raccontato cosa era successo. L’ho scoperto perché era strana, non parlava più, era silenziosa e dopo l’ennesima volta che l’ho trovata in casa a piangere mi sono decisa a chiederle cosa non andava e mi ha raccontato tutto.
I
miei quattro figli sono di due uomini diversi che non mi aiutano in nessun modo per cui devo arrangiarmi e lavorare per i miei figli, per dare loro da mangiare e per mandarli tutti a scuola.
Nonostante tante problemi siamo riusciti a sopravvivere e mi sono creata delle alternative.
Insieme ad altre tre donne, per essere sempre più autonome e indipendenti abbiamo chiesto aiuti economici con il microcredito per creare delle piccole attività commerciali nelle nostre case. Due delle mie amiche (Amparo e Gregoria) hanno figli e i mariti lavorano a città del Guatemala e fanno ritorno solo per tre giorni al mese. Lavorano come cuochi in un grande hotel della capitale. Teresa, invece, ha il marito invalido e deve seguire i figli oltre che lavorare per portare a casa il denaro sufficiente anche per le medicine. In questi anni abbiamo raggiunto dei risultati attraverso un microprestito di 1500 quetzales (circa 150 euro) che ci ha permesso di comperare polli da ingrasso per un allevamento che ora ne conta 100. Fruttano 11,5 quetzales alla libra (poco più
di 1 euro per ½ chilo circa). I polli sono pronti per la vendita dopo circa sei settimane. Un pollo, se alimentato bene, arriva a pesare anche 5 libbre (circa 2,5 chilogrammi) e la vendita si aggira attorno ai 55 quetzales (circa 5 euro) con un guadagno finale di 20 quetzales a pollo (circa 2 euro).
16 mesi fa, insieme alle mie amiche è partito un nuovo progetto di produzione di shampoo, una piccola sfida dopo aver chiesto un credito di 1500 quetzales a testa.
Abbiamo chiesto un prestito ad Alvaro raccontando l’idea che avevamo in testa e, dopo un corso di formazione che ci ha permesso di imparare a lavorare diversi prodotti chimici insieme ad altri prodotti naturali derivati dall’aloe, dalla camomilla e dal bianco dell’uov, abbiamo prodotto shampo. Dopo un anno abbiamo reso il prestito ed ora, con l’interesse mensile che depositato in un conto bancario che abbiamo aperto con Alvaro, abbiamo risparmiato 50.000 quetzales (circa 5 mila euro). ½ litro di shampo lo vendiamo a 15 quetzales ( 1,5 euro circa) con un guadagno a confezione di 2,5-3 quetzales ( 0,25-0,30 euro). Per ogni giornata lavorativa riusciamo ad avere un compenso di 50 quetzales (circa 5 euro). Il resto del guadagno ricavato dalla vendita viene depositato in banca. Lo shampo viene prodotto e venduto a CFCA, l’organizzazione degli Stati Uniti dove lavora Alvaro. Con i soldi risparmiati siamo riusciti a comperare un piccolo terreno e pensiamo di poter costruire una piccola struttura dove lavorare per produrre lo shampo perché ora lo facciamo nella casa di Ampara. Avendo una sede che non sia una casa, come
ci richiede lo stato, possiamo avere tutta la documentazione e il codice a barre per poterlo vendere nei mercati e ai negozi della capitale e dei paesi vicini alla nostra aldea dove viviamo”.
Alvaro: “ Il progetto shampo è un progetto modello che viene portato come esempio per le altre donne che chiedono di avere un prestito per iniziare un progetto produttivo. La loro è una piccola impresa che da lavoro a loro stesse e, quando la richiesta di shampo è elevata, anche ad altre due donne della comunità di Conacaste dove loro vivono”.

La casa di Magdalena è dignitosa e pulita. Le bambine vestite con abiti semplici ma puliti studiano con buoni risultati tranne il più piccolo che ha solo tre anni. Andiamo a visitarla e continuiamo la conversazione.

Magdalena: “ Con il microcredito siamo riuscite a crearci un futuro creando una microimpresa. Con la costruzione di un magazzino dove lavorare pensiamo di poter ampliare il mercato. La costruzione costa 25.000 quetzales (circa 2.500 euro) e pensiamo di poter iniziare i lavori nel 2011”.
Alvaro: “ Sono quattro donne che lavorano molto, con le idee molto chiare e sulle loro spalle l’intera famiglia non potendo contare molto o per nulla, come Magdalena, nella presenza dei loro uomini. Oltre alla produzione dello shampo allevano galline, polli e maiali, comprati anch’essi con il microcredito, ingrassati e venduti al mercato per poterne comprare un secondo. L’ingrasso del maiale e la successiva vendita rende molto bene. Con la vendita dello shampo riescono a creare anche un ulteriore fondo mettendo da parte 25 centavos di quetzales (circa 0,025 euro) che diventa un fondo di solidarietà messo a disposizione della comunità per le necessità urgenti tipo quelle sanitarie come ad esempio l’acquisto di farmaci che alcune donne della comunità hanno chiesto”.


Magdalena: “Come è cambiata la nostra vità? Prima sopravvivevamo andando a vendere i pochi prodotti coltivati, nella poca terra che possediamo, al mercato. Ora lavoriamo a casa, continuano a coltivare anche la terra con fagioli e mais ma davanti a noi vediamo un futuro”.

“caffè di soya”

Registrazione del 12 ottobre 2010

Alicia, donna dell’aldea di Chanrayo che fa parte del progetto “caffè di soya” :“Grazie Professore per essere venuti a visitarci e grazie agli amici Italiani per essere qui nella nostra aldea. Noi siamo contente perché stiamo lavorando, speriamo in Dio di continuare e grazie a voi che state lottando per aiutare la gente povera di questa aldea”.
Alvaro: “ Com’è quest’anno la raccolta del mais? Ne avete o è poco?
Alicia: “ Non è molto però dovremmo riuscire a fare un buon raccolto”.
Alvaro: “ Loro producono mais e fagioli per l’autoconsumo e quello che stanno coltivando in questo periodo serve per quasi tutto l’anno. Come lavorate la soya?”.
Alicia: “ I semi della soya vengono tostati su questa piastra e quando sono pronti vengono messi in un sacco e portati al mulino dove viene tritato in polvere fine come quella del caffè. Per la tostatura ci alterniamo in quattro donne stando attente a non bruciarci le mani. Alla fine della tostatura tostiamo anche un poco di mais che, tritato, viene mischiato con la farina di soya, una parte di farina di cacao e farina di cannella. Poi viene tutto messo in una piccola borsa di plastica fino ad ottenere il peso di una libbra (circa 450 gr.) ed etichettata oltre che chiusa a caldo.”
Alvaro: “ Un problema per le donne che tostano i semi è il fumo che viene respirato. Servirebbero delle mascherine di protezione e poi servirebbe un mulino per triturare i semi di soya.”
Alicia: “ Io ringrazio Dio che ci ha permesso di incontrarci e vi ringrazio di essere oggi qui con noi e per avere avuto la volontà di essere venuti a visitarci”.
Alvaro: “ Volete ascoltare alcune parole degli amici di ains?”.
Ruggero: “ Buongiorno a tutte e grazie della vostra ospitalità. Noi dell’associazione Ains veniamo da 12 anni in Guatemala e lavoriamo molto con l’associazione Moises Lira Serafin………….”.
Veronica: “ Buongiorno, mi chiamo Veronica……….”.
Alicia: “ Grazie a Dio e che Dio ci dia la forza per poter continuare a lavorare insieme. Grazie della vostra visita”.

20 novembre 2010

ARGENTINA, UNA NIÑA DE TATUTU

Riceviamo e pubblichiamo dall'Associazione Moises Lira Serafin (Guatemala)
Fotografia scattata da Alvaro Aguilar Aldana durante la giornata medica nell'aldea di Tatutu.
ARGENTINA HA QUASI 2 ANNI E PESA 9 LIBRAS (CIRCA 4 KG).
CAUSA L'ESTREMA POVERTA DELLA SUA FAMIGLIA HA UN SERIO PROBLEMA DI DENUTRIZIONE .

10 domande a Filippo Ticozzi


Il cinema di Filippo Ticozzi (Pavia, 1973) è una dimensione dell’evanescenza, dove le figure prendono forma per dissolversi, scoprendosi significati da ultimo come segni. Al regista di Lilli non è retorico attribuire un’idea di arte come impegno di tipo esistenziale, al modo di un Diogene contemporaneo con la cinecamera a fare da lanterna. Nella predilezione per le ellissi, sostenuta da una raffinata vocazione alla sintesi narrativa, confluiscono lirici silenzi ed angosce implose, sotto il segno comune del rimando. L’opera di Ticozzi è legna da ardere: solida, corposa, eppure capace di fiammante inconsistenza. Un grande Autore, sensibile come pochi. Per approfondimenti, visitare www.dallaltrapartedellastrada.blogspot.com e www.lilli09.blogspot.com. Buona lettura e… buona visione!

1) Il momento in cui hai deciso che saresti diventato un regista
Tardi. Prima ho tentato la via del terzo teatro, ma non è andata. Poi ho deciso di finire l’università e ho lavorato per un bel po’: dovevo mantenermi, ero solo e senza soldi. Non era un buon periodo. Poi ho incontrato quella che ora è mia moglie e lei mi ha convinto a buttarmi in questa faccenda, che comunque mi “abitava” da un po’. Fin da piccolo i film mi attiravano mostruosamente, anche se l’idea di farli, e non di viverli, di non credere che fosse vita, mi infastidiva, non mi piaceva. Intorno ai 30 anni mi sono iscritto a un corso FSE di regia. Il corso era inutile, ma la casa di produzione dove l’ho fatto, Drop Out a Milano, era fantastica (ora è fallita, come tutte le cose buone): ci facevano usare le loro costose videocamere, cercavano di farci partecipare ai progetti. Mi sono fatto il braccio sulla tecnica. Dopo un paio d’anni ho fondato la mia piccola casa di produzione, procreatrice di soddisfazioni e debiti.
2) La tua idea di cinema
Il reale è ambiguo, polimorfo, epifanico. Il cinema può farlo risuonare.
3) Il modello di macchina con cui giri
Giro in digitale perché le mie produzioni sono sempre low budget, per non dire no budget. Per ora ho girato con Sony Z7 e Panasonic 200. Ma la pellicola, vorrei, la pellicola! Direttamente non l’ho mai usata, ma sento che è il mio “materiale”, anche se adesso sembra superata. Concreta, come il legno per il falegname. Inoltre giro sempre poco sul set, perciò un giorno potrei anche farcela.
4) Gli autori che ti hanno influenzato maggiormente
Non so sinceramente, quando giro dimentico queste cose. Però posso dire che mentre scrivo alcuni film mi vorticano per la mente e sicuramente qualcosa rubo. Forse faccio prima a dire quali autori sono per me un’ossessione: Werner Herzog, Robert Bresson, Robert Kramer, Marco Ferreri, John Ford.
5) Il film (altrui) che avresti voluto girare tu
Strozsek di Herzog. Tra i recenti Animal love di Ulrich Seidl.
6) Il tuo spettatore ideale
Non riesco a immaginarne uno. Il cinema è talmente una cosa assurda.
7) La volta in cui avresti voluto mollare tutto (e il motivo per cui non l’hai fatto)
Dico la verità: più o meno ogni settimana. Un lavoro in cui si sta troppo da soli: prima, sul set e dopo. E poi un’impresa assurda: trova i soldi, contatta le persone, scendi a patti con il mondo, gira. Dopodiché comincia il vero delirio: la distribuzione, i debiti fatti, i festival con i loro maledetti entry form, ecc. e mai il becco di un quattrino (soprattutto in questo momento). Ma non lascio perché non saprei che altro fare. Questa cosa mi dà emozioni e direi che è già molto.
8) Un regista emergente che consiglieresti
Se intendiamo registi che non hanno ancora fatto il grande salto verso il lungometraggio, allora penso sicuramente a Gianclaudio Cappai. Vidi il suo So che c’è un uomo a Visioni Italiane (dove ha vinto) e sono rimasto di stucco. Un cinema intenso, carnale, dove la storia sul momento pare non ci sia, ma poi nasce e deborda in particolari pieni di vita, vita che eccede e si disperde. Un po’, mi si perdoni il paragone ardito, come il Faulker di The Sound and the Fury, dove alla fine tutto è cristallino, ma siamo passati attraverso il sangue. Per un cinema invece più sperimentale, che ragiona più su di sé, Carlo Michele Schirinzi. Riesce a creare un tipo di percezione in sala diversa, un modo inedito di “seguire” un film, di percepire quella visione del mondo, senza eccessivi sperimentalismi, avvicinandosi alla video arte in modo deciso, senza però mai cedere alle lusinghe dell’intellettualismo (vedi l’ultimo lavoro, Notturno Stenopeico), e poi, nelle cose più narrative, che spesso anche interpreta, ha una comicità lunare e stramba (e direi profonda) che è irresistibile. Ma ce ne sono tanti, tantissimi. Molti non li conosco nemmeno. Questi tra quelli che ho incontrato e/o visto. Una piccola polemica: tanti, troppi cortometraggi furbi, simili a spot pubblicitari lunghi. Che poi ti ritrovi a tutti i festival. Poco sangue, tanta testa; troppe idee, pochi azzardi.
9) Il progetto a cui stai lavorando in questo momento
Ora sto lavorando a due progetti documentaristici: uno su Lotta Continua e l’altro su Jimmy il fenomeno. Il primo non sarà nulla di storico, né di compilativo. Saranno cinque ritratti, oggi, di ex militanti che hanno avuto un particolare percorso di vita. Tre in vita e due in morte. Questi ritratti serviranno come cortocircuito per riflettere sul più grande movimento di pensiero (e non solo movimento politico) degli anni duri di casa nostra e sulle tracce rimaste oggi. L’altro sarà una sorta di pedinamento del famoso caratterista. Jimmy ora vive in una casa di riposo, ha qualche acciacco e sta affrontando gli anni della senilità. Il film vuole partire dalla sua figura per riflettere sull’età avanzata, su come la vita si adatta e germoglia, su cosa si prova a stare poco prima della fine. Attraverso la maschera di Jimmy cercherò, arduo compito, di entrare dove maschere non ce ne sono più.
10) Un giudizio su CinemaDonia
Mi sembra una gran cosa! Date spazio agli invisibili con un piglio davvero professionale. Lunga vita a CinemaDonia!!!

Altri articoli dedicati a Filippo Ticozzi su CinemaDonia:

26 novembre 2010: MusicalBar

MUSICAL BAR - Spettacolo Comico Musicale
VENERDI 26 NOVEMBRE - ore 21.00
TEATRO MASTROIANNI - Via Piemonte - San Martino Siccomario (PV)
INGRESSO AD OFFERTA
L'incasso sarà interamente devoluto per il sostegno alla casa d'accoglienza per bimbe maltrattate "Santa Maria de Jesus" presso Mazatenango in Guatemala.
Un recital di poesie, racconti e musica tutto da ridere.
Testi di Gaber, Benni, Littizzetto, Bisio
e noti brani di Jannacci, Cochi e Renato, Oreglio e molti altri.
Tutto questo ambientato in un bar nato dalla nostra fantasia, che forse non è poi molto lontana dalla realtà. Quindi una serata tutta da ridere con la musica e i racconti di alcuni tra i più noti comici italiani.
In collaborazione con:
Civica Scuola di Musica - Città di Gambolò
Ass. Musicale Vinaccia - Vigevano
Ass. Sportiva Extra Beat - Gambolò
Ass. Musicale Vox Organi - Vigevano
Con
Massimiliano Sonsogno
Martina Craparotta
Stefano Marinello
Marzio Morzenti
Alberto Milanesi
Renato Tassiello,
Daniele Soriani
Antonio Converti
VI ASPETTIAMO NUMEROSI!!!!!!!!!!

Durkovic e i Fantasisti del Metrò

Freschi di Premio Suoni di Confine Amnesty, i ‘fantasisti del metrò’, sono i musicisti rom che Roberto Durkovic ha visto suonare in metrò molti anni fa.
Da allora sono passati quattro album, molti successi, due generazioni di musicisti straordinariamente virtuosi e, per il 2010, il nuovo tour “Strade aperte”.
Si abbassino le luci, silenzio in sala, perché quella che inizia è storia vera. Molto simile ad una favola però, che come tutte inizia con ‘c’era una volta’ e termina con un lieto fine.C’era una volta un musicista italiano ma di sangue praghese, che un bel giorno decise di partire, chitarra in spalla, alla ricerca della sua Musica Originaria.C’erano poi dei musicisti tzigani di straordinaria bravura, strappati dalla povertà al loro Paese, ai magici strumenti, alle orchestre illustri e all’allegria dei banchetti nuziali dove spesso si esibivano per divertimento.Le loro strade si incrociano per caso in una piovosa Milano invernale, in un posto a dire il vero assai poco consueto ad una favola: i vagoni tristi e distratti della metropolitana in un grigio pomeriggio…
Si dipana così, fra musica, racconti e balli mozzafiato, la vera storia di Durkovic & i fantasisti del metrò,che dopo anni di concerti, due album pubblicati e tanto cammino percorso insieme, propongono al loro pubblico uno spettacolo travolgente, arricchitoda un repertorio di brani nuovi e rielaborazioni celebri, provenienti dal cantautorato italiano e dalla musicatzigana, da nuovi strumentisti e dal fascino sensuale di una danzatrice. Un concerto di musiche, balli e racconti, pensato e composto in quella che da sempre è la loro lingua comune, straordinario intreccio disuoni provenienti da terre diversissime eppure così solidali, se non nella società di tutti i giorni almeno nellaloro personale favola tzigana. Spazio alle musiche allora: sarà incantevole l’apporto del cymbalon, costruito amano secondo la tradizione rom. Lo accompagneranno la magia del clarinetto, il divertimento malinconicodi una fisarmonica zingara, il fascino senza tempo delle chitarre classiche, la voce calda e sottile del violino, i passi di contrabbasso e percussioni e quant’altro ancora.
Roberto Durkovic ha il compito complesso di raccontare, in musica e parole, la vera storia dei Fantasisti del metrò. Partendo dall’affannosa ricerca della ‘musica perfetta’, attraversando la sfrenata allegria dei tradizionali festeggiamenti nuziali del popolo Rom, scontrndosi con la povertà, la fuga e la malinconia dello sradicamento di un gruppo di musicisti clandestini, e poi il sogno, più forte di qualsiasi difficoltà, di suonare, suonare, e suonare ancora. Nasce così oltre dieci anni fa, grazie ad un incontro casuale, uno straordinario ensemble, commistione di stili apparentemente così diversi eppure dotati di una misteriosa condivisione.La loro storia, fino ad ora mai narrata, corre fra le righe del pentagramma ed i virtuosismi degli strumenti, dalla metropolitana fino all’inizio di una straordinaria amicizia ed al sogno diventato realtà di un’integrazione vera e soprattutto legale. E’ nelle stazioni distratte e maleodoranti della metropolitana che si è formato, attraverso la musica (l’unico linguaggio davvero universale) questo straordinario gruppo di musicisti italiani e rom, invisibili ai più ma di superba bravura: un incontro fortuito che in pochi anni li ha portati dalle piccole piazze di provincia fino a San Pietro, ad esibirsi in mondovisione davanti a Papa Giovanni Paolo II per la Giornata mondiale della gioventù. Da lì in poi, per i Fantasisti del metrò non sono più valse barriere.
“Bisogna vivere per raccontarla” dice Gabriel Garcia Marquez. Allora si alzi il sipario, ché questa “favola tzigana”, è finalmente pronta ad essere narrata.
Roberto Durkovic è nato a Pavia, ma con sangue praghese. Alla luce di ciò, e degli eventi futuri, si può ben dire che il suo originale progetto artistico l’avesse già impresso nel dna al momento della nascita.
“Sono rimasto affascinato dalla musica balcanica fin da quando, da ragazzo, accompagnavo mio padre nei locali praghesi e di Bratislava. Ora ho realizzato il sogno di suonare le sue canzoni accompagnato da musicisti tzigani che con talento istintivo e virtuosismi, creano un’atrmosfera gioiosa e danzante.”
Roberto studia musica classica al Civico Istituto Vittadini di Pavia. Ben presto è affascinato dalla musica leggera, e inizia una dura gavetta nei locali della Lombardia, in particolare di quel circuito milanese che fa capo ai Navigli.Le sue radici mitteleuropee, lo inducono a interessarsi alle sonorità dell’Est, ed a quel repertorio tzigano che diventerà in seguito la sua principale peculiarità.

Dopo i primi incerti approcci alla discografia, arriva finalmente nel 1989 l’occasione giusta per il primo disco “Come un treno locale”, pubblicato dalla SAAR, che contiene già i germi di una lirica introspettiva sostenuta da melodie di grande intensità e in particolare il brano “Piccola Irene”, prontamente segnalato al premio della Critica di “Sanremo Nuovi Talenti”.
Da una parte il cantautorato italiano, dall’altra la musica tzigana. Uno con la poesia, gli ideali, e la classe dei suoi grandi maestri. L’altra, romantica, virtuosa, sfrenata, sempre solcata da una piccola vena di malinconia. Questo è Roberto Durkovic, e la sua storia musicale – legata da anni ad un nome quanto mai evocativo, I “fantasisti del metrò” – testimonia la ricchezza del progetto.
Metropolitana di Milano, una mattina grigia come tante. La storia da parte lì, nei vagoni fatti di sentimenti anonimi, sguardi abitudinari, di povertà, e di incontri fortuiti che possono cambiarti la vita in un attimo. Roberto, studi di musica classica, una passione per la musica etnica ed il cantautorato, ed in più tre album ed una lunga gavetta nei locali dei navigli milanesi, una mattina qualsiasi li incontra. Loro sono un clarinettista, un fisarmonicista, un chitarrista rumeni. Roberto li insegue tutto il giorno, li conosce, ascolta le loro storie di orgoglio e povertà.
Parte da lì un progetto sognatore ed ambizioso quanto basta. Dall’uscita di Indaco e sabbia (2003, Storie di note) la critica si accorge di lui, e lo segnala quale autore tra i più meritevoli, con un interessante progetto musicale sound etnico legato alle sonorità slave tzigane fino alla coralità balcanica. Questa singolare ricerca musicale si fonde così in modo mirabile con la tradizione cantautorale italiana.
Il 1 aprile 2004 Durkovic ed i suoi fantasisti si esibiscono in Piazza S. Pietro, alla presenza di Papa Giovanni Paolo II, nell’ambito dell’incontro con i giovani voluto per il terzo anno dal Vicariato di Roma. La manifestazione viene trasmessa in diretta da RaiUno: un appuntamento di grande prestigio e di elevati contenuti, che vede Durkovic al fianco di alcuni fra i grandi nomi della canzone, da Ron, ad Alice, Fausto Leali, ed altri. Per l’occasione viene presentato un brano inedito, Il Mago dei Colori: inno alla fratellanza e la tolleranza tra i popoli e le religioni.
L’avventura musicale con i Fantasisti del metrò prosegue qualche anno più tardi, a dicembre del 2005, con l’uscita di “Semplicemente vita”, abum ricco ed intenso, presentato in anteprima al MEI, Meeting delle Etichette Indipendenti di Faenza.
Nel 2007, infine, con lo spettacolo in musica, video ed immagini “La bella strada”, Roberto ed i fantasisti decidono finalmente di raccontare la storia vera del loro incontro. Ne La Bella Strada i protagonisti/attori si raccontano anche attraverso contributi video (prodotti appositamente dallo studio STALKER VIDEO).

18 novembre 2010

«Il paradiso comincia sulla terra»

Racconto le vite di tossici barboni e prostitute che ho trovato in 50 anni da sacerdote in mezzo alla strada

GABRIELE CONTA, la provincia pavese-17 novembre 2010
PAVIA. Tutto sa di strada nelle parole di don Gallo. A partire dalla voce, una cantilena genovese che profuma di mare. «La mia cattedrale è la strada. I miei insegnanti sono le prostitute, i barboni e i tossici», dice il sacerdote nato a Genova nel 1928 e prete da cinquant’anni,. con una voce resa roca dai sigari. E’ una vita dedicata agli ultimi, la sua. Una vita da «prete da marciapiede», come qualcuno lo chiama; «una vita dedicata a quelle che sono le vere anime salve di De Andrè», come preferisce dire lui. Don Gallo è stato a Pavia per la rassegna culturale «Quattro chiacchiere con», alla libreria Loft 10, di piazza Cavagneria. Presentato da don Franco Tassone, parroco di San Mauro e già responsabile della casa del giovane e prendendo spunto dal suo secondo e ultimo libro «Così in terra come in cielo» (135 pagine, Mondadori, 17 euro), don Gallo ha raccontato la sua vita, a partire dal suo primo incarico da sacerdote nel 1960 (quando fu nominato cappellano della nave-riformatorio Garaventa) fino all’incontro con Beppino Englaro, a cui ha chiesto perdono «per tutto ciò che gli era stato fatto».
Il titolo inverte la frase del «Padre nostro», come mai?
«Il senso del titolo è di cominciare a creare un mondo a misura di essere umano qui e ora, sulla terra prima che in paradiso. Il titolo è anche un invito a riscoprire la dignità umana che c’è in ogni persona. Sono stati i ragazzi della comunità a suggerirmelo».
Con don Franco parlerete del libro?
«Il libro sarà un pretesto per parlare di tante cose. La mia storia è solo uno spunto: racconterò le storie dei ragazzi della “Comunità di San Benedetto al porto”, che da tanto tempo opera nell’angiporto e nelle strade di Genova e che l’otto dicembre compirà quarant’anni. Parlerò delle vite degli ultimi e degli invisibili che ho incontrato in questi cinquant’anni da sacerdote». Come sono stati questi 50 anni?
«Sono stati anni d’incontri. Sulla strada ho conosciuto molte vite, molte gioie e anche molti dolori. Sono stati anni passati con i perdenti, i senza voce, i diversi. Anni gridando la parola “pace” e cercando sempre le cause delle ingiustizie. Raccontare questi 50 anni è come guardare un grande film che cammina».
Sono stati anche anni di scontri con la Chiesa?
«La mia non è una contestazione contro la Chiesa, che è la mia casa e che amo. Io sono contro il potere economico e moralistico di tutte le chiese, e soprattutto contro l’ipocrisia. Mai come in questo momento le gerarchie ecclesiastiche sono in collusione coi poteri per riacquistare privilegi. Anche per questo mi arrabbio quando sento dire “La Chiesa ha detto che ti devi comportare così”, perché la Chiesa sono tutti i battezzati, non solo le gerarchie».
Cosa ne pensa dell’evoluzione della Chiesa oggi?
«Le conquiste del Vaticano II da troppo tempo sono in pericolo, e tutte le strade del concilio sono state cancellate. Io ho sempre detto chiaro quello che penso, sulle spinte soltanto del Vangelo. Perché la fede devi viverla davanti al Vangelo, non al meeting di Rimini o nell’anticamera dello Ior».
E’ per questo che oggi molti si allontanano dalla Chiesa?
«Certo. Ma ai delusi dalla Chiesa io dico “Andate dai vostri vescovi e ditegli quello che pensate”. E’ inutile dirsi credenti e poi non andare in chiesa. Anche qui la mia è una guerra all’ipocrisia e al moralismo: la Chiesa deve smettere di parlare e di giudicare. Prima bisogna ascoltare e accogliere».
Che cosa trova negli ultimi?
«La vera forza viene da loro, dagli scartati, dagli emarginati. Ti regalano la possibilità di riscoprire la tua vera identità. Ho incontrato persone di tutte le religioni e di tutti i sessi: ho parlato con trans, malati di mente, tossici, e in tutti ho trovato del buono. Bastava ascoltarli».
Nel suo studio sono passati i più importanti personaggi della cultura italiana. Che ricordo ha di Fernanda Pivano?
«Fernanda è stata uno dei miei più grandi maestri, e per me rimarrà sempre la “signorina anarchia”. Ho avuto la gioia e la fortuna di incontrare molti personaggi importanti, come Mario Monicelli, Moni Ovadia, Vasco Rossi, Paolo Rossi. Mi vengono a trovare nel mio studio, e da loro ricevo il sostegno di andare avanti. Sapendo che il male grida forte ma che la speranza grida ancora più forte».
E di Fabrizio De Andrè?
«Per me Fabrizio era e rimane un poeta, sempre con lo sguardo rivolto al futuro. La sua voce dava espressione a tutti quelli che non ce l’hanno: cercava di dar voce persino al Mediterraneo e al mondo intero. Nel 1999 non gli abbiamo detto addio: De Andrè è di tutti ormai. Fabrizio era ed è un grande musicista e un grande cantautore. Ma soprattutto De Andrè è anarchico».
Che cos’è l’anarchia per lei?
«Non è un catechismo, un’iscrizione a un movimento. L’anarchia è un atteggiamento profondo dell’animo costantemente inquieto. E’ l’aspirazione alla libertà, è un intreccio tra la coscienza civica e la spiritualità di ciascuno. L’anarchia è come tutta l’opera di De Andrè, che cammina su due binari: la giustizia sociale e la ricerca di un mondo nuovo».
Che cosa significa la musica di De Andrè oggi?
«La musica di Fabrizio per noi nati nei vicoli intorno al porto di Genova è la colonna sonora di una vita. Per tutti quanti la sua poesia ancora oggi è antifascismo, antimilitarismo, non violenza. Le sue canzoni mettono le ali oggi più di ieri. Fabrizio guardava agli invisibili, ai diversi, ai non produttivi. Che poi sono i ragazzi della nostra comunità».
Di cosa si occupa la sua comunità?
«Non è la mia comunità, io sono soltanto uno dei tanti che la fanno andare avanti. Accogliamo tutti quelli che hanno bisogno di una mano, per tanto o poco tempo, italiani e migranti. Il primo nucleo della comunità è nato nel 1965, e ha vissuto in pieno il 68 e tutte le tappe fondamentali di quell’epoca».
Cosa è cambiato dagli anni ’60 ad oggi?
«Oggi è cresciuta a dismisura l’indifferenza. L’indifferenza è abulia, è essere fuori dalla storia, è vigliaccheria. Secondo me andrebbe aggiunta ai peccati capitali. Eppure continua a aumentare. Invece bisognerebbe alzarsi ogni mattina e chiedersi “Che cosa posso fare per la mia casa, per il condominio, per il quartiere?”, e da lì si arriva presto all’Italia e al mondo intero. Però ci sono segni di ripresa, segnali di una nuova presa di coscienza».
Lei è già stato a Pavia in passato?
«Ci sono stato diversi anni fa. Mi ricordo che era il periodo in cui nasceva la casa del giovane: una bellissima comunità che muoveva i primi passi sul tema della tossicodipendenza».
Don Gallo ci saluta con una storia. E’ un piccolo apologo, che gli ha raccontato una volta un monaco tibetano: «Se in un bosco vedi una grossa ombra hai paura, perché sei convinto che sia un animale feroce. Poi però ti avvicini e scopri che è un uomo. Allora ti avvicini ancora di più e scopri che è un fratello. E se ti avvicini ancora di più scoprirai che è un amico». Questo è l’incontro secondo Don Gallo. E questo è anche il senso del suo camminare sempre «in direzione ostinata e contraria».

13 novembre 2010

Bambino

Bambino, se trovi l'aquilone della tua fantasia
legalo con l'intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell'acqua del sentimento.

Alda Merini


Il microcredito sta diventando la strada da percorrere

Il microcredito sta diventando la strada da percorrere se si vuole sostenere la gente guatemalteca con cui noi collaboriamo da 12 anni, aiutandola a costruirsi un futuro in autonomia senza dover dipendere da aiuti esterni che a lungo andare creano assistenzialismo. Con questa consapevolezza sono rientrato in Italia il 18 ottobre dopo 15 giorni trascorsi in terra guatemalteca per controllare i progetti. Con me questa volta c’erano la volontaria Veronica Heredia, Filippo Ticozzi e Nicola Grignani che da questa esperienza realizzeranno un documentario per illustrare la giornata di un bambino del Guatemala da proporre alle scuole elementari e medie pavesi. Il Guatemala è un Paese che vive quotidianamente situazioni di precarietà politica e sociale però questa volta ci siamo resi conto che gli investimenti di solidarietà fatti in 12 anni stanno creando tante realtà positive che consentono alla gente di guardare ad un futuro di speranza. Una di queste è rappresentata dalle quattro donne dell’Aldea di Conacaste, vicino a El Rancho che da anni è sostenuto dalla nostra associazione, che usufruendo del microcredito iniziarono la loro attività commerciale con un piccolo allevamento di polli e oggi sono state in grado di restituire il prestito richiedendo un altro microcredito per estendere l’allevamento anche ai maiali. Ora trattengono per sé cinque euro al giorno con cui si pagano la giornata lavorativa e in sedici mesi hanno messo da parte 50.000 quetzal, che sono cinquemila euro (una cifra enorme) producendo e commerciando shampoo. Sempre grazie al microcredito altre dieci donne si sono unite per produrre caffè di soya e nell’aldea di Colmenas abbiamo avuto l’onore di gustare pane e pesce prodotti in loco grazie al microcredito e parlare con don Jesus, contadino e rappresentante della comunità che con un prestito di 150 euro ha iniziato la terza coltivazione di fagioli di quest’anno, guadagnando a raccolto 450 euro, con cui ha ripagato il prestito e reinvestito per la sua famiglia e la comunità.
Ora la necessità è di far conoscere, estendere e incentivare sempre di più il microcredito creando un “fondo rotativo di microcredito” con l’obiettivo di prestare denaro a tasso d’interesse zero a piccoli gruppi di persone, preferibilmente donne, per iniziare un’attività commerciale o un’attività produttiva.

Chi volesse avere maggiori informazioni sul progetto può contattarci al numero 339 2546932 (Ruggero) o all’indirizzo mail associazioneains@yahoo.it


(articolo pubblicato su IL SETTIMANALE PAVESE il 10 novembre 2010)

12 novembre 2010

Il giornalismo? Si fa con le gambe


Ettore Mo: «Difendo la testimonianza diretta, bisogna andare sul posto»

PAVIA. Nel giugno del 1962 un giovanotto si presenta da Piero Ottone, all’ufficio di corrispondenza del Corriere Della Sera di Londra. Vuole fare il giornalista, lascia tre articoli e l’itinerario per l’Estremo Oriente della nave su cui è imbarcato come steward. Arrivato a Hong Kong, il giovanotto trova una lettera di Ottone, gli comunica che sa tenere la penna in mano ed è «persona atta» a fare il giornalista. La carriera di Ettore Mo, 78 anni, inviato e firma di punta del Corriere, è iniziata così, dopo una serie di lavori da giramondo: istitutore di ciechi nel Vicentino (li faceva giocare a calcio mettendo i sassi nelle scatole di latta per orientarli con il rumore), insegnante di francese in Spagna, cameriere a Parigi a due passi dalla Sorbona, barista sull’isola di Jersey, lavapiatti a Stoccolma e cantante di night a Piteo, sotto il circolo polare, dove intonava «O’ sole mio», «Funiculì, funiculà», finchè non scoprirono che era senza permesso di soggiorno, infermiere nell’ospedale degli inguaribili di Londra. Infine marinaio sulle rotte dell’Estremo Oriente e l’approdo a Fleet Street, la via dei giornali di Londra, all’ufficio del Corriere. Nel 1979, Mo, viene spedito a Teheran (ci arriva in taxi da Ankara), in piena rivoluzione komeinista. E’ l’inizio della carriera da inviato che lo porterà su tutti i coflitti e sui luoghi più disparati e disperati del mondo, vincendo una quarantina di premi, tra cui l’Angelini nel 2006.

A Pavia è un po’ di casa?
«Mi fa piacere tornare - dice -. Mia figlia ha studiato medicina alla vostra Università; qui ho conosciuto lo scultore e mio omonimo Carlo Mo, che mi parlava della sua Pavia e della sua Genova; qui mi è stato assegnato il premio Angelini».
Il governo sostiene di aver mandato i nostri soldati in Afghanistan in missione di pace ma gli afgani, come lei scrive, li considerano «truppe d’occupazione», perchè?
«Gli alleati occidentali hanno mandato i soldati per aiutare il governo afghano a mantenere la pace ed evitare che il conflitto si estenda. Ma per la popolazione sono truppe d’occupazione e quando arrivi a Kabul questa percezione è netta».
Italiani brava gente, è un detto ancora valido?
«Credo che questa impressione sia rimasta, senza dubbio i nostri soldati si sono comportati bene, hanno sostenuto la popolazione civile. Inoltre l’Italia non è direttamente coinvolta nella storia e nei coflitti dell’Afghanista e dell’Iraq».
E’ possibile un ritiro?
«Tutti ce lo auguriamo, noi e loro. Ma questo dipende da come e quanto i loro apparati civili e soprattutto quelli militari saranno in grado di funzionare da soli. Riusciranno a difendersi, saranno in grado di sventare un golpe?»
Un posto che le è rimasto impresso?
«La Cecenia, a Grozny sparavano da tutte le parti, i cecchini erano ovunque, la gente viveva nelle cantine. Ero con Milena Gabanelli e ci spostavamo dietro i carri armati francesi per non essere impallinati. Veramente pericoloso».
Come è passato dalla redazione degli spettacoli alla guerra?
«Nel 1979 il direttore Franco Di Bella mi ferma in corridoio e mi chiede se ho il passaporto: “Sì che ce l’ho”. “Allora preparati a partire per Teheran”. Incredulo, gli chiedo: “Franco, hai bevuto?” “No, non ho bevuto - mi risponde - e ricordati che io butto in acqua soltanto quelli che so che sanno nuotare. Adesso sbrigati a partire”. E così, dagli spettacoli, dalla Scala di Milano, sono piombato a Teheran, dall’Elisir d’amore sono arrivato in mezzo alla guerra».
Lei ha seguito molto il Libano, Israele e i palestinesi. Lo status di Gerusalemme è una questione millenaria. Riuscirà Obama a trovare un compromesso di pace?
«Penso che Obama, anche se ora è in difficoltà, sia il presidente americano che più di ogni altro possa porre le basi per una pacificazione. Non so se ce la farà e non oso pronunciarmi, rischio di essere rimproverato dagli storici».
Internet sta cambiando i giornali, la stampa è percorsa da una crisi per alcuni aspetti irreversibile. L’Economist ha scritto che la fine della carta stampata avverà nel 2049. Cosa ne pensa?
«Io sono un difensore della testimonianza diretta, senza non c’è giornalismo. Però la testimonianza diretta sui giornali è sempre più rara. Quasi tutti i giornali, anche quelli grandi, sono scritti a tavolino. I giornalisti non si muovono o si muovono poco. Mandare un inviato in giro per il mondo costa, soprattutto come il mio caso con un fotografo appresso. I giornali tentano di eliminare questa spesa. La massa di informazione che arriva sulla scrivania tutti i giorni, attraverso le agenzie ed internet, ha creato l’illusione che si possa scrivere una corrispondenza restando in ufficio. Questo va sfatato».
Perchè?
«Se non vai sul posto, se non conosci intimamente la situazione, se non frequenti un paese fino al punto che diventi familiare, nel senso che partecipi ai suoi drammi, non ci può essere vero giornalismo. Io provo disagio per i giovani che si avvicinano oggi al giornalismo, perchè le possibilità di andare sul posto, di testimoniare direttamente, sono sempre più rare. Ormai il giornalismo è fatto a tavolino: taglia e incolla, taglia e incolla. Ma è molto più facile scrivere di un avvenimento sul posto che farlo a distanza, con agenzie o internet».
Paghiamo l’avvento di internet?
«Internet è necessario per aiutare i giornalisti a fare bene il loro mestiere: arrivano a Kabul o a Kandahar, ed hanno una serie di informazioni in più a portata di mano. Ma l’illusione che i giornali possano sopravvivere senza testimonianza diretta mi preoccupa».
Il giornalista che ha ammirato di più?
«Egisto Corradi, ha fatto il giornalismo di guerra in presa diretta sul posto, sobrio e preciso. Memorabili i suoi articoli dal Vietnam. Mi ha in qualche modo insegnato come fare l’inviato. Una volta ho incontrato il nipote di Winston Churchill, giornalista, e mi ha chiesto da dove venissi. Quando gli ho detto dall’Italia, dal Corriere della Sera, ha esclamato “Allora conosci Egisto Corradi”. “Certo”, ho risposto. E lui ha detto sempicemente “you have the best”, avete il migliore».
Che ricordo ha di Corradi? «Era di estrema modestia, quando lo vedevo avanzare da via Moscova, col suo passo ciondolante, mi inginocchiavo e dicevo: “Maestro, dammi la benedizione”. Lui mi prendeva per il ciuffo e mi diceva: “Alzati, burlone”. E’ sua la frase che questo mestiere si fa con le suole delle scarpe, ovvero andando sul posto».
Il suo scrittore e libro preferito?
«Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez, mi affasciana il suo modo di raccontare, di mischiare realtà e fantasia in modo formidabile».
Lei è appena stato in Sudamerica, cosa ci racconterà?
«Sono stato in Cile, prima che fossero liberati i minatori. Poi sono andato a vedere una orchestra di un centinaio di ragazzini che suonano musica barocca nella selva amazzonica. Infine sono stato nel paese della longevità, in Bolivia, vicino a Santa Cruz, dove ci sono dei vecchietti che sono arrivati a 115 anni e qualcuno anche oltre e dove un’osteria vende l’agua de hierro, l’acqua di ferro».
Un anedotto da inviato giramondo?
«Prima dei cellulari, il problema degli inviati speciali era dettare il pezzo al giornale e la linea telefonica diventava questione di vita o di morte. Siamo negli anni 80 a Beirut, tutti gli inviati all’albergo Intercontinental, dalle sette di sera, lottano con i telefoni. Tutti, tranne Leonardo Vergani: quando la telefonista sente la voce di monsieur Verganì, trova subito la linea. Dopo settimane, prima di partire, un po’ per cortesia e un po’ per curiosità, i due si danno appuntamento nella hall dell’albergo. Vergani, prudente, si presenta un quarto d’ora prima, col Corriere in tasca, in segno di riconoscimento, e vede entrare una signorina, bassotta e paffutella, che si siede all’ingresso, ruotando gli occhi in cerca di qualcuno. Vergani butta il giornale e si avvia all’uscita. Proprio in quel momento entra un operatore televisivo, i due si conoscono. L’operatore sta per salutare Vergani, ma lui come un fulmine lo previene e ad alta voce gli dice “Ciao Vergani”. Ed esce. La telefonista balza in piedi: “Monsieur Verganì, monsieur Verganì”. Bene, la telefonista e l’operatore tv si sono felicemente sposati e hanno messo su famiglia a Roma».

LIETO SARTORI, La provincia poavese-10 novembre 2010

RITORNA LA MOLANA....E SE VOLETE ADOTTARE UN MICETTO...

ciao a tutti,
questa settimana la nostra newsletter spazia dai prodotti del nostro orto, ad un'importante iniziativa di carattere sociale organizzata da AINS, per arrivare a parlare dei servizi di ristorazione gestiti dalla Cooperativa Sociale Arkè :

  • Partiamo questa volta dai formaggi del microcaseificio "Cima Colletta" del Brallo di Pregola per darvi notizia di un ritorno stagionale che molti aspettavano ; a partire dalla prossima settimana sarà disponibile la"molana", il formaggio a pasta molle che viene prodotto solo nei mesi più freddi perchè necessita di una lavorazione della cagliata a temperature molto basse . Il formaggio ha pezzature che vanno dai 700 ai 100 gr circa e potete ordinarlo fino a venerdì sera .
  • Per quanto riguarda il nostro orto e quello di "Mulino di Suardi", terminati i fagiolini e l' insalata milanese, possiamo offrirvi lattuga cappuccio, insalata lollo, erbette biete, puntarelle, verza, cavolo rosso, cavolfiore, broccoli, finocchi, cavolo nero e cavolo a cappuccio . Sono in campo ed arriveranno nelle prossime settimane Cicoria palla rossa, radicchio, porri, cime di rapa .
  • Vi segnaliamo poi un' importante iniziativa che vede coinvolta l' associazione AINS ( Associazione Italiana Nursing Sociale ) , in collaborazione con il Centro servizi per il volontariato. Lunedì 15 novembre alle ore 21, nella sala Parrochiale di S. Martino Siccomario, Ruggero Rizzini ( presidente dell' associazione ) ed il regista Filippo Ticozzi parleranno del loro recente viaggio in Guatemala, dove hanno avuto modo di verificare lo stato dei progetti agricoli, di sostegno all' imprenditoria locale, e scolastici finanziati dall' associazione . Nell' occasione verrà presentato anche il progetto del documentario realizzato da Ticozzi che illustra le condizioni dell' infanzia nel paese .

  • Il negozio "Il Mercatino", gestito dalla cooperativa Sociale La Piracanta, presso il quale potete anche prenotare o ritirare la vostra spesa Balancin, ci segnala la possibilità di adottare un micetto dei 5 nati il 18 ottobre e di cui vi alleghiamo la fotografia . Per informazioni potete rivolgervi a Giulia presso il Mercatino ( corso Garibaldi 22 ) o telefonando allo 0382 468664 .

  • Infine, torniamo ai servizi di ristorazione a "km zero" che la cooperativa Arkè sta cercando di promuovere sul territorio . La Fondazione " Adolescere" di Voghera ha affidato ad Arkè, in via sperimentale, la gestione del suo centro di cottura interno.

  • Vi ricordiamo che potete ordinare fino a venerdì sera e che il nostro spaccio è aperto ogni martedì dalle 14 alle 17.30. Dalle 18 alle 19.30 è attivo un servizio di consegna a domicilio, per chi lo desiderasse . E' possibile prenotare la propria spesa anche presso il "Mercatino", in C.so Garibaldi n° 22 .

    grazie a tutti per il sostegno
    ------------------
    Fattoria Sociale Balançin
    Via Pollaioli, 4 - 27100 Pavia
    fattoria.sociale@arke-coop.it
    http://balancin.arke-coop.it

10 novembre 2010

Aldea Chanrayo, incontro con le dieci donne del progetto “caffe di soya”

Registrazione del 12 ottobre 2010

Alvaro: “Sono oggi qui con voi accompagnato da due amici dell’Italia. Ruggero, presidente dell’associazione ains onlus che sta appoggiando l’organizzazione Moises Lira Serafin anche in questo progetto di lavorazione della soya che è poi la soya che avete ricevuto per trasformarlo in latte. Il progetto prevedeva anche un periodo di formazione, se vi ricordate, che vi è stata fatta qualche mese fa. Ains ha appoggiato anche questo progetto di microcredito attraverso l’associazione Moises Lira per iniziare questa vostra piccola impresa. Con Ruggero c’è Veronica che è metà del Guatemala e metà italiana perché suo papà è del Guatemala. È la prima volta che viene qui in questa area ma sono molte le volte che è venuta nel nostro paese che è anche un po il suo. Il presidente di ains, Ruggero, sono 12 anni che viene in Guatemala. Lui venne con Giulia, se vi ricordate, la sposa, a gennaio quando stavate lavorando la soya e con la massa rimanente dalla bollitura e successiva spremitura dei semi, abbiamo cucinato gli spaghetti. Noi che seguiamo il progetto settimanalmente siamo molto contenti perché questo progetto di produzione di caffè di soya sta funzionando bene e sono 2-3 mesi che viene prodotto con un guadagno giornaliero per le donne di 30 quetzales (circa 3 euro). Il progetto è partito anche se la strada da percorrere è ancora lunga. La nostra speranza è che entro un anno possano, attraverso la vendita, tenere il proprio capitale dopo aver pagato il credito iniziale e continuare questo progetto. Attualmente riescono, attraverso la vendita, a pagarsi solamente le giornate di lavoro. Però siamo fiduciosi perché il caffè di soya è un prodotto molto apprezzato dalle famiglie, che sostituisce il caffè nell’alimentazione dei bambini e degli anziani essendo più leggero”.
(rivolgendosi alle donne del gruppo)
Ora vi chiedo di presentarvi agli amici italiani dicendo il vostro nome, cognome, quanti figli avete e come vedete il progetto. Chi comincia?”.
Io ho 5 figli e mi chiamo Lucila”.
Io 3 figli e mi chiamo Clara Luz Castro”.
Io sono Juventina Castro Ortiz e ho 5 figli”.
Alvaro: “Lei è la padrona della casa che mette a disposizione gratuitamente per lavorare la soya”.
Io sono Alicia e ho 8 figli”.
Io Livia e ho 10 figli”.
Io Maria Elena e ho 4 figli vivi”.
Io Olivia e ho 9 figli vivi e 2 morti”.
Io Vilma Jolanda e ho 6 figli”.
Io Ersilia e ne ho 11 però ne ho 9 vivi e 2 morti”.
Io mi chiamo Veronica e ho 4 figli e sono incinta del quinto”.
Alvaro:
Si fa controllare alla clinica medica mobile che c’è lungo la strada per arrivare alla comunità? Va dal dottore?”.
Veronica: “No, non vado”.
Alvaro:
Raccontate agli amici italiani come vedete il progetto…se avete litigato (sorrisi delle donne)….come vi pare il progetto, se state guadagnando bene, quali sono le difficoltà, come pensate di migliorarlo, come continuarlo…”.
Juventina Castro Ortiz: “Per noi questo progetto è un’alternativa per aiutare economicamente la nostra famiglia. Guadagnando 30 quetzales (circa 3 euro) per ogni giorno di lavoro nel progetto abbiamo migliorato la nostra alimentazione e quella dei bambini, riusciamo a mandarli a scuola comprando loro un quaderno o un libro quando serve e riusciamo singolarmente a risparmiare”
Alvaro: “Voi cosa facevate prima di iniziare questo progetto
?”.
Clara Luz Castro: “La maggior parte di noi, prima, non aveva nessun lavoro fisso. Eravamo in casa a pulire, cucinare e guardare i nostri figli. Io quando trovavo della frutta andavo al mercato a venderla. Solo questo che faccio anche ora
”.
Alvaro:E quanto guadagnava andando a vendere la frutta?”.
Clara Luz Castro: “
Dipende…”.
Alvaro: “
Più o meno quanto?”.
Clara Luz Castro: “
duecento o trecento quetzales….”.
Alvaro: “
al mese?”.
Clara Luz Castro: “No, in 2-3 giorni però non sempre. Guadagnavo bene però c’era la spesa del trasporto con il pikup, due volte al giorno e il cibo per me, per le tortillas”.
Alvaro: “E oltre a questo lavoro cosa fate durante il giorno? Andate a seminare il mais e i fagioli o state solo in casa?”.
Ersilia: “No, oltre alla casa andiamo anche nei campi a seminare o a pulirli quando serve…”.
Alvaro: “
E cosa dice vostro marito di questo progetto con la soya?”.
Ersilia: “E’ contento. Portiamo a casa i soldi e loro sono contenti”.
Alvaro: “
Solo per questo?”.
Ersilia: “Sono contenti perché ci vedono contente”.
Alvaro: “
Bene…..continuiamo a collaborare, ad appoggiarvi sia come associazione Moises Lira, come Ains e come C.F.C.A. che appadrina (sostiene scolasticamente) i vostri figli. Continuiamo insieme a lavorare perché è importante che voi abbiate la possibilità di creare una piccola impresa che sia fonte di guadagno. Avete visto quanta è stata importante la formazione e quanto sia stato utile l’incontro con gli amici di Aguahiel che sono venuti ad insegnarvi come trattare i semi di soya. Questo scambio di conoscenze è molto importante. Noi abbiamo molta fiducia in voi e siamo convinti che attraverso il vostro impegno, il vostro lavoro, si possa cambiare la situazione vostra famigliare e della comunità. Entro un anno pensiamo che si possa migliorare il progetto. Ieri siamo andati a visitare il gruppo di donne del progetto shampoo e abbiamo visto quanto è migliorata la loro situazione economica e famigliare. Ora loro guadagnano 50 quetzales per giornata lavorativa, hanno restituito i due crediti prestati e con l’interesse mensile hanno iniziato a risparmiare. Sono passati 16 mesi da quando è partito il progetto, voi siete partiti dopo, però sonono convinto che lentamente, senza avere fretta riuscirete anche voi ad arrivare agli stessi risultati. Noi non possiamo solamente darvi aiuti e quetzales, non sarebbe giusto. Dobbiamo insieme pensare ad un progetto e lavorare. Quanto vi sta aiutando la soya?”.
Juventina Castro Ortiz: “Abbastanza perché sostituisce i fagioli che costano molto”.
Alvaro: “Quest’anno il costo è aumentato molto. Proprio oggi alcuni collaboratori di C.F.C.A. sono in capitale per acquistare 10 quintali di soya e per telefono mi hannocomunicato che il costo da 225 quetzales è passato a 350. E’ aumentato di 125 quetzales ed è difficile darlo a tutte le 200 famiglie del progetto scolastico di C.F.C.A. Per questo motivo è importante il progetto di lavorazione per creare un sistema di autofinanziamento. Staiamo comunque cercando un’altra organizzazione che ci possa aiutare per fare il latte di soya……vedo che vi piace molto….”.
Ersilia:”Si, il caffè ci piace molto e lo stiamo consumando. Lo devono soprattutto i bambini perché è più nutriente e più leggero”.
Alvaro:”Bene, noi siamo molto contenti del lavoro che state facendo e vi chiediamo di continuare a lavorare unite, insieme e se avete qualche problema parlatene prima tra di voi per trovare una soluzione e se poi avete bisogno sapete che noi ci siamo”.

Alvaro Aguilar Aldana – Centro Nutrizionale

Registrazione dell’8 ottobre 2010

Questa registrazione è stata fatta nella sede di C.F.C.A. a El Rancho chiedendo espressamente ad Alvaro di raccontarci la sua idea del progetto “Centro Nutrizionale”.Oltre ad Alvaro erano presenti Veronica, Filippo,Nicola e Ruggero

Alvaro:Si è pensato a questo progetto vista la situazione nutrizionale di molti bambini che vivono nelle aldee di Chanrayo, Sheilly e Las Sidras. Bambini che abbiamo incontrato perchè i genitori li hanno portato qui nella sede di C.F.C.A. con un problema di nutrizione severa che noi chiamiamo Kwashiorko. Erano gonfi nel viso e in tutto il corpo a causa della denutrizione e della malnutrizione. Considerate che in alcune famiglie l’alimentazione giornaliera è soli di fagioli, caffè e tortillas. Vista la situazione di questi bambini e delle loro famiglie abbiamo iniziato a pensare cosa potevamo fare per aiutarli, arrivando a concludere che è necessario un centro dove portarli per curarli. Un giorno venne qui nell’officina una signora che mi disse che aveva un terreno che voleva regalarmi perché io lo usassi attraverso un progetto per i poveri.
Con questo regalo abbiamo avuto la possibilità di pensare alla fattibilità di un progetto come quello del centro nutrizionale. Il terreno è a El Rancho ed è più o meno di 30 metri x 25. Pensando a come vogliamo il centro
lo vediamo un po’ piccolo però ci accontentiamo e con questo terreno vogliamo cominciare.
Inizialmente abbiamo pensato ad un centro di recupero nutrizionale però una volta recuperati i bambini, ritornano nell’aldea, nella comunità dove vivono e cosa succede in quella famiglia se non c’è un lavoro di formazione anche con i genitori? Se non si lavora con la madre e con il padre sull’alimentazione? Se non si da alla famiglia l’opportunità di un’attività commerciale che possa creare reddito?
Per cui si è pensato ad un centro dove si recuperi il bambino malnutrito e denutrito e poi si lavori con la madre attraverso la formazione e in alcuni casi si possa dare anche formazione agli uomini, ai padri di famiglia nella questione agricola perché abbiamo visto, per esempio, che in alcune aldee non si è potuto coltivare causa la siccità per cui dobbiamo considerare un processo di formazione dove la gente può generare una propria fonte di guadagno, con quello che sa fare, insegnandole un po’ di più sulla questione agricola.
E alle donne dare formazione sulla microimpresa, sulla piccola finanza e in alcune manualità che loro possono fare.
Questa è l’idea generale del centro. Sarebbe un centro integrale e grandissimo che coprirebbe le necessità presenti nella zona lavorando con le comunità che abbiamo visitato insieme in questi giorni come Las Sidras, Aguahiel, El Poshte, Conacaste, Chanrayo che è una comunità di 700 famiglie. El Poshte è invece una piccolissima aldea di 12 famiglie. Per realizzare questo progetto c’è bisogno di appoggio. Addizionale a questo si vorrebbe creare un progetto di microcredito per creare un fondo che a sua volta possa generare una piccola rete di imprese familiari. Questo sarebbe molto importante per lo sviluppo delle persone.
Il progetto è abbastanza grande se lo si vede nella sua globalità. Se lo si pensa solo dal punto di vista nutrizionale è limitato. Deve essere integrato con la formazione e tutto il resto.
Certo, un bambino bisognoso necessita di cibo ed alimenti ma questo sarebbe solo
assistenzialismo se non si integra con altri processi per poter arrivare allo sviluppo comunitario.
Altra idea che abbiamo avuto è quella di creare una specie di mensa per i poveri in quanto nella zona ci sono anziani che hanno bisogno di mangiare per cui apriremo una mensa dove si possono dare fagioli, riso e tortillas. L’alimentazione base della nostra gente. Oltre al caffè.
Un piatto di fagioli non si nega a nessuno. E poi chi viene a mangiare potrebbe dare una mano in piccoli lavoretti utili per mantenere il centro.
Però non solo. Un centro come questo permetterebbe all’associazione Ains di avere una propria identità. Se C.F.C.A. ha la propria identità, penso che anche Ains debba avere la propria. Non che non sia conosciuta a El Rancho o nelle aldee però sono sempre gli italiani. Sono conosciuti così.
Altra idea sarebbe quella di ospitare nel centro giovani che possono studiare nella scuola pubblica e durante la settimana lavorare nel centro come volontari.
Ci sono tanti giovani nelle aldee che vogliono studiare ma non lo possono fare per scarse risorse economiche perché le famiglie sono povere e non si possono permettere di pagare la quota d’iscrizione mensile.
Potrebbero venire al centro, venire ospitati, studiare e lavorare.
Io mi immagino questa struttura, entro 5 anni, molto grande che avrà bisogno di volontari oltre a personale dipendente.
Però…..incominciando poco a poco….
Ruggero:Intanto ci sono già 300 mila quetzales ( circa 30 mila euro) da investire come fondo di ains per il progetto. C’è un gruppo di ingegneri che verranno in Guatemala per collaborare e poi tanta buona volontà, entusiasmo e idee.
Se ci diamo 5 anni di tempo diventa un progetto importante. Cinque anni per iniziare a lavorare. Certo, per costruirlo ci vogliono 4-5 mesi…il problema è trovare i finanziamenti per farlo funzionare. Autofinanziarsi
”.
Alvaro:Io credo che il progetto è già iniziato con le collaborazioni nelle varie aldee. Si deve solamente continuare a concentrare le energie per il centro. Occorre poi creare una rete di collaborazioni coinvolgendo altre organizzazioni. In Guatemala abbiamo contatti con i Cavalieri di Malta, con un’organizzazione spagnola che è interessata e ora sta aiutando nella formazione alle donne nell’area occidentale del paese. A loro potremmo chiedere che ci aiutino, ad esempio, per la formazione alle donne dell’area rurale. Ci sono poi imprese guatemalteche che collaborano con noi di C.F.C.A. da diversi anni: abbiamo ricevuto sapone da distribuire, 2-3 quintali di avena e sono fiducioso che possiamo ottenere molto quando avremo una struttura come il centro. Sono fiducioso. Quello che abbiamo definito bene quando si è discusso del progetto è che il centro non deve dipendere da nessuna persona, deve continuare indipendentemente. Se io non ci sono, domani il centro deve andare avanti da solo. È importante anche trovare una forma di autofinanziamento come la piccola farmacia e una tienda solidaria dove si possono comprare prodotti dal contadino e venderli in bottega tenendo un piccolo margine di guadagno per continuare a sostenere il centro”.
Nicola:Noi cosa possiamo fare quando torniamo in Italia?”.
Alvaro:Già il fatto che voi siete qui è importante e potete parlare dell’idea del centro con più gente possibile, coinvolgere più persone quando tornate in Italia. In futuro se ci sono volontari che vogliono venire a fare un’esperienza di solidarietà, è importante coinvolgerli per una crescita personale passando, trascorrendo, per esempio un giorno come avete fatto voi a El Poshte, con la gente dell’aldea. Penso che questo sia una crescita personale.
Oggi Elmer, il ragazzo che vi ha accompagnato, ha raccontato dell’esperienza di 24 ore vissute con voi e diceva agli altri ragazzi di C.F.C.A. “ perché non facciamo l’esperienza di andare in gruppo a dormire una notte in una aldea? Con la gente?
Alcune delle ragazze hanno espresso qualche dubbio ma Elmer ha risposto “si, andiamo!!!
Sarebbe molto importante conoscere la realtà dove vive questa gente, vivere con loro come avete fatto voi per fare il documentario. Cosa si prova a stare un giorno condividendo tutto.
Questo può essere un’esperienza per i volontari che vengono qui dall’Italia".
Filippo:"Turismo responsabile".
Alvaro: "E questo potrebbe generare anche lavoro nell’aldea con l’arrivo dei volontari perché nell’aldea si darebbe da mangiare e da dormire. Si creerebbe una fonte di lavoro con il turismo contribuendo a creare viaggiatori che pensano, che vedono. Volontari che poi possono venire a fare un’esperienza nel centro".