30 marzo 2011

Eccidio di Dos Erres: in carcere dopo 29 anni

Nel 1982 venne sterminato un intero villaggio Maya. A farlo 16 militari, nove dei quali erano ancora a piede libero. Fino al 24 marzo, quando un altro colpevole è stato assicurato alla giustizia di un paese che non dimentica I guatemaltechi non dimenticano e l'impunità legata ai crimini commessi durante la guerra civile (1960-1992) si avvia e lenti passi verso la fine. È del 25 marzo l'ultimo arresto in relazione a una delle stragi più efferate della dittatura: l'eccidio di "Dos Erres", nel quale vennero uccisi 252 indigeni Maya. Era il 1982 e da allora sono stati arrestati solo sette dei sedici responsabili. Il settimo è appunto un militare, rintracciato e arrestato Quezaltepeque, Chiquimula, un paesino a 170 chilometri a est della capitale. Lo rende noto Famedegua, l'associazione dei familiari delle persone prese e scomparse in Guatemala, parte civile nel processo. Si chiama Daniel Martínez Méndez ed era un vice-istruttore dei Kaibiles, un gruppo scelto di contro-insurrezione dell'Esercito. Con altri 15 compagni commisero una delle peggiori azioni in 36 anni di una guerra che, secondo i dati delle Nazioni Unite, ha lasciato dietro di sé quasi 200mila vittime, fra morti e desaparecidos. Tutto accadde fra il 6 e l'8 dicembre 1982: uomini, donne e bambini vennero violentati, torturati e assassinati dai soldati. In quel tempo, nella zona era molto radicato il movimento guerrigliero Forze armate ribelli (Far), tanto che l'Esercito rispose con un programma molto violento di indottrinamento della popolazione, che si ritrovò a vivere tra due fuochi. Fu così che i militari decisero di costruire un distaccamento a Las Cruces, nei pressi di Dos Erres, giurisdizione del municipio La Libertad e costrinsero tutti gli abitanti a versare denaro dietro minaccia. Questo per sette anni. La gente era costantemente sorvegliata e le morti violente si sprecavano. A complicare il tutto, bande paramilitari riunite nelle Patrullas de Autodefensa Civil (Pac), che aiutavano l'esercito. Nel febbraio 1982, con un colpo di stato, arrivò al potere il generale José Efraín Ríos Montt, che ordinò una ferrea reazione alla guerriglia cominciando con il mettere a ferro e fuoco le province in cui questa era più radicata. Dopo soli tre mesi, gli omicidi di massa si sprecavano. Molti villaggi vennero rasi al suolo. Una strategia che venne subito battezzata "terra bruciata" e che si tramutò in gigantesche violazioni dei diritti umani. Il 6 dicembre toccò a Dos Erres. Un branco di uomini armati buttò giù dal letto donne, uomini e bambini. Ogni strada venne bloccata e chiunque tentò di passare venne catturato. L'intera comunità fu massacrata. Molti dei corpi vennero gettati in un pozzo di dodici metri. A decidere l'eccidio, l'ufficiale Carlos Carías López, allora comandante del distaccamento militare de Las Cruces. Dalla ricostruzione fatta dalle varie associazioni di familiari delle vittime e Ong in difesa dei diritti umani, pare che il gruppo scelto, appoggiato da truppe locali, partì da Santa Elena alle dieci di sera in particolari automezzi in apparenza non appartenenti all'esercito. Tutti i soldati erano in borghese. L'intento era non farsi intercettare dalla guerriglia e confondere i civili. Tutti indossarono una fascia rossa legata al braccio destro, in modo da riconoscersi nel momento dell'attacco. Alle due erano a Dos Erres. Non appena tutti gli abitanti furono radunati, iniziarono a torturare gli uomini. Un ufficiale violentò un bambina. Erano le tre e mezza della notte. Alle otto del mattino arrivò l'ordine di uccidere tutti. Alle due del pomeriggio iniziò il plotone d'esecuzione. I primi a venire fucilati furono i bambini. Un bebè di quattro mesi venne lanciato vivo nel pozzo. Gli adulti assistevano rinchiusi nella chiesa protestante. Alcune bambine di dodici e tredici anni vennero prima violentate. Quindi fu la volta delle donne. Per ultimo gli uomini. Appena il pozzo fu pieno di corpi venne ricoperto di terra. Poco importava se dentro qualcuno respirava ancora. Erano le cinque del pomeriggio. Gli altri furono finiti in altri due posti non lontano da lì. Per loro niente fossa comune, vennero lasciati sotto il sole. Ancora otto persone responsabili di tanto orrore sono a piede libero. Ma la voglia di giustizia dei guatemaltechi avrà la meglio. Nessuno potrà dimenticare. E nessuno si darà pace fino a che ognuno dei sedici assassini non sarà condannato in tribunale.

Stella Spinelli

28 marzo 2011

Arrivo a Mazatenango...notizie dal Guatemala

Da:"Emanuele.chiodini" A:"Associazione Ains" Hola!!! Sono a Mazatenango all'hogar circondato da bambine belllissime e contentissime. L'accoglienza e' stata di gioia e di festa. Purtroppo non ho molto tempo per dilungarmi. Scrivero' tutte le impressione al rientro, promesso! L'hogar e' in ordine, ripulito, ridipinto, e ben organizzato. Le bimbe stanno bene e le suore, mi sembra, stanno facendo bene il loro lavoro. Sono quattro: Madre Maria del Refugio (direttora), Ana Laura, Brenda, Tersita e una postulante giovanissima, vent'anni, Mariela. Attualmente e' qui in vista una rappresentante della chiesa metodista del Tenessee, una studentessa di biologia, Emily: essi hanno garantito in questi mesi le opere di manuntenzione ordinaria. Cerchero' di capire meglio nei prossimi giorni. Grazie a tutti!!! lele

26 marzo 2011

Partiti per il Guatemala!

Sono partiti questa mattina, alla volta del Guatemala, dieci studenti del Liceo Tecnico Economico "G. Boccardi" di Termoli (Cb), accompagnati dalle insegnanti Luisa e Franca e dal nostro amico Renato Di Nicola.

Il viaggio corona il progetto, iniziato un anno fa, di interscambio tra i giovani di Termoli e di Ciudad del Guatemala, organizzato dall'Istituto e promosso dall'Associazione Faced, dall'Associazione Kabawil, dalla Cooperativa Il Noce, dalla Fondazione Don Milani, dalla Diocesi di Termoli-Larino, e dall'Associazione Libera contro le Mafie.
Potrete seguire su questo blog il diario di viaggio che i nostri amici ci invieranno dal Guatemala dove incontreranno Alessandra Vecchi e Maximo Arnoldo Curruchich Cumez, nostri contatti e punti di riferimento per le iniziative e le battaglie intraprese dalle comunità Maya, come quella contro l'Enel di questi giorni che trovate in queste pagine.

Buen viaje!!

http://kabawil.splinder.com/

23 marzo 2011

Mezzi pubblici schiavi delle estorsioni

Da Città del Guatemala il racconto della condanna che ogni autista è costretto a sopportare quasi ogni giorno: bande che estorcono loro pizzi salatissimi mettendo a rischio l'incolumità dei passeggeri. Una vera emergenza

Scritto da Paolo Grassi
Città del Guatemala
A Città del Guatemala, come molti intestatari di negozi, imprese, o, addirittura di case private, così qualsiasi proprietario di un mezzo collettivo è un soggetto a rischio estorsione. Non fanno naturalmente eccezione gli autisti dei vecchi bus urbani tuonanti e fumosi, caratteristici di questa capitale.
Il giro d'estorsioni è in mano soprattutto a due pandillas, la Mara Salvatrucha e la Pandilla 18, bande a carattere transnazionale, composte da giovani che si contendono differenti porzioni di territorio urbano.
Le estorsioni sono ottenute attraverso minacce dirette o telefoniche. Uno studio della Polizia Nazionale Civile sostiene che solo nel 2010 il novanta per cento di quest'ultime è stato diretto dall'interno di poche carceri, dove leader attivi delle due gang hanno possibilità di gestire comodamente un enorme giro di affari: "Paga o ti ammazziamo", questa la distorta ragione di scambio su cui si basa la loro strategia economica. Nel 2008 per esempio, 63 sono stati
gli autisti uccisi solo a Città del Guatemala, 255 in tutto il paese, secondo un report sui diritti umani dell'U.S. Departement of State.
I dati a disposizioni sull'ammontare delle somme di denaro richieste sono assolutamente poco chiari. Un articolo del 30 gennaio 2011 apparso su Nuestro Diario, uno dei giornali più popolari del Paese (una sorta di resoconto giornaliero delle morti più spettacolari, condito con foto di bellezze locali e una sezione sportiva) parla di cifre che possono oscillare tra i 100 e i 3.000 Quetzal (13 - 390$), alla settimana o al mese.
Le estorsioni contro gli autisti e i loro aiutanti si trasformano in pericolo per i cittadini. Infatti, oltre agli assalti a mano armata, esperienze ormai abitudinarie sugli autobus di Città del Guatemala, la spirale di violenza è sfociata a volte, purtroppo, in puro terrore: lo scorso 3 gennaio un attacco con una bomba incendiaria ad un bus a tratta extraurbana è costato la vita a nove passeggeri. Chi può permettersi una moto, una macchina o un taxista di fiducia, spesso decide di non utilizzare più i mezzi collettivi.
La municipalità capitolina e il governo guatemalteco hanno preso già da qualche tempo alcuni importanti provvedimenti, ma seguendo due strategie differenti e poco coordinate tra loro, cercando rispettivamente di accaparrarsi consenso politico a proprio favore, consenso dal peso sempre più rilevante in quest'anno di campagna elettorale.
Da una parte il Transmetro, progetto della municipalità di Città del Guatemala, presieduta da Álvaro Arzú. Autobus verdi a corsia preferenziale hanno iniziato a percorrere alcuni tratti urbani. Un sistema comodo, efficiente e, soprattutto, sicuro: accessi con tornelli controllati da personale addetto, videosorveglianza, agenti della polizia municipale.
Dall'altra il Transurbano, progetto del governo di Álvaro Colom: bus di colore blu, usufruibili solamente se muniti di una tessera magnetica ricaricabile. La tessera sostituisce il denaro, diminuendo quindi il pericolo degli assalti. Unica pecca del sistema, il fatto di non possedere una corsia preferenziale e quindi di non poter offrire una reale alternativa al traffico caotico che intasa quasi costantemente la conurbazione più grande del Centro America.
Il Transurbano ha puntato dunque su un'altra strategia, ossia la penetrazione in zone più periferiche. A questo proposito, il 12 febbraio, il presidente Colom in persona ha inaugurato in pompa magna la seconda fase del progetto. Il Transurbano ha raggiunto la zona 18 della città. Zona rossa, area marginale, soggetta ad alti livelli di violenza sociale. Si temono nuovi assalti e attacchi terroristici contro ciò che potrebbe rappresentare un importante affronto non solo al grande giro di affari connesso alle estorsioni, ma anche alla stessa economia legata ai mezzi collettivi già esistenti, che il Transurbano punta gradatamente a sostituire. Il governo, dal canto suo, ha intensificato il numero di agenti della polizia presenti sul territorio, ma la preoccupazione dei residenti non sembra diminuire.

tratto da

22 marzo 2011

comunicazioni....notizie dal guatemala

Da:"Emanuele.chiodini"
A:ruggerorizzini@yahoo.it,giulia.d65@libero.it,mo.di@libero.it,abellingeri@venus.it

Hola!
Ieri sono stato a El Estor con Alvaro (rientrati in giornata...un tirata di 400 km) per una visita a M. Antonietta.
Ho trovato una situazione a dir poco scandalosa; e quello che ho trovato - cos¡ mi hanno detto - e' decisamente meglio di Gennaio o di Novembre quando alla madre assegnarono questo nuovo - e tanto infelice - destino.
La struttura e' uno scandalo in se' (quando avro' piu' tempo scrivero un'impressione piu' dettagliata, cosi' come devo raccontarvi della bella esperienza di Conacaste) e lo stato di abbandono in cui hanno lasciato Madre Antonietta e' altrettanto qualcosa di vergognoso.
Alla faccia della carita' -piu' o meno - cristiana e della provvidenza verso i poveri.
Ma quale carita', quale provvidenza?
Madre Antonietta necessita di:
-un comal, attrezzatura per cuocere le tortillas
-un frigorifero
-una cucina a gas professionale
-una lavatrice nuova
-medicine a valanga per la clinica adiacente ( e qui bisogna assolutamente trovare il sistema per aggirare l'infame dogana di Guatemala).
A proposito della clinica:
e' diretta da una dottoressa cubana, Nury, le ho parlato stamattina e ci siamo scambiati l'indirizzo di posta (ve lo partecipo domani).
Ho voluto parlarle per telefono per scambiare qualche impressione e perche' avendo il suo indirizzo potremo monitorare piu' da vicino la situazione di El Estor (oltre ad Alvaro ovvio).
Un bel contatto.
Quando una suora difende la Rivoluzione Cubana significa che la riflessione in ciascuno - lo dico nel modo piu' neutro possibile - deve avviarsi profondamente perche' del mondo bisogna avere una visione globale e il piu' possibile vicina alla realta'.
E la realta' è che a Cuba - pur essendo vero che c'e' un sistema non democratico secondo i cardini occidentali - analfabetismo non c'e' e gli ospedali funzionano e la sanita' e' gratuita.
E a El Estor la dottora è cubana.
I bisogni di questo luogo - abitato quasi totalmente da indigine Ke'k'chi - sono enormi e la poverta' e'dilagante.
Dopo il mio rientro urge che ci vediamo per pianificare (anche) un appello straordinario per aiutare Madre Antonietta.
Passiamo oltre.
Domani me ne vado in Honduras con don Arturo per visitare il sito archeologico di Copan.
Al rientro cena dalla suore.
Mercoled¡ sono ancora al Rancho, ultimo giorno qui: saluti vari.
Giovedì vado ad Antigua Guatemala e l¡ vi rimango fino a venerd¡.
Saro' ospite (oppure saro' alloggiato da qualche parte) di un'amica di Pippo Tadolini e visitero' nel pomeriggio l'ospedale "Rekko 8"(ho gia' parlato col dr. Noris, gerente di questa stuttura sanitaria).
In questi due giorni penso che vedro' anche Chiara.
Sabato invece vado a Mazate e rimango la' fino al termine del viaggio.
Da giovedi' dunque penso di avere meno possibilita' per connettermi con internet, comunque faro' il possibile per tenere i contatti.
Tutti i contatti telefonici delle persone che ho incontrato sono registrati nel telefono di Guatemala.
Ci sentiamo mas adelante! hasta luego! ciao!
lele

20 marzo 2011

Una mano lo tocca e lui si lascia maneggiare, come un pupazzo di stracci.

Una mano lo tocca e lui si lascia maneggiare, come un pupazzo di stracci.
Non si sveglia.
Senza maltrattarlo, la mano si appoggia con maggiore forza e lo scuote.
Apre gli occhi.
Ritorna da un mondo buio, in cui si agitano delle figure.
Apre gli occhi ed entra nell’oscurità fredda della capanna, dove il fuoco, appena acceso, crepita nel verde della legna.
Sua madre è inginocchiata davanti al fuoco, che si attacca ai legni come un vento che appare e scompare.
Il padre si allontana non appena lo vede sveglio.
Bisogna uscire in cortile, lavarsi con acqua gelida, asciugarsi fra i brividi, vestirsi.
Al solo pensiero, sente un tremito.
Alla fine si alza.
Esce incontro all’oscurità.
Un gallo canta lontano.
È ancora notte.
Cammina nel cortile fino a dove iniziano gli alberi.
Comincia a orinare.
Un lungo getto caldo traccia un arco prima di cadere a terra, in un punto che non riesce a vedere. Ode quella specie di innaffiatoio e gli sembra un rumore che non ha niente a che vedere con lui.
Non finisce mai.
Guarda verso l’alto, per distrarsi.
Le stelle sono fisse nel cielo, con il loro tremolio.
Ne ricorda i nomi, le costellazioni.
Il piccolo getto di orina si assottiglia.
Un altro po’.
Basta.
Ritorna verso la casa e, tremante di freddo, si spoglia vicino alla pila.
Con la scodella si butta un po’ d’acqua sui piedi.
È gelata.
Gli viene la pelle d’oca e decide di rovesciarsi in un colpo solo una scodellata d’acqua sulla schiena.
Gli si mozza il respiro.
Cerca di riprendere fiato, un’altra scodellata lo mette a posto.
Adesso si rovescia l’acqua sulla testa.
È meno fredda.
Un’altra scodellata.
Si asciuga rapidamente.
Con movimenti vigorosi, soprattutto i capelli, perché non gli venga il raffreddore.
Entra in casa e si veste.
Sua madre gli passa una ciotola con del caffè.
È bollente.
Se lo beve a poco a poco, mentre mastica una tortilla dura, di quelle di ieri.
Suo padre,accoccolato vicino al fuoco, non parla.
Per il riflesso la sua faccia sembra quella di un anziano.
Rossa.
Ha un fazzoletto legato intorno alla testa.
Sta per mettersi il cappello.
Si alza e prende il machete.
Benito fa la stessa cosa.
La madre li accompagna alla porta.
I fratelli più piccoli dormono ancora.
La notte persiste.
Non vuole albeggiare.
Il cane li aspetta in mezzo alla strada.
Gli altri suoi compagni latrano nel buio, accompagnando chi si alza a quest’ora per andare al campo.
Il gallo canta di nuovo, come se lo strozzassero.
Benito e suo padre incominciano a camminare.
“ Addio tata “, dice la madre.
“ addio nana “, risponde il padre.
“ Addio nana “, dice Benito.
Sembra che non ci sia nessuno.
Nel buio il freddo è opprimente.
Il cane gironzola intorno a loro, si infila fra le gambe, salta, vuole giocare.
Benito ride e gli sferra un calcio.
Il cane lo schiva e corre via.
Torna indietro con un balzo per urtare le gambe del bambino.
Poi salta indietro.
Li supera di nuovo e si ferma davanti a loro, come in attesa di un incitamento.
“ Che cane idiota “, dice il padre.
“ Meno male che è di compagnia. Altrimenti a che servirebbe? “
“ Per i ladri. “
“ E cosa diavolo ci potrebbero rubare? “
Nel frattempo hanno incrociato degli uomini, che li salutano togliendosi il cappello.
Anche loro si tolgono il cappello di paglia, che servirà dopo, quando il sole sarà alto.
Vanno tutti ai loro appezzamenti, tutti con il machete, con qualche attrezzo particolare i più ricchi o i più fortunati.
Benito ode i suoi passi corti che seguono sull’acciottolato quelli del padre.
Quei sassi sono li da sempre e, quando è stagione di piogge, spuntano fra loro delle erbacce.
Poi passano i cavalli, passano i cani, passa la gente, e le piantine vengono schiacciate, poi il calore le vince e diventano polvere.
All’improvviso inizia ad albeggiare.
Nel buio, qualcosa si vedeva.
Adesso, con la luce che preme per uscire con il suo carico prezioso da sopra le montagne, non si vede niente.
Una linea bianca si disegna sopra il Santo Monte.
In alto, il cielo sta diventando lilla.
Le stelle iniziano a svanire.
Vedere la luce e sentire più freddo è tutt’uno.
La linea di luce scompare e, al suo posto, un bianco splendore preme per uscire da dietro il monte.
In alto, il cielo è ormai arancione.
Dura pochissimo.
Passa subito al rosso e poi rischiara, rischiara con forza sulla terra, l’aria si fa cristallina come d’acqua, si fa un po’ più fredda quando si respira, le case prendono forma, i tetti diventano marroni, le pareti grigie, ed ecco un altro chiarore più intenso ed è il giorno che comincia a splendere sul sentiero, mentre ormai il villaggio è lontano, con il suo schiamazzo di galli.
Per andare al campo devono prendere un viottolo.
Non ci sono strade a San Andrés.
Solo viottoli.
Il padre salta la cunetta e imbocca il sentiero che si vede a malapena, fra la boscaglia.
Benito salta subito dopo e per poco non scivola.
Sente il sole sulla nuca arrossata. Si accomoda il cappello.
Davanti c’è il cane.
Dietro, il padre.
Dietro, Benito.
Si perdono fra radure e campi di granoturco, fra il verde e il giallo, fra i quadrati terrosi degli appezzamenti coltivati.
“ tu ti fermi qui “, gli dice il padre.
Benito si immerge nel campo di granoturco, per spaventare gli animali che non rispettano l’alimento dell’uomo.
Il padre va oltre, a coltivare il terreno che ha in affitto.
Benito si addentra tra gli steli verdi.
Ha la fionda e alcune pallottole di fango, nel caso che qualche uccellino si faccia avanti con l’intenzione di becchettare le pannocchie.
Se non lo colpisce, almeno lo spaventerà.
Ha sete.
Fa un piccole ci si siede sopra, all’ombra precaria e mutevole di una pianta grassa.
Si bagna le labbra con l’acqua della zucca.
Aspetta che arrivi mezzogiorno, quando la madre passerà a prenderlo e andranno da suo padre, nel campo degli Uribe.
Allora si metteranno a sedere sotto l’avocado, con le tortillas calde, l’acqua fresca della zucca, e un po’ di peperoncino.
Il momento più bello della giornata.
Intanto il sole iniziava a salire i gradini del cielo.

Dante Liano
Da “ Il mistero di San Andrès “, Sperling&Kupfer Editori, 1998, pag. 15-18


Tata: letteralmente, “ papà “. Ma in alcune regioni dell’America latina è usato anche come allocutivo maschile di rispetto.
Nana: “ madre “, “ mamma “. Come allocutivo di rispetto, si usa per tutte le donne anziane.




Dante Liano
Il mistero di San Andrès
Sperling & Kupfer Editori


Il mistero di San Andrès è una narrazione di ampio respiro che riprende le forme tradizionali del romanzo storico per raccontare la magia dell'antica saggezza dei maya guatemaltechi attraverso le vicende di Benito Xocop, il cui doppio nella natura è un giaguaro, animale agile e coraggioso.

Fuori dal coro

Gli ultimi sono tutti coloro che non rientrano negli schemi, che vengono esclusi dalle masse, non solo perché sono poveri.
Gli ultimi sono l’ultima barriera di un’umanità che resiste contro la barbarie delle mode, dei pensieri e degli stili di vita di quello sciame inquieto di consumatori che popola le nostre strade.
Gli ultimi sono quelli che ritengono i banchieri più pericolosi degli zingari.
Gli ultimi sono coloro che non si arricchiscono grazie alla furbizia.
Gli ultimi sono quelli che credono nel lavoro e nella fatica e non nell’intrallazzo o nelle raccomandazioni.
Gli ultimi sono quelli che hanno memoria del passato e delle proprie radici culturali, e che grazie a questa forza non hanno paura dello straniero.
Gli ultimi sono i contadini.
Gli ultimi sono i solitari che hanno scelto una vita appartata invece della solitudine chiassosa della città.
Gli ultimi sono quelli che non subiscono le seduzioni del palazzo o delle poltrone.
Gli ultimi sono coloro che credono nella pace come valore universale.
Gli ultimi sono quelli che non hanno bisogno di impianti d’allarme, telecamere e muraglioni da costruire.
Gli ultimi sono i bambini costretti a prostituirsi.
Gli ultimi sono i bambini di tutte le razze.
Gli ultimi sono quelli che dietro una cattedra rischiano la vita perché credono nella cultura e nella scuola.
Gli ultimi sono coloro che anche da morti chiamiamo clandestini.
Gli ultimi sono tutti quelli che scelgono di stare sempre dalla parte dei più deboli.
Sono questi gli ultimi che ho incontrato, nella convinzione che, se fossero ascoltati, avrebbero molto da insegnarci.

Pino Petruzzelli
Gli ultimi, 2011 Chiarelettere editore srl
"Gli ultimi che intendo - scrive l'autore - sono persone che riescono a capovolgere le sorti di una vita in apparenza compromessa." Solitari ma non soli. La dignità prima di tutto. A volte provocano, a volte possono disturbare, ma è la loro semplicità che può dar fastidio. La semplicità è una dote difficile da conquistare, diceva Chaplin. Petruzzelli accompagna il lettore in un viaggio lungo dieci anni. Incontri sorprendenti come quello con uno degli ultimi beduini che ancora vivono nel deserto del Negev.o con Zeidan, muratore palestinese che si è guadagnato da vivere costruendo il muro della vergogna che separa Israele dai Territori palestinesi. Fuori dal coro c'è il guardaboschi amico di Mario Rigoni Sterri che difende la montagna e la sua cultura, il maestro d'ascia di Lampedusa che conduce una battaglia solitaria contro l'inquinamento, e molti altri. Non sono perdenti né vincenti. Loro hanno scelto altre regole del gioco.

Pagine: 201
Editore: Chiarelettere
Anno di pubblicazione 2011

silenzio

Gli autori dei libri di storia dedicano troppa attenzione ai cosiddetti “ momenti forti ” e troppo poca ai momenti di silenzio.
Si tratta di una mancanza di intuizione: di quell’infallibile intuizione comune a ogni madre appena si accorge che dalla camera del suo bambino non proviene alcun rumore. La madre sa che quel silenzio non significa niente di buono, che nasconde qualcosa.
Corre a intervenire perché sente il male aleggiare nell’aria. Questa medesima funzione, il silenzio la svolge nella storia e nella politica. Il silenzio è un segnale di disgrazia e non di rado di un crimine. E’ uno strumento politico, esattamente come il fragore delle armi o i discorsi di un comizio. Uno strumento di cui hanno bisogno i tiranni e gli occupanti che vigilano affinché la loro opera sia accompagnata dal silenzio.
Pensiamo a come i vari colonialismi tutelassero il silenzio. Con quanta discrezione lavorasse la santa Inquisizione. Con quanta cura Leonidas Trujillo evitasse ogni pubblicità.
Quale silenzio emana dai paesi che traboccano di prigioni!
Lo stato di Anastasio Somoza: silenzio.
Lo stato di Fracois Duvalier: silenzio.
Che grande impegno mette ognuno di questi dittatori nel mantenere quell’ideale stato di silenzio che qualcuno cerca continuamente di turbare! Quante vittime per questo motivo, e quali costi!
Il silenzio ha le sue leggi e le sue esigenze.
Il silenzio esige che i campi di concentramento sorgano in luoghi appartati.
Il silenzio necessita di un enorme apparato poliziesco e di un esercito di delatori.
Il silenzio esige che i nemici del silenzio spariscano all’improvviso e senza lasciare traccia.
Il silenzio vorrebbe che nessuna voce – di lamento, di protesta, di indignazione – disturbasse la sua pace.
Ovunque risuoni una voce del genere, il silenzio colpisce con tutte le forze e ristabilisce lo stato precedente, ossia lo stato di silenzio.
Il silenzio possiede la facoltà di espandersi, ragion per cui adoperiamo espressioni quali: il silenzio “regnava all’intorno”, o “avvolgeva ogni cosa”.
Il silenzio ha anche la capacità di aumentare il peso: non per niente si parla di un “silenzio pesante”, allo stesso modo in cui si parla del peso dei corpi solidi o liquidi.
La parola “silenzio” appare quasi sempre associata a termini quali “cimitero” (un silenzio di tomba), “campo di battaglia” (il silenzio dopo la battaglia), o “sotterranei” (i sotterranei immersi nel silenzio).
Non si tratta di associazioni casuali.
Oggi si parla molto della lotta contro il rumore, mentre è molto più importante combattere il silenzio.
Nella lotta al rumore è in gioco la pace dei nervi, nella lotta al silenzio la vita umana.
Nessuno giustifica né difende chi fa molto rumore, mentre chi impone il silenzio nel proprio stato viene sempre protetto da un apparato repressivo.
Per questo la lotta al silenzio è così difficile.
Per infrangere il silenzio nel paese di Duvalier occorrerebbe una rivoluzione.
Chi volesse spezzare il silenzio in cui la United Fruit Company compie le sue macchinazioni esporrebbe il proprio paese a un intervento dei marines degli Stati uniti.
Sarebbe interessante analizzare in quale misura i sistemi di comunicazione di massa lavorino al servizio dell’informazione e in quale misura al servizio del silenzio.
Sono più le cose che vengono dette o quelle che vengono taciute?
È possibile fare il calcolo delle persone che lavorano nel campo della pubblicità: e se facessimo il calcolo di quelle che lavorano a mantenere il silenzio?
Quale delle due cifre risulterebbe maggiore?

Ryszard Kapuscinski
Cristo con il fucile in spalla,
Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, 2011
Pagina 100-102

VOLEVO UN GATTO NERO....ORA VOGLIO SOLO "IL" GATTO NERO DEL MERCATINO....

Leviamo il velo da questa misteriosa creatura e ci sveliamo tutti i segreti del gatto nero.
Vi ricordiamo che potete ordinarlo chiamando Giulia al numero 333.4464723 o presso il "Mercatino", in C.so Garibaldi n° 22 .

Il gatto nero porta sfortuna sfortuna a chi non ce l'ha
A noi della Cooperativa Sociale "La Piracanta" di fortuna ne ha portata tanta:
per sostenere la richiesta abbiamo assunto una donna che, in negozio, ha in mano (o meglio: in traforo) la responsabilità della produzione e del piccolo laboratorio.
Nello spirito delle Cooperative Sociali di tipo B, la nostra assunzione è un soggetto debole che si stà rinforzando grazie al lavoro e alla possibilità di relazionarsi (inevitabile in un negozio!).
Vista la dedizione e l' amore che mette nelle sue creazioni, possiamo dire che il nostro "Progetto Donna" funziona!
...sarà perchè siamo circondate dai gatti neri?
Noi ci crediamo!!!

...ci hanno anche dedicato una ballata....

La Ballata del Gatto Nero

Gatti neri arrampicati
su vetrine colorate
fan la guardia un po' assonnati e
rallegran le giornate

Uno scruta divertito
la sua preda preferita
l'altro dorme acciambellato
una nanna da beato

Il più giovane del gruppo
fa saltare una pallina
una scena sopraffina
per filare una micina

Quello in posa a tutto tondo
vuol difendere il suo rango
passa il tempo fiero fiero
a lisciarsi il pelo nero

I piccini appena nati
se ne stanno accovacciati
son protetti e ben curati
son lavati e pettinati

Mamma gatta premurosa
li istruisce, li prepara
alla scuola tanto ardita
delle prove della vita
Sono tutti gatti neri
questo è il bello della storia
creazioni appassionate
fantasiose e ricercate
Dalla Giulia ideati
decorati e modellati
battezzati da Lorena
rendon l'aria più serena!!!

emanuele chiodini

Visita di Emanuele in Guatemala: le prime fotografie

VISITA DI EMANUELE IN GUATEMALA: CENTRO NUTRIZIONALE E PROGETTI DI MICROCREDITO (POLLO, MARMELLATA, MIELE E ALTRO)

comunicazione...notizie dal Guatemala

Sabato 19 marzo 2011,18:23
Da:"Emanuele.chiodini"
A:giulia.d65@libero.it,ruggerorizzini@yahoo.it,mo.di@libero.it,abellingeri@venus.it

Hola!
Ieri sono stato all'aldea del Conacaste: scenario naturale favoleggiante e progetti che vanno bene. Cosi' come due giorni fa sono stato all'aldea dell'Obraje. Anche qui tutto ok.
Spero di riuscire a raccontare meglio nei prossimi giorni.
Stamattina ho incontrato all'ufficio del Cfca, Maria del Carmen la studentessa di architettura che a Ottobre conseguira' la laurea, la quale mi ha illustrato nel dettaglio la sua tesi di laurea. Ragazza molto intelligente e prepata e anche bella che non guasta mai...
Insomma bisognera' PER FORZA che questo centro nutrizionale vada in porto assolutamente....speriamo trabajamos juntos....asi se dice...creo... Poi ho incontrato la ragazza di Conacaste - sempre all'oficina di Alvaro - accompagnata da sua mamma, che sta studiando da infermiera a Guastatoya.
Molto bene anche da questo punto di vista.
Ragazza molto diligente e disponibile a lavorare come volontaria tanto nella sua aldea quanto, quando sara', nel centro.
Oggi pomeriggio invece alle 15 incontrero' madre Lidia e madre Christi del consiglio regionale delle suore, insieme a madre Lucita e Roxana, referenti del progetto di Sostegno a distanza.

Dalle 16 in avanti: FESTONE DEL RANCHO HASTA LA NOCHE.............
ciao a todos!

18 marzo 2011

Salita a El Poshte...notizie dal Guatemala

Giovedì 17 marzo 2011,21:05
Da:"Emanuele.chiodini"
A:ruggerorizzini@yahoo.it,mo.di@libero.it,giulia.d65@libero.it,abellingeri@venus.it

In questo preciso momento a El Rancho sta piovendo a dirotto. C'e' un clima decisamente anomalo per essere dalle parti dei Tropici.
Gia' da ieri sera la temperatura stava scendendo e, tra la notte e oggi pomeriggio, ci troviamo nel bel mezzo di acquazzoni.
Non si puo' dire che faccia freddo, ma date le latitudini in cui siamo, la gente di qui si lamenta non poco, abituati come sono, nel bel mezzo del mese di marzo, nel bel mezzo dell'estate, a gradazioni di calore elevate, al sole nel pieno del vigore, ad un caldo continuo e persistente.
E invece questa volta no, quest'anno no. Siamo in un fresco ventilato addobbato da un cielo sempre pieno di nuvole gonfie d'acqua: molte di passaggio, alcune disperdono il loro carico di gocce da queste parti.
E ci bagnano. E bagnano la festa patronale di San Jose'.
Stamattina accompagnati da questa scenografia, divenuta autenticamente lussureggiante dato il favore atmosferico, siamo stati, insieme ad un equipe del CFCA guidata da Alvaro Aguilar nell'aldea di El Poshte situata nelle montagne circostanti El Rancho e Las Champas.
Il cammino e' sempre terribilmente accidentato per raggiungere le persone residenti in questo villaggio; strada sconnessa e dimenticata utilizzata per lo piu' da questi coraggiosi campesinos a piedi, ovvero con l'unico mezzo di trasporto di cui dispongono.
Si esce dal Rancho, si passa in mezzo al mercato permanente della Champas, si attraversa la carretera all'Atlantico sempre disastrosamente popolata da camion di ogni dimensione e poi si sale, si sale. Prima un strada in terra battuta, poi via via una strada piu' stretta di sassi e pietre, potremmo dire una mulattiera, fintanto che l'altezza ci lascia intrevvedere alle nostre spalle la valle del Motagua nella sua rigogliosa bellezza.
Si sale, si incontra il brullo delle pietre, marroni, bianche e giallastre, ma leggere nelle sfumature, sovrastato dal verde brillante del bosco abitato a sua volta da volatil dal piumaggio di ogni colore e da variopinte farfalle danzanti in assoluta liberta'.
Si sale e, varcata una nuvola, si arriva a El Poshte.
Piccola comunita' di campesinos, degna nella sue difficolta', e paziente, forse troppo , nel soddisfacimento dei suoi bisogni.
Comunita' abbandonata, forse perche', alla fine, allo stato del Guatemala cosa importa preoccuparsi di mete irraggiungibili?
Di persone comunque 'lontane' da una strada o da un centro abitato?
Insomma chisseneimporta. Che se la cavino da soli questi montanari. In fondo sono li' da secoli.
E allora si cerca la soluzione, non facile, ma realizzabile nei suoi fondamenti principali.
E allora vediamo i colllaboratori del CFCA scaricare dal PK borsate di aiuti alimentari e razioni di soya.
Vediamo sorgere un nuovo salone ad uso comunitario.
Scorgiamo in mezzo alla vegetazione viva e accogliente l'aula scolare dove tutti i 15 bambini di lassu' se ne vanno a studiare:maestro unico e classe unica.
Alle 10,30 anche per loro scatta il momento della 'ricreazione'...ve lo immaginate l'intervallo a El Poshte?.. tra corse in mezzo agli arbusti, scavalcando cani e gatti magrissimi e dormienti, saltando da un rivolo d'acqua all'altro...
Anche noi verso le undici scendiamo , il clima non permette di restare oltre e non sia mai che il PK si impantani, magari ai bordi di un dirupo; sarebbero guai seri.
El Poshte resta una comunita' amica. I bambini vanno a scuola, questo e' quello che ci siamo prefissati di raggiungere da ultimo e cosi', grazie a tutti i nostri sostenitori, e' stato.
Forse queste persone da secoli sfruttate e dimenticate avrebbero tutti i titoli per ribellarsi.
O forse, alla lunga, avranno ragione loro ad abitare su una vetta. In mezzo ad una nuvola galante.
E lontano da radiazioni nucleari, prodotto della stupidita' dell'uomo contemporaneo assetato di egoistica conquista.
A El Poshte le uniche radiazioni si chiamo raggi, quelli del sole, quello vero.

emanuele chiodini

16 marzo 2011

El Rancho: saluto alle ragazze e ai ragazzi del grado basico del Liceo San Jose'...notizie dal Guatemala

Mercoledì 16 marzo 2011,17:11
Da:"Emanuele.chiodini"
A:ruggerorizzini@yahoo.it,mo.di@libero.it,giulia.d65@libero.it,abellingeri@venus.it

Carissime ragazze e ragazzi del Liceo San Jose',
è sempre con vivo piacere tornare a El Rancho e sapere che qui nella vostra comunità ci sono persone pronte ad accoglierci.
E' un piacere poter organizzare un viaggio, partire dall'Italia, a così grande distanza dal Guatemala, e poter confidare nel fatto che qui, all'arrivo, si troveranno amici, conoscenze, luoghi, volti, persone note e amiche che ti fanno sentire come a casa.
La vostra comunita', le suore, gli amici di El Rancho, la scuola rappresentano una serie di legami fondamentali. Sono la parte essenziale dei progetti e delle attività che Ains promuove qui in Guatemala.
Senza legami d'amicizia, rispetto e fiducia e impegno non si riuscirebbe a realizzare nulla.
Nè qui, ne in Italia.
Date queste premesse sono qui insieme a voi per ribadire l'impegno della nostra associazione ad appoggiare i progetti di sostegno alla scuola.
Riteniamo che la frequenza scolastica, l'apprendimento, la conoscenza, la costruzione del proprio sapere sia un fatto decisivo per ciascuno di noi. Per tutti.
La cultura e la consocenza sono un tesoro da cui attingere nel corso della vita e diventano elementi formativi per la propria coscienza.
Soltanto se si ha coscienza di sè, delle proprie capacità, dei propri diritti e doveri si diventa cittadini adulti, liberi e responsabili.
La scuola dunque al centro delle nostre attenzioni e la crescita dei ragazzi, e delle loro famiglie, di questa comunità un impegno a cui non verremo meno. E che confermiamo anno dopo anno.
La scuola è un investimento. La scuola come antidoto reale alla povertà e alle povertà di ogni genere e natura; la scuola per inventare il futuro di ciascuno di voi. La scuola come elemento di giustizia sociale diffusa. La scuola come diritto garantito a tutti senza discriminazione di sesso, credo religioso o stato sociale.
Dunque di nuovo confermo il nostro impegno e la nostra disponibilità a continuare ad appoggiare il progetto sul liceo San Jose' sapendo, con soddisfazione, che anche da qui si puo' partire per contribuire a costruire un mondo più giusto e più eguale.
Grazie della vostra attenzione!

visita al collegio San Josè....notizie dal Guatemala

Mercoledì 16 marzo 2011,17:04
Da:"Emanuele.chiodini"
A:mo.di@libero.it,ruggerorizzini@yahoo.it,giulia.d65@libero.it,abellingeri@venus.it

Ciao a tutti,
questa mattina visita al Liceo San Jose'.
Tutto regolare e accoglienza come sempre sopra ogni aspettativa.
Ho visitato tutte le classi accompagnato da Madre Lucita, dai parvulos ai ragazzi del sesto.
Tutti hanno cantato, salutato e ricordato con tanto affetto e premura il nostro impegno. Una classe ha organizzato anche una recita: "el baile del venado"...in traje di Coban...
Erano convocati anche i ragazzi del basico: a loro ho rivolto due parole di saluto.
Foto di gruppo con tutti e festeggiamenti generali.
La scuola e' in ordine e tutto, nel contesto ordinario, mi sembra a posto.
Tra poco vado a vedere il terreno (ieri sera, ero presente qui alla fondazione, e' stato firmato l'atto per l'acquisizione definitiva dell'altra parte di terreno) e nel pomeriggio andiamo all'aldea di El Obraje.
Al termine cena dalle suore.
Per oggi e' tutto.
Cari saluti,

eamuele chiodini

info 2...notizie dal Guatemala

Martedì 15 marzo 2011,16:55
Da:"Emanuele.chiodini
a:ruggerorizzini@yahoo.it,mo.di@libero.it,abellingeri@venus.it,giulia.d65@libero.it

hola!
Dimenticavo: ho avuto da questionare alla dogana in uscita a Citta del Guatemala.
Non mi era mai capitato negli anni passati. Quest'anno c'`un posto di polizia doganale in uscita e schermano i bagagli, li controllano insomma. Hanno aperto la valigia grande e hanno contestato i farmaci.
Mi sono fatto sentire, tranquillo ma fermo e per questa volta sono passati. (hanno chiesto chi siamo, da quanti anni veniamo in Guatemala e se io ero un medico...ma...narcotraffico libero e farmaci per i poveri sequestrati...ero li' per dirglielo..pero…).
Ma dalla prossima volta mi hanno detto che se li beccano li sequestrano perche' occorre un permesso del ministero della salute guatemalteco.
Ho chiesto ad Alvaro di verificare e prendere provvedimenti...chi lo sa...vedremo...ma anche questo puo' diventare un problema.
ciau,
emanuele chiodini

info...notizie dal Guatemala

Martedì 15 marzo 2011,15:53
Da:"Emanuele.chiodini"
A:ruggerorizzini@yahoo.it,mo.di@libero.it,abellingeri@venus.it,giulia.d65@libero.it

Hola a todos!!!
Qui tutto ok!
alle 10,30 incontrero' subito le suore; successivamente via mail vi faro' sapere com'e' andata.
Ho concordato un programma per i prossimi giorni con Alvaro molto interessante.
-domani visita alla scuola san jose'; pomeriggio visita al progetto miele nell'aldea el Obraje.
-giovedi', visita a El Poshte.
-venerdi' visita a El Conacaste, progetto shampoo e soya, pomeriggio a Guastatoya.
-sabato, feria de El Rancho.
-domenica 20 visita a El Estor da madre antonietta
-lunedi'. ritorno da El Estor.
-martedi', visita alle rovine di Copan in Honduras (turismo personale).
-mercoledi', el rancho.
-giovedi', capitale...tra Chiara e Alessandra Vecchi...(da concordare)
-venerd¡, capitale.
-sabato, vado a Mazatenango e li' vi rimango fino alla fine della permanenza in Guatemala ovvero il 31 marzo.
-31 marzo pomeriggio, rientro in Italia.
hasta pronto!!!
il telefono di guate e' attivo, ciao a tutte e tutti!!!

Risveglio a El Rancho...notizie dal Guatemala

Martedì 15 marzo 2011,16:44
da:"Emanuele.chiodini"
a:ruggerorizzini@yahoo.it,mo.di@libero.it,abellingeri@venus.it,giulia.d65@libero.it

Carissime amiche ed amici,
ieri sera verso le otto sono arrivato a El Rancho.
Stanchissimo.
E' stato un viaggio molto lungo e abbastanza faticoso.
Nulla da segnalare circa il viaggio in se', ma un piccolo ritardo dell'aereo da Milano e un leggero anticipo dell'imbarco per Guatemala, hanno fatto si' che dovessi correre speditamente da un terminal all'altro dell'immenso "Barajas" della capitale iberica.
Preso l'aereo, per la consueta traversata oceanica ... letteralmete per la coda,...eccomi qua.
Il viaggio sull'Oceano e' durato ben 12 ore, forse a causa di qualche fastidiosa corrente avversa alla normale rotta e l'atterraggio nella capitale e' avvenuto verso le 18 con 1 ora e mezza di ritardo sulla tabella normale.
Per la prima volta in cinque anni l'aereo per Guatemala aveva circa 70 posti vuoti.
Anche questo fatto un effetto speciale della crisi economica che sta attraversando il mondo in questi anni.
Come sempre varia umanita' incrociata tra i sedili: tra i tanti, turisti francesi e belgi, tre giovanissime e simpatiche ragazze guatemalteche dell'ufficio turistico della capitale di ritorno da Berlino, e tante donne salvadoregne di ritorno dall'Italia perche' ormai senza lavoro.
Si torna in Salvador alla cieca, piu' impoveriti, senza piu' lavoro, e in Italia, in Europa non si torna piu'.
Per ora- Anche un viaggio in aereo con rotta verso sud serve per capire cosa sta succedendo in questo tempo incerto e difficile.
L'alba a El Rancho mi ha accolto con un concerto di suoni e colori.
Tra il silenzio composto delle prime ore del mattino, ha spiccato la solita sinfonia dei galli, cantanti melodie ripetute da un pollaio all'altro in una rincorsa senza fine e in un' eco di voci dal tono differente.
Gli uccelli notturni hanno fatto la loro parte, e i passeri, - qui delle dimensioni dei nostri merli - hanno replicato in controcanto.
In questo periodo la natura e' sfavillante: domina in rosso magenta dei fiori della Pasqua e il tenero lilla, dalle mille gradazioni, delle bungavillee. Il verde delle palme e della restante vegetazione fa da cornice alla dignitosa poverta' di questo villaggio. Profumo di fuoco di legna nell'aria e nuvole di passaggio a fare da naturale ombrello ad un clima di gradevole e non soffocante caldo tropica.
Tocco con mano il paesaggio finalmente ingentilito semplicemente affacciandomi dalla mia 'suite', un piccolo ma accogliente e pulito 'quarto' sopra la casa di Annamaria, la ragazzina...ormai senorita....che seguo da anni nel suo diligentissimo percorso scolastico.
Le tiende hanno aperto presto: e' la settimana della "feria de San Jose'".
E allora la panaderia con i suoi panitos dulces e poi un caffe' italiano bollito con la materia prima portata direttamente da casa.
Le giostre per i bimbi in legno e ferro, antesignane rispetto alle nostre, disposte nella calle verso la linea ferroviaria stazionano in attesa del gran finale pirotecnico di sabato prossimo: la luzes de la feria, evento spettacolare per la nostra aldea.
Qui andrebbe scomodato Giacomo Leopardi...facilmente intuendo...la sera del di' di festa.
I suoi versi ci starebbero a pennello.
Così El Rancho con i suoi ritmi accoglienti e rispettosi del tempo, mai frenetici quindi, - del resto siamo o non siamo a Sud, siamo o non siamo in America Latina? -, si sta lasciando alle spalle la tragedia della tormenta Agatha dell'anno passato. Troneggiano spezzate e abbandonate a loro stesse, le rovine del ponte Orellana sul Rio Motagua. Un segno visibile della tragedia di una natura a volte violenta e furente che ci ricorda ormai troppo spesso (leggasi anche i fatti recenti del Giappone) che per il pianeta la misura è colma.
Noi, abbiamo fatto di tutto per farla superare largamente.
La misura, il giusto canone.
E il sistema economico di sfruttamento totale in cui siamo immersi pare non abbia il minimo scrupolo di cambiare direzione.
Peggio per noi, certo non per la sovrana e massimamente libera Natura.
Restiamo in attesa della "metanoia" globale remando, noi forse illusi, forse visionari, in direzione ostinata e contraria...come sempre....
Con queste prime righe vi saluto tantissimo: domani comincero' una serie di visite nelle aldee dove abbiamo in corso una serie di progetti, soprattutto quelli legati al microcredito.
Faro' in modo di tenervi aggiornati strada facendo.
Hasta pronto!

emanuele chiodini

Ps: sull'aereo ero seduto al posto 17....quando si dice la cabala...sono nato di 17, abito al numero civico 17...il 17 mi accompagna sempre...come il 26 per Fidel Castro...ma lasciamo stare ogni sia pur minimo paragone....hola!!!!

14 marzo 2011

Conversazione con Monsigror Alvaro Ramazzini

Ci arrivano notizie allarmanti relative alla costruzione di centrali idroelettriche, in particolare della centrale che ENEL sta costruendo in Quichè. Che cosa ci può dire?
" Della centrale ENEL non so molto, perché si trova lontano, nel Quichè. Ma noi abbiamo un problema simile nella zona di San Marcos. Mi spiego. Secondo la legge sull’elettricità del Guatemala, ci sono coloro che producono l’energia, coloro che la trasportano e coloro che la distribuiscono. A San Marcos abbiamo questa grande azienda spagnola che si chiama Unión Fenosa. Durante il governo di Alvaro Arzù, quando sono stati firmati gli accordi di pace, Arzù cedette i diritti di distribuzione dell’energia elettrica a questa compagnia, vendendoli a prezzo molto basso. E’ questa una delle critiche che si possono rivolgere a questo presidente, che ha privatizzato non solo il sistema telefonico ma anche l’elettricità. Quando Unión Fenosa è arrivata sembrava che tutto andasse bene. Con il passare del tempo ci siamo accorti che hanno cominciato ad aumentare i prezzi, che poi non solo hanno aumentato i prezzi ma anche che i prezzi non corrispondevano al reale consumo. Tutto ciò è stato documentato ed è iniziato un movimento di resistenza contro Unión Fenosa. È proprio nella zona di San Marcos che è iniziata la protesta, perché la gente pensava che fosse sufficiente segnalare il problema con delle denunce. Ma poi si sono resi conto che non cambiava nulla, e che l’unica alternativa era prendere misure di fatto. Quindi hanno deciso di non pagare più le bollette dell’energia. Noi ci siamo messi dentro questo problema, e purtroppo nel 2009 uno dei leader che apparteneva al nostro gruppo è stato assassinato. Poi sono state uccise altre due persone, in totale tre leader che erano a capo del movimento di resistenza contro Unión Fenosa. Finora il problema non è stato risolto. Abbiamo chiesto udienza al presidente della repubblica quasi un anno fa, perché la gente pensa che solo lui può aiutarci, ma finora non ci ha ancora ricevuti. "
Perché la gente si oppone alla costruzione delle grandi centrali idroelettriche?
"La gente si oppone per due ragioni importanti. La prima è perché i cittadini dicono: a che cosa ci serve che usino l’acqua dei nostri fiumi (secondo la Costituzione l’acqua è pubblica e quindi l’iniziativa privata non dovrebbe fare uso di questa acqua), che beneficio ne avranno le comunità, quando poi dovranno pagare l’elettricità al prezzo imposto dalla compagnia spagnola? E la seconda ragione è che bisogna tenere in considerazione l’Accordo 169 della Organizzazione internazionale del Lavoro, secondo il quale prima di iniziare qualsiasi progetto di sviluppo in un territorio indigeno, bisogna sempre consultare le comunità indigene. E se le comunità dicono di no, lo Stato deve rispettare la decisione, perché lo Stato del Guatemala ha ratificato l’accordo 169.
Questi sono i maggiori disagi che manifestano le comunità indigene di fronte ai grandi progetti nei loro territori.
Il problema è che in Guatemala abbiamo un sistema legale che favorisce sempre i piccoli gruppi che detengono il potere economico. L’anno scorso è stata approvata una legge, chiamata “Legge di Iniziativa privata e dello sviluppo economico” che permette a questi gruppi privati di avere una libertà grandissima. "
Daniela Sangalli, Colognola ai Colli, 23 febbraio 2011

tratto da http://orizzonte-guatemala.blogspot.com/

13 marzo 2011

Il 14 Marzo ripartirò alla volta del Guatemala

Carissime amiche ed amici,
il 14 Marzo ripartirò alla volta del Guatemala.
Nuovamente e con gioia.
Certo non è la prima volta ma ogni viaggio ha una sua storia,una biografia sua propria,un colore nuovo.
Anche questa volta sarà la rinnovazione di un'amicizia consolidata negli anni e, allo stesso tempo, la scoperta di luoghi e volti inediti.
Leggere,studiare e viaggiare: beata la persona che puo' permettersi queste attività.
Beato colui che riesce sempre a tenere accesa la lampada del pensiero, e attraverso le capacità straordinarie della mente mediate dalla tenerezza del cuore può giungere ad immaginare orizzonti nuovi, un mondo più giusto e più umano, un pianeta libero dallo sfruttamento indiscriminato delle sue risorse naturali e degli uomini che lo abitano.
Utopia, passione e visione si confondo e si compenetrano.
Una vita sarebbe assai vana, disincarnata, se rinunciasse a lottare per attualizzare e rendere reale cio' che sta nelle sfere delle pure idealità.
Si cammina più saldi nella terra se le fondamenta dell'anima sono plasmate da idee di liberazione e da non banali sentimenti di giustizia e di pace.
Armato da questi pensieri ritorno laggiù, in Centroamerica, nella terra degli antichi Maya.
Mi faccio accompagnare da tre personaggi contemporanei e illustri di cui vi partecipo alcuni concetti.
Il primo e' Gustavo Gutiérrez, sacerdote peruviano, fondatore della Teologia della Liberazione.
Ho avuto modo nei mesi scorsi di approfondire il suo pensiero.
Il suo è un testo decisivo per chi si accosta alle problematiche dell'America Latina. Come "Le vene aperte" di Galeano.
Ecco un passaggio della sua imponente speculazione teologica.
"Povertà è un termine equivoco.(...). Il termine povertà designa in primo luogo, la povertà materiale, cioè la carenza di beni economici necessari per una vita umana degna di questo nome. In tale accezione la povertà e' vista come qualcosa di degradante ed è rifiutata dalla coscienza dell'uomo d'oggi. Anche chi non è, o non vuole essere, cosciente delle cause profonde di tale situazione, considera che si debba lottare contro la povertà. Ma negli ambienti cristiani si ha tendenza, spesso, a dare alla povertà materiale un significato positivo, a vederla quasi come un ideale umano e religioso, un ideale di austerità e di indifferenza di fronte ai beni di questo mondo, condizione di una vita conforme all'evangelo. Questa impostazione porrebbe le esigenze cristiane in contrasto con la grande aspirazione degli uomini consistente nel volersi liberare dalla sottomissione alla natura, eliminare lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo e creare ricchezza per tutti.(...)
Il termine 'povero' puo' sembrare non solo impreciso e intreeccelesiale ma anche un poco sentimentale, con la conseguenza di diventare asettico. il 'povero' oggi è l'oppresso, l'emarginato dalla società, il proletario che lotta per i suoi più elementari diritti, la classe sociale sfruttata e spogliata, il paese che combatte per la sua liberazione. La solidarietà e la protesta di cui parliamo rivestono, al mondo d'oggi, una inevitabile colorazione politica, in quanto racchiudono un significato di liberazione. Optare per l'oppresso corrisponde ad optare contro l'oppressore. Oggi e nel nostro continente, solidarizzare col 'povero', visto in questa luce, significa correre rischi personali, fino a mettere in pericolo la propria vita. Questo capita a molti cristiani e no, impegnati nel processo rivoluzionario latinoamericano. Nascono, così, nuovi modi di vivere la povertà, diversi dalla classica rinuncia ai beni di questo mondo" (da 'Teologia della Liberazione', Queriniana edizioni, p.327.341-342).
In Guatemala ritorno perchè condivido i versi di questa poesia di Alfonso Gatto:
Il Dio povero
Il Dio povero all'ala della sera
al rapinoso grido alzava il volto,
al pensiero remoto che lo chiama.
E sorridendo a credersi sottile
senza rumore col suo passo eguale
alla dolcezza dell'essere credeva.
Parve a se stesso innamorato, buono,
da amare con parole che le mani
accompagnano a lungo le parole
comuni che non sembrano mai dette.
(...)
E con Giorgio Gaber concludiamo l'esposizione del pensiero a sostegno del viaggio:
Ho visto aiutare chi sta male
sperare in un mondo più civile
ho visto chi si sa sacrificare
chi è sensibile al dolore
ed ho avuto simpatia.
Ho visto tanti figli da educare
e la gente che li cresce con amore.
Ho visto genitori comprensivi
e insegnanti molto bravi
pieni di psicologia
Ma non ho mai visto nessuno
buttare lì qualcosa e andare via.
("Buttare lì qualcosa" di G. Gaber, tratto da "Anche per oggi non si vola", 1974)
Con questa immagine sintetica e significativa della gratuità vi saluto in sincerità ed amicizia.
Il viaggio, semplicemente, continua.
Arrivederci al 3 Aprile.

Emanuele Chiodini

Ericka Liseth Picon Colay: futura infermiera

Ericka Liseth Picon Colay è una giovane guatemalteca dell’aldea Conacaste, San Agustin ac, El Progresso, che studia infermieristica ed ora è nella fase della pratica, come si può vedere dalle fotografie che il nostro amico Alavo ci ha mandato in questi giorni. La famiglia di Ericka è molto semplice con scarse possibilità economiche. Grazie alla nostra associazione Ericka può pagare la quota mensile di 40 euro, studiare e realizzare il suo sogno cioè servire la sua comunità.
Ericka con la sua uniforme e l'apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa. Ericka sta imparando la misurazione della pressione arteriosa. In questa fotografia la "cavia" è la mamma di Ericka .