6 gennaio 2010

Se oggi il pane va nei rifiuti

Lo scandalo ai tempi della crisi. E gli aiuti sono pochi.

scritto da Emanuele Chiodini
pubblicato da La Provincia Pavese il 6 gennaio 2010

Una notizia di queste ultime ore ha destato un giusto e ovvio senso di scandalo: ricordare all’opinione pubblica che nella sola città di Milano ogni giorno, tra la spazzatura varia, finiscano anche 180 quintali di pane, suscita in molti sgomento, e la cosa fa riflettere in quanto ulteriore e caratterizzante segno di contraddizione in questi tempi di «crisi». Crisi evidentemente economica: tutti gli indicatori reali sono lì a confermare un ciclo di disagi che durerà, come minimo, più di un decennio; ma ancor più crisi di senso. A cominciare dal pane.

Le mense. Vorrei porre alcuni quesiti locali. Non molto tempo fa questo giornale ha pubblicato la turbata situazione in cui versano le mense cosiddette «dei poveri o del fratello» operanti a Pavia. Un’opera e un segno quotidiani di solidarietà i quali, a quanto si rileva, in questi tempi di «crisi» faticano a trovare cibo a sufficienza per sopperire e sopportare le crescenti richieste giornaliere degli avventori marginalizzati dalla nostra società di consumi e privilegi. Orbene, parlando del «macro»: qual è la fine delle vivande ancora integre e inutilizzate dalle diverse strutture ospedaliere cittadine? Allo stesso modo, che fine fanno, le giacenze di cibo invendute dei centri commerciali, supermercati e ipermercati? E il pane inveduto dei panificatori viene in qualche modo riutilizzato?

L’educazione. Parlando invece del «micro» che rimane, il problema maggiore, a mio avviso, è quanto di educazione, tramandata dalla memoria, magari contadina, tra fede e altri importanti valori civili, è rimasto nei nuclei familiari odierni. A quanto pare, assai poco. Se non c’è memoria, non c’è coscienza. E non c’è vera educazione. Se non c’è coscienza di quello che accade intorno a sè, diventa «normale» gettare nel cassonetto anche il pane e il cibo avanzato. E si regredisce anzichè camminare in avanti in concretezza e consapevolezza.

In Guatemala. Vorrei fare tre brevi esempi al riguardo desunti, non da manuali, ma dalla pratica e dall’esperienza. Un anno fa in Guatemala, gennaio 2009, insieme ad altri due miei amici, mi trovavo presso la Casa d’Accoglienza per bambine di Mazatenango. Al nostro arrivo trovammo una situazione gravemente compromessa per quanto riguardava il vitto; bambine e suore mangiavano tre volte al giorno: caffè solubile e allungatissimo, tortillas di mais e fagioli cotti. Mattino, mezzogiorno e sera. La casa era alla fame.

Il pianeta. Con 5000 euro dei fondi raccolti nel 2008 abbiamo garantito il vitto per un anno a 40 persone. Ognuno tiri le sue somme... Guatemala, pianeta terra: lì dallo sciacquone, nessuno può permettersi di gettare via nulla. Le suore e le bambine ci ricordavano che, qualunque essa fosse, la «comida es sagrada»: il cibo è sacro. Il pane gettato nella spazzatura diventa così un’immensa vergogna, un fatto di pura oscenità davanti alla situazione della fame presente sul pianeta e in fianco a casa nostra.

Stile di vita. Mia nonna Virginia, quinta elementare, Oltrepo pavese, tanti rosari e una vita passata a lavorare in campagna, mi ricordava fin dalla prima infanzia che «il bambino Gesù si era rotto una gamba, cadendo dall’asino, per raccogliere una briciola di pane». Qualcuno dalle abitudini digitalizzate riderà davanti a queste note. Invece farebbe bene a riflettere: sul proprio stile di vita e sul vuoto di valori e di cultura, persino quella spicciola ma assai determinante, e di ricerca di normale sensatezza, di cui questo tempo post-moderno e post-nonsochè è foriero. Lo stile di vita proposto da mia nonna attualizzato diventa ancora una volta: solidarietà e sobrietà, sennò non ne usciamo. Leggiamo, rileggiamo e meditiamo un libro uscito l’anno passato scritto da Enzo Bianchi, il priore del Monastero di Bose, il cui titolo è: «Il pane di ieri». Che è sempre buono anche domani come Bianchi stesso ci ricordava. Come tutti gli affamati ci ricordano: quelli del pane e quelli della giustizia.

5 gennaio 2010

Guatemala che succede?

Sesto San giovanni (MI), 25 novembre 2009
di Monica Mazzoleni, Amnesty International, gruppo Italia 108 di Vimercate

Presentazione del documentario “Historia de Guatemala” con Dante Liano.

Interessante serata ieri alla Biblioteca Civica di Sesto San Giovanni (MI) dove è stato presentato il documentario “Historia de Guatemala” dei giovani registi Anna Miranda Recalde e Nicola Grignani e prodotto dall'associazione Ains onlus.

Oltre a Nicola Grignani era presente il Prof. Dante Liano, scrittore guatemalteco, docente di letteratura ispanoamericana che ha presentato e commentato il documentario iniziando dall’affermazione che l’America Latina è oggi un interessante laboratorio di quello che può succedere ovunque nel mondo.

A gestire la serata Felice Cagliani, Presidente del Consiglio comunale, che ha ribadito con forza la sua convinzione che la paura verso l’altro e il diverso si sconfigge con il dialogo, il confronto e la conoscenza.

Il documentario “Historia de Guatemala” è espressione di un viaggio alla ricerca dei veri volti del Guatemala. Volti e testimonianze di abuso dei diritti umani e della resistenza pacifica degli indios.
Una resistenza che ha sopportato la guerra interna, iniziata nel 1954 con un colpo di stato in cui la multinazionale United Fruit Company ha avuto un ruolo importante, e terminata nel 1996 con gli accordi di pace. Dante Liano ricorda che si è tratta di una guerra dichiarata dallo stato. Una guerra che ha prodotto 200.000 morti, 400 villaggi scomparsi, cioè villaggi letteralmente rasi al suolo dai militari che hanno ucciso uomini, donne, bambini, anche animali, 40.000 desaparecidos, più dei desaparecidos argentini, 1.000.000 sfollati fuggiti sulle montagne, 500.000 rifugianti in Messico.
Secondo la Commissione per la verità le forze del governo e i paramilitari furono responsabili del 90% delle violazioni di diritti umani avvenuti durante la guerra. L’Onu ha definito tutto questo genocidio.
Gli accordi di pace prevedevano la consegna delle armi da parte dell’opposizione, in cambio il governo si impegnava a rispettare i diritti delle popolazioni indigene, a ridimensionare il potere dell’esercito, si impegnava nella lotta contro l’estrema povertà, la fame, l’analfabetismo, e dichiarava l’impegno ad adottare finalmente un riforma agraria per una più equa distribuzione della terra.
L’opposizione ha deposto le armi, ma dopo più di dieci anni il governo guatemalteco non ha mantenuto alcuna promessa.
L’oligarchia guatemalteca è uscita rafforzata dalla guerra, mentre gli indios non hanno visto cambiare la loro situazione di emarginazione e ingiustizia sociale.

Dante Liano ha voluto ricordare anche i progressi nella storia Guatemalteca degli ultimi anni.
Innanzitutto l’esistenza di elezioni democratiche che hanno prodotto governi di stampo progressista. La società civile si è rafforzata e sono sorte molte ONG.
Il popolo maya, che rappresenta il 60% dei quasi 13 milioni di abitanti nel Guatemala, è ormai conscio dei suoi diritti, pronto a combattere senza armi per il loro raggiungimento.
Questa coscienza è come una forza “naturale” destinata, dice Dante Liano, a far diventare il Guatemala, entro alcuni anni, un paese indio come lo è per esempio la Bolivia.
Importanti anche le commissioni della memoria storica: la tragedia della guerra è ormai un dato acquisito. Comunque tutti i colpevoli delle atroci violazioni dei diritti umani rimangono impuniti e vivono una vita senza paure. Molti seggono addirittura al parlamento. Uno tra questi è il generale Efrain Rios Montt responsabile della morte di almeno 25.000 persone.

Positivo anche un nuovo movimento ecologista molto forte che si oppone alla devastazione del paese. Come esempio dell’attivismo di questo movimento Dante Liano ricorda la campagna per salvare il lago di Atitlan dall’inquinamento prodotto dagli scarichi degli alberghi.
I lati negativi si esprimono soprattutto nella sostanziale debolezza dello Stato. Gli accordi di pace su cui fonda lo stato guatemalteco sono stati presi tra l’oligarchia, l’esercito e l’opposizione. Non è stato un accordo sociale condiviso da tutti gli strati sociali guatemaltechi.
L’oligarchia tradizionalmente terriera si occupa ora di cemento e finanza. Le nuove élite sono di estrema destra e sostengono con forza il liberismo: sono convinti che una società funzioni bene quando il mercato viene lasciato libero di operare da solo. E questo anche alla luce dei fatti dei questi ultimi tempi, quando la crisi mondiale ha messo seriamente in discussione questo principio.
Dante Liano dice inoltre che ha avuto modo di parlare con alcuni membri dell’oligarchia guatemalteca. Ha constatato che non hanno il senso dello stato e non pensano al bene del paese, pensano semplicemente ai loro profitti.

Altri aspetti negativi sono i poteri paralleli allo stato: il potere dei capi mafiosi che controllano la droga, il traffico degli esseri umani (migranti verso il nord), il traffico dei bambini, il traffico di organi umani, i traffici di opere d’arte maya.
I nuovi ricchi, gli ex militari che si sono riciclati in attività criminali, afferma Dante Liano, sono meglio armati dello stato. Ricorda inoltre che il 97% crimini commessi in Guatemala rimante impunito. Tutto ciò fa crescere nella popolazione un reale senso di insicurezza.
L’ONU è intervenuta sul fronte al problema della giustizia creando la “Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala” CICICG. Un organismo, al di sopra della magistratura, creato per combattere e chiarire i delitti più importanti.
Un altro elemento negativo: la rigidità della mobilità sociale che impedisce il dialogo tra le classi sociali che rimangono sempre più divise mentre la disuguaglianza aumenta.
Altro elemento negativo sono le multinazionali che sfruttano le ricchezze del paese con l’appoggio della politica. Un esempio, riportato anche dal video, è l’impresa mineraria Montana Exploradora che estrae oro in Sipakapa. Il 99% dei profitti vanno alla multinazionale, il resto rimane allo stato.

La produzione richiede moltissima acqua che la multinazionale prende dal fiume che ha dato da vivere alle popolazioni indigene maya. Ora l’acqua scarseggia per gli abitanti di quella regione e presenta fortissime tracce di minerali pesanti che sono molto nocivi alla salute.
Non ultimo il problema dei femminicidi. Una cruenta violenza sulle donne va sviluppandosi in Guatemala, in maniera addirittura maggiore di quella che avviene a Ciudad Juárez in Messico, considerata la città più pericolosa per le donne nel mondo. Ma tutto passa sotto silenzio, i media non ne parlano. Si tratta di una violenza cronica. Si dà la colpa al machismo e alle marras, gruppi di criminalità giovanile. Un ragazzo che vuole entrare nelle marras deve dimostrare di essere abbastanza feroce, deve dimostrare di avere il coraggio di uccidere una donna, meglio ancora se la donna di un rivale, o addirittura la sua donna.

Dante Liano sostiene che i responsabili ultimi non sono i giovani ragazzi, ma i capi mafiosi che hanno il controllo del territorio.
Il punto è che chi si oppone alle ingiustizie rischia di morire. L’unico riferimento per le persone che si oppongono alle ingiustizie e chiedono il rispetto dei loro diritti e della legge è rimasta la Chiesa.
La Chiesa rappresentata dal Mons. Alvaro Ramazzini Imeri, vescovo di San Marcos in Guatemala, già presidente della Conferenza episcopale del Guatemala, anche lui fatto oggetto di minacce di morte. Il Mons. Alvaro Ramizzini da tempo porta avanti la battaglia per la giustizia intrapresa fin dall’inizio dal Vescovo Juan José Gerardi Conedera trucidato due giorni dopo la pubblicazione del rapporto “Nunca más” avvenuta il 25 aprile 2009. Rapporto che raccoglie le terribili testimonianze degli orrori della guerra civile.

Il video “Historida de Guatemala” mostra i volti di un popolo che cerca di vivere una vita dignitosa nella povertà, un popolo che resiste alle ingiustizie, all’impunità, alle violazioni dei suoi diritti.
Rimane impresso lo sguardo stupito, impaurito di una piccola bimba, di forse quattro anni, vestita con il tradizionale vestito coloratissimo maya. Guarda sua madre e l’ascolta parlare. Si trovano insieme ad altri indigeni e si raccontano la loro personale esperienza della guerra. La donna, con il volto segnato da una vita fatta di fatiche, parla degli abusi commessi dai militari, ricorda come davanti a lei uccidevano uomini e donne, vecchi e bambini. E ricorda come lei si sia salvata perché il prete della comunità aveva chiesto pietà e offerto agli assassini cibo.
Si ha l’impressione che la bimba sebbene non riesca a capire a fondo il senso del discorso, colga l’estrema durezza delle parole e senta lo sconvolgimento dell’animo della madre nel ricordare ciò che non si può più dimenticare. Altre donne hanno lacrime agli occhi, sono evidentemente commesse.

Sempre nel video un giornalista che ricorda che ci sono documenti in cui si danno istruzioni ai militari: avevano l’ordine di non usare le armi per uccidere i bambini sotto i quattro anni per risparmiare sul costo dei proiettili. I bambini, sta scritto nero su bianco, dovevano essere presi per i piedi e si doveva far sbattere loro la testa contro il muro.
Appaiono i volti e le testimonianze di Mario Cardenas e sua moglie Micaela, della Cooperativa Katoki. Difensori dei diritti umani più volte minacciati di morte. Ascoltiamo Micaela raccontare di quel giorno, quando hanno trovato i muri del centro educativo Monte Cristo imbrattati di sangue, con impronte di mani e inequivocabili minacce di morte. Ma loro continuano il loro progetto dove elemento importante è l’alfabetizzazione dei bambini e ragazzi.
Dante Liano afferma che sono martiri civili, e che fino a quando ci saranno questi martiri civili, come Mario Cardenas e sua moglie, ci sarà speranza per il Guatemala.
Alla domanda che fare dall’Italia per supportare la popolazione guatemalteca, la risposta immediata dall’Associazione Ains onlus di Pavia che ha organizzato la serata.

Monica Mazzoleni – coord.americalatina@amnesty.it
http://www.amnestygr108.org/blog/guatemala-che-succede.html

Associazione Ains Onlus: ainsonlus.blog.com
Cooperativa Katoki: www.katoki.org

3 gennaio 2010

San Martino, i volontari di Ains portano gli aiuti in Guatemala

Chiara Pelizza, la provincia pavese, 3 gennaio 2010

SAN MARTINO. Sono pronti per partire gli operatori dell’Ains, l’associazione italiana nursing sociale con sede a San Martino che si occupa di progetti benefici e solidali in Guatemala. L’obiettivo per questo Natale appena passato, come per quello scorso, è stato raccogliere beni di prima necessità legati soprattutto all’igiene personale. 318 tubetti di dentifricio e 146 spazzolini che coprono le necessità di igiene orale per un intero anno per le 35 bambine ospiti della casa «Santa Maria de Jesus» di Mazatenango, città situata nel nord del Guatemala al confine con il Messico. Le offerte hanno portato ad un risparmio per la scuola pari a 600 Euro. «Un bel traguardo, raggiunto grazie ai sostenitori della nostra associazione» dice il presidente Ruggero Rizzini che l’8 gennaio con Giulia Dezza, un’altra volontaria, partirà alla volta del Sud America per consegnare il materiale raccolto. Per informazioni: Ruggero Rizzini 339.2546932 oppure presso l’edicola Chiodini di via Roma a San Martino o presso il mercatino della cooperativa La Piracanta di Corso Garibaldi 22 a Pavia.

DISCORSO ALL’UMANITA’

Mi dispiace, ma io non voglio fare l'Imperatore, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti se possibile: ebrei, ariani, neri o bianchi.Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, ma non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci l'un l'altro. In questo mondo c'è posto per tutti, la natura è ricca ed è sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l'abbiamo dimenticato. L'avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell'oca, verso l'infelicità e lo spargimento di sangue.Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi in noi stessi. Le macchine che danno l'abbondanza ci hanno dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l'abilità ci ha resi duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d'intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto.L'aviazione e la radio hanno ravvicinato le genti: la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell'uomo, reclama la fratellanza universale, l'unione dell'umanità. La mia voce raggiunge milioni di persone in ogni parte del mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che costringe l'uomo a torturare e imprigionare gente innocente.A quanti possono udirmi io dico: non disperate. L'infelicità che ci ha colpito non è che un effetto dell'ingordigia umana: l'amarezza di coloro che temono le vie del progresso umano. L'odio degli uomini passerà, i dittatori moriranno e il potere che hanno strappato al mondo ritornerà al popolo. Qualunque mezzo usino, la libertà non può essere soppressa.Soldati! Non consegnatevi a questi bruti che vi disprezzano, che vi riducono in schiavitù, che irreggimentano la vostra vita, vi dicono quello che dovete fare, quello che dovete pensare e sentire! Non vi consegnate a questa gente senz'anima, uomini-macchina, con una macchina al posto del cervello e una macchina al posto del cuore!Voi non siete delle macchine! Siete degli uomini! Con in cuore l'amore per l'umanità! Non odiate! Sono quelli che non hanno l'amore per gli altri che lo fanno.Soldati! Non combattete per la schiavitù! Battetevi per la libertà! Nel diciassettesimo capitolo di san Luca sta scritto che il regno di Dio è nel cuore degli uomini.Non di un solo uomo, non di un gruppo di uomini, ma di tutti voi. Voi, il popolo, avete il potere di creare le macchine, di creare la felicità, voi avete la forza di fare che la vita sia una splendida avventura. Quindi in nome della democrazia, usiamo questa forza, uniamoci tutti e combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore, che dia agli uomini la possibilità di lavorare, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza.Promettendo queste cose i bruti sono saliti al potere. Mentivano: non hanno mantenuto quella promessa e mai lo faranno. I dittatori forse sono liberi perché rendono schiavo il popolo, allora combattiamo per quelle promesse, combattiamo per liberare il mondo eliminando confini e barriere, l'avidità, l'odio e l'intolleranza, combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere.
Soldati uniamoci in nome della democrazia!

Hannah, puoi sentirmi? Dovunque tu sia abbi fiducia, guarda il cielo.Hannah! le nuvole si disperdono, comincia a splendere il sole. Poi usciremo dall'oscurità verso la luce, vivremo in un mondo nuovo, in cui gli uomini si solleveranno al di sopra della loro avidità, del loro odio e della loro brutalità..Guarda il cielo, Hannah! L'animo umano troverà le sue ali e finalmente comincerà a volare sull'arcobaleno.Guarda il cielo, Hannah! Guarda il cielo!

(Charlie Chaplin, Il grande dittatore)