30 ottobre 2012

Aiutare gli altri paga Nel volontariato l’antidoto alla crisi

Contratto fisso per oltre l’80% dei dipendenti di associazioni Balzamo: «Terzo settore investimento economico e umano»

PAVIA Danno lavoro le associazioni di volontariato e sembrano sostenere meglio i contraccolpi della crisi che sta dilaniando il sistema produttivo. Si privilegiano i contratti flessibili (il 54% sono collaboratori occasionali o a progetto, il 6% consulenti), ma se si vanno a guardare i dipendenti, si riscontra una netta prevalenza di contratti a tempo indeterminato che arrivano all’82%, contro il 30% delle imprese della provincia. E il rapporto di lavoro dura da più di tre anni nel 42% dei casi, mentre raggiungono quota 38% coloro che sono assunti da uno a tre anni. I dati si riferiscono a questi ultimi mesi del 2012 e sono stati raccolti dal Centro servizi volontariato. A rispondere al questionario sono state 248 organizzazioni di volontariato della provincia di Pavia. Ad essere assunti a tempo indeterminato sono amministrativi, consulenti contabili e fiscali, consulenti specialistici e quelle figure previste da progetti specifici. Il personale retribuito deve infatti avere competenze che siano di aiuto ai volontari che, bisogna ricordare, operano in base al tempo libero a disposizione. Negli ultimi anni sono state sottoscritte convenzioni con le pubbliche amministrazioni che fino a poco tempo prima gestivano da sole servizi che poi non sono più state in grado di sostenere. E così il welfare viene assicurato proprio dalle associazioni di volontariato, integrando quei servizi, fondamentali per la popolazione, che i Comuni faticano a garantire per la diminuzione progressiva delle risorse economiche. «Esiste una differenza tra le possibilità occupazionali fornite dalle organizzazioni di volontariato, ad esempio Avis o Auser, e le associazioni di promozione sociale, come Arci o Anfass – spiega Alice Moggi, direttore del Centro servizi volontariato –. Le prime offrono meno occupazione, ma più stabile, mentre le seconde, che prevalentemente svolgono servizi per i propri soci, danno maggiore occupazione, ma propongono contratti più flessibili». Quello che appare è un settore dalle grosse potenzialità, attento ai più deboli, un esempio di investimento economico e umano. «Il terzo settore ha un ruolo fondamentale, gestendo servizi importanti per i cittadini – sottolinea Pinuccia Balzamo, presidente del Centro servizi volontariato –. Il 2,5% del Pil nazionale è prodotto dalle cooperative sociali e qui l’occupazione ha tenuto, per questo sarebbe necessario investire nel mondo del no profit, un capitale sociale e civile, che può fare da volano allo sviluppo economico». E sono tanti i giovani che si stanno avvicinando al sociale. «Nell’ultimo anno – spiega Moggi – molti ragazzi, terminato il percorso di studi, in attesa di trovare lavoro, optano per fare un’esperienza nel volontariato».

Stefania Prato, la provincia pavese-29 ottobre 2012

L’ESPERIENZA/1 - Sanità e servizi agli anziani il no-profit che crea occupazione

PAVIA La cooperativa sociale Pallium offre servizi socio sanitari. Una sessantina di soci, 17 dipendenti. «Siamo ancora tra quelle realtà che, nonostante la crisi, riescono a creare occupazione – spiega il responsabile Nazareno Montanti –. Ci avvaliamo del contratto nazionale delle cooperative sociali. Siamo imprese no profit e quindi il nostro fine non è quello di lucrare ma di aiutare i nostri soci». Da poco è stata costituita Albanova, cooperativa di tipo B, cioè quelle che si occupano del reinserimento di persone svantaggiate. «Stiamo realizzando una serie di progetti che ci permetteranno di avvalerci di altro personale – spiega ancora Montanti – e presto apriremo una struttura per anziani a Santa Maria della Versa dove verranno realizzati anche ambulatori. E’ chiaro che questo porterà la creazione di nuovi posti di lavoro”. Per questa cooperativa sociale resta fondamentale l’apporto di personale qualificato e preparato. (st. pr.-la provincia pavese, 29 ottobre 2012)

L’ESPERIENZA/2 - «Con le onlus l’occasione di crescere»

Neolaureati al servizio di chi deve imparare l’italiano

PAVIA Babele onlus si occupa di mediazione linguistica culturale nelle scuole o negli ospedali, a sostegno dei ragazzi stranieri, quelli appena arrivati in Italia che hanno bisogno di aiuto per superare il gap linguistico. «Mettiamo a disposizione docenti molto preparati e competenti che li accompagnano nell’apprendimento della lingua, finalizzato allo studio – spiega il presidente Giancarlo Gatti –. L’attività prevede due livelli, quello che riguarda la comunicazione base e il livello che riguarda lo studio». Qui vengono impiegati collaboratori a progetto ed è tra i 25 e i 30 anni l’età media dei giovani occupati, neolaureati in materie umanistiche che approdano nel mondo del no profit per un primo rapporto di lavoro. «Per molti di loro questa è un’esperienza formativa, utile per il futuro – sostiene il presidente –. Imparano a lavorare in una realtà complessa e in piena autonomia». (st. pr. - la provincia pavese, 29 ottobre 2012)

22 ottobre 2012

Siamo forse tanto diversi?

pubblicata da Giovanni Ferma il giorno Sabato 20 ottobre 2012 alle ore 21.41

Ne avevo avuto il sentore quando stavo in Italia. Giorno dopo giorno è un pensiero che sta montando a certezza e, come tale, sta rischiarando i tasselli del mosaico che la compone.

Il Guatemala è uno dei paesi più poveri dell'America Latina. Terzo al mondo per morte infantile causata da denutrizione. I diritti umani sono ampiamente calpestati, sia contro gli indios che contro i ladinos poveri. Il presidente "democraticamente" eletto è un ex generale, tra quelli piu sanguinari della guerra civile. La terrà è tutta in mano a grandi latifondisti e altre multinazionali si occupano di distruggere il territorio per grandi opere mentre la gente muore di fame.
fotografia di Giovanni Ferma
Leggevo poco prima di partire un foglietto che diceva più o meno così: "non importa quale sia la causa che porta una comunità a star male. L'importante è aiutarla".
Bene, seppur possa capire l'alta caratura che in buona fede può portare a scrivere una frase cosi, credo che in essa stia un grave problema, comune spesso alla cooperazione. Il fatto di non interrogarsi sul perché un popolo vive una certa realtà.
Ed è proprio nel cercare di individuare le responsabilità della situazione guatemalteca che ci si ritrova a capire quella specificità di cui parlavo all'inizio. La capacità di essere un concentrato di enfatizzazioni negative del sistema che, ad un primo impatto, si mostra tanto distante da noi tanto da portarci a definirlo terzo mondo. Ad un analisi approfondita tutte quelle cause riportano sempre a individuarne le responsabilità nel sistema economico, politico e sociale di cui facciamo parte e che abbiamo imposto al continento latinoamericano.
Ecco, dico subito che non vorrei che si pensasse "il solito sinistroide che ricama la sua ideologia su una realtà che vede". Mi spiace di non saperlo fare a dovere e di non avere il tempo sufficiente per poter mostrare quello che penso, però il mio invito ad ognuno sarebbe quello di approfondire la realtà Latinoamericana (o per semplicità quella guatemalteca) per farsi un'idea propria di quelli che sono i meccanismi responsabili di tutto ciò. Sinceramente se c'è una cosa che mi da la nausea è sentire la gente che si impietosisce per la foto del bambino che non ha cibo ma che, appena si inizia a parlare del "perche" questo bambino è in una situazione simile, cambia "canale".
Ebbene, le risposte non le voglio dare io, poiché mi piacerebbe davvero che ognuno se le cercasse da se o mi esponesse le sue in modo da confrontarci. Io offro solo alcune parole chiave che mi vengono in mente a proposito... e la cosa tragicomica, e che quindi fa capire qual è la mia risposta che tanto volevo tenere nascosta :) è che ogni parola ha un filo che parte dall'america latina e giunge dritto nelle nostre case e nel nostro vivere. Nel bene e nel male.
Latifondo – ENEL – privato è meglio del pubblico – militarizzazione – risorse energetiche – grandi opere – diritto di pretendere diritti
Dicevo nel bene e nel male perché anche noi ci accorgiamo sempre più, in italia, di come ci stiamo trovando vittime di un sistema che ci priva del diritto al futuro, che sta comprimendo i diritti che ormai sono diventati una parola sporca, da non dire perché sennò sei un militante politico... però io non mi riesco a spiegare il perché di tanti miei coetanei iper laureati che non trovano uno sbocco professionale; non capisco perché la piccola borghesia si trova a dover chiudere baracca perché non c'è denaro nelle tasche dei lavoratori; non capisco perché la mia facoltà mi offre professori sempre più vecchi e sempre più inadatti... non capisco tutto questo se non stiracchiando un pò la realtà del Guatemala, dove le risposte, con un minimo di approfondimento, siamo bravi tutti a darle.
Concludo. Quando parlo con la gente mi stupisce il vedere come non siano in grado di rendersi conto di quello che gli manca. Di quello che gli viene tolto. Non riescono a sognare e a pretendere diritti, almeno qua dove sto io. Mi sembra assurdo, ma poi ripenso un’altra volta a noi in Italia. E infondo, noi sappiamo renderci conto di quello che ci stanno togliendo? Col nostro dover trovare un torto sempre in tutti; col nostro dover trovare una verità che sta nel mezzo e quindi senza mai trovarla; col nostro aver smesso di sognare senza essercene resi conto. Siamo forse tanto diversi?
Ma, tornando all’inizio, se alle esagerazioni del Guatemala ci sappiamo ancora indignare tanto, non dovremmo forse smettere di cercare soluzioni moderate e fare sogni un po’ più esagerati?!
"crea un'utopia per far spazio a un'idea"
ps. piccola postilla. il Guatemala è uno dei pochi paesi dell'America Latina a non avere mai rotto con il periodo delle ricette di austerità e liberismo degli anni 80' e 90'. E' anche l'unico paese a non aver visto diminuzione della disuguaglianza in questi ultimi dieci anni. Ci sarà un motivo.





un arcobaleno da capire

scritto da Giovanni Ferma il giorno Lunedì 15 ottobre 2012 alle ore 6.37

Scrivo questa prima nota da El Rancho, una città di El Progreso nel Guatemala. La scrivo non perchè abbia granché voglia di scrivere o ne senta il bisogno. Di solito scrivo per dar voce a miei pensieri o per provare a produrre o condividere una qualche emozione.

Questa nota la scrivo perché dopo 15 giorni è giusto che non scriva sul miodiario di bordo ma che scriva qualcosa che tutti possano vedere, per rendervi un pò partecipi della realtà che sto vivendo ma che ancora non capisco per nulla.
Ieri gli altri italiani che erano partiti con me sono ritornati a casa e ora inizia un periodo totalmente diverso. Con loro abbiamo viaggiato tutti i giorni andando a visionare i vari progetti che AINS contribuisce a mantenere in piedi. Ognuna di quelle realtà pare quasi fare a gara per vincere il premio del "non mi salverò mai", e su questo concetto ci tornerò dopo o sicuramente in altre note, poiché è stato parte integrante del tipo di cooperazione che mi sto trovando a portare avanti e, forse,lo è in generale per la cooperazione. 
fotografia di Giovanni ferma

Iniziamo col rispondere subito alle domande più comuni! Ho mangiato bene in questi giorni e la pancia è aumentata; certo, si mangia piu o meno sempre le stesse tre cose a tutti i pasti, ma in fondo sono un abitudinario. Dicevano dovesse essere un periodo senza pioggia e invece ha piovuto tutte le sere o quasi, producendo comunque grande piacere viste le alte temperature. Le zanzare ci sono, anche se ce ne sono altre molto piu piccole, come dei moscerini che mordono sempre nello stesso punto e i miei piedi sono arrivati a contare n+1 punture... il gioco è "quale di queste porterà la malaria"!
E' cara la vita? Chiaramente no, non lo è, anche se ancora devo prendere confidenza con i quetzales, la moneta locale. Mi sento un pò come un anziano alle prese col cambio lira-euro...
La gente com'è? Bella domanda! Visto il breve tempo non posso che avere una prospettiva parziale. Diciamo che alla Champa, il luogo in cui ho vissuto queste due settimane, la gente è molto cordiale, nel senso guatemalteco del termine. Ti guarda, ti saluta sorridendo e dopodiche non ti rivolge la parola mai. Non perchè gli stai sulle balle ma solo perchè qui parlano tutti poco. I bambini della mensa, quelli invece parlano un sacco. E se col mio spagnolo non capisco nulla, basta sapere due parole sole con loro: pelota e barileta, rispettivamente pelota e aquilone! Sono molto vitali e vengono tutti i giorni al comedor (mensa) a ricevere un pasto sano. Adesso inizia il periodo di vacanza da scuola che durerà per alcuni mesi. Il primo progettino meso in pidi con gli altri della ciurma è stato la creazione di un cineforum una sera a settimana con pellicole per bamibini, con buon risultato di pubblico anche tra i genitori. I fruitori principali sono i bambini della Champa che si appoggiano al comedor. Ho visitato un paio di volte la zona in cui vivono e penso che l’unica parola che possa vagamente farvi capire com’è la realtà in cui vivono è bidonville. Forse l’unica eccezione è che le loro case son fatte spesso di mattoni e non di cose trovate qua e là, ma il contorno, l’interno, il fumo che campeggia, la mancanza totale di igiene, la presenza di animali negli stessi spazi…tutto questo è della più tipica bidonville che ci si può immaginare. Non mi è stato facile fare il primo giro in questo luogo, non per la pericolosità, che assolutamente non si avverte, quanto piuttosto per la difficoltà ad entrare in una realtà che in parte ti colpisce per il suo degrado e in parte ti colpisce perché vorresti parlare con questa gente ma il mio spagnolo non me lo permette ancora. Sapessero l’inglese… ecco, infatti, non cambierebbe niente J
Comunque, apparte gli scherzi, un po’ mi son stupito del poco stupore che ho provato in quel luogo, o altri tipi di emozione particolare. Ma questo lo lascio al diario di bordo. Qua dico che l’unica sensazione è stata quella di voler fortemente imparare lo spagnolo per poter chiedere a questa gente che pensa, cosa prova, che aspirazioni ha sull’avvenire. Un po’ di rabbia viene, certo. Però in fondo bisogna anche bilanciare i propri pensieri con quello che mi immagino che pensino. Sembra che vivano bene con le loro “arretratezze”, e questo è importante e mi deve far riflettere sempre due volte prima di provare a sostenere un loro “cambiamento”. Quello che mi pare di capire che chiedano, sempre senza risposta se non dalle ong, è la sanità e l’educazione…e oltre a questo, ma è un’esigenza difficile da far uscire se non si soddisfano le altre due, la voglia di comunità, di aggregazione… quella gran voglia di stare insieme che noi in occidente abbiamo perso e che qua si trova molto più spontanea seppur non facilmente; la si trova negli adulti che giocano con gli aquiloni insieme ai bambini, nella comunità che viene a vedere una partita di calcio giocata da bambini e bambine con un pallone buco, nei genitori che se la ridono alla grande durante la proiezione dell’era de Hielo…
Ok, mi sto rendendo conto che sto andando un po’ troppo per le lunghe. Perché ci sarebbe in fondo molto da dire. Le foto forse parlano molto meglio, senza soggettività eccessiva.
Vi dico solo che ho visto cose di vario genere, che fanno pensare che qua non c’è più o meno un cazzo da fare. Ho visto una comunità di montagna che faceva la coda per ricevere un semplice consulto medico poiché lo sanità pubblica non li considera. E li cosa fai, ci siamo chiesti? Li fai sentire meno soli, gli dai un consulto medico un giorno al mese? Per loro è essenziale, ma è “come distrarre per un giorno un villaggio malato terminale”… stessa cosa in altri posti che ho visto, come alla champa, dove la caduta del ponte non permette il contatto diretto con il paese e taglia fuori da tutti i servizi, peraltro già scarsi nel paese del rancho. A fianco della champa però ci stanno due grandi appezzamenti di terra incolta. La gente della champa ha provato a metterci catapecchie negli anni passati. È arrivato l’esercito e li ha cacciati. E la gente è tornata a vivere in pochi metri quadri, senza zone da coltivare o senza zone per far pascolare maiali, capre o galline. Terra y libertad si dice… terra è libertà… su quella “e” che da congiunzione diventa verbo ci tornerò tante volte in questi due mesi, perché la causa dei mali qua passa sempre da li.
Volevo dire troppo e alla fine non ho detto niente. Vi ho dato flash sparsi di quello che è l’attività qua. Provare a rendermi conto di come è la realtà, provare a entrare nella loro cultura per capire se c’è qualcosa che possiamo fare per loro senza invadere il loro modo di vivere. Sono confuso, tra la bocca aperta nel vedere le rovine maya maestose e la natura magnifica di questo luogo da un lato; tra le città spagnole, bellissime anch’esse ma che rappresentano il popolo per cui qua c’è cosi tanto schifo… e la rabbia, l’ammirazione, il relativismo, la sconsolazione e la voglia di provarci comunque si mischiano tutti insieme, come se fossero un abito tipico guatemalteco, che in fondo si cura sempre di tenere dentro di se tutti i colori, perché loro lo sanno che i colori sono essenziali e il motivo lo sa bene il buon Magno! ;) per questo motivo che non mi sbilancio oltre, e mi limito a farmi un in bocca al lupo per questo nuovo periodo che inizia con la nuova settimana e che mi vedrà molto solo, molto lontano da casa, scosso tra le diverse sensazioni che la realtà ti sbatte addosso e concentrato a carpire anche solo qualcuna delle mille sfumature di quell’arcobaleno che è il Guatemala.




18 ottobre 2012

Wi´ih significa "Hambre"

" In lingua maya, Wi´ih significa "Hambre". Questo è il mio lavoro fotografico sulla denutrizione infantile in Guatemala. Chiedo scusa per la qualità delle immagini ma la connessione internet non mi permette fare di meglio. Guardate il video e, se potete, diffondetelo, affinchè si conosca quale è la situazione in Guatemala dove mi trovo da 18 giorni. "
Emilio Josè Mateo Hernandez

http://www.youtube.com/watch?v=wt_gGgkwruU&feature=youtube_gdata



A Oslo, un bambino di 11 anni pesa 35 kg. In Guatemala, 20.
Il guatemala è il primo paese in America Latina per mortalità infantile e denutrizione e il terzo nel mondo.
Quattro bambini su 10 soffrono di denutrizione cronica, otto su dieci sono indigeni.
Mentre il governo si occupa di dati statistici, sono le ONG e le associazioni che concretamente si occupano del problema cercando soluzioni al problema della denutrizione intervenedo direttamente, con progetti alimentari per le famiglie.