27 novembre 2011

Esperienza infermieristica in Guatemala

di Cristina Campano,
Infermiera di Domodossola

Dal 1° al 18 ottobre sono stata in Guatemala con un progetto di “interscambio culturale e professionale alla pari tra operatori sanitari”, organizzato dall’AINS di Pavia (Associazione Infermieristica Nursing Sociale) e pubblicizzato dalla sezione pavese dell’IPASVI.

Cristina (a destra) in compagnia di Eleonora Ragni,
infermiera di Pavia
Avevo sempre coltivato l’idea di partecipare ad una esperienza di solidarietà nei paesi in via di sviluppo, ma varie ragioni (difficoltà economiche, figli non ancora autosufficienti..) mi avevano sempre impedito di partire. Quando, a novembre dello scorso anno, leggendo le newsletter dell’IPASVI sono venuta a conoscenza di questo progetto, ho preso subito contatti per avere maggiori informazioni. Da qui è nata un’amicizia con Ruggero Rizzini, infermiere di Pavia, promotore dell’iniziativa nonché presidente dell’ AINS, associazione che opera in Guatemala con progetti sociali, sanitari ed edilizi.
Il passo successivo è stato l’avvio di un percorso di formazione che è consistito in alcuni incontri all’AINS di Pavia sulla situazione sanitaria e sociale del Guatemala, piccolo paese del centroamerica dove più della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il 90% della terra coltivabile è in mano a multinazionali e a una decina di ricche famiglie guatemalteche.
Il percorso formativo è stato una crescita culturale, professionale e umana che mi ha permesso di conoscere il quotidiano di un altro paese e di altre realtà lavorative.
Come infermiera, ho sempre ritenuto fondamentale sviluppare un sapere scientifico e umanistico, capace di consentire la realizzazione di pratiche assistenziali specifiche per ogni cultura e universali. Per offrire un’assistenza efficace, soddisfacente e culturalmente coerente è necessario un concetto di teoria infermieristica che tenga conto dei valori e delle credenze individuali. La malattia può assumere diversi significati in contesti culturali diversi e quindi penso che per noi infermieri diventi basilare, oggi più che mai visti anche i fenomeni di immigrazione nel nostro paese, un’ interconnessione fra nursing e antropologia.
Il nostro intervento in Guatemala si è svolto perlopiù nelle aldeas, villaggi indigeni situati nelle foreste, dove le condizioni sanitarie sono disperate, non c’è acqua potabile, né corrente elettrica né strade asfaltate.
L'isolamento geografico, l'ignoranza delle più elementari forme di cura e la non conoscenza delle fondamentali regole di igiene hanno fatto sì che il nostro intervento non si limitasse ad un semplice approccio sanitario o ad un’ esportazione di tecnologie; è stato invece altrettanto importante recuperare quella semplicità del rapporto paziente-malato che da noi a volte si perde.
Nello specifico, le giornate della salute sono state un'esperienza molto forte soprattutto emotivamente. In un attimo ti si ribaltano tutte le certezze e i concetti di salute assimilati in anni di studio e di esperienza in campo infermieristico. Ti accorgi come il diritto alla salute sia un lusso di pochi....
Arriviamo in queste aldeas sul cassone del pikup dopo aver percorso strade sterrate in pessime condizioni che gli indigeni percorrono a piedi impiegandoci dalle due alle tre ore per raggiungere il primo paese. Passiamo in mezzo ad una foresta a dir poco magica e all'improvviso quel che vedo mi lascia senza parole: centinaia di indigeni con numerosi bambini, in coda per essere visitati sotto un sole cocente ed un’ umidità che sfiora il 90%.
Ci salutano con entusiasmo, scarichiamo i farmaci che avevamo raccolto prima della partenza di cui hanno estremo bisogno per far fronte almeno alle necessità più impellenti.
L'ambulatorio (chiamarlo così è un eufemismo) è un locale dove loro tengono il mais accumulato e per visitare abbiamo una panca o visitiamo sul pavimento di terra battuta. Lavoriamo assieme a tre medici volontari guatemaltechi. Questo facilita la comunicazione con la gente ma è anche importante per capire e rispettare i caratteri specifici di una determinata cultura; diventa necessario per interagire sul piano dell'assistenza pratica e consente di mettere in atto pratiche di assistenza mirate al soddisfacimento dei reali bisogni di ogni singola persona.
Non è facile descrivere quel che ti passa nella mente e nel cuore durante quelle visite: bambini dagli occhi grandi e dai sorrisi sdentati, schiacciati dalla povertà e dalle condizioni di vita disperate, ti guardano invocando fiducia nel futuro e con gioia ti ringraziano per quel farmaco o per quel dentifricio che loro mai potrebbero comprare. La carezza data sui loro volti arsi dal sole ti fa gonfiare il cuore di pianto non tanto per l'impotenza e il limite del tuo agire quanto per la rabbia di questo mondo così ingiusto che vede noi sulle nostre comode poltrone e loro scalzi morire di denutrizione.
Per questo credo nella cooperazione, credo nei progetti anche piccoli come quelli che con AINS sosteniamo. Ma credo soprattutto in coloro che di questi progetti sono i reali protagonisti perchè ho avuto modo di toccar con mano la loro capacità di reagire ad ogni circostanza sfavorevole e di auto organizzarsi.

26 novembre 2011

ieri sera a Filighera....primo incontro per presentare il progetto del nuovo centro polifunzionale in Guatemala a El rancho

Ieri sera siamo stati a Filighera, in aula consiliare, per presentare il documentario di Filippo Ticozzi, “un cammino lungo un giorno” e il progetto del centro polifunzionale, un progetto che abbiamo in collaborazione con l’ordine degli ingegneri e nello specifico il gruppo “Solidarietà e Cooperazione”. Certo, c’era nebbia e freddo, però ci siamo trovati a nostro agio e, davanti ad un pubblico, undici persone in tutto, abbiamo raccontato quello che conosciamo del Guatemala e come sarà il nuovo centro a El rancho.

Ringraziamo il gruppo Biblioteca per la disponibilità perché per noi, piccola realtà associativa, è fondamentale poter essere ospitati e soprattutto ascoltati.

Alla prossima.

19 novembre 2011

Guatemala, cosa ritorna con perez molina

di Carlos Figueroa Ibarra*
tratto da LIBERAZIONE del 18 novembre 2011

Fra lo sgomento della comunità internazionale, soprattutto quella che è più a conoscenza della storia contemporanea del Guatemala, la maggioranza degli elettori guatemaltechi ha scelto come Presidente, per il periodo 2012-2016, il generale Otto Pérez Molina.

La vittoria dell'ex-militare significherà il ritorno al governo del vertice imprenditoriale cosiddetto "tradizionale". In altre parole, la borghesia erede dell'oligarchia guatemalteca più reazionaria che recupera di nuovo un'ingerenza diretta nel governo dello Stato. Ciò non significa che con i governi di Alfonso Portillo (2000-2004) e Álvaro Colom (2008-2012) sia rimasta fuori dal potere dello Stato; ora, però, ritorna al governo la parte più consistente della classe dirigente nel contesto di una vasta gamma di alleanze politiche e sociali. Almeno tre "destre" saranno presenti nel governo di Pérez Molina. La prima sarà la destra neoliberale, dato che oggi il neoliberalismo è l'ideologia organica dei settori dominanti del paese. Sarà accompagnata dallo scontento della destra anticomunista in quanto l'anticomunismo continua ad essere un'eredità delle destre guatemalteche. Infine, in questo concerto è entrato a far parte il settore dello stesso Pérez Molina, la destra controinsurrezionale, evidente soprattutto nel gruppo di ex-militari coinvolti in crimini contro l'umanità.
E negli intrecci di questo groviglio, sarà presente uno dei grandi poteri occulti del paese: "El Sindicato". Questa organizzazione clandestina, che comprende militari genocidi e crimine organizzato, si ritiene abbia avuto origine nella promozione 1973 della Escuela Politécnica, di cui fece parte lo stesso Pérez Molina. "El Sindicato" è rivale di "La Cofradía", un gruppo simile presente nel governo Portillo e fautore della vittoria di Colom alle elezioni del 2007. È utile ricordare il mondo sotterraneo della politica guatemalteca, perché nel dimenticarlo si potrebbero imputare tali affermazioni a un'immaginazione paranoica. Molti mi chiedono se esistono davvero tali poteri occulti, domanda che dimostra il successo del loro modo d'agire.
Con Pérez Molina torna al governo una visione autoritaria e repressiva della gestione dello Stato che ha una lunga tradizione in Guatemala. Il mito dell'uomo forte con il pugno di ferro (o mano dura) che mette fine al caos sociale e impone l'ordine ha avvantaggiato Pérez Molina, come, al suo momento, avvantaggiò Efraín Ríos Montt. E' il fantasma del dittatore Jorge Ubico (1931-1944), che ritorna attraverso l'immaginario della destra più retrograda del Guatemala. Senza ombra di dubbio, la decomposizione e il degrado sociale, la dilagante violenza criminale della delinquenza di strada e comune, oltre alla criminalità organizzata, hanno creato le condizioni per un massiccio voto a favore di Pérez Molina nell'area metropolitana del paese (oltre il 71%). Sono stati i centri urbani e le loro periferie a dare la vittoria a Pérez Molina, mentre l'interno del paese, soprattutto i dipartimenti più impoveriti e con la maggioranza di popolazione indigena votarono per Manuel Baldizón, che ottenne lì il 52% dei voti. Pérez Molina e i suoi sostenitori seppero capitalizzare il desiderio repressivo delle classi medie e popolari urbane ideologizzate dai grandi mass-media, dalle Università private neoliberali e dalle mega-chiese protestanti. In questo ventaglio di alleanze, il nucleo duro della destra ha le sue radici in particolare nelle classi medie urbane animate da un pensiero reazionario sostenuto sul dogma neoliberale che è divenuto una specie di senso comune. Il resto lo fece l'inefficacia governativa nel diminuire il tasso di violenza criminale nel paese. Oggi i centri metropolitani di Guatemala e El Salvador e la Costa Atlantica dell'Honduras fanno parte della regione più violenta del mondo per numero di omicidi ogni 100mila abitanti. Tutto ciò favorisce una delle basi del successo di Pérez Molina: la richiesta di misure ferree contro la criminalità.
La vittoria elettorale di Pérez Molina non significa naturalmente il ritorno dei militari al potere. La dittatura militare terrorista non ha le condizioni esterne e interne che le diedero origine nel 1963; però, significherà il ritorno di una mentalità controinsurrezionale alleata dell'oscurantismo reazionario della classe dirigente guatemalteca. Significherà il ritorno della volontà di impunità che incoraggia tutti i genocidi del paese che hanno oggi come bersaglio immediato il Pubblico Ministero Claudia Paz y Paz che si è guadagnata l'odio per il procedimento giudiziario contro alti comandi del terrore di Stato di un periodo, i generali Humberto Mejia Victores e Héctor Mario Lopez Fuentes, così come altri imputati di livello minore. La richiesta presentata da Ricardo Méndez Ruiz Valdés, giuridicamente inconsistente, ha come bersaglio il Pubblico Ministero e non i suoi presunti sequestratori nel 1982. Per rendersene conto basta guardare la lista demenziale dei 26 accusati.
Il lato più oscuro dell'immaginario autoritario è ritornato con Pérez Molina. Il tempo ci dirà quanto durerà prima di sgonfiarsi.


*Comisión Pastoral Paz y Ecología della diocesi di San Marcos

(su gentile concessione della Fondazione "Guido Piccini" per i diritti dell'uomo onlus)

18 novembre 2011

Come cambiare il mondo con i nuovi stili di vita

Come cambiare il mondo

Con i nuovi stili di vita
Adriano Sella intervistato da Daniela Scherrer
pp. 64 - euro 5,00 - formato tascabile, in cartapaglia

Oggi la parola chiave è cambiare, non più assistere.
È molto facile fare assistenzialismo perché non richiede nessun impegno: ci si mette la coscienza a posto con il denaro o con gli aiuti e tutto resta come prima.
È cambiando, invece, che ci ritroviamo tutti sullo stesso cammino!
Fianco a fianco e passo dopo passo, per costruire un mondo dove tutti possano ritrovarsi alla stessa mensa della vita, con la responsabilità di garantire a ciascuno ciò che gli spetta di diritto, ciò di cui ha bisogno per un'esistenza dignitosa.
Diffondiamo allora questo "virus" dei nuovi stili di vita! Per contagiare tutti nell'impegno a cambiare tenore di vita, pratiche e scelte quotidiane.
Un progetto editoriale nato dall’associazione AINS onlus. Il libro ha un costo di stampa di 2,50 euro e un prezzo di vendita, stabilito dalla casa editrice EMI (editrice missionaria italiana), di 5 euro. I proventi di questo libro (2,50 euro) andranno a finanziare i progetti in Guatemala di Ains Onlus e nello specifico, la costruzione del “centro Nutrizionale” a El Rancho. Leggetelo, Promuovetelo e fatene circolare i contenuti. Grazie!

Indice

Prefazione, di Adriano Sella, 9
Introduzione, di Daniela Scherrer, 11
L'intervista, 13
Come cambiare il mondo, 15
1. Nuovi stili di vita, 15
2. Chiesa e nuovi stili di vita, 17
3. La spesa etica, 20
4. Il voto nel portafoglio, 22
5. L'impegno dei Gas (Gruppi di acquisto solidale), 24
6. Il recupero della relazione con l'altro, 26
7. Riassaporare il valore del tempo, 28
8. Nuovi stili di vita a 360 gradi, 30
9. Da nuovi stili di vita a nuovi stili di chiesa, 32
10. Concludendo il nostro dialogo, 34
Testi occasionali, 37
Tre brani per riflettere, 39
I giovani che seminano speranza e giustizia, 39
È tempo di nuovi stili di vita, per superare la nuova rassegnazione, 43
Ognuno faccia qualcosa nel suo piccolo, 48
Bibliografia e sitografia sui nuovi stili di vita, 55

17 novembre 2011

Viaggio in Guatemala 1-8 ottobre 2011

Come facciamo spesso, vogliamo che il Guatemala venga raccontato non da noi, ma da chi lo conosce bene o lo scopre per la prima volta. Quello che segue è lo scritto di Lorenzo Buratti, ingegnere di Pavia che per una settimana ci ha accompagnato nell’ultimo viaggio in Guatemala fatto ad ottobre.
Le sue sono impressioni, punti di vista, domande e una proposta finale.
Buona lettura a tutti!!!!

Viaggio in Guatemala 1-8 ottobre 2011
di Lorenzo Buratti
Mi butto improvvisamente nello scrivere, di getto, senza avere precisa coscienza di ciò che verrà nel seguito. Probabilmente sarà qualcosa di molto sgrammaticato e mal scritto ma la speranza è che l’emozione possa esservi presente in modo diretto e sincero. Come e cosa scrivere di quest’esperienza?...non è certo facile. Le emozioni vissute sono molte e, anche a distanza di qualche tempo -in verità un solo mese-, il loro ricordo resta scolpito con forza. Il ricordo è nitido e le emozioni indelebili ma quanto sono distanti, sia nello spazio che nel tempo, la magia e la realtà viva di quei momenti? Purtroppo il ritorno alla “normalità” delle solite occupazioni-preoccupazioni di ogni giorno, con il lavoro, i ritmi iper-accelerati ed il continuo inseguimento dell’istante nella sua molteplicità complessa, a cui siamo abituati qui, nel nostro cosiddetto mondo sviluppato, hanno la spietata capacità di allontanare e sublimare la realtà delle esperienze passate, quasi per pudore e vergogna nell’ammettere che possano esistere realtà “altre”, e finendo per relegare l’esperienza in una dimensione quasi onirica. Solo le foto e la forza di volontà aiutano a riafferrare l’intensa realtà di quanto vissuto. Ciò che voglio provare a descrivere non sono affatto la commozione, il senso di impotenza, la rabbia per l’ingiustizia, la pietà che inevitabilmente si provano – ed in parte ho provato – di fronte alle condizioni di povertà estrema del Poshte, alle sfortunate vicende delle donne della cooperativa dello shampoo ed alla sciaguratezza delle bimbe dell’hogar….tutto questo certo esiste ma svanisce ancora prima di essere percepito a pieno….ciò che voglio tentare di raccontare è quanto di incredibile, meraviglioso ed inaspettato ci si trovi a ricevere proprio da quelle persone che si immaginava di dover “semplicemente” andare ad aiutare. Questa inattesa ed apparente inversione dei ruoli credo non sia causata dalla soddisfazione che deriva dall’aver aiutato (per altro, nel mio caso, dove starebbe l’aiuto?) oppure come riflesso della gratitudine espressa dalla persona aiutata. Probabilmente è qualcosa di realmente inatteso e spiazzante che si verifica poiché vengono disattesi tutta una serie di preconcetti e luoghi comuni ben radicati che in passato sono stati divulgati dai pionieri del puro assistenzialismo, enti ed organizzazioni, fermamente barricati sulle posizioni che li vedevano, nel proprio operato, inchiodati al meccanismo del “dono” e su posizioni di aprioristica superiorità a 360°. In sostanza l’impressione è che in quest’esperienza è infinitamente di più ciò che ho ricevuto piuttosto che ciò che ho dato. Sono anche certo che ciò è stato possibile solo per il fatto che gli incontri con le persone sono stati dei reali momenti di contatto umano e tutto questo è stato possibile solo grazie allo speciale rapporto che l’associazione AINS ha deciso di stabilire con i suoi “beneficiari” (parola che personalmente trovo orribile!), diretto e duraturo, decidendo di concentrare i propri sforzi su realtà più circoscritte, con il valore aggiunto di poter conoscere per nome una ad una (o quasi!) tutte le persone raggiunte dai progetti. Cerco di dare un po’ più di concretezza a questi discorsi parlando di quanto visto e provato di persona. Di certo posso dire di non conoscere neanche l’1% del Guatemala. In effetti non conosco molto neanche l’Italia, nonostante ci viva da 29 anni?....ma questo è poco importante. Di italiani ne conosco abbastanza, di tutti i tipi, e di guatemaltechi ne ho incontrato (dire “conosciuto” sarebbe un po’ eccessivo ) appena qualcuno. Nonostante i guatemaltechi conosciuti siano pochi e appartenenti a poche categorie, noto che alcune differenze sono subito piuttosto evidenti. Forse l’unico che posso dire di conoscere “abbastanza” è Alvaro…ma non serve un genio per capire che Alvaro è una persona che si può definire quanto meno “particolare” o, più semplicemente, “speciale”. La cosa che mi ha stupito più di tutte ed è un po’ la maggior differenza – senza generalizzare – tra il guatemalteco e l’italiano (anche se, per limitata esperienza personale, direi vale anche tra brasiliano ed italiano) è l’ attiva fiducia nel futuro che caratterizza il primo e manca totalmente nel secondo. E’ realmente destabilizzante ed annichilente notare una simile forza, calma, perseverante, sicura, quasi mistica…che fa vivere queste persone nella speranza reale di un futuro migliore. Ma non si tratta di ottimismo inoperoso ed inconsistente. E’ supportato da volontà forte ed azione. Quasi tutti credono e si adoperano per costruire questo futuro migliore per se, la propria famiglia e la propria comunità. La differenza con la situazione italiana (e, immagino, delle altre economie occidentali in crisi economica, di identità e di valori) è percepibile con banale immediatezza. Mi viene da descriverla come una realtà “inchiodata”, fermamente bloccata ed immobile, avvitata su se stessa e che si sostiene solo grazie alla caparbia difesa delle rendite e dei privilegi di sempre, storicamente acquisisti. Insomma: senza futuro. Qui le persone, i giovani soprattutto, respirano quest’aria ogni giorno. Come immaginare il futuro? Quali prospettive? Cosa fare per trovare i propri spazi? Perché nessuno crede in loro davvero e lavora per aprire loro opportunità, visto che con le loro sole forze non fanno che sbattere contro muri invisibili o immaginano fughe all’estero? Le persone (soprattutto le donne) incontrate in Guatemala, a dispetto di un indole pacata e tranquilla, mi sono sembrate molto determinate e, in generale tutti, sembrano avere ben chiare le proprie priorità ed i propri valori. E’ disarmante vedere nel documentario di El Poshte come bambini di 8 anni abbiano già chiare quali sono le cose che ritengono importanti nella vita e quali le proprie aspirazioni future, mentre qui da noi è del tutto normale arrivare a 30 e non aver capito ancora niente!!! La giornata trascorsa all’hogar insieme alle bambine di Mazatenango rappresenta per me il massimo per quanto riguarda l’intensità dell’esperienza e la dimostrazione certa del fatto che immaginando realtà e situazioni da qui, prima di farne diretta esperienza, si è completamente confusi e sviati da preconcetti privi di fondamento - che sono forse una sorta di meccanismo di autodifesa della supposta superiorità del nostro modello occidentale -. Infatti le premesse sulla situazione ed il vissuto delle bambine sono qualcosa di veramente terribile: storie di situazioni famigliari indescrivibili per la loro bassezza, racconti di violenze da far accapponare la pelle, la più sconfinata miseria materiale. Insomma, praticamente quanto di più impressionante immaginabile, in grado di toccare e portare alle lacrime il più cinico dei cuori di pietra. E poi, ad appena cinque minuti dal primo incontro con loro…noi, adulti mai visti prima, arrivati da un paese lontano, che parlano un'altra lingua, con strana barba e riccioli…una sorpresa davvero indescrivibile a parole: fiducia ed affetto sconfinati, reciproci; parlare, giocare, stare insieme come se ci si conoscesse da sempre; certezza di una felicità ed una serenità letteralmente inimmaginabili per delle creature con alle spalle un passato così travagliato ed un presente così particolare. E’ stato davvero un incontro magico e devo confessare che ogni giorno il mio pensiero vola più e più volte all’hogar, per ricordare i sorrisi e le voci di ciascuna delle bambine e per immaginare il momento in cui (spero accada il prima possibile!) tornerò là e potrò incontrarle di nuovo. Sicuramente in quell’occasione piangerò dalla felicità. L’unico rammarico è non aver imparato tutti i loro nomi! Ma credo e spero si possa rimediare in tempo utile grazie alle foto! Oltre a questa sorpresa, l’esperienza dalle bambine mi ha fatto anche riflettere su quanta infelicità esista nei bambini che vediamo attorno a noi qui in Italia, nonostante vivano in situazioni di (eccessiva!) abbondanza a livello materiale. Sembra che gli adulti (perché la colpa non può che essere loro) facciano di tutto per crearsi problemi e sofferenze barricandosi dietro egoismi personali e futili problemi di coppia che inevitabilmente si riflettono sulla serenità e felicità dei loro figli. Quando conosci direttamente simili situazioni di bimbi e famiglie italiane infelici e hai sperimentato quanta gioia di vivere e serenità in più abbiano, contro ogni apparenza, le bambine di Mazatenango, ti rendi conto dell’egoismo e della pochezza in cui spesso viviamo. Finisco. Forse sbaglio ed ho immaginato tutto per qualche mia strana distorsione mentale…ma è proprio ciò che più mi ha colpito e mi è sembrato di percepire. Erano tutti semplicemente felici per il fatto di ricevere una visita da così lontano? Certo la felicità e la gratitudine c’erano ed erano veramente qualcosa di toccante e commovente. Ma non era solo questo… .Forse alcuni contesti sono così schiacciati dalla povertà e dalle condizioni di vita disperate (penso alle giornate di salute a cui non ho partecipato) che questo spirito positivo e questa forza per cercare un po’ di miglioramento non trovano posto? Forse la “magia” avviene solo dove arriva l’appoggio da parte nostra (il progetto) che, dimostrando di credere in loro e nella capacità di autorganizzazione del gruppo e fornendo loro la possibilità di scegliere su cosa e come investire, va a mettere in moto una reazione a catena di meccanismi virtuosi che amplificano sempre più la determinazione e la fiducia delle persone? Si, probabilmente esiste anche questo, ed è uno dei motivi per cui bisogna fare cooperazione e farne sempre di più…ma, a questo punto perché non vogliamo/riusciamo a fare cose simili anche a casa nostra? Io credo che la differenza di mentalità esista ed è il vero tesoro di cui si va in cerca quando ci si muove da qui per operare in quei contesti. Il sogno sarebbe quello di riuscire a portarne qui da noi un pallido riflesso, un barlume di speranza per le persone tiepidamente cullate nel benessere ed inebetite davanti alla TV, ridotte quasi esclusivamente al loro ruolo di consumatori. Io credo che più persone possano fare simili esperienze nella propria vita più possa esserci vero sviluppo per tutti. Infatti, forse, quelli che più necessitano della cooperazione siamo proprio noi. Quasi tutti i problemi del mondo li abbiamo infatti generati noi, partono da noi. E’ davvero quello attuale il modello che vogliamo esportare? Credo che abbiamo bisogno di cambiare noi per primi il modello di sviluppo, al più presto, perché solo dal nostro cambiamento può nascere il miglioramento immediato delle condizioni di vita di tutti. Ma come e cosa fare? Forse abbiamo perso qualcosa lungo la via…e allora perché non tornare a vedere il mondo non ancora a cavallo dalla locomotiva impazzita della crescita a tutti i costi? E da lì ricominciare.











Dante Liano: «Il mio Guatemala malato di neoliberismo»

Nato nel dipartimento di Chimaltenango (Guatemala) nel 1948, si laurea in letteratura all'Univesità di San Carlos di Guatemala nel 1973 e nel 1977 completa il dottorato all'Università di Firenze. Dai primi anni '80 risiede in Italia e attualmente ricopre la qualifica di professore ordinario di Lingua e Letterature Ispano-americane presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Narratore e critico letterario, è uno dei più importanti autori centroamericani contemporanei, autore di numerose pubblicazioni, tradotte in inglese, francese, tedesco e italiano, che spaziano dalla narrativa alla saggistica. Nel 1991 ha vinto il Premio Nacional de Literatura Miguel Ángel Asturias (massimo premio letterario guatemalteco) e dal 2000 collabora con il premio Nobel Rigoberta Menchú alla stesura di varie opere di letteratura per ragazzi.
 
Ieri pomeriggio alle 18.30, nella Sala Conferenze del Broletto, è stato nostro ospite Dante Liano - uno dei più importanti intellettuali e scrittori guatemaltechi, amico e collaboratore del premio Nobel Rigoberta Menchù, per la prima volta a Pavia, nell'ambito del Festival dei Diritti. Prendendo spunto del tema del confronto tra generazioni, Liano ha parlato delle “Conseguenze culturali” generate dal neoliberismo e dai modelli di welfare applicati nelle società, italiana e guatemalteca, per capire in che direzione vanno i due popoli, con quali somiglianze e quali differenze nel rapporto tra generazioni. La riflessione ha avuto inizio dopo la proiezione del cortometraggio del regista pavese Filippo Ticozzi, “Un cammino lungo un giorno”, breve ed emblematico viaggio-documentario all'interno del piccolo villaggio di El Poshte, sulle montagne del Guatemala, nella regione di El Progreso, abitato prevalentemente da bambini. E' proprio attraverso il vissuto dei bambini che Ticozzi racconta una giornata tipo in questo luogo, non molto lontano dalla città, ma da cui ci si può allontanare solo attraverso un lungo sentiero impervio. Prodotto da La Città Incantata, in collaborazione con A.I.N.S. Onlus, il film si è aggiudicato due importanti riconoscimenti: il Premio "Rastrello d'Oro” del Corto & Fieno Festival del Cinema Rurale (Ameno e Armeno, No, settembre 2011), e la Menzione Speciale al Priverno Film Festival (Latina, giugno 2011).
A proposito di anziani e bambini, a Dante Liano abbiamo chiesto quale Paese, tra Italia e Guatemala, li tutela di più.
Essere anziani in Guatemala, è una condizione di svantaggio o di vantaggio?
«E' chiaramente una situazione si svantaggio, se pensiamo che in Guatemala le garanzie di tutela sociale, seppur sancite da una legislazione in questo senso positiva, ispirata al modello occidentale, sono di fatto del tutto assenti. La salute è una questione gestita completamente dalle ditte private, le cure, anche quelle basilari, hanno costi altissimi. Chi può pagarle sopravvive, chi non può, magari dopo essersi venduto la casa e la terra, soccombe. Se chiedessero a me, per esempio, di rientrate in Guatemala per la mia vecchiaia, ci penserei due volte, sapendo che tutti i miei risparmi finirebbero in mano a medici imprenditori che della salute fanno un business, in barba al giuramento di Ippocrate». E essere bambini?
«Peggio ancora. In questo momento in Guatemala ci sono 25mila bambini che stanno morendo di fame, una situazione che non si vedeva da anni, oggi aggravata dalla crisi economica».
Di chi è la colpa?
«E' una conseguenza naturale del modello economico del neoliberismo sfrenato, che si è imposto nei Paesi dell'America Latina e che miete vittime con la sua idea di welfare privato e di tutela sociale inesistente, per cui la salute è un privilegio di chi può permettersela, non un diritto di tutti. In Guatemala l'aspettativa di vita è molto bassa, la maggior parte della popolazione ha meno di 35 anni e questo ha un'altra conseguenza negativa».
Quale?
«Così si sgretola una tradizione comunitaria tipica delle società dell'America Latina, in cui i giovani si prendono cura degli anziani e gli anziani garantiscono una rete familiare e sociale che da sola costituisce una tutela sociale che non avrebbe nemmeno bisogno di un welfare organizzato. Ma il neoliberismo insegna che ognuno fa per sè».
 
marta pizzocaro
la provincia pavese, 16 novembre 2011

11 novembre 2011

Guatemala, nuovo governo vecchie maniere

Il paese ha scelto un ex generale reazionario dal passato torbido, Perez Molina, quale nuovo presidente, ma non ha nessuna speranza di cambiamenti futuri

di Stella Spinelli, http://it.peacereporter.net/articolo/31411/Guatemala%2C+nuovo+governo+vecchie+maniere


Alla fine, il risultato delle urne in Guatemala non ha sorpreso nessuno: Otto Pérez Molina, 51 anni, generale in pensione dai mille scheletri nell'armadio ha trionfato sul Berlusconi guatemalteco, Manuel Baldizón, e fino al 2016 tenterà di governare un paese in ginocchio per delinquenza e crisi sociale. A votare è stato il 54,84 percento dei cittadini, con un'affluenza molto più bassa rispetto al primo turno di fine settembre. La sua vittoria? Tutta incentrata sulle promesse di sicurezza in un paese in cui gli omicidi sono a un tasso spaventoso: i primi nove mesi dell'anno contano 2496 morti ammazzati, facendo del 2011 l'anno più violento dell'ultima decade. Nel suo piano di governo si parla di sicurezza e giustizia, con tre priorità: neutralizzare il crimine organizzato, le bande giovanili (maras) e la delinquenza comune. E in più si punta tutto sul rafforzare le istituzioni, ridotte a mere caricature di se stesse, e porsi quale paese guida contro il narcotraffico regionale. Tutte mete molto ardue e verso le quali comunque i cittadini restano scettici. Anche perché dovrà scendere molto a compromessi con altre forze politiche, con le quali è costretto ad allearsi per riuscire a formare una maggioranza decente in Parlamento.

A inquadrare questo scetticismo disilluso generalizzato è Alberto Arce, che ha vissuto la tornata elettorale fra la gente di Ciudad de Guatemala, riportando opinioni e commenti illuminanti da tre diverse zone della città, fra loro opposte, eppure accomunate dal medesimo sentimento.
"Alejandro Cid, studente di agronomia di 25 anni, è volontario del Tribunale Supremo Elettorale - racconta Arce -, e così ha potuto parlare con tranquillità con le vari guardie del corpo" che a Los Arcos, una delle zone più esclusive della capitale, accompagnano i ‘signori' in ogni loro pratica quotidiana. Vederli è la norma, come lo è incontrare le domestiche in uniforme.
E infatti il volontario ha posto la medesima domanda a tutti i votanti: "Crede che, indipendentemente da chi vincerà, il Guatemala vivrà un cambiamento a partire da gennaio 2012?". E le risposte sono state sorprendentemente eloquenti.
"No, perché la normativa elettorale di questo paese viene violata sistematicamente - spiega la guardia del corpo -. C'è un limite di spesa in campagna elettorale che mai viene rispettata. Qui si spende moltissimo ddenaro durante una campagna lunghissima. Questo obbliga i partiti a compromettersi con troppa gente. Con persone che non sono necessariamente armate di buone intenzioni. Il finanziamento delle campagne è un investimento. E tutti gli investimenti hanno bisogno di un ritorno, di una restituzione con gli interessi. Vinca chi vinca e anche nelle migliori tornate elettorale, i candidati sono legati dai debiti e dai compromessi. Fino a che non cambierà questo, il Guatemala continuerà a essere uguale, chiunque sia il presidente".
Juan Antonio è un avvocato in pensione, ha una certa età, e si unisce alle parole del giovane guardiaespaldes: "Senti, dicono che la speranza è l'ultima a morire, ma sia per l'uno che per l'altro sarà molto difficile portare a compimento i loro programmi elettorali, sempre che veramente vogliano farlo. Il paese è affossato, le casse sono vuote e le proposte che presentano mancano di fondamento e di strumenti che le portino a compimento. Il mondo delle promesse non rispettate. Questa è la migliore definizione per l'anno che verrà".
Ma non tutti i votanti sono convinti della logica di limitarsi a votare il meno peggio. Qualcuno ha trovato una soluzione che va oltre l'umano. Una donna truccatissima e ingioiellata che nega di dare il proprio nome vuole, con veemenza, essere ascoltata e introduce un fattore più determinista dei cittadini precedentemente intervistati. "L'unico in cui confido è Dio, che saprà dare saggezza a chi vincerà. Egli è l'unico che può giudicare le azioni dei nostri governanti, che sono responsabili davanti all'Altissimo". E davanti al popolo? "Io non ho fiducia nel popolo. Non doveva nemmeno chiederlo".
C'è anche qualcuno, però, che invece guarda al futuro con ottimismo. Sono Mario e Maria che precisano: "Andrà per il meglio e il cambiamento sarà positivo. Indipendentemente da chi vincerà, sarà impossibile che si prosegua così. La situazione è insostenibile. Non posso immaginarmi, né voglio, che il paese continui così: la cittadinanza è ogni volta più cosciente del proprio potere, della propria capacità di incidere, di controllare e di obbligare la politica ad agire in maniera corretta".
Paulina López, amministratrice d'azienda, è giovane tanto da essere la seconda volta in vita sua che è chiamata alle urne. La sua opinione, però, va a rafforzare lo scetticismo generalizzato. "Non può esserci un cambiamento significativo nel paese, solo cambiamenti marginali, puro maquillage. Il paese deve cambiare da dentro, da ognuno di noi. I politici possono solo alleviare i sintomi, se ci provano, ma mai potranno andare in profondità ai problemi che ci colpiscono. Corruzione, povertà e narcotraffico. Primo perché non avranno nessun interesse a farlo e secondo perché anche se volessero, non possono. Il Guatemala non può cambiare dall'alto".
Alejandro Rivera, 41 anni, si definisce ricercatore e precisa: "Guarda il mio berretto: Oficial de narcoticos. Questo è il mio messaggio nel giorno delle elezioni. Il problema è il narcotraffico. Ho iniziato a realizzare una indagine sul corporativismo nel paese, la relazione fra il potere economico e il potere politico e ho finito capendo che se i finanziatori del potere non cambiano, questo non cambierà. Nessun presidente potrà uscire dalle rotaie marcate dal potere economico. Il mio messaggio è chiaro. Nessuno potrà uscire da quello che detta il potere reale, quello del narcotraffico, che tramite il lavaggio di denaro sporco e il finanziamento della politica, è colui che comanda davvero in questo paese, come in altri della regione".
Calixto ha invece 19 anni e abita in tutt'altra zona, lontano dai fasti di Los Arcos, fra la classe media: "Nessun presidente può cambiare niente se non è timoroso di Dio e se noi guatemaltechi non seguiamo l'insegnamento della Bibbia". Di tutt'altro avviso è Manuel Paniagua, logista di mezza età: "Mai in vita mia ho ricevuto nulla di valido da nessun governo di questo paese. Penso che da sempre manchino le proposte concrete".
Quindi una raccolta di risposte nell'estremo oriente della capitale, nella Colombia El Gallito, zona 3, una delle più emarginate. El Gallito è il luogo dove nessuno vuole andare, ino ogni strada ci sono blocchi di cemento perfettamente ordinati e pronti per fermare qualsiasi persona che sfugge al controllo di coloro a cui niente sfugge. È l'antitesi di Los Arcos. Mario Díaz, 50 anni, è l'unico tassista che ha accettato di portare Alberto Arce fin qui, raddoppiando il prezzo della corsa. Questa zona è lo specchio dei mali del paese. "L'unico governante che ha abbassato la delinquenza è stato il generale Ríos Montt - sbotta -. Questo paese è selvaggio, ci sono sparatorie, assalti, corpi squartati da ogni lato. Sono un tassista e lo vedo, e niente mi sorprende. E non dovrebbe essere così. Solo con la mano dura potrà risolversi. Solo un generale può risolverlo. Risolvendo il problema sicurezza, forse anche il resto dei problemi miglioreranno".
Tutto intorno cozza con Los Arcos, persino la musica che sale dai bar: là marimba, qua cumbia. Ma identico è lo scetticismo di chi ha appena votato. Uno di questi è Carlos Cabrera, studia all'università di San Carlos: "I due candidati? Uno offre solo pagliacciate e l'altro è da otto anni che offre la stessa tiritera. Promesse e ipotesi senza fondamento. A nessuno importa di noi. Solo ai benefici che loro e quelli della loro classe possono ottenere". E che si tratti di due personaggi corrotti è opinione diffusa. "Nessuno porterà a termine quanto promette - spiega Velvet Coló - appena eletti parleranno solo con i narcos e con i ricchi. Perché ho votato? Perché me lo ha chiesto la Chiesa e perché è un dovere civico".

1 novembre 2011

"Come cambiare il mondo con i nuovi stili di vita". Il libro intervista di Daniela Scherrer ad Adriano Sella

E' disponibile il volumetto "Come cambiare il mondo con i nuovi stili di vita", (Emi edizioni) un'intervista di Daniela Scherrer al nostro amico missionario Adriano Sella.

Costa 5 euro.
I proventi di questo libretto andranno a finanziare i progetti in Guatemala di Ains Onlus.
Promuovetelo, acquistatelo e fatene circolare i contenuti.
Da gennaio disponibile in tutte le librerie.
Grazie!

In questo agile libretto Adriano Sella, ideatore del movimento Gocce di Giustizia, propone i nuovi stili di vita come cammino etico per tutti, a prescindere dal credo di ognuno. Sella ci dice cosa significa concretamente 'nuovi stili di vita'. Perché sono l'antidoto alla rassegnazione. Perché sono la chiave per cambiare il mondo. Adriano Sella, originario di Vicenza, è missionario sacerdote della diocesi di Padova dopo una lunga esperienza in Brasile. In Italia ha promosso la creazione del movimento Gocce di Giustizia. Coordina la Commissione diocesana Nuovi stili di vita e la Rete interdiocesana Nuovi stili di vita. È autore di: "Una solidarietà intelligente" (Edb, 2007); "Miniguida dei nuovi stili di vita" (Monti, 2010); "Per una chiesa del Regno" (Emi, 2009); "Via Crucis dei nuovi stili di vita" (Emi, 2010).

Collana: Gli infralibri
Editore: EMI
Data di Pubblicazione: Ottobre 2011
Autore: Adriano Sella, Daniela Scherrer