30 luglio 2009

"Historias de Guatemala"- Per un aiuto concreto

“Historias de Guatemala” (Storie dal Guatemala), girato nel paese latino dai giovani registi pavesi Anna Miranda Recalde e Nicola Grignani per conto di Ains Onlus, Associazione Italiana di Nursing Sociale di Pavia.

Scritto da Michela Cantarella, www.piazzaminerva.it

A due anni dal primo film di Filippo Ticozzi «Lettere dal Guatemala», Ains Onlus ha dato carta bianca ai due registi dicendo loro di trovare il modo di raccontare i diritti umani nel paese.
“L’idea” spiega Ruggero Rizzini, presidente di Ains Onlus Pavia “era di ricordare in qualche modo i 60 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Noi sosteniamo dei progetti concreti in Guatemala, un paese spezzato da 36 anni di guerra civile, ma riteniamo che senza fare una corretta informazione e sensibilizzazione, si finisca per fare solo assistenzialismo”.
Capitolo dopo capitolo, si scopre una storia recente quasi sconosciuta, dove le donne combattevano quanto gli uomini e una circolare del governo, tuttora conservata alla Biblioteca Nacional, imponeva ai soldati di non usare munizioni per uccidere i bambini sotto i quattro anni, per salvaguardare il bilancio dell’esercito. Dietro il documentario, molto curato dal punto di vista dell’immagine e dei colori, c’è un grande lavoro di informazione, studio e decine di interviste.
“Nei 52 minuti di video” continua Rizzini “si alternano persone che lavorano nel mondo vario dei diritti umani, dai campesinos della cooperativa Katoki ai leader di associazioni politiche, dai guerriglieri a monsignor Alavaro Ramazzini, vescovo di San Marcos e successore di monsignor Gerardi che dopo aver denunciato scomparse e torture nel rapporto Guatemala nunca màs venne ucciso. Nel documentario si parla di diritti umani, commercio equo, violenze sulle donne: potrebbe essere interessante per svariate associazioni del territorio che vogliano collaborare a fare informazione su queste tematiche”.
L'associazione Ains è al suo undicesimo anno di attività: undici anni durante i quali si è riusciti davvero a costruire qualcosa di bello. Dalle adozioni scolastiche a distanza a presidi medico sanitari, a progetti di emancipazione sociale, culturale, sanitaria e di istruzione primaria presso Las Colmenas,Tatutù, Aguahiel, comunità dislocate ai confini con l'Honduras.
Un altro progetto di solidarietà è rivolto al sostegno di una Casa d'Accoglienza in Mazatenango, che ospita bambine e ragazze vittime diabusi, violenze, disagi sociali dettati dallo stato di profonda povertà.
“La crescita di questo luogo” ammette il presidente “ci interessa in modo speciale e nel corso del 2009 concentreremo i nostri sforzi per realizzare progetti e possibili soluzioni di aiuto verso questa interessante realtà”.
Certo, dire Guatemala, richiama subito alla memoria le vestigia Maya, le bellissime foreste tropicali, i campi di mais, un ambiente da "Mille e una notte”. Ma Guatemala, al giorno d'oggi, vuol dire anche scontrarsi, con una realtà profondamente povera: denutrizione e malnutrizione dei bambini, descolarizzazione dilagante, lavoro minorile diffuso, un quadro di diritti calpestati soprattutto verso il genere femminile.
“Però anche questi dati” conclude Rizzini “hanno rafforzato in noi la volontà di proseguire sulla strada tracciata. Noi abbiamo fatto nostra e ci serviamo di due motti che costituiscono la nostra filosofia, il nostro modo di pensare e agire: "dove c'è un bisogno, c'è un dovere" e "un altro mondo è possibile". Se guardiamo al lato positivo delle cose questo può diventare un tempo di sfide eccezionali. Ecco perchè agire a vantaggio del progresso sociale e servirsi del nobile strumento della solidarietà diventa una sfida, bella, da portare avanti”.
Il documentario può essere proiettato gratuitamente presso i Comuni, nelle Scuole pubbliche e private superiori, a reti di persone e gruppi di professionisti, oppure in collaborazione con Circoli, Associazioni e Comitati, e in generale verso chi disponga di un locale idoneo, oscurabile e sia interessato a raccogliere un certo numero di partecipanti per parlare di temi sociali. Gratuitamente, con attrezzatura portata dai membri ains (amplificazione audio, proiettore, schermo di proiezione). Servono solo delle sedie, e una presa di corrente per far funzionare le apparecchiature. Ben poco, pensando a quanto grande, invece, è l'opera di sensibilizzazione che il documentario svolge.

Per info: cell. 339 2546932 – 333 4464723
associazioneains@yahoo.it - Ainsonlus.blogspot.com

«Noi studenti pavesi, comparse per un giorno»

Il regista Ticozzi ha selezionato 30 ragazzi per il suo film

PAVIA. Sono tornati per due giorni sui banchi di scuola. Non per seguire corsi estivi, ma per fare le comparse cinematografiche. C’è anche un nutrito gruppo di studenti pavesi, infatti, nel cast di “Dall’altra parte della strada”, il cortometraggio che il regista Filippo Ticozzi sta girando in questi giorni tra Pavia e San Martino Siccomario. Ieri la realizzazione di alcune scene nelle aule dell’Itis di Pavia. Più di trenta ragazzi e ragazze, tutti volontari, si sono offerti di partecipare a questo progetto. Come il resto della troupe, nessun compenso economico, ma la soddisfazione di apparire in un lavoro dall’importante valenza sociale. La pellicola, finanziata dal Comune, sarà infatti distribuita nelle scuole superiori per far riflettere i giovani sul tema della violenza contro le donne. Tra un ciak e un altro, abbiamo incontrato gli attori in erba per chiedere loro come han vissuto questa particolare esperienza. «Sono molto felice. Mi piace il set», racconta Clara Quagliaroli, sedici anni, studentessa dell’istituto Cairoli di Pavia. «Ho già lavorato come comparsa ma qui c’è una motivazione in più. Penso sia importante affrontare un tema che è di grande attualità e che, purtroppo, compare spesso sulle pagine di cronaca». Alessandro De Cesare, invece, gioca in casa. Diciott’anni, studente dell’Itis, conosce molto bene i luoghi del set. «Ho fatto i provini qualche mese fa e mi hanno preso - racconta - Sono contento, è la prima volta che faccio la comparsa, ma spero possa capitare di nuovo». Superata la timidezza, anche Domenica Pietrafitta, 17 anni, si dimostra entusiasta: «All’inizio ero un po’ imbarazzata. E’ una situazione completamente nuova per me.Ora però sono soddisfatta. Credo che possa essere molto efficace usare un film per affrontare questo argomento». Non è proprio alle prime armi Gaia Giardini, diciassettenne del Liceo Scientifico Taramelli. Anche se, confessa, davanti ad una telecamera non si è mai trovata. «Mi piace molto recitare - spiega - per questo, prima dei provini, avevo già partecipato ad un corso teatrale d’improvvisazione. Ma per il cinema è la prima volta. E’ bello pensare che sto facendo un film che girerà in scuole come la mia. Sono convinta che sia molto utile». Più di una comparsa, invece, il ruolo di Lasgaa Abdelaziz, diciottenne studente dell’Itis. Per lui una parte da co-protagonista: «E’ una gran bella esperienza. Speciale. Spero proprio di poterla ripetere». Una lezione da non dimenticare, insomma. Sebbene, questa volta, non ci siano né professori, né compiti in classe. (g.zac - la provincia pavese del 29 luglio 2009)

26 luglio 2009

SOBRIETÀ, STILE DI VITA

Editoriale di Stefano Femminis - Direttore di Popoli
L'autentica sobrietà sa farsi stile di vita, capacità di avere uno sguardo libero da
attaccamenti che imprigionano. Sobrietà diventa allora sinonimo di uso non rapace delle
risorse e fondamento di una vera speranza

Semplificando, ci sono due modi di reagire all'attuale crisi economica. Il primo insiste sulla necessità di rilanciare i consumi, sostenere la fiducia dei mercati e dei consumatori, iniettare nelle economie risorse straordinarie. Si ammette la necessità di qualche correttivo, si valuta l'opportunità di più stringenti «regole del gioco», ma né gli ingranaggi del «giocattolo», né lo spirito che anima i «giocatori» vengono messi in discussione. Questo approccio ha nel Prodotto interno lordo il suo totem: oggi un calo del Pil, anche minimo, è vissuto come un incubo; domani un suo incremento sarà il segnale che la tempesta è finita. Questa impostazione è prevalente in ambito politico, nei think tank dell'economia internazionale, persino in molte lotte sindacali.
La seconda modalità invita a riflettere anzitutto sul significato stesso del termine «crisi», che nella sua etimologia deriva dal greco krísis («scelta», da krínein, «distinguere», «scegliere») e che segnala - si legge nel dizionario - una «situazione di malessere o di disagio, determinata sul piano sociale dalla mancata corrispondenza tra valori e modi di vita». Da qui alcuni interrogativi di fondo sui limiti del modello economico costruito negli ultimi decenni e sul tipo di sviluppo che la società globalizzata deve perseguire. Sono interrogativi che riecheggiano da più parti: nel mondo dell'associazionismo e in quello della cooperazione internazionale, nella riflessione culturale sia di stampo laico che religioso. Anche la Chiesa cattolica, anzitutto attraverso il papa, non fa mancare la sua voce.
Si diffondono in particolare gli inviti a (ri)scoprire la sobrietà: un valore, e prima ancora un'esperienza, straordinariamente profondi. Lungi dall'essere riducibile a un banale «spendere meno», l'autentica sobrietà sa farsi stile di vita, modalità di stare nel mondo capace di vedere la realtà nella sua interezza e complessità, con uno sguardo libero da attaccamenti che imprigionano. Sobrietà diventa allora sinonimo di uso non rapace delle risorse, nella consapevolezza che si esiste solo nella relazione con l'altro e che, nel mondo di oggi, le scelte di pochi hanno conseguenze su tutti (gli esseri umani) e su tutto (l'ambiente). Sobrietà come requisito essenziale di un'autentica corresponsabilità e solidarietà, antidoto a un individualismo suicida. Sobrietà, infine, come capacità di non essere spaventati dal futuro, come fondamento interiore di una vera speranza, ben diversa dalle effimere speranze che ci offrono i notiziari ( il rimbalzo delle Borse, gli incentivi alla rottamazione...).
Nel Libro dell'Esodo, al capitolo 16, troviamo l'immagine della manna, il cibo che Dio dona al popolo di Israele nel deserto. Come fanno notare i biblisti, il dono della manna è accompagnato da una legge di sobrietà e di giustizia: Israele deve imparare a non vivere nella logica dell'accaparramento e dell'accumulo («Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne»; «Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino»), aprendosi alla condivisione perché ognuno abbia secondo il bisogno («Colui che ne aveva preso di più non ne aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno non ne mancava»).
Se vissuta in questa prospettiva per quanto sembri paradossale e pur senza sottovalutare le tante sofferenze connesse a un tempo difficile , la crisi potrà forse rivelare un volto sorprendentemente benefico.

POPOLI - marzo 2009 - 1

Ticozzi: «Il mostro vive in casa»

Il regista pavese gira un film che racconta storie di violenza domestica

PAVIA. Sei mesi di preparzione, quattro giorni di riprese e più di sessanta persone coinvolte. Sono i numeri del film “Dall’altra parte della strada” del regista pavese Filippo Ticozzi. Ieri mattina il via alle riprese che saranno concluse in questi giorni tra Pavia (all’istituto Itis e nei pressi del Ticino) e San Martino Siccomario (in una casa privata). Il progetto ha un obiettivo importante: sensibilizzare i giovani sul tema della violenza contro le donne. Per questa ragione la pellicola verrà proiettata nelle scuole superiori. A poche ore dal primo ciak abbiamo incontrato Ticozzi. Com’è nato questo progetto? «Nel novembre scorso ho letto un bando dell’Ufficio Pari Opportunità del Comune per finanziare un lavoro che affrontasse questa diffcile tematica. Ho presentato il mio progetto e ho vinto. E’ un’importante opportunità. Non capita spesso di trovare i fondi per realizzare prodotti di impegno sociale». Qual è stata la chiave di lettura adottata? «Il film dura venti minuti e lavora molto per immagini, con pochi dialoghi e nessuna scena esplicita. Ho cercato di andare oltre i cliché che vedono la violenza come conseguenza di situazioni di disagio sociale. I protagonisti sono borghesi benestanti. Preferisco però non rivelare altro sulla storia, avrete modo di conoscerla una volta terminato il film. L’obiettivo è quello di destabilizzare, per toccare nel profondo. Non dare risposte certe, ma aprire sentieri per nuove riflessioni». A chi si rivolge il film? «In linea generale a tutti. Ma nello specifico agli studenti delle scuole superiori. Sarà infatti proposto nelle aule scolastiche, così da intraprendere un percorso di educazione e informazione». Quali sono state le principali difficoltà incontrate? «Credo che la maggiore sia derivata dal fatto di avere uno sguardo maschile. Un uomo di fronte a certi temi tende spontaneamente a schematizzare, a ragionare superficialmente. Per questo ho seguito un corso sulla violenza contro le donne, in cui non a caso, ero l’unico uomo presente». Nato a Pavia trentasei anni fa, Ticozzi ha già ottenuto importanti riconoscimenti sia in Italia che all’estero. In programma per il futuro un documentario su Mino Milani. Un omaggio, insomma, alla città.

Giulia Zaccariello, La Provincia Pavese-26 luglio 2009

Arrivano 140mila euro per i volontari pavesi

Approvati dodici progetti, Moggi (Csv): «Boccata d’ossigeno»

PAVIA. Sono dodici i progetti pavesi (dei 28 presentati) che hanno ottenuto il finanziamento del Bando sulla coesione sociale che Fondazione Cariplo, i Centri di Servizio per il Volontariato (tra cui quello di Pavia) e il Comitato di Gestione del Fondo Speciale per il Volontariato in Lombardia hanno lanciato lo scorso novembre. Grande interesse da parte del volontariato lombardo in generale, che ha presentato nel complesso 360 progetti, di cui 164 ammessi al finanziamento. I progetti pavesi, che godono di un finanziamento di ben 140 mila euro (circa 14 mila per ognuno), sono stati ideati da: Volontari e Amici della Fondazione Exodus, Associazione Pavese Parkinsoniani, Lipu, Ains, Auser, Associazione per i Consumi Etici e gli Stili di Vita Solidali, CuoreClown, Caritas di Vigevano, Legambiente Circolo «Terre d’Acqua», La Barriera, Babele e Uildm. Nell’insieme sono di 2,15 milioni di euro i contributi, provenienti dal Fondo speciale per il volontariato che verranno erogati nei prossimi mesi. Al centro degli interventi finanziati, immigrati, senza tetto, bambini e adolescenti in difficoltà, anziani, disabili e persone fragili. I vari progetti vedranno, tra le altre iniziative, l’organizzazione di eventi musicali che vedranno coinvolte anche persone affette dal morbo di Parkinson, la creazione di gruppi di acquisto solidale, percorsi di animazione con bambini e sinti. Il tutto, per raggiungere i due obiettivi proposti dal bando stesso: la promozione del volontariato e l’avvicinamento della popolazione, in funzione della coesione sociale. La fase operativa dei progetti, subito finanziati per il 70% dei costi preventivati, prenderà il via ad ottobre. La chiusura sarà entro 12 mesi successivi: «In un momento di crisi come questo - ha spiegato Alice Moggi del Centro Servizi di volontariato di Pavia - un bando del genere è molto prezioso per le associazioni, dato che anche le fondazioni risentono della crisi. Penso sia una boccata d’ossigeno anche per l’organizzazione di eventi che portino beneficio alla comunità locale». I Csv metteranno a disposizione la loro esperienza nella gestione di processi progettuali e di programmazione delle attività per tutte le associazioni che hanno visto finanziato il loro progetto. Per consulenze: Csv Pavia, tel. 0382.526328 o mail: consulenza@csvpavia.it. L’elenco completo dei progetti è on line sul sito: www.bandovolontariato2008.it.
(mi.can.- La Provincia Pavese, 25 luglio 2009)

23 luglio 2009

Pavia punta sul Guatemala

Soldi e registi per un video da proiettare nelle scuole. E’ stato realizzato da Recalde e Grignani per conto dell’associazione Ains

La Provincia Pavese, 23 luglio 2009

PAVIA. Si chiama «Historias de Guatemala», storie dal Guatemala, ed è un documentario girato nel paese latino dai giovani registi pavesi Anna Miranda Recalde e Nicola Grignani per conto di Ains, l’associazione italiana di nursing sociale di Pavia. E’ terminato da poco e sarà presentato nei festival, nelle scuole di Pavia e al pubblico grazie al circuito del Centro servizi volontariato della provincia di Pavia che insieme a decine di sostenitori anonimi ha sponsorizzato il documentario. Perché un video sul Guatemala? «L’idea era di ricordare in qualche modo i 60 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Noi sosteniamo dei progetti concreti in Guatemala, un paese spezzato da 36 anni di guerra civile, ma riteniamo che senza fare una corretta informazione e sensibilizzazione, si finisca per fare solo assistenzialismo» ha spiegato Ruggero Rizzini, presidente dell’associazione. Quindi, dopo qualche anno dal primo film di Filippo Ticozzi «Lettere dal Guatemala», Ains ha dato carta bianca ai due registi dicendo loro di trovare il modo di raccontare i diritti umani nel paese. E, capitolo dopo capitolo, si scopre una storia recente quasi sconosciuta, dove le donne combattevano quanto gli uomini e una circolare del governo, tuttora conservata alla Biblioteca Nacional, imponeva ai soldati di non usare munizioni per uccidere i bambini sotto i quattro anni, per salvaguardare il bilancio dell’esercito. Come è stato finanziato il progetto? «Ains ha dato mille euro per vitto e alloggio dei tre mesi di riprese, da novembre a gennaio. Il Csv ha finanziato 2mila euro per il viaggio, e 9mila euro sono stati finanziati direttamente dai sostenitori che hanno creduto nel progetto» continua Rizzini. Dietro il documentario, molto curato dal punto di vista dell’immagine e dei colori, c’è un grande lavoro di informazione e studio, decine di interviste: nei 52 minuti di video si alternano persone che lavorano nel mondo vario dei diritti umani, dai campesinos della cooperativa Katoki ai leader di associazioni politiche, dai guerriglieri a monsignor Alavaro Ramazzini, vescovo di San Marcos e successore di monsignor Gerardi che dopo aver denunciato scomparse e torture nel rapporto Guatemala nunca màs venne ucciso: «Ramazzini sarà a Pavia in ottobre per incontrare i sostenitori di Ains», ha annunciato Ruggero Rizzini. Il video si potrà trovare nelle prossime settimane al negozio La Piracanta di corso Garibaldi: chi fosse interessato potrà richiederlo anche per organizzare proiezioni. «Nel documentario si parla di diritti umani, commercio equo, violenze sulle donne: potrebbe essere interessante per svariate associazioni del territorio che vogliano collaborare a fare informazione su queste tematiche», concludono i volontari dell’associazione.

22 luglio 2009

La mano della Cia sull'America latina, un'eredità che pesa su Barack Obama

di Adolfo Pérez Esquivel, Il manifesto del 21 luglio 2009

Il governo che si è imposto in Honduras cerca di giustificare l'ingiustificabile con l'espulsione del Presidente Manuel Zelaya. Questo colpo di stato non sarebbe stato possibile senza una autorizzazione del Pentagono e della Cia. Che agiscono al di là del presidente Barack Obama.Ho ricevuto notizie da giornalisti e dirigenti sociali che sono riusciti a nascondersi per evitare la repressione e che riescono ancora a mandare informazioni su ciò che sta accadendo nel paese. I dittatori, che hanno imposto la censura a tutti i mezzi di comunicazione e hanno sequestrato materiali tecnici e arrestato i giornalisti, continuano a violare i diritti umani e a perquisire le case di coloro che sono considerati gli oppositori. Il segretario generale della Oea, José Miguel Insulza, nel suo viaggio a Tegucigalpa non ha ottenuto i risultati sperati. La Oea ha quindi deciso di applicare delle sanzioni all'Honduras. Il dittatore Micheletti non ha ascoltato i capi di stato che chiedono la restituzione del governo al legittimo presidente; sta invece assumendo posizioni sempre più dure minacciando di arrestare Zelaya qualora faccia ritorno al suo paese. Ha scatenato una feroce repressione contro chi manifesta in sostegno del presidente. La dittatura è responsabile della vita e della sicurezza del presidente Zelaya e della popolazione.Cresce la preoccupazione nel vedere che Obama, sotto la pressione dei presidenti latinoamericani della Oea che gli chiedevano di esprimersi in difesa della democrazia e contro il golpe, ha in realtà assunto posizioni deboli. Obama non ha voluto ricevere Zelaya. È un fatto preoccupante che evidenzia la complicità degli Usa nel colpo di stato. Dobbiamo considerare questa come un'esperienza pilota per imporre nuovamente governi antidemocratici. Tutto ciò provoca un grave e pericoloso precedente per tutto il continente latinoamericano. Dobbiamo, infatti, ricordare i tentativi di colpo di stato in Venezuela, Bolivia e Haiti, così come il breve attacco contro l'Ecuador da parte della Colombia e degli Stati uniti...La domanda che sorge è: Obama era o no a conoscenza del golpe in Honduras? Questo è un paese che ha una lunga e dolorosa storia di dominazione nordamericana. Ricordiamo, ad esempio, la figura del «viceré» John Negroponte, ambasciatore degli Usa in Honduras, che ha avuto un ruolo attivo nella distruzione di governi e ha sostenuto gli attacchi contro la rivoluzione sandinista in Nicaragua, così come in Salvador e in Guatemala. Ha inoltre preparato e finanziato i gruppi dei contra e quelli paramilitari e di polizia, e ha fatto installare le basi nordamericane nel territorio honduregno. L'eredità ricevuta da Obama dal governo che l'ha preceduto è pesante. Si pensi alle guerre di Iraq e Afghanistan, dove l'invasione militare ha provocato solo fame, distruzione e morte, dissipazione delle risorse economiche e culturali e saccheggio delle risorse naturali e dei beni di questi paesi. Nonostante ciò, le forze armate Usa, responsabili di crimini di lesa umanità, godono dell'impunità. Il governo Obama fino ad oggi, malgrado le buone intenzioni, non è riuscito a sradicare la pratica della tortura e la degradazione umana nelle carceri di Abu Ghraib in Iraq e di Guantanamo. Ancora non ha ottenuto la chiusura definitiva di questi spaventosi luoghi che rappresentano un'offesa all'umanità. È evidente che non ha la capacità di modificare le politiche imposte dal governo Bush e dagli altri che lo hanno preceduto. Gli scenari nel continente sono cambiati. I governi latinoamericani della Oea si sono assunti la responsabilità di rafforzare i processi democratici. Bisogna appoggiare i presidenti che hanno deciso di accompagnare Zelaya in Honduras per reclamare i suoi diritti.Anche le Nazioni unite e la comunità internazionale hanno condannato il golpe e chiesto il ritorno di Zelaya. È necessario però che le organizzazioni sociali, i sindacati, le chiese, i movimenti studenteschi e intellettuali, i mezzi di comunicazione e le reti sociali si uniscano per impedire l'instaurazione di nuove dittature militari, in Honduras e in qualsiasi altro paese. Quello che sta succedendo oggi in Honduras colpisce tutti. Dobbiamo chiedere agli organismi finanziari come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, la Banca interamericana di sviluppo e l'Unione europea di bloccare ogni aiuto economico, finché non verrà restituito l'incarico al presidente Zelaya. I golpisti dovranno essere processati così come tutti quei civili, militari, imprenditori e religiosi che hanno avallato il colpo di stato.Il presidente Obama deve dimostrare coerenza tra ciò che dice e ciò che fa. Ha ancora molte faccende da risolvere. Conosciamo le sue difficoltà nell'ottenere cambiamenti nella politica degli Stati uniti ma se non agirà con coraggio e decisione finirà per operare come quelli che l'hanno preceduto, che hanno portato il paese alla grave situazione in cui oggi si trova e hanno provocato danni ad altri popoli del mondo. Il caso honduregno evidenzierà se egli è disposto a difendere la democrazia e a farsi carico dei cambiamenti promessi o se le sue parole sono prive di contenuto.La chiesa cattolica deve pronunciarsi con chiarezza e non avere atteggiamenti ambigui come quelli espressi dalla Conferenza episcopale honduregna che per voce del vescovo ausiliare monsignor Pineda, ha raccomandato a Zelaya di non tornare in Honduras e non ha detto cosa dovrebbe essere fatto contro i golpisti. L'ambiguità e la mancanza di coraggio sono presenti nelle gerarchie ecclesiastiche. Gesù ebbe sempre posizioni chiare e determinate contro le ingiustizie. I vescovi dovrebbero imparare dal loro Maestro. La terra tormentata dell'Honduras reclama la solidarietà dei popoli dell'America latina e del mondo. È necessario resistere nella speranza.

(traduzione di Grazia Tuzi)

21 luglio 2009

“Io, precario premiato all’estero!”

Lo sfogo di Filippo Ticozzi, regista pavese, “dimenticato” dall’Italia

di Daniela Scherrer, IL TICINO- 18 luglio 2009

Filippo Ticozzi, trentasei anni, è un regista e produttore pavese. E’ laureato al Dams di Bologna, soprattutto è molto bravo ma questo non gli è sufficiente per uscire dalla sua situazione di precariato. Almeno in Italia perchè all’estero i suoi documentari hanno fatto man bassa di premi nei vari Festival. Il suo è un genere particolare, molto profondo e intimista. In “Lettere dal Guatemala”, ad esempio, Filippo racconta attraverso alcuni stralci della corrispondenza alla moglie la vita del popolo Maya, diviso tra una cultura meravigliosa e millenaria e la grande povertà conseguente ad anni di guerre. “Lilli”, invece, è stato interamente girato in Oltrepo e racconta la storia di Giancarlo, un ragazzo “particolare” che vive con la mamma e il suo cane tra le colline. “Lilli” è stato premiato in due Festival internazionali francesi ed è arrivato fino in India, unico film italiano selezionato sui trentasette di tutto il mondo. Ora il Comune di Pavia gli ha commissionato “Dall’altra parte della strada”, film che pone l’accento sulla violenza contro le donne e si propone di entrare nelle scuole superiori.
Oggi si parla molto di precariato e lo si lega spesso all’ambito della ricerca. Però “fughe di cervelli” dall’Italia si registrano anche in altri settori, compreso il suo. E’ vero che registi e produttori giovani devono andare all’estero se vogliono sfondare?
“Sicuramente. La crisi in Italia è forte, ed in settori come il mio ora è difficilissimo lavorare. Nonostante i luoghi comuni dicano il contrario, con il mio lavoro faccio davvero fatica a mettere insieme 800/1000 euro al mese. Io parlo da indipendente e da regista. Non so di preciso che cosa succeda nel mainstream, ma sicuramente lì una parola come regista ha tutt’altro significato. All’estero va meglio, in tutta Europa, anche se al giorno d’oggi è comunque più difficile. Non si diventa ricchi facendo i registi. Il punto fondamentale è un altro. All’estero la cultura è vista come un bene prezioso. E’ tutelata e, anche nelle difficoltà, le si riconosce un valore universale. Qui sappiamo tutti come vanno le cose. Se prima si tacciava la cultura di essere di sinistra, ora si cerca di strozzarla e di renderla inerme. Il sapere infastidisce perché permette alle persone di vedere le cose da più punti di vista. E questo fa paura ai dirigenti, a chi comanda. La volgarità esibita e lo svilimento dell’intelligenza ora hanno il potere massimo”.
La tua esperienza è illuminante sotto tanti profili: praticamente sconosciuto nel nostro Paese, ricercato all’estero dove ormai le sue produzioni hanno conquistato numerosi successi. Perché questo?
“In realtà il mio primo documentario, Lettere dal Guatemala, è stato selezionato in diversi festival italiani. E ho fatto una serie di documentari per Marco Polo, canale italiano. Il problema è che qui questi fatti non sono l’inizio di una carriera, ma solo una sorta di colpo di fortuna. Lilli invece è stato selezionato in Francia, Kenya, Stati Uniti, Inghilterra, Irlanda, India. In Italia neanche i festival più piccoli l’hanno voluto. Sicuramente c’è una questione di genere. Il film dura 38’. Non è un corto e non è un lungo. E in Italia l’80% dei festival prendono corti o lunghi. Poi io sono fuori dai giri, dal milieu. Un po’ per una questione di carattere mio, un po’ perché non è proprio facile entrarci. Non parlo di raccomandazioni, questo assolutamente no. Parlo di avere una certa visibilità, di essere un po’ manager di se stessi nei posti dove si fanno i film: Roma, Milano e Torino. Questo mi manca totalmente e in più abito in provincia. Un’ultima cosa, sicuramente la più importante, è che i miei film, riusciti o meno, non spetta a me dirlo, cercano di battere vie inesplorate, zone ombrose. E cercano di non fuggire. Bisogna aver voglia di entrarci, senza preconcetti. Per me sono pellicole semplici, storie da raccontare ad un bimbo, senza orpelli. Per questo, forse, non sono per tutti i gusti”.
“Lettere del Guatemala”, poi “Lilli”: preferisce temi impegnati ad altri magari più leggeri e commerciali. Pensa che questo possa in qualche modo catalogarla?
“Mah…. Per me è così: ognuno fa quel che sa fare. Non li cerco i temi. Loro in qualche modo trovano me. Per esempio la scoperta del Guatemala è avvenuta per caso, incontrando Ruggero Rizzini che opera là con l’associazione Ains. Mi colpirono la passione e la costanza di Ruggero, così decisi di capire su cosa stesse lavorando con tanta energia. Mai avrei pensato di andare in Guatemala prima, né di appassionarmi tanto alla cultura Maya. Addirittura, se tutto procede secondo i piani, tornerò laggiù con due film maker per fare un altro documentario! Mentre Giancarlo, il protagonista di Lilli, è un caro amico e da sempre avrei voluto fare qualcosa con lui. E’ un ragazzo fuori dal comune, dall’enorme sensibilità, generoso, segnato dalla vita ma fiducioso. Un’immagine, lui che scala una montagna con il suo cane morto sulle spalle, mi ha aperto la strada. E’ nata l’idea e abbiamo fatto il film. Giancarlo non è un attore, e infatti recita benissimo. Il film che ho in montaggio ormai da un anno, Legna, parla di un alcolizzato ed è tratto da un racconto di Raymond Carver. Tutte cose diverse. Più che di temi parlerei di un atteggiamento verso il mondo”
Ha dichiarato che i suoi successi recenti l’hanno in qualche modo riconciliata con la passione per il suo lavoro. Quanto serve la gratificazione nell’incoraggiare in un lavoro difficile come il suo?
“Serve tantissimo. Fa venire voglia di andare avanti. Ti senti un poco realizzato. Parlo spesso di Festival perché sono gli unici luoghi dove il tuo film può avere visibilità. Per i film brevi non ci sono veramente alternative. O sei selezionato ad un festival, o il film rimane nel cassetto (parlo sempre da indipendente). E esser selezionato è difficilissimo. Nei festival più importanti arrivano migliaia di film, e se ne proiettano tra i 10 e i 100. Se il film va bene al festival ti fai il curriculum e magari una televisione o un produttore ti contatta”.
Qual è il suo sogno per il futuro?
“Sinceramente sarebbe riuscire a lavorare serenamente sulle mie cose. Nulla più. Così è quasi impossibile. La sindrome di Sisifo ti attanaglia. Forse, più realisticamente, vorrei avere un’offerta dall’estero che mi permettesse di trasferirmi in un paese migliore con la mia famiglia allargata: moglie, figlia, quattro cani e due suoceri (tra le poche persone che mi dispiacerebbe perdere)!!. L’Italia ora non mi piace per niente”. Quindi pensa anche di lasciare Pavia... “Ci penso tutti i giorni. Una città che non ho mai amato, certo, ma prima credevo avesse molte potenzialità inespresse. Ora non credo neanche più quello. Pavia è la città/sonno per eccellenza. In effetti tutto quello che chiede è di star tranquilla, no? Appena si tenta qualcosa viene subito affossata e ricoperta di terra. Non parlo di politica, né di amministrazione. Parlo di un sentire comune della città, dei suoi abitanti. Ed è facile assuefarsi a questo. Ci sono, come in tutti i luoghi in bilico sul baratro, anche persone meravigliose. Mia moglie. Grandi amici e grandi teste ho trovato qui. Ma le conto sulle dita delle mani. Perché non me ne vado allora? Perché non è così facile riorganizzarsi una vita con una famiglia quando non si è sicuri di niente”.
C’è un regista che ammira particolarmente e perchè?
“Amo il cinema che in qualche modo ha a che fare con la vita, che svela un punto di vista inconsueto e forte, quasi innervato. Per questo amo delle visioni del mondo più che dei film. Primo fra tutti Werner Herzog, forse l’incontro filmico più sconvolgente. Poco distanti, quasi alla pari, Robert Bresson e Andrej Tarkovskij. Poi l’umorismo gelido di Aki Kaurismaki, la crudeltà tutta d’oggi di Ulrich Seidl e l’errabondo documentario di Robert Kramer. Tra gli italiani sicuramente Marco Ferreri è il mio preferito. Ora deceduto, in pochi si ricordano di lui. Si trasferì in Francia negli anni ottanta perché in Italia nessuno lo faceva più lavorare…”

«Così aiutiamo le donne vittime di violenze»

In aumento le violenza alle donne anche di tipo domestico

DANIELA SCHERRER, Avvenire-17 luglio 2009 Pavia.

Duecento donne aiutate ogni anno a uscire dall’incubo della violenza domestica o sessuale che si consuma soprattutto tra le pareti domestiche e che, proprio per questo, è ancora più difficile da far emergere in superficie. E’ il bilancio del Centro Antiviolenza di Pavia da vent’anni attivo sul territorio con un duplice scopo: tendere la mano alle vittime di violenza e aiutare gli operatori chiamati a misurarsi con il fenomeno dilagante ad approcciarsi con giusta preparazione. Proprio in quest’ultima ottica rientra la decisione di confrontarsi con medici e infermieri del Pronto Soccorso, ma anche di altri reparti come la Ginecologia, per spiegare i segnali da cogliere per identificare tempestivamente un soggetto vittima di violenza. Il primo incontro è avvenuto ieri al Policlinico San Matteo. Maria Grazia Rossi e Valentina Morandi, rispettivamente responsabile e psicologa del Centro pavese, hanno sottolineato come la percentuale degli abusi fisici sia sottostimata: le cifre reali sono dieci volte maggiori rispetto alla percezione rilevata dai medici del Pronto Soccorso. “Capire quando una donna è vittima di violenze non è facile, anche perchè quasi sempre arriva persino a giustificare fino all’assurdo ecchimosi e fratture –ha spiegato Maria Grazia Rossi- sono tre i segnali che più di tutti devono far scattare l’allarme nel medico: il lungo intervallo di tempo lasciato intercorrere tra evento traumatico e richiesta di intervento, frequenti visite al pronto Soccorso per traumi ripetuti e presenza di lesioni multiple in vari stadi di guarigione”. Per diffondere una maggior conoscenza anche tra gli infermieri al fianco del Centro scenderà in campo anche il Collegio Ipasvi di Pavia, con il presidente Enrico Frisone. A Pavia, come detto, duecento donne all’anno, in media, bussano alla porta del Centro Antiviolenza. Un numero in crescita rispetto al passato, perchè –come spiega la responsabile- c’è ancora tanta paura ma è aumentata la percezione del pericolo, la voglia di mettere fine a un incubo. Chi sono queste donne? Maria Grazia Rossi ne traccia il profilo: “L’ottanta per cento sono utenti italiane, operai e impiegati le categorie più colpite ma non sono trascurabili le cifre delle violenze che si consumano nelle classi medie e alte”.

La destra colpisce ancora

di Immanuel Wallerstein, il manifesto del 19 luglio 2009

In America latina gli Usa non sono più in grado di imporsi, ma tutti si aspettano che stiano dalla loro parte. E Obama oscilla. Il caso Zelaya

La presidenza di George W. Bush è stata il momento del maggior successo elettorale dei partiti politici di sinistra in America Latina negli ultimi due secoli. La presidenza di Barack Obama rischia di essere il momento della rivincita della destra in America Latina.La ragione potrebbe essere la stessa: una combinazione tra il declino della potenza americana e la perdurante centralità degli Stati Uniti nella politica mondiale. Gli Usa, allo stesso tempo, non sono in grado di imporsi, e malgrado ciò tutti si aspettano che scendano in campo dalla loro parte.Cosa è successo in Honduras? L'Honduras è da molto tempo uno dei pilastri delle oligarchie latino-americane: una classe dominante arrogante e mai pentita, dotata di stretti legami con gli Usa e sede di una importante base militare americana. L'esercito honduregno è stato selezionato in modo da evitare qualsiasi traccia di simpatie populiste tra i suoi membri.Nelle ultime elezioni era stato eletto presidente Manuel («Mel») Zelaya. Un prodotto delle classi dominanti, ci si aspettava da lui che continuasse a interpretare il suo ruolo come sempre. Lui invece, con le sue politiche, si è spostato a sinistra. Ha avviato programmi interni facendo davvero qualcosa per la stragrande maggioranza della popolazione, come costruire scuole in aree rurali remote, aumentare il salario minimo, aprire strutture sanitarie. Aveva cominciato il suo mandato sostenendo l'accordo di libero commercio con gli Usa, ma due anni dopo è entrato nell'Alba, l'organizzazione interstatale fondata da Hugo Chavez, e di conseguenza l'Honduras ha ottenuto il petrolio a basso costo proveniente dal Venezuela.Poi Zelaya ha proposto di tenere un referendum consultivo chiedendo alla popolazione se riteneva una buona idea convocare un organismo per rivedere la costituzione. L'oligarchia ha gridato che Zelaya cercava di cambiare la costituzione per poter essere eletto ancora. Ma questo era chiaramente pretestuoso, dato che il referendum doveva tenersi nel giorno dell'elezione del suo successore. Perché allora i militari hanno messo a segno un colpo di stato con il sostegno della Corte suprema, del Parlamento honduregno e delle gerarchie cattoliche?Due i fattori determinanti: la loro visione di Zelaya e la loro visione degli Stati Uniti. Negli anni '30 del Novecento, la destra statunitense attaccò Franklin Roosevelt accusandolo di essere «un traditore della sua classe». Per l'oligarchia honduregna, Zelaya è questo: «Un traditore della sua classe», uno che andava punito per dare l'esempio agli altri.E gli Stati Uniti? Quando si è verificato il golpe, alcuni scomposti commentatori della sinistra attivi nella blogosfera l'hanno definito «il golpe di Obama». Questo significa non cogliere il punto di ciò che è successo. Né Zelaya né i suoi sostenitori nelle piazze, e nemmeno Chavez o Fidel Castro, hanno una visione così semplicistica. Tutti loro notano la differenza tra Obama e la destra Usa (leader politici o personaggi dell'esercito) e hanno ripetutamente espresso una analisi molto più sfumata.Com'è abbastanza evidente, l'ultima cosa che l'amministrazione Obama voleva era questo golpe. Esso è stato un tentativo di forzare la mano a Obama. Senza dubbio vi è stato l'incoraggiamento di figure chiave della destra americana come Otto Reich, l'ex consigliere cubano-americano di Bush, e l'International Republican Institute: qualcosa di simile al tentativo di Saakashvili di forzare la mano agli Usa in Georgia, quando invase l'Ossezia del sud. Anche in quel caso c'era stata la connivenza della destra Usa. Il piano non funzionò perché le truppe russe lo impedirono.Da quando c'è stato il colpo di stato in Honduras, Obama oscilla. Oggi la destra honduregna e quella americana non sono affatto soddisfatte di essere riuscite a rovesciare la politica Usa, come dimostrano alcune loro vergognose dichiarazioni. Il ministro degli esteri del governo golpista, Enrique Ortez, ha definito Obama «un negrito que sabe nada de nada».Si discute su quanto l'espressione «negrito» sia spregiativa in spagnolo. Io la tradurrei con il definire Obama «un nigger (un negro) che non sa assolutamente niente». In ogni caso, l'ambasciatore americano ha protestato energicamente per l'insulto. Ortez si è scusato per la sua «espressione infelice» ed è stato assegnato ad altro incarico nel governo. Ha anche concesso un'intervista a una stazione televisiva honduregna in cui ha affermato: «Non ho pregiudizi razziali; mi piace il negretto della piantagione che è alla presidenza degli Stati Uniti». La destra statunitense è indubbiamente più educata ma non meno sprezzante nei confronti di Obama. Secondo il senatore repubblicano Jim DeMint, la deputata repubblicana cubano-americana Ileana Ros-Lehtinen, e l'avvocato conservatore Manuel A. Estrada, il colpo di stato è giustificato perché non sarebbe un colpo di stato, ma solo una difesa della costituzione honduregna. E la blogger di destra Jennifer Rubin il 13 luglio ha intitolato un pezzo «Obama ha torto, torto, torto sull'Honduras». L'equivalente honduregno di Rubin, Ramón Villeda, ha pubblicato una lettera aperta a Obama l'11 luglio, secondo cui «non è la prima volta che gli Usa fanno un errore abbandonando, in momenti critici, un alleato e amico». Nel frattempo, Chavez sta chiedendo al Dipartimento di Stato di «fare qualcosa».La destra honduregna cerca di guadagnare tempo, fino allo scadere del mandato di Zelaya. Se raggiungerà questo obiettivo avrà vinto. E la destra guatemalteca, quella salvadoregna, quella nicaraguense osservano da dietro le quinte: non vedono l'ora di dare il via al colpo di stato contro i loro governi non più di destra.Il golpe honduregno va collocato nel contesto più ampio di ciò che sta avvenendo in tutta l'America latina. È possibile che la destra vinca le elezioni quest'anno e l'anno prossimo in Argentina e Brasile, forse anche in Uruguay, e molto probabilmente in Cile. Tre importanti analisti del Cono Sur hanno pubblicato le loro spiegazioni. Il meno pessimista, il politologo argentino Atilio Boron, parla della «futilità del golpe». Il sociologo brasiliano Emir Sader dice che l'America Latina è di fronte a una scelta: «Radicamento dell'antineoliberismo o restaurazione conservatrice». Il giornalista uruguaiano Raúl Zibechi titola la sua analisi «l'irresistibile decadenza del progressismo». Zibechi in effetti pensa che potrebbe essere troppo tardi per l'alternativa di Sader. Le deboli politiche economiche dei presidenti Lula, Vazquez, Kirchner e Bachelet (del Brasile, dell'Uruguay, dell'Argentina e del Cile) hanno rafforzato la destra (che egli ritiene stia adottando lo stile di Berlusconi) e diviso la sinistra.Quanto a me, penso ci sia una spiegazione più lineare. La sinistra è andata al potere in America latina per la distrazione degli Usa e perché l'economia attraversava un momento positivo. E viene biasimata perché è al potere, anche se di fatto i governi di sinistra possono fare poco per l'economia mondiale.Gli Stati Uniti possono fare qualcosa di più riguardo al colpo di stato? Naturalmente sì. Prima di tutto, Obama può definire ufficialmente golpe il golpe. Questo farebbe scattare una legge degli Usa, e tutta l'assistenza all'Honduras verrebbe tagliata. Può interrompere le relazioni in corso tra il Pentagono e l'esercito honduregno. Può ritirare l'ambasciatore americano. Può dire che non c'è niente su cui negoziare, invece di insistere sulla «mediazione» tra il governo legittimo e i golpisti.Perché non fa tutto questo? Anche qui, è molto semplice. Obama ha in agenda almeno altre quattro questioni estremamente urgenti: la conferma di Sonia Sotomayor alla Corte suprema; il perdurante conflitto in Medio Oriente; il suo bisogno di far approvare la riforma sanitaria entro quest'anno; e improvvisamente, una pressione enorme per l'avvio di indagini sulle illegalità dell'amministrazione Bush. Mi dispiace, ma l'Honduras è al quinto posto: così oscilla Obama. E nessuno sarà felice. Zelaya potrebbe essere rimesso al posto che gli spetta legalmente, ma forse solo fra tre mesi. Troppo tardi.
Tenete d'occhio il Guatemala.

Copyright Immanuel Wallerstein, distribuito da Agence Global
Traduzione Marina Impallomeni

20 luglio 2009

Cambiare stili di vita E anche modelli di società

Cosa bolle in pentola nell'arcipelago degli economisti "dal basso"

di Paola Baiocchi, Liberazione del 19 luglio 2009

Il grande arcipelago dell'altra economia è in movimento. Bella notizia, ma cosa vuol dire? Vuol dire che esiste un mondo fatto di persone che non approvano il sistema economico attuale e, non volendo stare solo a guardare, hanno provato nel tempo a dare risposte diverse. E ora si chiedono se non si possa fare di meglio e di più.Le risposte finora sperimentate passano soprattutto attraverso la pratica, attraverso gli stili di vita, cioè le scelte personali che tutti ogni giorno possono praticare. Per esempio non comprando prodotti di aziende che non rispettano i diritti dei lavoratori e preferendo prodotti equosolidali provenienti dal Sud del mondo; oppure formando un Gas (Gruppo d'acquisto solidale) per sostenere i piccoli produttori locali e mangiare in modo sano e biologico. I Gas si sono da poco incontrati a Petralia Sottana in Sicilia, dove si è svolto il loro nono congresso e si sono interrogati se sia ora di fare sistema, oltre che rete.Progettare un'alternativa di società.La stessa esigenza è sentita anche da Francesco Gesualdi, Francuccio per tutti, un esponente "storico" del mondo dell'altra economia. Dal Centro nuovo modello di sviluppo (Cnms) di Vecchiano, in provincia di Pisa, sono partite molte campagne e iniziative che hanno inciso profondamente sul modo di pensare e di agire, all'interno dell'altra economia: l'attacco ai metodi delle multinazionali - come Del Monte e Nike - il consumo critico, la sobrietà, sono analisi partite da questa casa di contadini affacciata sui campi, con in fondo il riverbero del mare. Una cascina i cui abitanti hanno saputo confrontarsi con la globalizzazione.Gesualdi ha lanciato ora una proposta di dibattito all'area scrivendo un librino che si chiama L'altra via , e attraverso un articolo uscito su Carta in cui si riprendono alcune "provocazioni" che, assieme al direttore di Valori , Andrea Di Stefano, abbiamo voluto proporre e che si possono riassumere così: «Per modificare a fondo l'economia in senso egualitario, non basta parlare di stili di vita, bisogna parlare di modelli di società». «Bisogna andare oltre - ci ha detto Gesualdi - ho la sensazione che molti stiano vivendo le iniziative attraverso il consumo, come una sostituzione degli altri livelli di impegno (il voto, il sindacato, la rivendicazione, la partecipazione locale) che ho sempre ritenuto necessari. Ma così, frammentati in tanti rivoli, siamo come moscerini incapaci di incidere: non abbiamo scelta o ci sobbarchiamo il compito di progettare un'alternativa di società, dove i diritti vadano d'accordo con l'ambiente, o siamo destinati a soccombere».Attivi e reattivi.L'arcipelago solidale si è venuto formando nel tempo come effetto del riflusso nel personale, come risposta reattiva all'involuzione dei soggetti del sistema politico e alla delusione che ha generato vedere la fine dei grandi partiti di massa del dopoguerra. Ci sono giovani, precari nel lavoro che non si sentono rappresentati dai sindacati, accanto ai sindacalisti cresciuti nelle scuole di partito. C'è chi ha sviluppato una forma quasi "allergica" alla parola partito e si preoccupa se sente parlare di marxismo, accanto all'ex militante del Pci che trova in questi circoli le risposte che la politica non ha saputo dare alla questione morale e che qui si chiama "legalità", con le cooperative dei giovani del Sud che lavorano le terre strappate alla mafia.I numeri di queste iniziative cominciano a farsi notevoli: sono 599 i Gas iscritti a www.retegas.org , il sito dove trovare le istruzioni per far nascere un Gruppo d'acquisto. Valori , il mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità legato a Banca Etica, ne aveva documentati 394 nel maggio del 2008. E si sono già formate 10 Reti, associazioni tra Gas che organizzano fiere, acquisti, iniziative di formazione. Ci sono poi i Distretti dell'economia solidale (Des) in cui si confrontano soggetti della cooperazione sociale, il volontariato, i produttori. Ci sono le Mag (Mutue di autogestione) realtà ormai consolidate che intervengono anche nel risanamento di imprese di produttori che poi riforniscono i Gas. La creazione di molti Des-Res è stata stimolata dagli enti locali, Regioni o Comuni che con le loro "buone pratiche" nei settori delle rinnovabili, del riciclo, della filiera corta produttiva riescono a contrastare le fragilità territoriali, fatte di piccoli borghi che si spopolano perché isolati e senza servizi: è il caso di Varese Ligure, che con il biologico e l'eolico ha rilanciato il paese. E' il caso anche di Torraca, comune nel Golfo di Policastro che ha deciso di investire nell'illuminazione a Led e nelle rinnovabili, generando innovazione e occupazione. E c'è Banca Etica che l'anno scorso, in piena crisi economica e di fiducia verso le banche, ha visto aumentare la raccolta del 16% e i finanziamenti del 15% rispetto al 2007.«L'economia solidale è già una realtà - dice Massimo, banchiere ambulante di Banca Etica - credo che ci manchi solo di far sentire tutti insieme la nostra voce». «L'idea ora è di lanciare il dibattito attraverso i giornali - dice Gesualdi - Altraeconomia , Valori , Carta , Liberazione , cercando di far nascere cento, mille idee che servano a progettare tutti insieme l'alternativa. Che possano nel tempo sfociare in qualcosa di più organizzato: un movimento con le specificità di tutti, però unito da un pensiero comune sulla forma sociale ed economica che può assumere la nostra società industriale».
Il dibattito è aperto: facciamo presto, che è tardi.

16 luglio 2009

Sobrietà....insieme alla giusta Trasparenza.....un po' di informazioni di vita associativa....

È importante raccontare quello che facciamo ma anche rendicontare.
Per questo motivo abbiamo deciso di informarvi riguardo la situazione economica di Ains nei primi 5 mesi del 2009.
Nel mese di Gennaio abbiamo speso 11,40 euro destinati a commissioni postali per la tenuta del conto corrente; 84 euro sono serviti per acquistare francobolli per spedire “Compagni di Viaggio”, il nostro foglio notizie, e 2160 euro per il progetto di Mazatenango prontamente inviati in Guatemala.
Febbraio è stato un mese tranquillo: solamente 6,60 euro di commissioni postali e 50 euro per l’affitto annuale della casella postale n. 138.
Anche a Marzo nulla di particolare: 8,00 euro di commissioni postali e 60 euro per l’acquisto di francobolli.
Siamo soliti utilizzare internet per informare i nostri sostenitori tramite posta elettronica; ovviamente chi non dispone di questo strumento deve essere informato via posta ordinaria onde per cui ecco motivato l’acquisto dei francobolli.
Ad Aprile abbiamo avuto le mani bucate: 5,6 euro di commissioni postali, 2,00 euro di bonifico postale per il pagamento di 163,80 euro a seguito dell’acquisto, intorno a Natale, di 100 panettoncini con gocce di cioccolato regalati dall’amministrazione comunale di San Martino Siccomario (PV) ai bambini delle scuole elementari e medie in occasione delle Festività 2008-09.
Queste spese sono state rimborsate interamente, compresi i 2 euro di bonifico, dall’amministrazione comunale.
112,00 sono stati invece gli euro spesi per l’acquisto di altri francobolli.
Maggio tranquillo: 6,20 euro di commissioni postali e 100 euro impiegati per pagare il costo di una stanza d’albergo presso l’Hotel Plaza di San Martino Siccomario (PV) a Pippo Tadolini, medico ginecologo di Ravenna oltre che presidente dell’associazione Rekko 7 da diversi anni, come noi, presenti in Guatemala.
Pippo è stato nostro ospite invitato per raccontarci la sua esperienza laggiù.

Per realizzare i progetti di solidarietà in Guatemala in collaborazione con l’associazione Moises Lira di cui è Presidente il professor Alvaro Aguilar che abbiamo ospitato a San Martino nei primi 15 giorni di Maggio, occorre denaro, non possiamo nasconderlo.
Fortunatamente non mancano (ma non mettiamo limiti di numero...) amici e sostenitori che ci danno la possibilità di continuare: un passo alla volta, due passi avanti e uno indietro con umiltà, la collaborazione con gli amici del Guatemala continua. Insieme abbiamo realizzato tante cose e insieme andiamo avanti con idee, proposte condivise e una creatività che elaborata diventa progettualità.
Insieme, soprattutto a chi versa quotidianamente piccoli contributi ai progetti e, di questo vogliamo informarvi, cioè quanto denaro è stato versato sul conto corrente postale di Ains da Gennaio a fine Maggio.
Prima di tutto, però, vogliamo dirvi che al 31 dicembre 2008, il saldo attivo sul c/c è stato di 29300,73 euro.
Perché così tanti soldi sul conto a fine anno?
È presto detto: attraverso una prudente gestione dei fondi, abbiamo finanziato l’anno scorso tutti i progetti e registrato, con ciò, un avanzo di cassa di 29300,73 euro.
Questo grazie ai tanti sostenitori che ci hanno seguito dandoci fiducia.
Avremmo potuto e dovuto, come devono fare tutte le Onlus (organizzazione non lucrativa di utilità sociale), arrivare al 31 dicembre con un saldo pari a zero euro.
Avremmo potuto. Sarebbe bastato chiedere ad Alvaro di inviarci una serie di progetti da finanziare per poter impegnare i soldi in eccedenza. Non l’abbiamo fatto in quanto riteniamo, come associazione, che sia un errore distribuire fondi a pioggia senza una precisa finalità.
In 10 anni di esistenza Ains ha cercato di progettare il quotidiano arrivando a lavorare con progetti seri, fattibili e che potessero essere utili alle comunità locali di alcune aree del Guatemala profondamente segnate dalla povertà, soprattutto quelle a insediamento indigeno.
Per costruire tutto questo abbiamo sempre, (grazie al preziosissimo lavoro di Alvaro), proceduto con molta prudenza: quando era il caso investivamo il denaro, - mai inteso come "nostro" - ma frutto della vostra solidarietà.
Quando invece la proposta non ci convinceva, aspettavamo fino all'arrivo della giusta occasione.
L’anno scorso c’è stato un avanzo che sicuramente utilizzeremo nel corso del 2009, qualora i progetti presenteranno determinate caratteristiche di fattibilità e utilità comunitaria.
A fronte di quanto fin qui espresso: a Gennaio sono stati accreditati sul conto dell’Associazione 10953,01 euro, a Febbraio 1132 euro, a Marzo 8102,10 euro, ad Aprile 390,80 euro, a Maggio 1081 euro.
Fondi che saranno impegnati per finanziare il comparto del sostegno scolastico a distanza e altri microprogetti ad oggi in corso d'opera o da concretizzare nell'immediato futuro.

Ainsonlus

Riflessioni di un pediatra sulla madre africana

di Massimo Serventi, Gulu Uganda

A chi ha vissuto e lavorato a lungo in Africa succede che la gente e gli eventi quotidiani sorprendono meno che nei primi tempi; a tutto,comprese le ‘stranezze’ che ci circondano, sappiamo dare una spiegazione razionale, di tipo culturale, storico o anche politico. Da un lato ciò e’un bene perche’impariamo a fare meno errori di valutazione( quelli che ci fanno pentire negli anni seguenti delle cantonate prese); da un altro lato e’ meno bene , nel senso che col passare degli anni ci abituiamo a tutto e non ‘vediamo o sentiamo’ piu’ quegli aspetti che sono stra-ordinari e cosi’tipici della societa’ africana. Uno di questi e’ la maternita’, come viene vissuta, espletata, inserita nella cultura locale. Dopo 26 anni di vita e lavoro in Africa sono quotidianamente affascinato dal comportamento delle madri africane nei confronti dei loro figli. Il mio lavoro di pediatra comporta che io debba interagire con la mamma del bambino malato. La devo conoscere, devo conoscerne lingua,credenze,ansie,cultura. Solo cosi’ potrei ottenerne fiducia e quindi collaborazione. Ci mettero’ la mia conoscenza della pediatria e scrivero’ in cartella alcune prescrizioni...ma il resto, il tanto che rimane della cura,della nutrizione,dell’affetto,dell’attenzione sara’ poi a carico della madre. E non e’ poco! Non sono retorico ma solo obiettivo osservatore: le madri africane, quelle ugandesi di oggi(dove lavoro), quelle tanzaniane di ieri (dove ho lavorato) sono veramente brave, capaci, di buon senso. E soprattutto Madri, con l’infinita pazienza amorevole con cui con-vivono con il figlio malato. Credo che la naturale dimestichezza con cui trattano i figli provenga alle madri africane dalla scuola di vita (e non dai libri....), ossia dai molti anni passati da ragazzette a occuparsi dei fratellini. Sono cresciute in un contesto culturale-famigliare che le voleva un giorno genitrici e madri: quando lo saranno perderanno il loro nome di nascita e si chiameranno con il nome del nuovo-nato, mamma Janet, mamma Charles, mamma Peter. . Voglio descrivere alcuni aspetti e momenti della cura e relazione madre-figlio che grazie al mio lavoro conosco meglio. L’allattamento. La naturalezza di questo atto cosi’ umano lascia l’ osservatore incantato. Il bimbo succhia anche 50 volte al giorno, quando vuole, per fame, per sentirsi amato, per rasserenarsi. La madre ‘sembra’ avvertire questa esigenza, l’asseconda, ne fa parte completamente , in un binomio stretto. Allatta non per ‘dovere’, non per sfamare tout court ma anche per (suo) piacere, per dare e ricevere amore. L’allattamento materno preserva il bambino dalle infezioni: pur vivendo in ambiente sporco e malsano riesce a superare i primi 2 anni di vita indenne proprio grazie al latte materno che lo nutre. Nota1). La manipolazione del bimbo. Anche qui la naturalezza affascina. Il piccolo ‘sembra’ influenzare la madre a trovare le posizioni che preferisce : gia’ a 3 mesi viene messo sulla schiena, avvolto da pezzi di stoffa e ci (re)sta benissimo. Un marsupio alla buona, ma caldo e cosi’ saggio: dalle spalle di sua madre potrà vedere e vivere il mondo sentendosi protetto, al sicuro. I prematuri , piccolini di 1 chilo o poco piu’, sono gestiti anch’essi con la cura e buon senso che la loro fragilita’richiede. La madre sa essere incubatrice, sa tenerli al caldo, sa nutrirli spremendosi le mammelle, ricavandone latte che inietta nel sondino naso-gastrico quando il bimbo non succhia bene. Latte di donna, sterile,caldo, vivo : molti bimbi sopravvivono, crescono,sono dimessi quando raggiungono 1500 grammi(!). La madre (prima dell’infermiera o del pediatra) sa riconoscere i segnali di pericolo, piccoli cambiamenti nell’appetito o nelle funzioni intestinali che solo se corretti in tempo faranno aumentare le possibilita’ di sopravvivenza. Spesso i prematuri sono gemelli, magari di 1 chilo di peso ciascuno: la madre riesce a gestirli entrambi, spesso una sorella o la nonna aiutano, nella solita naturalezza di attenzione e cura. Nutrizione. Bambini malnutriti ancora ci sono. Errori nutrizionali, false credenze sulla scelta dei cibi ci sono e devono essere corretti. Non mi sento pero’ di scrivere che le madri africane non sanno nutrire i loro figli. Lo sanno fare, ma a volte le condizioni di grave poverta’,la morte di un genitore, un anno di siccita’, malattie ricorrenti di bimbo e madre....fanno precipitare uno stato nutrizionale gia’ precario. Di fatto con il poco che hanno le madri africane riescono a far crescere i loro figli, molte ancora allattano fino a 2 anni preservandoli da malattie diarroiche e polmonari. E’ bello assistere all’attivita’ di controllo del peso in un villaggio: le mamme guardano con ansia l’oscillare dell’ago della bilancia, sorridono orgogliose quando sono informate che il bimbo sta crescendo bene. I loro piccoli possono essere vestiti di stracci, possono essere sporchi...ma i piu’ sono paffuti, vivaci, ben nutriti. Mi piace elogiarle in pubblico del lavoro fatto, del bimbo che cresce bene: se ne vanno sorridenti, orgogliose. Il bambino malato. Credo che sia lo stesso per tutte le madri del mondo: la dedizione, l’instancabile e infinita dedizione, perseveranza, pazienza che io vedo esercitate nei reparti di pediatria (mi) appaiono incredibili. Un osservatore maschio rimane interdetto e affascinato. Nel nostro reparto di Gulu ci sono in media due mamme per letto, a volte tre, con i rispettivi bambini : è mirabile assistere a come sanno muoversi, allattare, pulire,nutrire i figli in un ambiente di calma, serenita’, senza litigare, anzi aiutandosi a vicenda . Affrontano la malattia del figlio con compostezza : non sono assillanti, chiedono mettendosi in ginocchio, sanno riferire in tempo i segnali di aggravamento della malattia , eseguono con cura le prescrizioni e indicazioni di medici o infermiere, accettano la morte del figlio con maturita’ e dignita’, pur nel dolore e senso di lacerazione immensi. Considero un onore e fortuna svolgere il mio lavoro fra le madri africane e tramite esso poter alleviare le loro apprensioni per la malattia del figlio. Il servizio che svolgo gratifica appieno la mia dignita’ di pediatra e di uomo. Sfido chiunque a non commuoversi e inorgoglirsi quando una madre ringrazia e lascia il reparto con il bimbo guarito. Le madri che quotidianamente incontro mi permettono di capire il senso della dedizione, della pazienza, della saggezza. Quando sono stanco e tendo a perdere il sorriso e la cortesia, mi sforzo di ricordarmi dei loro sforzi, della loro pazienza e perseveranza. L’Africa non morira’ mai. La vita prevarra’ sempre, su malattie, AIDS, malnutrizione. La vita che le donne africane, da sempre e con naturalezza, sanno dare e preservare. Mostrando la fiducia nel futuro che a noi sembra mancare, ci incoraggiano a continuare nel nostro impegno in favore della guarigione e della vita. A loro dovrebbe andare il riconoscimento delle nazioni del mondo (e non solo africane), il loro esempio, il loro amore per la vita che nasce e cresce fra le loro braccia andrebbero esaltati, celebrati: si riportano i dati della mortalita’infantile e si dimentica che per un bimbo che muore altri 9 sopravvivono e crescono grazie alle loro madri.

Nota 1 ) A me sembra che i bambini africani di 2-3 anni siano meno capricciosi e irritabili, piu’ fiduciosi dei coetanei europei. Mi piacerebbe leggere di piu’ in proposito, non c’è dubbio però che il primo anno di vita condizioni e tanto quelli successivi.

13 luglio 2009

A tu per tu con...Filippo Ticozzi, regista pavese

9 Festival (di cui tre già passati e sei ancora da affrontare) e 1 Award: è questo il bilancio di “Lilli”, mediometraggio del regista pavese Filippo Ticozzi, che continua a riscuotere un enorme successo e, è il caso di dirlo, in tutto il mondo. Basta dare un'occhiata all'elenco in fondo all'articolo per farsene un'idea.

Filippo, parliamo di “Lilli”. Possiamo dire che sta girando il mondo. Che effetto ti fa vedere la tua “creatura” riscuotere tanto successo?
Sono ovviamente molto contento. Ma, soprattutto sono sorpreso. Lilli è un film particolare, sia come formato, sia come linguaggio. Già dopo il premio in Francia (Vendôme è uno dei festival di corti più importanti) ero felice, mi bastava come percorso. Invece, continua! Gira il mondo in modo disordinato e ricco. Sta facendo quello che avrei voluto fare io da giovane!
Adesso c'è in ballo anche il progetto del film “Dall'altra parte della strada”, il cui tema è la violenza sulle donne.
A fine 2008 il Comune ha indetto un concorso per registi. Bisognava presentare un progetto di corto. Il tema doveva essere la violenza contro le donne. Il vincitore avrebbe avuto i soldi per fare il film. Ho vinto e perciò ho cominciato a sviluppare il progetto. Il tema è stimolante ed estremamente arduo, almeno per un uomo. La scrittura è stata difficile, soprattutto cercare di uscire dai cliché. Il peggiore è stato quello giustificativo, ossia che la violenza sia per forza legata a situazioni di estrema povertà, di abusi di sostanze, di disagio psicologico. Ho scoperto, studiando e frequentando operatori del settore, che molte volte la violenza è dove non te l’ aspetti, in zone apparentemente sicure. E, quando lo scopri, questo ti destabilizza. E poi la violenza è un concetto molto ampio, violenza fisica, sessuale, economica, psicologica, ecc. Insomma è stata dura. Adesso bisogna mettere in scena. Girerò fra poco.
Facciamo un passo indietro: il tuo interesse nei confronti del cinema da cosa nasce?
Il cinema l’ho scoperto all’università, a lettere. Ho cominciato a vederlo non più come intrattenimento, ma come profondo sistema di comunicazione; come una macchina, figlia di calcoli e procedimenti fisico-chimici (l’impressione di realtà, l’emulsione della pellicola), capace di dispensare in modo sbalorditivo irrazionalità. La passione per il film da allora non mi ha più lasciato, anche se per molto tempo mi sono occupato d’altro. Ho cercato per anni la mia strada a teatro, nel cosiddetto “Terzo Teatro”. Ad un certo punto ho fatto il militare. Un anno terribile che però mi ha un poco aperto gli occhi. Il teatro mi è stato utile, mi ha “aperto”, ma non era più la mia vita, da quel momento. Il cinema, passione costante da anni, cominciò a prospettarsi come lavoro. Ma era solo un sogno: io ero senza soldi e non più giovanissimo, le scuole costavano carissime e trasferirsi un onere che non potevo permettermi. Sono rimasto in una sorta di limbo per anni, facendo i lavori più disparati e passando il tempo a pensare che fare. Poi ho incontrato Alice, mia moglie. Lei mi ha dato molta forza e mi ha fatto capire che si può partire anche dalle piccole cose, da quello che si ha. Nel 2003 ho fatto un corso e nel 2004 abbiamo fondato La Città Incantata, la nostra casa di produzione: Ho cominciato a fare lavori di tutti i tipi, ma stavolta legati all’audiovisivo. Così mi sono fatto il “braccio”. Poi, piano piano, sempre con difficoltà, ma questa è la regola di questo lavoro, sono nati i primi progetti personali
Qualche obiettivo futuro? Ci saranno ancora collaborazioni con il CSV di Pavia?
Spero di riuscire a lavorare sulle mie cose, tutto qui. Ma in Italia è sempre più difficile. Magari guarderò oltralpe che succede. Per le collaborazioni con il CSV non so. Il CSV si è sempre dimostrato aperto, è un luogo veramente interessante a Pavia, uno dei pochi dove si può proporre ed essere ascoltati. Ma tra poco non potranno fare molto. La crisi porterà ad un taglio consistente dei fondi, perciò, per quanto attenti e innovativi, avranno fortissime limitazioni. Si sa, in Italia è così. Però posso confermare l’edizione di ottobre del Festival dei Diritti. Quella ci sarà e avrà anche belle sorprese, che non posso rivelare…
Su cosa ti piacerebbe fare un film in futuro?
Sto cercando i soldi per fare un documentario su Mino Milani. Il progetto è già scritto e il nostro scrittore è d’accordo. Sto avendo parecchie difficoltà però. Fondi, come già dicevo, ce ne sono pochi. Ho poi in fase di montaggio ormai da un anno un altro cortometraggio, Legna, tratto da Raymond Carver. Comunque, dopo questo film, voglio tornare alla libertà del documentario, L’anno prossimo, se non impazzisco prima, forse, penserò a un lungometraggio.
Ultima domanda, immancabile per un cineasta come te: i tuoi registi preferiti?
Amo il cinema che ha a che fare con la vita, che svela un punto di vista insolito e potente. Per questo amo delle visioni del mondo più che dei film. Primo fra tutti Werner Herzog, forse l’incontro filmico più sconvolgente. Poi Robert Bresson e Andrej Tarkovskij. Ulrich Seidl, Sam Peckinpah, John Ford, Chris Marker, Robert Kramer e John Huston. Ma anche il gelido umorismo di Aki Kaurismaki. Tra gli italiani sicuramente Marco Ferreri è il mio preferito. E Rossellini, quello di Stromboli, geniale. E altri...

Lilli:
XVII Festival du Film de Vendôme (France) dicembre 2008
I’ve Seen Films 2008, Tiscali In Short (Internet)
Ahmedabad International Film Festival (India)giugno 2009

Prossimi: International Film Festival 2009 Ireland (Ireland) settembre 2009
International Youth Film Festival award nominee (UK) agosto 2009
XXII Festival International du Film de Vébron (France) luglio 2009
Festival International du Film Persona (France) decembre 2009
Rome International Film Festival (Georgia, USA)settembre 2009
Lola Kenia Screen Festival (Kenya)agosto 2009 J
ury Special Award at XVII Festival du Film de Vendôme (France)

8 luglio 2009

Un film contro la violenza sulle donne

la provincia pavese, 4 luglio 2009

PAVIA. In Europa la prima causa di morte femminile tra i 16 e i 50 anni è la violenza. E In Italia una morte violenta su tre riguarda una donna uccisa da marito, convivente o fidanzato. Il comune di Pavia ha iniziato un percorso di informazione ed educazione dei giovani al riconoscimento della violenza. Con un film da far vedere nelle scuole, nella convinzione che solo con l’educazione un giovane possa diventare un uomo responsabile. Il compito di spiegare ai ragazzi un problema percepito come “cosa da donne” spetta al regista pavese Filippo Ticozzi, che a partire dal 21 luglio girerà il cortometraggio “Dall’altra parte della strada” per le vie della città. Il progetto di Ticozzi - reduce da festival in India e Francia - ha vinto il concorso da 18mila euro bandito dal comune, e alla fine sarà distribuito nelle scuole superiori di Pavia. Al lavoro ci sarà una troupe formata da pavesi “emigrati”: Anna Recalde Miranda, neo-vincitrice del festival del documentario di Luca Zingaretti, Nicola Grignani, che con lei ha realizzato un documentario sui diritti umani in Guatemala, e Elisabeth Armand, fonico. Ma anche cinquanta ragazzi pavesi tra i 16 e i 18 anni che saranno selezionati con un casting venerdì 10 luglio alle 14,30 in via Scopoli 1. Nel cast ci sarà anche Silvio Castigliani, già direttore del Crt e del Festival di Santarcangelo. «Il film racconta una storia di violenza domestica - ha spiegato Ticozzi -. Con un linguaggio vicino a quello dei giovani vogliamo portare il dubbio, far capire che non sempre c’è il buono che arriva a salvare il malcapitato, ma che la prevenzione, l’attenzione e il rispetto sono le prime armi contro la violenza». E’ stato difficile, da uomo, entrare nel mondo della violenza alle donne? Risponde Ticozzi: «Sono stato aiutato da Alice (Moggi, ndr), Claudia Burini dell’ufficio pari opportunità e dalle volontarie del Centro Anti Violenza LiberaMente: ma credo che parlarne da uomo sia un valore aggiunto perché è un discorso dal quale normalmente ci tagliamo fuori. E’ l’uomo che mette in atto un abuso di potere, mentre non esiste la violenza della donna sull’uomo. E’ stata dura affrontare questo fatto e uscire dai cliché». Quali cliché? «Il fatto che la violenza domestica sia legata all’immigrato, all’islamico, o all’alcolizzato - è la risposta -. Ho scoperto che spesso è slegata da questi eventi, che ci sono tante coppie borghesi in cui scoppia la violenza. Così il mio film parla di una coppia di professori. Inizia con un livido sul volto di lei in classe, ma la violenza non si vede. Per scelta». (anna ghezzi)

4 luglio 2009

ARRIVI E PARTENZE

Nel corso dei prossimi mesi, a cavallo tra il 2009 e il 2010, sono ipotizzabili diverse partenze per il Guatemala. Saranno sicuramente impegnati in questi nuovi ritorni Ruggero, Giulia e Emanuele. In questo modo si va avanti verso la realizzazione dell'obbiettivo di rafforzare durante il tempo le presenze in Guatemala con gruppi diversi. Il tutto per alcune semplici ragioni. Per utilizzare al meglio le persone di "prima linea" che ormai da alcuni anni si considerano fortemente impegnate nelle attività di solidarietà di Ains. Per permettere ad altri e nuovi amici ed amiche della nostra associazione di vedere (o rivedere) da vicino le realtà da noi seguite e, nel contempo, di affrontare una particolare e insolita esperienza compresa tra la pura conoscenza di un paese del CentroAmerica e la scoperta, attraverso la donazione del proprio tempo, risorse e volontà, di un "turismo responsabile". Per far sentire più vicina la presenza del nostro gruppo associativo ai nostri amici del Guatemala con i quali manteniamo un costante e privilegiato contatto. Entreremo nel merito delle partenze nei prossimi mesi informandovi sempre attraverso il nostro Foglio.
Per ora restiamo ai desideri...in attesa che si trasformino...velocemente... in realtà....

IL GRUPPO DI AINS

NOI CONTINUIAMO...MA QUALCHE DUBBIO, OGNI TANTO, AFFIORA.....

E' inevitabile: vi sono tempi di grandi certezze e ve ne sono altri in cui si manifestano e affiorano nella coscienza diversi e non sempre risolvibili dubbi. Dubbi non finalizzati a creare vortici dai quali essere risucchiati ma come elemento di riflessione critica. Questo sì: riflessione e critica , un binomio che andrebbe utilmente rispolverato. Fin qui siamo in buona compagnia: Brecht, Russell, Einstein, Agostino, e Quello che hanno inchiodato sulla croce, da uomo nudo come tutti noi e come un malfattore qualunque, giusto per citare solo alcuni. Tutti costoro hanno avuto dubbi e li hanno manifestati come arricchimento e crescita. Per lo più pagando di persona, ovviamente. E' giusto quello che stiamo facendo verso i poveri del Guatemala? Certamente si. E giusto operare per la solidarietà? Certamente si. E' giusto spendersi in prima persona? Certamente si. Qual è il risultato di queste azioni? Non lo sappiamo con certezza. Perchè si fanno queste cose, quale l'essenza di questo "fare"? Siamo certi di non essere anche noi stessi parte di un sistema che, giunto a questo punto e dominato da una mole di squilibrii, non si serva delle persone di buona volontà come giustificazione postuma ai danni che ha causato e continua a causare? E noi tutti, forse inconsapevolmente, ci adeguiamo a questa omologazione. L'omologazione del fare senza chiedersi i perchè. Andare in Guatemala (o in altri luoghi disagiati del mondo) sviluppa con certezza il livello della "Charitas". Dopodichè che succede? Che per la maggior parte dei casi resta tutto come prima. Perchè? Perchè a tutte queste buone azioni manca l'orizzonte della giustizia. Manca la dimensione collettiva del cambiamento. Si fa ma non si cambia. Non si cambia la ragion pratica e nemmeno quella pura. Non si cambia nemmeno la mentalità delle persone. Siamo tutti inseriti in gruppetti piuttosto parcellizzati di bravi cristi che operano per sè e che non incidono radicalmente per cambiare questo sistema economico-sociale il quale continua imperterrito a generare ingiustizie e disuguaglianze. Bisognerebbe cominciare ad affrontare anche questa dimensione se non vogliamo limitarci ad operare solo "per noi" o per la nostra soddisfazione personale in cambio di un ricevuto (e ipocrita) plauso di "quelli che restano a casa". (lo diciamo in primo luogo a noi stessi...) Come fare? Difficile. Per due ragioni. In primis perchè nel mondo è venuta meno, dopo il 1989, un'idea collettiva di riscatto sociale dell'umanità e questo vuoto è stato occupato soltanto dalla ricerca individuale, del successo personale, e da un certo dato di delega verso terzi nella più totale indifferenza globale. Ad oggi i concetti di giustizia sociale e di uguaglianza non hanno ancora trovato il terreno di una nuova declinazione. Secondo. Si teme di affrontare il "perchè" delle questioni proprio perchè questa domanda interpella la "politica", la polis, la "civitas hominis" (Agostino). E' rimasta, soprattutto dalle nostre parti, solo l'antipolitica che, nei fatti, è una politica spregiudicata e portata avanti con altri mezzi: pensiero unico e appiattimento delle coscienze e delle teste. I detentori dei cordoni della borsa, su questo ordine di cose, hanno vinto alla grande.(almeno da vent'anni). Che fare? Minimo cominciare a interrogarsi in tutti i nostri ambienti. E' sufficiente? No. Sappiamo però che senza una sponda politica il nostro "fare" rischia di esser vanificato alla primo giro di giostra, un pò storto, della storia. Che avverrà, come sempre. E in tutto questo, oggi, non siamo nemmeno aiutati dal Magistero della Chiesa sulla quale soffia un vento gelido d'inverno anzichè la freschezza della primavera. Il Cristianesimo o è freschezza o non è: e la ricomparsa di un Nuovo Umanesimo Cristiano non guasterebbe. Oggi, qui in Occidente, non si scorge questa "reinessance". Che facciamo? Rinunciamo ad andare in Guatemala? Forse no, non è questo il punto. Anzi sicuramente no: non è nostra ipotesi lasciare intentate le numerose aspettative dei nostri amici e amiche, dei "nostri bambini e bambine”. Ma noi in tutto questo vediamo e misuriamo sovente un'insufficienza, sopraggiunta dal fatto che molti dei nostri sforzi non generano sempre un" valore aggiunto".Qualcuno vuol raccogliere questo "assist"? E magari rilanciare.....???.....

ALVARO AGUILAR IN ITALIA

Ci sono due sponde del mondo che noi di Ains riusciamo a collegare idealmente. Un pò sospesi tra il favolistico e il reale. Come si addice al nostro stile di sognatori non rassegnati, "operatori laici di solidarietà".Così ci classifichiamo. La sponda dell'Europa e quella dell'America latina: in mezzo un oceano, quello Atlantico. Cominciano ad essere ormai tanti anni che solchiamo questo cielo, che ci incamminiamo su questo magnifico ponte d'azzurro confuso tra nuvole aria e acqua a far tutt'uno con la nostra traversata, fino a raggiungere la dimenticatissima (perchè poverissima, vero?) , bellissima e affascinante terra del Guatemala. Nel Maggio scorso, tuttavia, la via del ponte di nuvole l'ha presa a rovescio il nostro grande amico e collaboratore principale di Ains in Guatemala, Alvaro Aguilar. Nei primi quindici giorni del mese delle rose edizione 2009 Alvaro è stato nostro gradito ospite qui in Italia. Fisicamente ha dimorato nelle stanze di Ruggero e Giulia, qui nella nostra comunità, San Martino Siccomario. Gratitudine va espressa a loro due per questo bel gesto, per questo atto di grande generosità. L'ospitalità rientrava in un disegno, in una proposta che avevamo formulato a lui stesso da parecchio tempo.Una sua visita nel nostro paese, tra le altre cose, gli avrebbe permesso di conoscere la nostra storia, arte, cultura, il nostro ambiente in prima persona.. E così in piccola parte, un pòcorrendo, un po’ dividendoci i compiti è stato. Alvaro ha avuto modo di visitare la nostra Provincia, la nostra città, la Certosa, Milano, i territori circostanti con le loro ineguagliabili bellezze (spesso da noi pavesi snobbate o per abitudine..o per sopravvenuta accidia); e poi ha avuto l'opportunità di allungare il passo e di visitare - sempre accompagnato dal duo Ruggero&Giulia - Assisi e i luoghi di Francesco e Chiara lì nei dintorni.Benchè Alvaro non fosse mai stato in Europa e in Italia non si è dilettato soltanto nel circuito del turismo. Per doveroso che fosse.Alvaro ha illustrato durante la sua permanenza pavese, in viva voce, a molti soggetti che collaborano con noi (scuole, enti, associazioni, oratori, sostenitori locali...ecc..ecc..) la realtà delle zone del Guatemala da noi visitate durante i nostri viaggi. I punti d'appoggio li conosciamo tutti: il Liceo San Josè, le comunità indigene sparse sui monti, la Casa delle bimbe di Mazate. Inutile qui dilungarsi. Viva voce, perchè Alvaro non è una persona qualunque: è un testimone diretto dei bisogni, spesso estremi, di cui necessita una nazione come il Guatemala. Testimone, per il lavoro quotidiano che svolge essendo un dirigente di primo piano della fondazione CFCA; testimone, perchè crede in quello che fa, perchè è consapevole - pur in mezzo a un milione di difficoltà e ponendosi contro un mondo che gira sovente a rovescio - che non fare sarebbe peggio. Non tanto per lui o per noi: ma per il resto della "sua gente" come lui ama ripetere. Che ha bisogno ogni istante di essere aiutata a riscattarsi. La "sua gente" la conosciamo bene anche noi: le persone in fila alla Clinica per ricevere un aiuto, una cura , un medicinale; i bimbi e le bimbe della Scuola di El Rancho; le sorelle delle Carità di Maria Immacolata; le bimbe e le ragazze di Mazate; i campesinos indigeni e le loro famiglie sparse sulle montagne, e tanti altri che in Guatemala devono sopravvivere con un dollaro al giorno. Così va il mondo, quello reale; non quello delle belle e illusorie gabbie dorate che i poteri dominanti dell'Occidente sono riusciti a costruire intorno a noi. Anestetizzando cuori e menti. Con grave danno per il nostro vivere civile.Giriamo pagina. Noi, però, continuiamo a suonare la nostra musica. Al massimo ci concediamo qualche variazione sul tema...Dopo 15 giorni trascorsi in magnifica sintonia (compresa la pizza finale) col nostro gruppo Alvaro ha ripreso l'aereo per tornare a casa sua, a El Rancho. Tra poco lo riprenderemo anche noi. Gli abbracci e l'umanità in Guatemala non mancano.

(Emanuele Chiodini)

UNA SORELLINA PER ANNAMARIA

In tutti questi anni, che hanno visto l'edicola come luogo di raccolta fondi a sostegno dei nostri progetti di solidarietà in Guatemala, c'è stato un graduale ma costante aumento dei proventi da destinare alle differenti iniziative di sostegno. Apparentemente le cifre sembrano esigue. A titolo di esempio e di informazione, ad oggi, il piccolo bussolotto seminascosto in mezzo tra una pila di quotidiani e l'altra ha totalizzato euro 1290. E siamo "solo" a metà 2009. Speriamo che questo trend ci accompagni fino alla fine dell'anno.Forse, date le dimensioni e la struttura socioeconomica della nostra comunità, San Martino Siccomario, ci sarebbe da aspettarsi di più, ma non è questo il tasto su cui oggi vogliamo battere.Apparentemente, dicevamo. Sì, perchè mediante le cifre raccolte -granellini di polvere rispetto alle capacità economiche delle grandi organizzazioni di volontariato internazionale o le ONG - si genera, in Guatemala, un effetto moltiplicatore. Con il nostro poco riusciamo, tutto sommato, a realizzare tanto; un "di più" già eccedente le nostre forze e le nostre aspettative. E con queste minute speranze andiamo avanti, senza scoraggiarci, confidando serenamente nel futuro. E poi, sapete, non è nemmeno nostra intenzione rincorrere le grandi organizzazioni: troppe volte questi giganti, nel silenzio e nel disinteresse generale, rischiano di diventare dei contenitori di quattrini raccolti a livello mondiale per mantenere un sistema di pseudo progettualità confinato però a foraggiare le loro stesse esistenze e la propria ragione sociale. Non è mistero per nessuno che questi colossi, spesso, perdono di vista l'obiettivo principale della loro azione solidale, riproponendo - sia pur indirettamente e creando bisogni a loro corrispondenti - forme di colonialismo "morale" di ritorno. L'obiettivo invece deve rimanere la condivisione delle necessità in un'ottica di rispetto e collaborazione con i costumi e le tradizioni dei soggetti locali. Noi, piccolo gruppo di naviganti coinvolti intorno alla "dimensione Ains" sosteniamo e perseguiamo quest'ultima filosofia appena sopra descritta: ci mettiamo del nostro (tempo, volontà, risorse) quando andiamo a ritrovare i nostri amici e i luoghi a noi cari del Centroamerica e con i fondi che portiamo vediamo realizzarsi cose che qui in Occidente ci sogneremmo. Per noi il "ritorno" è questo: arricchimento della nostra umanità vedendo crescere e migliorare la qualità della vita delle comunità beneficiate dai nostri sforzi. Siamo partiti narrando dei fondi raccolti in edicola: concretamente come possiamo trasformarli? In parte la destinazione di questi utili sociali la conoscete già: sono "dirottati" per sostenere l'impegno e la frequenza scolastica della nostra amatissima Annamaria la cui biografia è stata descritta e raccontata, nelle righe di Compagni di Viaggio, almeno da tre anni a questa parte. Qui siamo tranquilli: Annamaria va a scuola volentieri, studia, non le manca la volontà di apprendere e conoscere, vuole continuare a frequentare i cicli scolastici successivi al suo livello (compiendo 14 anni ad Agosto accederà, dal prossimo anno, al primo livello di scuole superiori, il ciclo "basico" per il Guatemala) e i voti che consegue sono la testimonianza fedele di queste sue convinzioni. Su Annamaria non una parola di più perchè è già lei "un ritorno" di successo. Un'ulteriore quota di tali fondi sarà destinata alla Casa d'Accoglienza di Mazatenango, alle bambine e alle loro necessità. Un altro piccolo segmento di denaro pensavamo invece di impiegarlo per dare ad Annamaria un'ideale sorellina.
Disponiamo oggi una capacità economica sufficiente per aderire ad un altro sostegno scolastico: di conseguenza andremo in questa direzione. Così col 2010 avremo la fortuna di sostenere un'altra bambina al Liceo San Josè di El Rancho sperando di conoscerla di persona durante il viaggio programmato per l'anno prossimo. Questo atto non rientra semplicemente nell'ordine di una dinamica affettiva, fatto tutt'altro che trascurabile. Vuole significare, e al tempo stesso riproporre, il valore strategico del sostegno scolastico: con 160 euro dei nostri si dà l'opportunità a un piccolo del Guatemala di andare a scuola. 160 euro sono un filo impercettibile nel mare, spesso inquinato, della finanza e dell'economia occidentale. Qui sta lo squilibrio, il lato corrotto del sistema il quale dovrebbe farsi carico, da se stesso, della risoluzione dei problemi del Sud del mondo. Ma così non accade. A fianco di queste diseguaglianze generali del sistema stanno il nostro particolare, le nostre decisioni, il nostro stile di vita, la nostra capacità di metterci in discussione. Quanto siamo disponibili a modificare parte delle nostre abitudini per lasciare spazio ai bisogni degli altri, quelli meno fortunati di noi? Questi interrogativi il gruppo di Ains continua a riproporli, in primo luogo interrogandosi dall'interno ,e procedendo in direzione ostinata e contraria. Come il vento che ci porterà nuovamente in Guatemala per scoprire ancora una volta quanto sia gratificante e dirompente il seme della gratuità.
E una sorellina per Annamaria....

per il gruppo di Ains, Lele Chiodini

“… CREARE SPERANZA, NON PAURE…”

«Non sicurezza, crudeltà. Non c’è altra parola per definire le misure sull’immigrazione approvate oggi in Senato. Non c’è altra parola per definire questo accanimento contro chi fugge dalla miseria, dalla discriminazione, dall’oppressione, dalle guerre. Sono persone, prima che immigrati, quelle che chiedono di essere riconosciute e accolte nella legalità, nei diritti e doveri di ogni cittadino parte attiva del consorzio sociale. E’ doloroso constatare come questa legge ci faccia scivolare indietro, ai tempi della discriminazione razziale, negando i valori della Carta universale dei diritti umani, della nostra Costituzione, della Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Baluardi contro il ritorno della barbarie e della guerra, antidoti perché legge sia tutela del bene comune a partire dai più deboli, non legge del più forte. Sono vittime della povertà, gli immigrati. Ma la povertà più grande, oggi, è la nostra. Povertà di coraggio, di senso, di umanità, di capacità di scommettere sugli altri, di costruire insieme a loro. Dati alla mano, è dimostrato che, laddove si è lavorato con impegno, è stato possibile armonizzare il diritto con l’accoglienza, saldare il rispetto delle regole – che deve valere per tutti – con l’integrazione. A partire da quel “mettersi nei panni degli altri” che è stato motore delle più grandi conquiste umane e civili. E spiace che, ad eccezione di una minoranza di voci nette e coerenti, su una questione tanto cruciale come quella dell’immigrazione, la politica sia venuta meno al suo orizzonte ideale: stimolare la promozione culturale e sociale di un paese, trasformando in speranze le paure della gente».

d. Luigi Ciotti
presidente di Libera-Nomi e Numeri contro le Mafie
fondatore del Gruppo Abele