31 marzo 2010

“Rischio la vita senza paura per difendere i miei poveri del Guatemala”

Mons. Alvaro Ramazzini a San Martino Siccomario parla della sua esperienza di Vescovo al fianco dei deboli

Chiesa parrocchiale gremita domenica scorsa a San Martino Siccomario per ascoltare le parole di mons. Alvaro Ramazzini, coraggioso Vescovo del Guatemala (diocesi di San Marcos) che rischia ogni giorno la vita schierandosi contro il potere militare e colonialistico per difendere coloro che affettuosamente chiama “i miei poveri”. Il suo predecessore, mons. Juan Gerardi, pure grande difensore dei diritti dei più deboli, venne assassinato nel 1998. Ma questo non intimorisce mons. Ramazzini, che continua nella sua opera di denuncia di sfruttamenti con caparbietà ma anche con una serenità di fondo dovuta alla grande fede che lo sostiene. Domenica mons. Ramazzini ha conquistato tutti con il suo messaggio forte in difesa dei valori della famiglia, come suggerivano le letture, la cui importanza è stata dedotta dalle domande rivolte ai bambini con grande semplicità ma anche con intelligente sagacia.

Al termine della Messa il Vescovo guatemalteco ha benedetto tutti i bambini e si è poi diretto alla sede municipale dove era atteso dal sindaco Vittorio Barella, dagli assessori e dai consiglieri della maggioranza per il benvenuto. “Le siamo vicini e desideriamo sostenerla attraverso l’appoggio ai progetti dell’Associazione Ains che si impegna in Guatemala –ha sottolineato il primo cittadino, rivolgendosi a Ramazzini- l’opera che lei svolge nel suo Paese è nota e ha un alto valore umano, sociale e religioso”.

In serata il Vescovo ha anche partecipato alla proiezione del documentario “Historias de Guatemala” di Nicola Grignani e Anna Recalde Miranda nel salone dell’Oratorio. A lui abbiamo rivolto alcune domande per inquadrare la delicata situazione guatemalteca, dove i circa tredici milioni di abitanti hanno davvero molti problemi.

Mons. Ramazzini, come spiega la realtà attuale nel suo Paese?
“Se possibile è ancora più difficile che in tempo di guerra. La crisi economica mondiale ha complicato tutto, c’è enorme sofferenza per mancanza di lavoro e quindi si assiste a una forte emigrazione verso gli Stati Uniti. Poi le deportazioni hanno toccato quota trentacinquemila e si assiste a ogni sorta di violenza accompagnata da impunità per l’assenza di uno Stato forte. La speranza viene dalla CC (Corte Costituzionale) che negli ultimi tempi sta svolgendo un buon lavoro. E viene anche dalla pastorale giovanile, che si sta rafforzando molto e questa è una
nota davvero lieta”.

Lei si occupa anche dei migranti in una zona dove –ha detto- l’emigrazione è forte. Si parla razzismo anche nelle vostre zone?
“Purtroppo sì. La mia diocesi è vicino al Messico e quindi in una zona di confine vedo molti emigranti diretti negli Stati Uniti che provengono dal Messico, dall’Honduras, dallo stesso Guatemala. Ma là spesso non vengono trattati da esseri umani, il sentimento della xenofobia è qualcosa di veramente triste che deve toccare la nostra fede cristiana.”

Nella sua omelia ha esortato le famiglie a restare unite. E’ un problema in Guatemala?
“Un grande problema. Soprattutto a causa delle migrazioni tanti uomini hanno lasciato la famiglia e la maggior parte dei bambini non ha mai conosciuto il padre. Questa è una enorme sofferenza, perchè è dalla famiglia che nasce la forza di risollevarsi”.

Lei è costantemente schierato al fianco dei deboli, a costo di rischiare la vita. Le capita mai di avere paura?
“Sono perfettamente cosciente di non essere simpatico a molta gente potente, ma la mia soddisfazione sta nel poter essere la voce di chi è troppo debole per far sentire la propria. Questo per me è l’importante, il resto conta poco. Se ho paura? Quando ci penso un po’ sì, è umano credo, però cerco di non pensarci... anche perchè alla fine la mia vita è nelle mani di Dio”.

Daniela Scherrer

Il terrorismo è provocato dalla guerra e dalla violenza

Proponiamo un'intervista a Monsignor Nogaro apparsa su PeaceReporter, quotidiano online che tratta temi internazionali, oltre che una agenzia di stampa e di servizi editoriali. Nato da una idea dell’agenzia giornalistica Misna (Missionary Service News Agency) e della organizzazione umanitaria Emergency.(www.peacereporter.net)

Il terrorismo è provocato dalla guerra e dalla violenza

Monsignor Raffaele NogaroVescovo di Caserta, è tra i primi firmatari dell'appello "Cessate il fuoco!".

Come definirebbe il terrorismo?

Il terrorismo non è mai una germinazione spontanea dell’uomo. Il terrorismo è di seconda caduta. E’ provocato dalla guerra e dalla violenza. E’, attualmente, l’ideologia più alta: sacrificarsi per una causa. E’ disperazione. Non comprendo, dunque, come si possa frenarlo con la guerra. Il terrorismo minaccia perché a monte c’è l’offesa.

E la pace?

La pace è il nome laico del Vangelo. E’ il bene supremo. E’ l’unico habitat dove l’uomo completa l’iter delle proprie virtù. In assenza di pace l’umanità è fisicamente e spiritualmente soffocata. Come Cristo è sceso in terra non tanto per creare una Chiesa bensì per salvare l’uomo, così l’arte, la scienza e la politica dovrebbero aiutare, salvare gli uomini.

Per questo ha aderito all’appello “Cessate il fuoco!”?

L'ho fatto per esprimere la mia indignazione. Tutti gli uomini, senza distinzione, devono essere indignati oggi. Il mondo intero è minacciato dal mal governo di certi popoli e dalle loro armi sofisticate. Non comprendo come si possa sostenere la guerra per frenare il terrorismo.

Cosa pensa della cosiddetta guerra di prevenzione?

Offendere per difendere è irrazionale e assurdo. E’ antievangelico. L’organizzazione dell’offesa, della lesione è, come ha detto il Papa, alienum ab rationem, fuori da ogni ragione. Ritrovare la cultura della pace è l’essenza della pace. Solo allora saremo capaci di iniziare un discorso nuovo, concreto, giusto. Non solo. Fino a quando continueranno a esserci miliardi di vittime dell’ingiustizia sociale non potremo mai arrivare a una pace vera.

Quale deve essere la posizione della chiesa, in questo momento?

La Chiesa ha tante colpe e adesso deve continuare a porsi come buona testimone di pace. Deve condannare la guerra giusta, la guerra difensiva. Il concetto di difesa non può valorizzare la guerra. La Chiesa deve gridare il proprio sgomento per i miserabili. A cominciare dai civili che subiscono le guerre, dagli immigrati e in particolare dai clandestini, i poveri dei poveri.

Cosa si potrebbe fare concretamente per avviarsi alla pace?

Concretamente si dovrebbe iniziare dal far chiudere o quantomeno controllare le industrie belliche. Fino a che ci saranno armi ci saranno guerre. E poi condannare il debito estero, col fine di eliminarlo. La politica è fare il bene non minacciare. Ogni governo potrebbe convogliare le coscienze avviatesi in un cammino di pace e confluirle in un ruscello, un ruscello particolare di acqua salvifica.

E il singolo, nel suo piccolo?

L’uomo, senza distinzione tra credenti e laici, deve gridare la propria indignazione. E questo grido deve diventare organizzazione di potere. E’ alla coscienza di ognuno che mi appello. Ognuno dovrebbe far qualcosa per dire no, per dire basta, cessate il fuoco. Mostriamo il nostro sgomento. Facciamo ognuno la nostra piccola parte. A partire da me, che sono solo un povero vescovo. Con la messa cerco di portare una testimonianza di pace alle masse e con la mia adesione all’appello "Cessate il fuoco!" cerco di urlare quanto io sia indignato. La pace non ha se, non ha ma. E’ bene. E il bene non ha interessi particolari. E’ un valore assoluto. Urliamo il nostro no alla corsa alle armi, alla guerra. E un no al fatalismo. Creiamo la pace con l’indignazione.

Stella Spinelli

“Siamo solo numeri, manca la valorizzazione delle competenze”

Parla Enrico Frisone, presidente del Collegio Ipasvi

“ Che cosa chiediamo al prossimo governatore della Lombardia? Il riconoscimento degli infermieri di comunità e un servizio predisposto in Regione che garantisca l’apporto delle professioni sanitarie non mediche”. E’ molto chiaro nelle sue esternazioni il presidente del Collegio Ipasvi di Pavia, Enrico Frisone.

Molto concretamente, quali sono le difficoltà che riscontra oggi un infermiere a Pavia?

“Le stesse che si riscontrano in tutte le altre città d’Italia: non vedere un futuro oltre a un turno in ospedale o presso qualsiasi altra struttura, frutto di una dicotomia tra l’essere lavoratore dipendente che garantisce un servizio e la prospettiva di un modello professionale sempre più inserito in un contesto di assunzione di responsabilità”.

Quindi è vero che esiste poco riconoscimento sociale del valore dell’infermiere?

“Il problema è che l’infermiere viene visto come un numero, manca totalmente il discorso della valorizzazione delle competenze. Qualsiasi partecipazione a master, corso non viene riconosciuta, non dà diritto ad alcun tipo di differenziazione. L’unica formazione riconosciuta è il coordinamento.
E siccome non si vive di sola cultura, aggiungo anche che manca il passaggio del riconoscimento economico”.

Come si potrebbe ovviare a questo?

“Il prossimo governatore della nostra Regione potrebbe operare qualcosa di eclatante, un percorso che si possa distinguere dalle altre Regioni. Penso ad esempio alla questione della riconversione dei tremila posti letto per acuti in strutture di sollievo. Un progetto che potrebbe prevedere la responsabilità degli infermieri, dal momento che è anche dimostrato che la gestione infermieristica riduce costi socio-sanitari e tasso di mortalità”.

Infermiere in una grande e in una piccola struttura: cambiano le criticità?

“Nella piccola struttura la criticità è legata alla difficoltà di dedicare più tempo alla formazione. Nella grande ci sono maggiori possibilità di risorse compensative ma si tende a livellare lo sviluppo professionale dei singoli. Diciamo che pur cambiando l’ordine dei fattori il risultato finale è lo stesso”.

Dal Tribunale per i Diritti del Malato emerge la difficoltà dei pazienti a instaurare un rapporto umano con gli infermieri. Che lettura dà di questa situazione? Riflette un malumore generale della categoria?

“Innanzitutto dico che noi invece riceviamo molte segnalazioni di persone che hanno risolto i loro problemi solo grazie al rapporto instaurato con gli infermieri. Poi è chiaro che ci possono essere casi in cui stanchezza e malumori generalizzati vengono esternati nel rapporto con il paziente. Però mi piacerebbe sapere con esattezza da quale tipo di strutture provengono le lamentele. Laddove c’è grande tecnicismo può ad esempio venir meno l’aspetto relazionale. Oppure ci sono strutture, come le case di riposo, in cui si scambia facilmente il personale di supporto con quello infermieristico. Con rispetto parlando sono realtà molto differenti, con una formazione e una preparazione completamente diversi, anche nel rapporto con il paziente”.

daniela Scherrer

30 marzo 2010

Cosa sono i Nuovi Stili di vita

I nuovi stili di vita stanno diventando sempre più gli strumenti che la gente comune ha nelle proprie mani per poter cambiare la vita quotidiana e anche per poter influire sui cambiamenti strutturali che devono accadere mediante le scelte dei responsabili della realtà politica e socio-economica.

I nuovi stili di vita vogliono far emergere il potenziale che ha la gente comune di poter cambiare la vita feriale mediante azioni e scelte quotidiane che rendono possibili cambiamenti, partendo a un livello personale per passare necessariamente a quello comunitario fino a raggiungere i vertici del sistema socio-economico e politico verso mutazioni strutturali globali.

Gli obiettivi

  1. Nuovo rapporto con le cose: da una situazione di servilismo alla relazione di utilità, dal consumismo sfrenato al consumo critico, dalla dipendenza all’uso sobrio e etico.
  2. Nuovo rapporto con le persone: recuperare la ricchezza delle relazioni umane che sono fondamentali per la felicità ed il senso della vita, costruire rapporti interpersonali non violenti e di profondo rispetto della diversità, educare all’alterità non come minaccia ma come ricchezza, superare la solitudine della vita urbana con la bellezza dell’incontro e della convivialità.
  3. Nuovo rapporto con la natura: dalla violenza ambientale al rispetto del creato, dalla mercificazione della natura alla relazione con “nostra madre terra”, dall’uso indiscriminato alla responsabilità ambientale.
  4. Nuovo rapporto con la mondialità: passare dall’indifferenza sui problemi mondiali alla solidarietà e responsabilità, dalla chiusura e dal fondamentalismo all’apertura e al coinvolgimento, dall’assistenzialismo alla giustizia sociale, dalle tendenze nazionalistiche all’educazione alla mondialità.

I tre livelli e il processo di azione

I nuovi stili di vita non intendono coinvolgere solamente la sfera personale della vita, ma devono allargarsi alla dimensione comunitaria (come sottolinea il n° 155 del sinodo della diocesi di Verona Che cercate? 2002-2005: “Si richiede l’attenzione a stili di vita sobri e coerenti: questa attenzione non può essere limitata alle scelte dei singoli, ma deve coinvolgere l’intera comunità ecclesiale, le sue componenti (parrocchie, associazioni, istituti religiosi) e le sue strutture anche nella gestione degli spazi e delle risorse economiche) sia ecclesiale che sociale, e fino al cambiamento dei sistemi e delle strutture socio-economiche, politiche e culturali.

  • a livello personale e familiare mediante pratiche e comportamenti quotidiani e possibili;
  • a livello comunitario e sociale attraverso scelte e azioni collettive, coraggiose e profetiche, adottate dalle chiese e dai vari settori della società civile;
  • a livello istituzionale e sistemico mediante decisioni e delibere politiche (leggi, trattati, concordati, costituzioni…), che obbligano le varie istituzioni socio-economiche e culturali a scelte e cambiamenti strutturali

Il processo di azione avviene mediante il movimento dal basso verso l’alto e non tanto il viceversa. Questa è la dinamica efficace dei nuovi stili di vita perché quando le nuove pratiche diventano azioni della gente e tanto più scelte di massa anche i vertici e le strutture delle istituzioni politiche ed economiche vengono coinvolti al cambiamento. L’altro dinamismo è la circolarità dell’azione: non esiste tanto la gradualità dei livelli ma la circolarità, ossia l’uno arricchisce e stimola l’altro in modo circolare.

28 marzo 2010

Dal Guatemala a Pavia

“Popolo Maya vittima di genocidio, ora dobbiamo resistere allo scempio delle multinazionali”

Rosalina Tuyuc Velazquez è una donna Maya che vive a Chimaltenango, un paesino dell’altipiano guatemalteco prostrato dalla guerra. Faceva l’infermiera e nel giro di tre anni ha perso il padre e il marito, ritrovandosi a 29 anni vedova con due figli. Rosalina non si è arresa e, insieme ad altre donne vedove, ha fondato il CONAVIGUA (Coordinamento Nazionale delle Vedove del Guatemala). Negli anni questa sua leaderschip l’ha portata a ricoprire numerose cariche importanti, fino a diventare una delle sei donne elette al Parlamento e soprattutto un membro dell’equipe di Rigoberta Menchù nella lotta contro l’impunità presentando continue denunce per il genocidio commesso nei confronti dei popoli indigeni guatemaltechi. In questo periodo Rosalina si trova in Italia – proprio per presentare queste denunce nel nostro paese – e nei giorni scorsi è stata anche a Pavia, invitata dall’associazione Ains onlus, dove ha incontrato il Vescovo e le associazioni di volontariato al CSV. Al suo fianco Francisco Velasco Marroquin, anche lui in prima linea nella Resistenza del popolo indigeno, presidente del Parlamento Ixil, che rappresenta appunto il popolo: senza poteri decisionali ma quantomeno oggi riconosciuto. Anche Francisco ha avuto la sua famiglia distrutta dalla guerra, ha infatti perso dodici dei sedici componenti complessivi.
“ Quello che vogliamo dire al mondo è di non lasciarsi ingannare – sostengono i due esponenti – gli Accordi di Pace firmati il 29 dicembre 1996 sono rimasti sulla carta. Le promesse non sono state mantenute né dai governi precedenti né da quello attuale. Noi chiediamo giustizia e il risarcimento dei danni materiali e morali conseguenti a vent’anni di conflitto “.
Vent’anni di orribili crudeltà e torture perpetrate soprattutto a donne e bambini. “ i giovani vogliono un futuro di pace, ma chiedono anche giustizia – spiega Rosalina – i miei figli vogliono sapere perché papà un giorno è sparito e mai più tornato, di che cosa fu ritenuto colpevole e perché nessuno ha mai processato gli autori dei delitti “.
Ed ora Rosalina e Francisco devono continuare nella loro resistenza contro qualcosa di estremamente insidioso e ambiguo: lo sfruttamento del territorio da parte delle multinazionali di tutto il mondo: “Abbiamo la sopravvivenza da garantire ai nostri figli – sottolineano – sia ambientale che lavorativa. Non abbiamo ceduto prima e non cederemo certo adesso “.

Daniela Scherrer - IL TICINO, 27 marzo 2010

Perché non creare uno spazio tutto per loro?

La voglia di una città a misura di bambino: BAMBInFestival!Diritti in Città

Il problema è di tutte le famiglie con bambini. Dove portarli nei pomeriggi dopo asilo o scuola, nei week-end uggiosi invernali? Alla fine la scelta cade quasi sempre sui centri commerciali o sui McDonald’s, uniche soluzioni che quantomeno offrono una valvola di sfogo ai bisogni dei bambini di non restare chiusi tutto il tempo in casa. Pavia, come tante altre città italiane, offre pochissimo in questo settore e le iniziative proposte dalle associazioni sono interessanti ma rare e disseminate sul territorio senza particolare coordinazione. Ecco allora che un gruppo di mamme con lo stesso problema ha deciso di unire forze e buona volontà cercando di smuovere il terreno in questo ambito. In prima fila Maria Piccio, presidente dell’associazione “A Ruota Libera” e Alice Moggi del Centro Servizi Volontariato, che in breve hanno attratto a sé altre realtà: La Piracanta, Ains onlus, La Città Incantata, Per fare un Albero. E da qui è nato un coinvolgimento di grosse proporzioni, forse addirittura superiore alle aspettative, che nel breve volgere di pochi mesi ha portato a “Bambinfestival”, iniziativa di punta che tra il 27 e il 30 maggio vedrà le strade di Pavia aprirsi interamente ai bambini con iniziative davvero di tutti i tipi. Un programma ricchissimo, che va dall’antico mercatino delle pulci fino all’osservazione della volta celeste con i telescopi con l’unico intento di mettere il bambino al centro. “Una città che davvero sarà a misura di bambino – spiegano Alice Moggi e Maria Piccio – il Festival vuole essere l’evento clou che riempiendo Pavia di bambini renda più visibile a tutti il problema dell’accoglienza a loro. Anche perché alla fine una città a misura di bambino è anche a misura di adulto e di famiglia e questo crediamo sia un vantaggio per tutti”. Il Festival, insomma, vuole essere un punto di partenza, l’inizio di un cammino che porti all’attuazione di quella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia ratificata dallo Stato Italiano il 27 maggio 1991. In buona sostanza la Convenzione parla del “diritto dei bambini ad avere dei diritti”, tra cui la possibilità di avere strumenti per sviluppare personalità, talenti e abilità. Anche perché sono cittadini a tutti gli effetti. “Siamo rimasti colpiti dalla sensibilità dimostrata nei nostri confronti dalle istituzioni, si provincia che Comune, che si sono dimostrate molto attente di fronte a questi problemi. E così anche ringraziamo associazioni ed enti che immediatamente hanno voluto appoggiarci nella realizzazione del Festival aderendo con le loro proposte: sono circa quaranta, davvero un bel numero. E ci piace sottolineare che sono iniziative quasi sempre autofinanziati , il che fa capire che non è tanto una questione di soldi che mancano quanto di spazi disponibili e di coordinamento”.
Il festival tra l’altro ha ottenuto anche il patrocinio del Touring Club Junior.
Ora gli obiettivi sono essenzialmente due: a medio termine quello di programmare nell’arco dell’anno una serie di eventi spot che tengano desta l’attenzione sul Festival e sul discorso della centralità dei bambini, mentre a lungo termine la volontà è quella di arrivare alla creazione di uno spazio permanente a disposizione dei piccoli ma anche degli adolescenti. Avere un’area tutta propria consentirebbe anche alle associazioni di poter programmare una serie di iniziative e, magari, alle stesse mamme di scendere in campo mettendo le proprie rispettive abilità e passioni al servizio dei bambini.

Daniela Scherme, IL TICINO- 20 marzo 2010

Alla politica il volontariato può offrire la conoscenza dei bisogni

Volontariato e politica: due che teoricamente dovrebbero avere molti punti di contatto, dal momento che entrambi hanno lo spirito di servizio come fondamento dell’agire, ma che invece spesso sembrano quasi antitetici. Alla vigilia delle elezioni regionali abbiamo chiesto a Pinuccia balzamo, presidente del Centro Servizi Volontariato di Pavia, di tracciare un profilo della situazione. Il CSV, con le sue novecento realtà associazionistiche provinciali in banca dati e le 260 regolarmente iscritte, costituisce un indubbio ente di supporto e un osservatorio privilegiato sul mondo del volontariato, sia cattolico che laico. Due volti che il presidente ha particolarmente a cuore nella loro convergenza e interazione. Inoltre Pinuccia balzamo, in forza della sua passata esperienza politica che l’ha portata a ricoprire numerosi ruoli nella vita istituzionale cittadina, offre anche una visione a trecentosessanta gradi.

Volontariato e politica: due mondi che possono parlarsi e, soprattutto, capirsi?
“ Due mondi che possono, e devono, sia parlarsi che capirsi.il volontariato ha l’esigenza di capire di più le logiche di governo e la politica ha bisogno di essere contaminata dalla sensibilità del volontariato. Camminare in parallelo, senza incontrarsi, è solo controproducente, significa per entrambi gli ambiti danneggiare chi ha bisogno”.
Che cosa chiede il mondo del volontariato al mondo politico?
“ Una maggiore attenzione nella allocazione delle risorse in virtù di una rilettura dettagliata dei bisogni di oggi. Oggi il confine della povertà è molto più labile, basta una separazione, una malattia, un licenziamento a causare lo scivolamento verso quella povertà invisibile, che si affaccia con difficoltà al mondo della pubblica amministrazione. E questo clima di continua incertezza porta ad una società rancorosa, dove la conflittualità è a volte aperta ma spesso anceh silente”.
E che cosa invece ritiene sia in grado di offrire il mondo del volontariato a quello politico?
“ Proprio quella conoscenza dettagliata della mappa dei nuovi bisogni. Si calcola che in Lombardia operino duecentomila volontari, un vero e proprio “ esercito “ che conosce, aiuta, costruisce relazioni”.
In campagna elettorale tutti si ricordano dei disagiati, di chi è in difficoltà. Perché ad elezione avvenuta molti però si dimenticano delle promesse fatte?
“ In forza della mia esperienza in politica posso dire che c’è effettivamente chi fa promesse con leggerezza. Però esiste anche quella quota di politici che davvero promettono con buone intenzioni e poi si scontrano con una realtà molto differente, in cui poi bisogna mediare tra tante richieste, tante esigenze. Diciamo che comprendere bene la mediazione del limite è la dote del buon amministratore”.
Una critica che si sente di muovere al mondo politico nella sua gestione dei rapporti con il volontariato…
“ credo che nessuno abbia saputo ancora sciogliere i nodi del cosiddetto nuovo welfare e che la concezione politica sia quella di vedere solo il volontariato del fare, molto meno quello della salvaguardia dei diritti”.

Daniela Scherrer, IL TICINO-20 marzo 2010

COME DIVENTARE CONSUMATTORI

Alla ricerca di un “buon” consumo e di prezzi “giusti”.

Consumare in modo diverso per ragioni di salute e anche di portafoglio. Questa l’esperienza dei GAS (gruppi di acquisto solidale).
Abbiamo intervistato Roberta Gado Wiener, presidente del GAS per la Provincia di Pavia.

GAS: una sigla criptica che sta a significare cosa?
Più che criptica, ambigua: no, non ha niente a che fare con il metano!
GAS è l’acronimo di Gruppo di Acquisto Solidale.
Nel mondo cosiddetto “gasista” esistono anche altri acronimi interessanti, come DES, distretto di economia solidale, e RES, Rete di economia solidale.
Come nasce l’idea del GAS?
Nasce dall’esigenza dei consumatori di diventare consumaAttori ( come ha detto qualcuno…), ossia persone consapevoli di quanto la scelta di acquisto sia una scelta politica in senso lato e di quanto, esercitandola criticamente, si possa cambiare o provare a cambiare la società dei consumi dall’interno. Per esempio: acquistare solo prodotti locali di stagione è una scelta responsabile e sostenibile perché evita la forzatura in serra di ortaggi e frutta fuori stagione, con i conseguenti consumi di riscaldamento e l’impiego massiccio di prodotti chimici, nonché il trasporto di derrate da una parte all’altra del globo ( pensiamo alle pere argentine! ). Servirsi dai fornitori di prodotti biologici locali, oltre a ridurre i trasporti e spesso gli imballi necessari a sostenerli, rafforza l’economia “virtuosa” radicandola nel proprio territorio e consente spesso di portare avanti progetti con un valore aggiunto anche sociale ( ad es. attraverso il sostegno a cooperative sociali ) e formativo della cittadinanza ( ad es. con interventi informativi e progetti nelle scuole ).
Come siete organizzati? Come acquistate i prodotti? Da dove provengono?
Il funzionamento del GAS si basa sul contributo volontario di tutti i suoi soci: ciascuno ha un compito, che può essere la raccolta degli ordini periodici a un determinato fornitore, la distribuzione dei prodotti, l’organizzazione di eventi formativi e così via. Il principio di acquisto è semplice: ci riforniamo, se possibile, direttamente dai produttori presenti sul territorio “saltando” le intermediazioni. Venendo meno i passaggi, possiamo assicurare al fornitore “il giuso prezzo”, concordare con lui produzioni su misura (ad es. di varietà rare o antiche) e conciliare il bilancio familiare con il consumo di prodotti biologici di qualità. Gli ortaggi provengono da aziende agricole certificate bio della provincia di Pavia, i formaggi dal Biocaseificio Tomasoni, il pollame da Lodi e così via.
Acquistate solo generi alimentari?
No,il nostro paniere contiene anche prodotti per l’igiene della casa e della persona, scarpe, pentole…persino abbonamenti a riviste come “AltraEconomia” e “Valori”.
Ma…funziona?
Funziona se tutti ci mettono del proprio e se il GAS mantiene dimensioni relativamente contenute. Al di sopra di una certa soglia, infatti, l’organizzazione diventa molto onerosa, anche se agevolata dagli strumenti informatici, e i rapporti umani tra i soci ne patiscono. Per questo, anziché crescere a dismisura, poiché le richieste di adesione sono molte abbiamo deciso di favorire la nascita di altri GAS sia a Pavia sia nei dintorni.
Qual è attualmente la situazione nel pavese?
A Pavia al momento i GAS sono due: GASPavia, il più grande (ca. 120 nuclei familiari), che, costituito in associazione di promozione sociale, propone anche progetti per le scuole (“Scuole sostenibili”) e sta provando a dotarsi di un proprio orto coltivato dalla cooperativa sociale Arkè; i Gastronauti, un gruppo informale nato recentemente dal progetto “Incubatore” del primo GAS e che ora va avanti per la sua strada. Poi ci sono GAS a Torre d’Isola, Borgarello, Sommo, San Martino, Voghera, vigevano, Gropello, Zinasco…
La distribuzione dei GAS nel Pavese è ormai ben ramificata, ma non ci siamo ancora messi efficacemente “in rete” perché molti GAS citati sono gruppi nascenti ancora alle prese con la propria organizzazione. La creazione del cosiddetto “Intergas” del Pavese è una delle sfide più stimolanti che ci aspettano!

Elia Belli, IL TICINO- sabato,13 marzo 2010

5XMille

5xMille

Anche quest'anno è possibile destinare il 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche a sostegno di associazioni di volontariato riconosciute.Per destinarlo all’associazione AINS:

CF: 01885520187

26 marzo 2010

Relazioni al centro

Azioni improntate sulla sobrietà

Intervista a don Adriano Sella, responsabile della commissione diocesana nuovi stili di vita. Il tempo di Quaresima, partendo dalla riflessione su noi stessi e sulla nostra relazione con il Padre creatore, ci invita a ripensare al nostro modo di rapportarci con le cose, con gli altri, con l'ambiente. In altre parole a riposizionarci nel mondo con un diverso stile di vita.

Ma cosa si intende esattamente con tale definizione?

«I nuovi stili di vita stanno diventando sempre più gli strumenti che la gente comune ha nelle mani per cambiare la vita quotidiana e anche per poter influire sui cambiamenti strutturali che devono accadere mediante le scelte dei responsabili della realtà politica e socio-economica - si legge nella presentazione di questi percorsi di scelte alternative, stilata dalla commissione nuovi stili di vita della diocesi di Padova - I nuovi stili di vita vogliono far emergere il potenziale che ha la gente comune di poter cambiare la vita feriale mediante azioni e scelte quotidiane che rendono possibili cambiamenti, partendo da un livello personale per passare necessariamente a quello comunitario fino a raggiungere i vertici del sistema socio-economico e politico verso mutazioni strutturali globali».
In pratica si tratta di azioni quotidiane, possibili a tutti, che generano un nuovo modo di impostare la vita giornaliera, strumenti popolari per poter cambiare la realtà e azioni che possono influire sui cambiamenti strutturali a livello locale e mondiale, partendo sempre dal basso.
La Caritas diocesana da tempo propone iniziative che si rivolgono in tal senso, come la raccolta di abiti smessi attraverso i raccoglitori gialli, la raccolta dei cibi in sovrappiù dalle mense scolastiche per ridistribuirli a persone in difficoltà economica, o partecipando a campagne comuni come la raccolta di occhiali smessi e di cellulari non più in uso. Forte della sua funzione pedagogica, sollecita i singoli e le comunità ad adottare uno stile più sobrio nei consumi, più attento nelle relazioni.

Il momento di crisi economica che come cittadini stiamo attraversando può indirizzare, anche chi non vi è necessariamente costretto, a scelte consumistiche differenti?

«La crisi può diventare un'opportunità che costringe a ripensare alla propria vita - spiega don Adriano Sella, responsabile della commissione diocesana nuovi stili di vita - La sobrietà può venirci in aiuto per capire cosa è veramente importante, per liberarci dall'inutile e dal superfluo. Esattamente il contrario di quanto opera la società dei consumi, che ci induce ai bisogni indotti, che sono in più, un accumulo di cose che porta all'iperconsumismo. Questo momento storico, dunque, può divenire un'opportunità di cambiamento. Ci sono persone che sono state costrette dalla necessità a cambiare, poiché si trovano improvvisamente impoveriti, e c'è una fascia di popolazione che ha già compiuto delle scelte a riguardo, ne è convinta, le porta avanti per una ricerca di migliore qualità della vita. La speranza è che anche la prima tipologia di persone in un secondo momento passi dalla necessità alla convinzione».

Un decennio fa si è visto l'incremento di azioni in tal senso proposte dalla società civile organizzata, sfociate in molte campagne, iniziative, prese di posizioni corali. Secondo lei tale attenzioni hanno perso di intensità o nota il perdurare di interesse e sensibilità?

«E' da qualche decennio che la società civile organizzata ha cominciato a portare all'attenzione generale temi come i consumi critici, il commercio equo e solidale, la finanza etica. Dal 2000 in poi c'è stato un crescendo di gruppi e associazioni che hanno aderito a tali percorsi, anche la chiesa si è mostrata interessata con gruppi e movimenti ecclesiali. Credo che il numero sia in aumento, basti pensare al campo dell'ambiente, alla giornata per la salvaguardia del creato che in alcune diocesi è diventata anche un mese di iniziative, molte hanno cominciato a lavorarci con pastorali specifiche».

Quali le azioni che si possono intraprendere nei diversi ambiti?

«Sono tante: dal consumo critico ai gruppi di acquisto solidale che salvano i piccoli produttori, dal riciclo e riutilizzo delle cose alla cura dell'ambiente con la riduzione dei rifiuti e l'attenzione alla raccolta differenziata, all'accompagnamento e all'integrazione dei nostri immigrati per creare rapporti di accoglienza e di solidarietà. Il che non significa buonismo, ma responsabilità, cultura della legalità».

Nei confronti degli immigrati catapultati in un mondo più benestante di quello di origine, quali atteggiamenti assumere?

«E' comprensibile che per chi arriva da una situazione di grande povertà nella nostra società ci sia la forte tentazione di consumare tanto e sprecare. Nostro compito è avviare percorsi educativi, perché non cada dalla parte dell'iperconsumo, far capire che noi, che siamo già da quella parte, vogliamo tornare indietro. E' importante allora l'educazione, non dare troppo, magari chiedere un contributo minimo per i vestiti che regaliamo. A volte le cose ottenute gratuitamente non vengono apprezzate nella giusta misura. Ma soprattutto è indispensabile un'azione di accompagnamento delle persone, di conoscenza, di relazione vera».

Ci suggerisce un impegno per la Quaresima?

«Recuperare le relazioni umane. Nelle nostre città c'è povertà relazionale: ci riempiamo di cose perché vorremmo che queste compensassero i nostri vuoti. Rapportarsi con gli altri è una grande ricchezza, ci fa bene, ci aiuta a scoprire meglio il valore dell'altro, a superare la paura di chi è diverso. Se riconosciamo che l'altro non è una minaccia, ma un fratello, una sorella, il volto di Cristo, è più facile distruggere le barriere create, gli ostacoli, i preconcetti, le discriminazioni. E' un appello forte che rivolgo ai cristiani: dobbiamo mostrare la differenza. Se non siamo testimoni noi, che differenza c'è tra noi e i pagani?».

Cinzia Agostini (Caritas Padova)

23 marzo 2010

30° anniversario dell’uccisione di Mons Romero

L’ Ass.ne Marianella Garcia Villas di Sommariva Bosco lo ricorda 24 marzo 1980: un altare nella cappella di quell’ospedaleche Romero ha scelto per casa…E da quella casa partì la notizia tremendadell’uccisione dell’angelo, della morte di un prete, che a braccia aperte,nel gesto dell’offertorio offre e si offre come vittima come indifeso bersaglio…L’uomo che i poveri voleva far prevalereucciso dai plagiati del potereDittatori, ricchi proprietari terrieri, oppressoridi campesinos e poveri diavoli sfruttatori.Alla sua nomina lo credevano asservito ai militariconservatore lontano da lotte e rivendicazioni popolariE invece la gente oppressa risvegliata dal torporein lui trovò un amico, un sostegno ed un pastoreChe disse chiaro ai ricchi ed ai potentiche lui, vescovo, era dalla parte dei perdenti.Oscar Romero era un vescovo diverso da tantiche condivise con i suoi preti rischi, missione e piantiche disse che un vescovo si può anche ammazzarema risorgerà nel suo popolo che continua a lottare.Perché il popolo è stanco di violenze e di torturedi povertà, sfruttamento, repressione e paurePer questo l’hanno ucciso sparandogli a tradimentoper disperdere le sue parole di giustizia in un turbine di vento.Parole come semi penetrate nel cuore della sua genteson germogliate e fiorite scuotendone vita e menteNo, il suo messaggio non si può far taceree va oltre la morte senza nulla temereVola libero per le piazze, le contrade e oltre i montiOltre i confini, oltre l’oceano per costruire pontitra chi è oppresso e in lotta per conquistare libertàe chi questa battaglia da lontano appoggerà.E se una voce credevan di fermare in quella sera scuraOra son migliaia le voci che gridan senza pauraOra son migliaia le voci che gridan senza paura.

Testo del canto “ 24 marzo 1980” tratto da “Per amore, soltanto per amore- Vita di Marianella Garcia Villas”Musicol- testo: Milly Emanuel

In un canto la storia di un uomo coraggioso, di un prete buono, di un vescovo che sì, avrebbe dovuto esser fatto “santo subito”…e della lotta per il suo popolo oppresso.Arnulfo Oscar Romero nasce a Ciutad Barrios il 15 agosto 1917. Entra giovanissimo in seminario, a termina gli studi a Roma, dove è ordinato prete nel 1942. Tornato in patria viene prima nominato parroco; dal 1970 al 1974 è vescovo ausiliare di san Salvador, poi vescovo nella piccola e povera diocesi di Santiago de Maria. Nel febbraio del 1977 Romero fa l’ingresso come nuovo arcivescovo di San Salvador. Grande è la sorpresa di tutti e non meno grande la soddisfazione dell’oligarchia; infatti collocato con la frode alla presidenza della repubblica il proprio candidato, Carlos Humberto Romero, che garantisce l’irrobustirsi della dittatura militare, ora con la nomina di questo vescovo, si sente sicura della compiacenza della chiesa. Questo prelato ha la fama di essere un uomo “ moderato, conservatore, molto spirituale, riservato, introverso; un vescovo abitato da Dio ma non dal popolo, assiduo alla preghiera, ma non alla storia. Un vescovo di classica formazione romana, quella formazione da cui la personalità viene in parte costruita, in parte distrutta; anche se ciò che a Roma si distrugge talvolta, altrove, irruentemente rinasce.”*Nel Salvador infierisce la repressione sociale e politica e, pochi giorni dopo l’ elezione del nuovo arcivescovo, viene ucciso un suo prete. Più tardi, parlando alla sua gente, “monsignore” avrà da dire a proposito della propria conversione: “ E’ stato il sangue di padre Rutilio Grande. Altre forze mi avevano separato da voi. Ma adesso siamo di nuovo insieme.” E insieme ai suoi preti che continuano ad essere uccisi, al suo popolo oppresso, in difesa dei poveri e perseguitati Romero cammina, diventando voce dei campesinos che lottano per le loro rivendicazioni, dei desaparesidos e dei morti torturati, massacrati, decapitati, delle donne incarcerate, violentate, stuprate prima di essere uccise.Nel libro citato* si racconta come Marianella Garcia Villas, avvocatessa collaboratrice di Romero e presidente della Commissione dei diritti umani, il giorno dopo esser stata arrestata e violentata, andò in arcivescovado a cercare mons. Romero. “…non aveva chiuso occhio, ma nemmeno aveva dato sfogo alle lacrime. Era come irrigidita, sigillata in se stessa; e aveva deciso di vendicarsi…monsignor Romero ascoltò in silenzio tutta la storia e, al sentir parlare di vendetta misurò la portata del trauma subito dalla ragazza e l’effetto devastante della violenza esercitata dagli oppressori. Allora l’arcivescovo si mise a piangere, a piangere e a piangere come un nino racconta Marianella,…e se piangeva di dolore su questa storia voleva dire che piangeva sulla città tutta intera, piangeva su Gerusalemme. E invece Marianella non piangeva….l’arcivescovo le diceva di farlo, di sfogarsi…ma lei non voleva, non poteva; era come una fonte inaridita. Allora monsignor Romero l’abbracciò, e la rimproverò per questo indurirsi del cuore, e le disse che …purtroppo non era capitato solo a lei, chissà quante donne subivano ogni giorno la stessa violenza e quante altre, di cui non si sarebbe saputo mai, sarebbero state vittime di violenze anche maggiori. Anche questo dolore era il prezzo di questa lotta e bisognava accettarlo, superarlo…. e perdonare…Piangendo e ammonendo la consolava e l’addolciva finchè lei decise che non si sarebbe vendicata, che non per questa strada avrebbe trovato l’uscita, ma semmai attraverso una ancor maggiore determinazione nella lotta…”Con decisione e coraggio, questo uomo mite e buono che aveva orrore della violenza, nelle sue omelie domenicali trasmesse anche alla radio della diocesi, denuncia i responsabili delle aggressioni al popolo e delle stragi che continuano ad insanguinare il Salvador, rivolge appelli ai soldati perché obbediscano agli ordini della propria coscienza e non a quelli dell’autorità militare, scongiura e ordina al governo “in nome di Dio di cessare la repressione contro il popolo”Perseguitare questa povera gente significa per Romero perseguitare il popolo di Dio, corpo storico di Gesù, la Chiesa. Ma da gran parte della Chiesa gerarchica egli non è compreso e non è appoggiato…anzi i settori più chiusi e ottusi lo attaccano violentemente. Ribadisce:” Il conflitto non è tra il governo e la chiesa, ma tra il governo e il popolo e la chiesa difende il popolo”Monsignore ( come viene comunemente chiamato dalla gente) sa che sta firmando la propria condanna, riceve sempre più spesso minacce di morte. In un’ intervista rilasciata il 24 febbraio1980, un mese giusto prima della sua uccisione, afferma: “Devo dire che, come cristiano,non credo nella morte senza resurrezione ; se mi uccideranno, io resusciterò nel popolo salvadoregno. Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare. Ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia segno di libertà, e segno che la speranza sarà presto una realtà. La mia morte, se è accetta a Dio, sia per la liberazione del mio popolo. Assassini non perdete il vostro tempo. Un vescovo morirà, ma la chiesa di Dio, che è il popolo non morirà mai!”24 marzo 1980: uno sparo uccide Romero mentre celebra la messa vespertina. Nell’omelia aveva detto : “ se il chicco di grano non muore…che questo corpo immolato e questa cane sacrificata per gli uomini stimolino anche noi a dare il nostro corpo e il nostro sangue alle sofferenze e al dolore, come Cristo, non per noi, ma per dare giustizia e pace al nostro popolo…”La tremenda notizia è portata alla sede della commissione dei diritti umani da un muratore che, con toni apocalittici, grida che l’Angelo è caduto sconfitto e ucciso dal diavolo, rimasto padrone del paese…” e Romero era stato davvero l’Angelo amico del popolo e soprattutto dei poveri, aveva dato l’annunzio incredibile che finalmente sarebbero stati liberi, che sarebbe stata generata la giustizia e la fraternità, e che l’ingiustizia, la tortura e la morte non sarebbero stati l’ultima parola per loro; era stato l’angelo consolatore, il “paraclito” che aveva posato la mano sulla fronte dei morenti, vegliato gli uccisi, rincuorato gli orfani e le vedove; era stato l’angelo che, come sentinella, aveva vigilato nella notte per avvisare del nemico, del male incombente, era stato l’angelo vindice di giustizia, voce dei perseguitati, degli oppressi, degli sgominati.ed era stato l’angelo della sua chiesa… del Salvador”*La Commissione dei diritti umani ha registrato in Salvador, tra il 15 ottobre ‘79 e il dicembre ‘82 43.337 assassinati, 3200 scomparsi, 700 prigionieri politici detenuti arbitrariamente.Il 13 Marzo 1983 viene uccisa anche Marianella : ha 34 anni. Stava raccogliendo prove sull’uso di armi chimiche, in particolare fosforo bianco, da parte dell’esercito governativo, contro la popolazione civile nel corso delle operazioni di “terra bruciata” condotte contro i villaggi nel quadro della lotta antiguerriglia.

Milly Emanuel


* I brani tra virgolette sono tratti dal librodi R. La Valle e Linda Bimbi “ Marianella e i suoi fratelli”

20 marzo 2010

Martiri della giustizia e della carità

di Gerolamo Fazzini

Dalla morte di Romero a oggi,l'’America Latina vive una stagione di testimoni della fede uccisi per il servizio ai poveri e la difesa dei diritti nel nome del Vangelo

All'indomani dell'uccisione dei sei gesuiti dell'Università Cattolica di San Salvador, Jon Sobrino, confratello delle vittime - scampato all'attentato perché in Asia - si sentì chiedere: «Ma nel suo Paese i cattolici uccidono i preti?».Il martirio conosce forme diverse, tante quante la testimonianza della fede nel concreto delle situazioni. Se di «cristiano-fobia» si parla a proposito dell'odio che spesso sperimentano i seguaci di Gesù in alcuni Paesi islamici oppure nell'India del fondamentalismo indù, non dev'essere dimenticata la fedeltà al Vangelo, resa da tante persone e a prezzo del sangue, in quell'Ame¬rica Latina che le statistiche additano come il continenti più cattolico del globo. Un continente dove i sicari colombiani, rosario al collo, andavano a pregare la Vergine per assicurarsi la sua protezione prima di un sequestro e dove risultano battezzati molti dei soldati o dei guerriglieri che hanno insanguinato le città. Trent'anni dopo la sua uccisione, il suolo latinoamericano continua a essere irrigato dal sangue di martiri, nel solco di Romero (nella foto), abbattuto dalla violenza e divenuto simbolo dell'opposizione evangelica alla logica della sopraffazione. La storia di questi ultimi tre decenni vede, nelle file dei testimoni della fede, alcune luminose figure di pastori: il cardinale messicano Posadas Ocampo, i vescovi Gerardi Conedera del Guatemala, Jaramillo Monsalve e Cancino Duarte della Colombia. Ma contempla anche uno stuolo di preti e di religiose: qui ricordiamo solo due suore francesi, Alice Doumon e Léonie Duquet, che, nell'Argentina dei desaparecidos, avevano solidarizzato con un gruppo di madri di scomparsi e per questo vennero eliminate nel 1977.Dittature militari e governi oppressivi hanno insanguinato Paesi come l'Argentina (1973-1982), il Brasile (1964-1985), il Paraguay (1954-1989), il Cile (1973-1989). In Paesi come Colombia e Guatemala, dilaniati da una «guerra civile» pluridecennale, si può persino parlare di martirio di popolo. Tant'è che i vescovi del Guatemala nel 1996 a Giovanni Paolo II, in vista del Giubileo del 2000, presentarono una lista di 77 nomi di fedeli, in larga parte laici.
SE QUELLA stagione politica può dirsi conclusa, non è però finito il tempo in cui, nel continente latinoamericano, testimoniare la fedeltà al Vangelo può costare la vita. Un dato colpisce. Nel corso del 2009 sono stati uccisi nel mondo 37 operatori pastorali, 30 dei quali sacerdoti. Ebbene, il continente più toccato dal sangue è proprio l'America Latina. La stragrande maggioranza delle uccisioni è avvenuta nel corso di tentativi di rapina o di furto. Non una violenza connotata religiosamente, dunque, bensì l'esito di una criminalità che cresce in un contesto di miseria, d'ingiustizia irrisolta e degrado sociale e si alimenta di rabbia e voglia di vendetta. In una situazione del genere, «dire il Vangelo con la vita» espone a rischi pesanti, a cominciare da quello di finire uccisi per un cellulare o per un pugno di dollari. Don Paulo Henrique Machado, 36 anni, brasiliano, è stato ucciso il 25 luglio 2005 da un commando armato. Il corpo è stato ritrovato a bordo della sua auto alla periferia di Rio de Janeiro, senza orologio, cellulare e portafoglio. Il movente del delitto sarebbe da ricercare nell'attività del sacerdote nel campo dei diritti umani, mal tollerata dalle bande criminali locali. Don Paulo aveva più volte denunciato i soprusi dei narcotrafficanti.Nel Guatemala che ufficialmente ha firmato la pace nel 1996 (ma dove la tensione sociale è tutt'altro che risolta) ha trovato una morte violenta don José Maria Ruiz Furlan, prete locale di 69 anni, assassinato il 14 dicembre 2003 a colpi di arma da fuoco, a Città del Guatemala, in una zona povera e popolare. Molto noto per l'impegno a favore delle classi più disagiate, nei mesi precedenti la morte aveva duramente criticato il governo di destra per le ripetute violazioni dei diritti umani nel Paese.«Martire della giustizia» potremmo chiamare anche Johnny Mo¬rales, 34 anni, cooperatore Sale¬siano del Guatemala: è stato ucciso l'8 dicembre 2006 in un'imboscata. Lavorava nella segreteria dell'amministrazione tributaria e solo due giorni prima era stato destinato alla frontiera di Tecún Umám (Messico), caratterizzata un elevato livello di narcotraffico e contrabbando. «La causa del crimine - annota l'agenzia Fides - sembra vada ricercata proprio nella sua integrità, in quanto avrebbe rifiutato di compiere atti illeciti».Jorge Humberto Echeverri Garro, 40 anni, professore ed operatore pastorale, l'11 giugno 2009 si trovava a Colonos, remota località della Colombia, per partecipare ad una riunione della Pastorale sociale. Un gruppo di guerriglieri ha raggiunto il luogo della riunione e ha colpito a morte il professore, il quale era anche catechista e membro di una rete di docenti supportata dalla Pastorale sociale «per la pace e la convivenza».Per indiani e neri era una donna «da sempre appassionata della ricerca della giustizia e della pace». Suor Marguerite Bartz, 64 anni, delle Suore del Santissimo Sacramento è stata uccisa nel suo convento nella zona dei Navajo, nel Nuovo Messico, il primo novembre 2009.
UNA CATEGORIA peculiare dei «nuovi martiri», a cavallo fra la fine del secondo e l'inizio del terzo millennio, è rappresentata da persone che si fanno carico della marginalità giovanile, scegliendo la strada come terreno pastorale e, in alcuni casi, pagando con la vita la dedizione ai «loro» ragazzi.Lo spagnolo don Ramiro Ludeña, 64 anni, originario di Toledo, è uno di loro. Lavorava da 34 anni in un'associazione per bambini di strada, il Movimento di appoggio ai meninos de rua (Mamer), con base a Recife, nel Nordest del Brasile. Lì è stato ucciso, il 20 marzo 2009, da un colpo di fucile. Un ragazzo di 15 anni ha confessato il crimine: voleva rapinare il sacerdote e ha sparato pensando che stesse cercando un'arma per difendersi. «Ho conosciuto don Ramiro all'inizio degli anni Ottanta, quando dirigeva la scuola di formazione professionale dei salesiani di Recife - racconta Luis Tenderini, responsabile di Emmaus Americhe -. Mi ha colpito, fin dai primi contatti, la sua capacità di rapportarsi con i ragazzi e giovani della scuola. L'ho incontrato nuovamente alcuni anni dopo: stava iniziando un'esperienza-pilota con i ragazzi in una fattoria dei salesiani, insegnando a lavorare la terra e allevare piccoli animali». Un esperimento andato a buon fine tanto che, come ricorda Tenderini, don Ramiro e i suoi avevano vinto un premio come migliori allevatori di una razza di capre dello Stato del Pernambu¬co. Continua Luis: «A un certo punto, la sua esperienza con ragazzi e adolescenti l'ha portato a una scelta più radicale: dedicarsi integralmente ai meninos e meninas de rua, per impedire che cadessero nelle mani del narco-traffico. La sua morte tragica è avvenuta proprio per mano di uno di questi adolescenti, a cui ha dedicato tutte le sue energie, tutta la sua vita».

NELL'INTRAPRENDERE tale scelta don Ludeña aveva incontrato alcuni contrasti con i superiori. Riprende Tenderini: «Ricordo una sua visita alla Comunità Emmaus, una decina di anni fa, quando abbiamo potuto scambiare le reciproche esperienze che stavamo vivendo. Le numerose testimonianze di persone e gruppi alla sua morte confermano la grande figura di uomo e di prete che è stato padre Ramiro».Il caso di don Ludeña è in qualche modo emblematico, ma non certo l'unico. Tra le vittime più recenti della violenza giovanile figura padre Gisley Azevedo Gomes, ucciso il 15 giugno 2009 all'età di soli 31 anni. Padre Azevedo Gomes era, da appena due anni, consulente della sezione giovani della Conferenza episcopale brasiliana. Il cadavere del sacerdote è stato trovato il 16 giugno, in prossimità di Brazlândia, città satellite della capitale. Autori del crimine sono alcuni giovani che, saliti sulla sua vettura, lo hanno prima derubato e poi ucciso. Ironia della sorte, il giovane sacerdote era tra gli organizzatori della Campagna nazionale sul tema «Gioventù in marcia contro la violenza». «In maniera deplorevole - hanno dichiarato i vescovi - è stato vittima di quella violenza che desiderava combattere». Per mano di giovani è caduto un altro sacerdote brasiliano, anch'egli poco più che trentenne: don Evaldo Martiol, della diocesi di Cacador (Brasile), è stato assassinato a Santa Caterina la sera del 26 settembre 2009 da due giovani, di 21 e 15 anni, rispettivamente zio e nipote. Il sacerdote è rimasto vittima di un furto finito in omicidio. Don Evaldo ha dato un passaggio sulla sua automobile ai due giovani che lo hanno ucciso. Il giorno seguente la polizia ha identificato i criminali, che avevano ancora con sé la macchina, il cellulare e i documenti del sacerdote. Tra i testimoni della fede e della carità dediti alla causa dei giovani (e che hanno trovato la morte esercitando tale servizio) possiamo annoverare don Jesus Adrian Sanchez, prete colombiano di 32 anni, della diocesi di Espinal. È stato ucciso il 18 agosto 2005 mentre stava tenendo una lezione di religione in una scuola rurale: un uomo armato ha fatto irruzione nell'aula, costringendo il sacerdote a uscire, quindi gli ha sparato, uccidendolo. Recita la notizia diffusa da Fides alla sua morte: «Il sacerdote era attivamente impegnato soprattutto nella cura pastorale dei giovani, che cercava in ogni modo di persuadere a non lasciare gli studi per unirsi alle fila dei guerriglieri e dei violenti». Sono davvero tanti coloro che hanno dato la vita sui fronti caldi della lotta all'emarginazione, alla tossicodipendenza e per il riscatto dei giovani. Un elenco lungo che certo comprende don Bruno Baldacci, fidei donum della diocesi di La Spezia, 63 anni, ucciso il 30 marzo 2006 nella sua stanza, a Vitória da Conquista (Stato di Bahia). Baldacci, che aveva trascorso 42 anni in Brasile, negli ultimi tempi si era dedicato in particolare a strappare i giovani dalla tossicodipendenza.Occuparsi di giovani può significare entrare in collisione con le bande giovanili che in molti Paesi del Centroamerica imperversano seminando violenza. Nel caso dell'assassino di don Ricardo An¬tonio Romero, 53 anni, salvadoregno della diocesi di Conso¬nate, la polizia sospetta che a firmarlo sia stata una delle maras della zona. L'hanno trovato, all'alba del 25 settembre 2006, col corpo fracassato da colpi di pietra e bastone.

UN FILO ROSSO lega fra loro queste morti avvenute in contesti così disparati: la dedizione ai poveri in nome del Vangelo. Un prete francese, Andé Jarlan, ucciso casualmente durante una sparatoria a Santiago del Cile nel 1984, ha lasciato scritto: «Coloro che fanno vivere sono quelli che offrono la vita, non quelli che la tolgono agli altri. Per noi la resurrezione non è un mito, ma una realtà. Questo evento, che celebriamo in ogni Eucaristia, ci conferma che vale la pena di dare la vita per gli altri e ci impegna a farlo»

L'appello

A trent'anni dall'uccisione, molti si chiedono a che punto sia la causa di beatificazione di monsignor Romero. Ebbene, la Conferenza episcopale di El Salvador ha chiesto a Benedetto XVI la «rapida conclusione» del processo di beatificazione dell'arcivescovo. I vescovi salvadoregni hanno adottato questa decisione nella prima riunione annuale, come ha reso noto l'ausiliare di San Salvador, Gregorio Rosa Chávez.

Per saperne di più

n A. Riccardi, Il secolo del martirio. I cristiani nel Novecento, Mondadori, 2000, pp. 528n G. Fazzini, Lo scandalo del martirio. Inchiesta sui testimoni della fede nel terzo millennio, Ancora, 2006, pp. 208n Paulo Lima, Lele vive, Emi, 2005, pp. 160n AAVV, Perseguiteranno anche voi, Emi, 2002, pp. 251n J. Sobrino, Nel segno di Romero, Pimedit 2005, pp. 48n E. Maspoli, Ignacio Ellacuria e i martiri di San Salvador, ed. Paoline, 2009, p.176

Salvador, il 24 marzo giornata nazionale Mons. Romero

Con 56 voti favorevoli su 84 deputati che compongono l’Assemblea Legislativa di El Salvador, è stato approvato il decreto legislativo che dichiara il 24 marzo come “Giorno di monsignor Oscar Arnulfo Romero y Galdamez”.


L'iniziativa era stata presentata il 23 febbraio 2010, nel quadro del trentesimo anniversario dell'assassinio di Mons. Oscar Arnulfo Romero, dalla Commissione presieduta da Padre Ricardo Urioste, della Fondazione Romero, composta da diverse organizzazioni sociali e religiose del paese. L'Arcivescovo Romero venne assassinato il 24 marzo 1980 dagli squadroni della morte, dei quali molti rappresentanti fanno oggi parte del principale partito di opposizione, l'Alleanza Repubblicana Nazionalista, AReNa.
L’approvazione della Giornata dedicata a Mons. Romero è stata resa pubblica nel quadro della celebrazione della Giornata di Preghiera e della Giornata Internazionale della donna, tenutasi il 5 marzo in una cappella della capitale, e ha generato reazioni contrastanti: la Chiesa e i fedeli hanno applaudito l'iniziativa con molta gioia, mentre i media e i partiti di destra hanno appena citato la notizia.
Il principale esponente del nuovo partito in formazione "Grande Allianza Nazionale" (Gana), Guillermo Gallegos, in precedenza membro dell'Alleanza Repubblicana Nazionalista (AreNa), ha dichiarato di aver votato a favore del decreto riconoscendo che la vita e l'opera pastorale del Vescovo ha superato le frontiere del Paese e ha lasciato il segno, inoltre perché ritiene ormai necessario chiudere questa tragica vicenda con una riconciliazione.
Per il 30° anniversario dell’assassinio di Monsignor Romero sono state organizzate una serie di attività a livello locale e nazionale: veglie di preghiera, incontri, marce e Sante Messe. La Santa Messa del 20 marzo sarà presieduta dal Cardinale Arcivescovo di Guatemala, Rodolfo Quezada Toruño, e dall'Arcivescovo di San Salvador, Mons. José Luis Escobar Alas. Un'altra Eucaristia, il 24 marzo, sarà presieduta da Monsignor Samuel Ruiz, Vescovo emerito di San Cristobal de las Casas (Chiapas, Messico).

Fonte: Agenzia Fides www.fides.org

La silenziosa voce dei pacifici

di Andrea Riccardi

Trent’anni dopo la morte di Romero l’America Latina è ancora terra di martiri. Sembrano destinati alla sconfitta, ma la loro è la vera alternativa a violenza e sopraffazione

Nel 2010 si ricordano trent'anni dalla morte di mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso mentre celebrava l'Eucarestia. Romero visse una situazione di scontro polarizzato e di radicalizzazione della violenza. Il cardinal Lucas Moreira Neves mi raccontò che lo ricevette nella sua ultima visita a Roma: gli confidò che sarebbe stato ucciso e non sapeva se l'avrebbe fatto la destra o la sinistra. Sapeva che la sua vita era minacciata, ma non rinunciò a tornare nel suo Paese, a stare vicino alla gente. Sentiva attorno a sé un'atmosfera satura di morte. Rivolse un appello: «Siamo incapaci di riconciliazione, odiamo a morte. Non è questo l'ambiente che Dio vuole. La Chiesa deve dire agli uni e agli altri, nonostante le opzioni che li differenziano: amatevi, riconciliatevi con Dio».I cristiani sono tornati a morire nel XX secolo, come nei primi secoli della cristianità. L'America Latina ha conosciuto tanti martiri. Le loro storie parlano ancora oggi e non bisogna perderne la memoria. Molti Stati hanno conosciuto regimi autoritari e guerriglie rivoluzionarie, con le popolazioni strette tra conflitto e miseria: una situazione invivibile per molti cristiani, che hanno però continuato a essere testimoni del Vangelo. Romero muore in un tempo di polarizzazione, figlia della guerra fredda. Fattori internazionali e interni si incrociavano. Con l'89 e la fine delle ideologie, è terminata la lotta rivoluzionaria, eppure - sorprendentemente - non sono finite le violenze; si sono solo «polverizzate». La vita della Chiesa contesta di fatto questo clima con la presenza dei suoi, che vivono in modo generoso. La vicenda della Colombia ne è un esempio. Nel 2000, Isaias Duarte Cancino, arcivescovo di Cali, viene ucciso per aver parlato contro le violenze dei terroristi e dei paramilitari. Tra il 2001 e il 2007, si susseguono una trentina di uccisioni di cristiani, per rapina o perché impegnati nell'educazione o per liberare i rapiti. L'opera educativa viene considerata pericolosa dai mafiosi, perché libera i giovani dalla scuola della violenza e della paura. La Chiesa è un ostacolo all'estendersi della «cultura» mafiosa. In Guatemala, in Messico, dal 2001 al 2007, cadono sacerdoti, religiose. Nello stesso periodo, in Brasile, si segnalano otto preti uccisi. Una forte eco suscita l'assassinio di una suora statunitense, Dorothy Stang, uccisa nel febbraio 2005, mentre lavorava con coraggio per i senza terra. Due armati la fermano chiedendole: «Ha un'arma?». Suor Dorothy, serena, mostra la Bibbia: «Ecco la mia unica arma!». La suora, 73 anni, è stata ritrovata uccisa e riversa sulla sua Bibbia.In El Salvador, la guerra civile è finita nel 1992, ma parti del Paese sono immerse nella violenza delle maras, bande giovanili e organizzazioni mafiose, che offrono una rete di solidarietà criminale e danno «dignità» ai giovani con le armi. Fra il 2000 e il 2006, hanno ucciso due sacerdoti e un laico, nella cattedrale di Santiago de Maria. L'amore viene percepito come minaccia al loro potere basato sulla paura e sulla violenza. Così si spiega l'uccisione del giovane William Quijano della Comunità di Sant'Egidio. Proponeva agli adolescenti del quartiere periferico di Apopa un'alternativa alla violenza. Ha scritto padre Jesus Delgado, già segretario di mons. Romero: «William era impegnato con Sant'Egidio nel salvare i bambini e i giovani dalla violenza e creare la possibilità di vita lontano dalla logica dello scontro e della criminalità giovanile. Aiutava i bambini a vivere insieme, ad aiutarsi l'un l'altro e imparare a vivere in pace». È il martirio dei pacifici. La loro alterità suona protesta umile e silenziosa. Sembra destinata alla sconfitta, ma è la vera alternativa alla violenza e alla sopraffazione.

Gli incontri di AINS onlus: 1° pranzo comunitario di auto-finanziamento ains onlus

Pranzo solidale per AINS

Domenica 28 marzo alle ore 12,00, presso la parrocchia di San Martino Siccomario (PV) si terrà il primo pranzo comunitario di auto-finanziamento per i progetti che abbiamo in Guatemala.

È un pranzo fatto in collaborazione con la locale parrocchia , la cooperativa sociale Arkè e la nostra associazione.

Il menù con solo prodotti biologici è il seguente:

Antipasto:
tramezzini, stuzziconi di verdure, bocconcini di frittata, mix di torte salate
Primi:
risotto con funghi e zafferano-pasta al forno alla ligure (pesto, pinoli e fagiolini)
Secondo:
arrosto di vitello al limone
Contorno:
insalata mista

Per tutti assaggi di formaggi con salsina di cipolle e salsa verde

Dolci:
mix di torte e biscotti

¼ di vino e acqua

il costo del pranzo è di 15 euro

Per prenotazioni:
Cell. 339 2546932 (Ruggero) – 3334464723 (Giulia)

Gli incontri di AINS onlus: Rosalina Tuyuc Velásquez e Francisco Velasco Marroquin a Pavia

Mercoledì 24 marzo saranno a Pavia, ospiti dell'Associazione AINS, Rosalina Tuyuc Velásquez e Francisco Velasco Marroquin (dirigente indigeno).

La Velasquez, nata a San Juan Comalapa, dipartimento di Chimaltenango, nel 1956, Rosalina è un'attivista Guatemalteca dei diritti umani di origine Maya Kaqchikel. Eletta deputato del Congresso Guatemalteco nel 1995 nella lista nazionale del Fronte Guatemalteco Democratico, è stata Vice Presidente del Congresso durante tale periodo.

Nel giugno del 1982, l'esercito guatemalteco, durante il conflitto armato durato 36 anni, ha rapito e ucciso suo padre, Francisco Tuyuc.Tre anni più tardi, il 24 maggio 1985, il marito ha subito la stessa sorte.

Nel 1988 ha fondato l'Associazione Nazionale delle vedove del Guatemala (CONAVIGUA) diventando un punto di riferimento in Guatemala e nel mondo riguardo i diritti umani.

Nel 1994, Rosalina Tuyuc è stata decorata dai francesi con Ordre national de la Legion d'Onore per le sue attività umanitarie.

Il 6 luglio 2004 il presidente Guatemalteco Óscar Berger l'ha nominata a presiedere la Commissione Nazionale per il risarcimento alle vittime del conflitto armato in Guatemala (Comisión Nacional de Resarcimiento).

Rosalina Tuyuc è, un personaggio importante della storia del Guatemala e, per noi, piccola realtà associativa pavese è un momento di incontro per imparare e conoscere.

L'incontro si tiene presso il Centro Servizi Volontariato di Pavia in Via Taramelli 7 alle ore 18.00.

Al termine verrà offerto un piccolo rinfresco con prodotti biologici della cooperativa Arkè di Pavia.

Per informazioni:Ruggero Rizzini associazioneains@yahoo.it

Gli incontri di AINS onlus: " In viaggio senza valige "

Martedì 23 marzo 2010 alle ore 18 nella sala conferenza del Collegio Senatore, in via Menocchio, 1 a Pavia, si terrà la proiezione e il dibattito di un documentario sociale "in viaggio senza valige" con il regista Mirko Locatelli.
la discussione sarà guidata dalla giornalista Daniela Scherrer.
l'incontro si svolge nel quadro de "I Dialoghi del Collegio Senatore", con cui vengono proposti ai giovani, in particolare, e a tutta la città una serie di incontri su temayiche di carattere culturale, sociale ed ecclesiale.

L'incontro di martedì 23 marzo è in collaborazione con l'associazione AINS onlus di Pavia.

Un treno sbagliato, un areo sbagliato, una destinazione imprevista, pensavi di avere gli strumenti giusti e un biglietto con una meta stabilita, ma ti ritrovi in un Paese sconosciuto, senza nessuno che ti guidi in un percorso nuovo, inaspettato.

Il Film:

Quattro famiglie milanesi hanno raccontato in un video le loro storie molto diverse, ma accomunate da un fatto straordinario: la nascita di un figlio che ha avuto un esito imprevedibile, perché questi bambini "non erano riparabili".
Questi racconti sono stati trasformati nel documentario In viaggio senza valigie, scritto e diretto da Mirko Locatelli, che con il suo staff ha raccolto le storie delle 4 famiglie rendendole degli atti cinematografici. Ne è nato un video articolato dove i protagonisti sono le famiglie e i loro figli, che raccontano alcuni frammenti della loro vita, esperienze che coinvolgono inevitabilmente lo spettatore a una riflessione profonda.
Mirko Locatelli è un giovane regista indimentente che insieme a sua moglie, Giuditta Tarantelli, ha dato vita alla casa di produzione cinematografica Officina Film. Nei suoi film e documentari Mirko ha sempre esplorato tematiche legate al delicato passaggio dall'adolescenza all'età adulta, mettendo a confronto i giovani con e senza disabilità. La sua produzione comprende il film Come prima (2004) e il documentario Crisalidi (2005).
Il suo ultimo lavoro, il film Il primo giorno d'inverno ha partecipato al 65° Festival del Cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti.
Il documentario In viaggio senza valigie è stato finanziato dalla Provincia di Milano, partecipazione a tutela dei diritti delle persone con disabilità, per la ricerca svolta da L'abilità Problemi di comunicazione. Quando i medici parlano per la prima volta di disabilità ai genitori.

L'Autore:

Mirko Locatelli è nato a Milano nel 1974 studia cinema all’Università degli Studi di Milano che abbandona nel 2000 per dedicarsi al giornalismo, collabora con varie testate tra cui il Corriere della Sera e coltiva il proprio interesse principale, il cinema.Nello stesso anno fa nascere Cinemaindipendente.it, un portale internet con lo scopo di creare un punto d’incontro per i giovani filmakers oltre alla diffusione della cultura cinematografica, organizzando proiezioni, corsi di cinema e progetti di produzione.Aggregando tutti i tecnici conosciuti, nel 2001 fonda Officina Film, una casa di produzione che si occupa di comunicazione. Qui firma la sua prima regia pubblicitaria, nel 2003 dirige un documentario sul set del film “Fame Chimica” di A. Bocola e P. Vari e “Il Confine” un cortometraggio; nel 2004 dirige “Come Prima”, mediometraggio della durata di 60’.

Mafia, in piazza per non dimenticare. "Libera" in corteo a Milano"

E' partita a Milano la manifestazione per la 15/ma Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Organizzata da Libera e Avviso pubblico e con l'Alto patronato del Presidente della Repubblica e il patrocinio del Comune e della Provincia di Milano e della Regione Lombardia. Il corteo, senza bandiere politiche, si è mosso dai Bastioni di Porta Venezia e si concluderà in Piazza Duomo. L'appello di Don Luigi Ciotti: "Non lasciamo soli i magistrati e la polizia", ha detto il fondatore dell'Associazione antimafia.

«Legami di legalità, Legami di responsabilità» è lo slogan scelto dagli organizzatori della manifestazione che intende ricordare tutte le vittime innocenti delle mafie e rinnovare, in loro nome, l'impegno di contrasto alla criminalità organizzata. Sul palco allestito in Piazza Duomo, al termine della manifestazione, saranno letti alcuni brani scritti da vittime delle mafie da parte di alcuni studenti provenienti da tutta Italia. A seguire Frankie Hi Nrg in chiave rap interpreterà "Fight the faida" quindi Annalori Ambrosoli, moglie di Giorgio Ambrosoli ucciso nel 1979, porterà la sua testimonianza in rappresentanza dei familiari delle vittime. Sarà poi la volta di Manuel Gonzalves Granada, i cui genitori furono uccisi durante la dittatura Argentina, poi sarà data lettura di oltre 900 nomi di vittime innocenti, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell'ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali, morti per mano delle mafie. Conclude Don Luigi Ciotti , presidente di Libera.

Coordinatrice della giornata Simona Dalla Chiesa, figlia del Generale Carlo Alberto, uccisio a Palermo il 3 settembre 1982. (segue) Alla manifestazione parteciperanno anche rappresentanti di Organizzazioni non governative provenienti da 30 paesi europei e dall'America Latina. Saranno presenti giornalisti europei minacciati dalle mafie internazionali e anche il figlio di Anna Politkovskkaja, la giornalista russa uccisa a Mosca il 7 ottobre del 2006, alcuni figli di desaparecidos e dalla Colombia rappresentanti del Movice, il movimento delle vittime dei crimini di Stato Ricca anche la presenza di operatori del settore culturale e musicale: hanno aderito oltre 50 artisti della scena musicale italiana tra i quali Frankie Hi Nrg, Pierpaolo Capovilla del Teatro degli Orrori, Alessandro Benvenuti, Piotta, i Vallanzaska, i Nomadi ed Enrico Capuano.

Ai partecipanti alla manifestazione il cardinale Carlo Maria Martini ha inviato un messaggio nel quale sottolinea la sua vicinanza «al dolore di tutti coloro che hanno sofferto gravi lutti a causa della mafia. È qualcosa che non dovrebbe esistere, ma purtroppo esiste. E voi vi impegnate, oltre al dolore sofferto, perchè non esista più; perchè dalla società i giovani possano comprendere il valore di parole come legalità, come responsabilità e soprattutto come giustizia».

"La giustizia -scrive ancora Martini- è qualcosa che riguarda tutti e che permette ad una nazione di vivere con serenità e pace; dove non c'è giustizia, dove non c'è legalità, c'è arbitrio e c'è oppressione. Durante il mio servizio come vescovo a Milano ho avuto modo di incontrare tante volte vittime della violenza, allora si trattava soprattutto della violenza del terrorismo, ma ogni violenza è negazione di Dio, è negazione dell'uomo». «Quindi - sottolinea Martini - dobbiamo ribellarci con tutte le forze a questa violenza, anche se è per difendersi dalla violenza; dobbiamo arrivare a far sì che tutti comprendano che la giustizia è anche al limite la capacità di comprendere e di perdonare; è qualcosa che riassume e sintetizza lo sforzo di giustizia».

Intanto i famigliari delle vittime delle mafie si sono riuniti per chiedere che il 21 marzo (la manifestazione è stata anticipata a domani 20 marzo rispetto alla sua rituale scadenza), primo giorno di primavera e data scelta 15 anni fa dalla stessa associazione guidata da Don Ciotti, venga confermata anche dal Parlamento.


l'Unità,20 marzo 2010

18 marzo 2010

Gli Ogm non piacciono ai pavesi

Interessano invece alle multinazionali che producono sementi e fitofarmaci necessari alla coltivazione.La Coldiretti: «Tutti i sondaggi dimostrano l’avversione dei cittadini»


GIOVANNI ROSSI, la provincia pavese, 18 marzo 2010


PAVIA. Per i credenti si potrebbe trattare della più sfacciata dimostrazione di superbia del genere umano, deciso a voler rifare la Creazione secondo i propri spiccioli interessi. Per i non credenti si tratterebbe del tentativo goffo di rifare in un battito di ciglia il percorso di millenni di evoluzione. Il Tema degli Organismi geneticamente modificati probabilmente, è solo il più semplice e classico conflitto tra gli interessi economici aziendali e quelli degli abitanti del pianeta. Un caso come tantissimi altri in cui gruppi di potere cercano di vendere un prodotto sul mercato globale al fine di fare utili alla propria ditta. Un Ogm è non altro che una creatura il cui bagaglio genetico viene modificato dall’uomo per i propri più svariati interessi. Basti ricordare la curiosità dei maialini fosforescenti che anni fa fecero il giro delle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo, mentre la fantasia oggi potrebbe portare a immaginare pesci che si arrampicano sugli alberi o angurie blu al sapore di minestrone. A far tornare di attualità un tema ormai vecchio almeno di un quarto di secolo è stata la varietà di patata Ogm chiamata EH92-527-1, prodotta da una multinazionale chimica tedesca. Un organismo creato in laboratorio e che dovrebbe essere coltivato solo a fini di trasformazione industriale e non alimentare, nei cui confronti l’Unione europea si dichiarata possibilista, nonostante nel 1998 in Europa si sia decisa la messa al bando degli Ogm. Dunque un caso più simbolico che pratico, che potrebbe servire da grimaldello per sfaldare del tutto le difese del vecchio continente nei confronti di un via libera agli Ogm. Intanto i cittadini stanno a guardare il braccio di ferro delle normative con una crescente preoccupazione. Secondo un recente sondaggio il 72% dei cittadini europei ritiene che i cibi contenenti organismi geneticamente modificati siano meno salutari rispetto ai cibi tradizionali. La patata è la quarta coltivazione vegetale al mondo dopo mais, riso e frumento. In Italia si producono circa 1,7 miliardi di chili di patate ogni anno, per una coltura orticola seconda solo alla coltivazione del pomodoro. Pavia, con 2 milioni e 700mila metri quadrati destinati alla coltivazione del tubero è la prima provincia lombarda. «Questa patata - spiega la Federazione provinciale Coltivatori diretti di Pavia - in realtà si aggiunge a 34 prodotti già autorizzati. Si tratta in totale di 19 mais, 6 tipi di cotone, 3 di colza, 3 di soia, 1 barbabietola, 1 patata e 1 microorganismo. Decisioni prese dal governo dell’Unione nonostante tutti i sondaggi dimostrino chiaramente l’avversione dei cittadini europei verso gli organismi geneticamente modificati. In particolare in Italia». Un no secco della Coldiretti che viene giustificato anche attraverso una semplicissima constatazione, cioè che la patata Ogm, nei fatti, avrà solo il vantaggio di far costare meno il processo industriale di estrazione dell’amido. «L’interesse delle multinazionali a promuovere la coltivazione di organismi geneticamente modificati - rincara la dose Giuseppe Ghezzi, presidente della Coldiretti di Pavia - è evidente: gli agricoltori dovranno acquistare semente esclusivamente dal proprietario di quel brevetto e i fitofarmaci necessari alla sua coltivazione saranno specifici e prodotti probabilmente dalla medesima multinazionale». Di fatto, l’imprenditore agricolo consegnerà il potere decisionale della propria impresa nelle mani della multinazionale. Di parere opposto Walter Cibrario, presidente pavese dell’Unione agricoltori, che si pone su una posizione di non chiusura nei confronti degli Ogm. «Gli agricoltori già dipendono dall’industria sementiera - spiega Cibrario - non possiamo chiudere la porta alla ricerca e sperimentazione. E poi siamo sicuri che già oggi non si usino prodotti contenenti materie prime geneticamente modificate?». Di certo lo scontro fra due modi ben diversi di intendere la produzione agricola: da una parte le produzioni dette commodities, senza volto e senza diversità adatte al mercato globale, potrebbero avvantaggiarsi, almeno temporaneamente, da organismi non naturali in grado di superare gli ostacoli al proprio sviluppo, quali caratteristiche climatiche e patologie.

Il vantaggio del “chilometro zero”

PAVIA. Mentre le multinazionali spingono alle porte dell’Unione europea per portare in agricoltura i loro “fenomeni”, e chissà che domani non arrivi il “Carnarolen” il riso più coltivato della Baviera, c’è anche chi va esattamente nel verso opposto e si batte per organismi sempre più compatibili con le risorse del territorio. Tra questi i Gruppi di acquisto solidale, che negli ultimi anni hanno avuto una forte espansione in Italia. A Pavia sono circa 120 gli associati del Gruppo di acquisto solidale cittadino, che non nascondono la propria totale chiusura nei confronti dell’impiego di Ogm in agricoltura. «Il Gas Pavia - spiega Luca Giannini, socio del gruppo - impegnato nel promuovere stili di vita e di consumo tali da ridurre al minimo il consumo di risorse del suolo, dell’acqua e dell’aria, oltre che l’inquinamento: questi sono anche i principi ispiratori dell’agricoltura biologica, come richiamati dalla normativa europea che la disciplina. La scelta del Gas Pavia in agricoltura di conseguenza, è quella di preferire le coltivazioni locali, il così detto chilometro zero. L’impiego di Ogm in agricoltura, per come si è sviluppato finora, risponde esclusivamente a una logica di agricoltura intensiva che si focalizza esclusivamente sulla quantità di prodotto ottenibile a tutti i costi». Luca Giannini aggiunge che la maggioranza degli Ogm impiegati nel mondo si caratterizza per la resistenza agli erbicidi a largo spettro o ad altri prodotti chimici che danneggerebbero piante di origine naturale. Un caso per tutti il mais resistente al Glyphosate, un erbicida che uccide ogni vegetale, ma che viene bloccato da un gene artificialmente inserito nei mais Ogm.

Pavia, lo sguardo delle donne

Domani, 19 marzo, al castello visconteo a partire dalle 17.30 si terrà una chiacchierata a cura di Elisa Moretti indirizzata alle donne e dedicata alla composizione fotografica. Sabato, 20 marzo, dalle 15.30 si terrà invece una visita al castello alla ricerca di interessanti scatti fotografici. In seguito le partecipanti potranno per una settimana entrare gratuitamente a scattare altre immagini. Le foto migliori saranno messe in mostra. L’iniziativa è gratuita ma ci si deve iscrivere al numero 0382.33853 interno 21.

Per troppi anni....

“ Per troppi anni abbiamo pensato fosse sufficiente la buona volontà individuale per poter cambiare il mondo. l’esperienza ci ha dimostrato che la “sola” bontà non basta: crea assistenza e soprattutto non rimuove le cause che generano ingiustizie e diseguaglianze. Paradossalmente la bontà può rendersi complice del sistema che prima costruisce le povertà e poi le affida a qualche bravo volontario perchè “non disturbino” troppo il mondo dei “garantiti ”. Strada facendo siamo diventati sempre più consapevoli del fatto che per promuovere democrazia, legalità, diritti…non basta essere “buoni”, ma occorrono anche “buone leggi”. Diventa indispensabile fronteggiare la miseria, ma allo stesso tempo DENUNCIARE i meccanismi che la determinano e tentare, con lo strumento della legalità, di aggredire ciò che genera sofferenza sociale, disuguaglianze, dipendenze e provare a rimuoverne gli ostacoli. “

don Luigi Ciotti

16 marzo 2010

L’ ALTRACARD, PER CAMBIARE IL MODELLO DI SVILUPPO

Mentre la Social Card rivela tutti i suoi limiti, la campagna Bilanci diGiustizia propone venti azioni per risparmiare 400 euro al mese.

Sono 200mila le persone che, secondo le Acli, agli inizi di marzo ancora attendevano di veder caricata la propria carta acquisti con i 120 euro dei mesi di ottobre, novembre e dicembre, dopo che avevano chiesto e ottenuto la social card a partire dal 1° gennaio 2009. Oltre a denunciare
lo stato della situazione, le Acli hanno proposto di «abolire i requisiti anagrafici per l’accesso alla social card».
I beneficiari della card avrebbero dovuto essere, secondo i calcoli governatici, circa 1 milione e 300mila, selezionati in base a rigorosi requisiti, tra cui due principali: reddito Isee inferiore ai 6.000 euro, età del richiedente inferiore ai 3 anni o superiore ai 65 anni. Ma le Carte acquisti
finora distribuite sono state tuttavia solo 560mila, e i dati a disposizione del Caf Acli dimostrano che il 40% di coloro che avrebbero diritto alla Carta secondo il requisito del reddito, ne rimangono esclusi per via dell’età. Perciò la proposta del presidente delle Acli Andrea Olivero è: «abolire i requisiti anagrafici per l’accesso alla social card», perché «si può essere poveri a 60 come a 65 anni, con figli di 3 anni piuttosto che di 5».
Intanto, Bilanci di Giustizia ha lanciato una proposta “non governativa”: l’Altracard. Bastano venti azioni per risparmiare 400 euro al mese e allo stesso tempo migliorare l’ambiente e la qualità della vita. Frutto dell’esperienza delle oltre 500 famiglie che da 16 anni aderiscono
a Bilanci di giustizia, le venti azioni hanno in comune un obiettivo: razionalizzare i consumi.
Fare il pane a casa, per esempio, fa risparmiare 5 euro al mese, comperare insalata sfusa al posto di quella confezionata quasi 10 euro, e fare colazione a casa (utilizzando naturalmente caffè e tè equosolidali) significa avere 50 euro al mese in più.
E, poiché si sa che ecologia e lentezza vanno spesso a braccetto, Bilanci di giustizia ricorda che guidare l’auto senza superare i 2.500 giri fa risparmiare 15 euro. Inoltre con un utilizzo attento dell’energia elettrica si mettono da parte altri 20 euro al mese. E non solo: acquistare
o scambiare abiti usati fa risparmiare 30 euro, e frequentando di più le biblioteche (per libri, musica e film) si possono spendere 15 euro in meno ogni mese. Più importante del vantaggio del risparmio, però, è la ricerca di un nuovo stile di vita. «Ci hanno sempre detto che senza consumi si perdono posti di lavoro», ha spiegato don Fazzini, «ma questa crisi ha dimostrato
il contrario: il sistema non funziona. L’unica possibilità è cambiare stile di vita, e in questa fase i consumatori hanno il potere di indirizzare il cambiamento dell’economia: le nostre 20 azioni servono a questo».
Come si ottiene l’Altracard? Facendosela. Basta collegarsi al sito della
campagna (www.bilancidigiustizia.it) per trovare tutte le istruzioni.

Stili Di Vita
Alcune azioni dell’Altracard
● Invece di bere acqua in bottiglie bevo acqua del rubinetto
● Invece di mangiare ogni giorno carne preparo un pasto a base
di legumi
● Invece di insalata confezionata compero insalata sfusa
● Invece del latte fresco confezionato compero il latte alla spina
● Invece di usare sempre l’automobile uso i mezzi pubblici
● Invece di usare tovaglioli o fazzoletti di carta uso
tovaglioli e fazzoletti di stoffa
● Invece di usare piatti usa e getta uso piatti in ceramica
● Invece di tenere la temperatura in casa a 20°C l’abbasso di un
grado
● Invece della dose di detersivo proposta dalla confezione ne uso
metà
● Invece di comperare i regali li autoproduco: dipingo, scrivo,
modello, cucino, creo
● Provo a tener conto per un mese di come spendo i miei soldi

(dal sito www.bilancidigiustizia.it)

15 marzo 2010

IN GUATEMALA PER CONDIVIDERE, CON UMILTA’ E RISPETTO

La mia decisione di partire per un’esperienza come cooperante in un paese del sud del mondo ha tardato. Da anni era la mia aspirazione, ma poi mi confrontavo con la mia esperienza, professionalità e non mi sentivo all’altezza di tale compito.
Anche se le proposte già arrivavano, ho voluto aspettare.
Purtroppo (o per fortuna) non sono una grande sostenitrice del “parto perché sono buona e voglio aiutare gli altri”, un atteggiamento controproducente per gli abitanti del sud del mondo, che si aspettano delle competenze ben specifiche per poter a loro volta, crescere.
Di solo buonismo, infatti, non si vive.
Credo che per lavorare nel sociale occorrano competenze specifiche, forse ancora di più di quanto ci si possa immaginare: si ha a che fare con la vita, con le persone e solo per questo è giusto riporre un’attenzione approfondita, misurando sul campo le azioni e i rischi ai quali andare incontro.
Partire per il Centro America era abbastanza delineato in me per l’amore che ho sempre rivolto a questa parte di mondo e alla sua cultura.
Eppure, nonostante avessi già visto e conosciuto diversi paesi della zona, il Guatemala è riuscito a stravolgere molti dei miei ideali, rafforzando la mia voglia di fare.
Ricordo che mi ha colpito il forte “machismo”: il ruolo della donna subordinato all’uomo, le ragazze che a 16 anni hanno già due figli e sembrano signore di 40 anni, l’alto tasso di alcolismo, la violenza all’interno delle famiglie, quella infantile. Sono cose che conosci, di cui hai sentito parlare, ma vederlo, sapere che è uno dei problemi più grossi di un paese, che le persone con cui lavori sono le vittime di tutto questo, che il tutto deriva anche da una storia di violenza che il paese ha vissuto e che ci vorranno anni perché le cose cambino…demoralizza.
Si, demoralizza.
Il Guatemala con i suoi problemi, le sue contraddizioni, i suoi conflitti latenti, la sua moltitudine di culture, climi, paesaggi.
Un paese che ti assorbe; così piccolo, ma così vario e difficile.
Facevo parte di tre progetti in zone diverse del paese.
Un paese dove la povertà è in ogni angolo.
La prima domanda è sorta spontanea: perché dopo tanti anni di aiuti siamo ancora allo stesso punto?
Ma solo con il tempo e il vivere quotidiano al lato delle persone che come me desiderano un cambiamento, mi sono resa conto di quanti piccoli passi si sono fatti e tuttora si stanno facendo.
La realtà non è facile e una volta arrivata sul posto ho dovuto studiare il paese, la storia, l’economia e le culture al suo interno.
Anche perché senza uno studio approfondito di ciò che è il paese dove ti trovi, fai fatica a capire quali sono e perché esistono determinati problemi.
Doverli affrontare significa poi condividere, collaborare e cooperare con le persone per capire le loro necessità secondo la loro ottica, che molto spesso non coincide con ciò che pensiamo arrivando da una cultura completamente diversa.
Significa umiltà, perché non è detto che persone senza titolo di studio non sappiano farti vedere la luce in quello che per te era un tunnel senza via d’uscita.
È importante far capire alle persone che non siamo li per colonizzarli, rubargli le risorse o comandarli, ma per collaborare con loro per un mondo più giusto, più rispettoso delle diversità ma allo stesso tempo per lasciare piccoli tasselli che potranno usare in caso di necessità.
Soprattutto parlo di pazienza, perché purtroppo essere artefici di un cambiamento richiede tempo e a volte può anche demoralizzare riscontrare che il sistema è più forte di noi.
Credo sia importante poter far parte di quelle persone che vogliono un cambiamento, un equilibrio nella distribuzione e gestione delle risorse mondiali e una vita con dignità per ogni essere umano facente parte di questo mondo, il nostro mondo!
È un lavoro interessante, soprattutto per il rapporto con le altre culture e per la libertà con cui puoi esprimerti.
È un lavoro per cui ci vuole grande passione e sensibilità.
Sicuramente non è facile riuscire a scindere vita privata e lavoro, perché spesso rimani coinvolta dagli eventi e dai problemi, rischiando di non avere nè sabati né domeniche.
Alla lunga questo può poi ripercuotersi sullo stato emotivo e psicologico della persona.
Sono convinta comunque che, alla fine, da questo tipo di esperienze è molto più quello che “si porta a casa” di quello che si lascia.
Allo stesso tempo penso sia importante riconoscere che spesso il volontariato è una forma di egoismo, ossia lo facciamo, in primo luogo, per far star bene noi stessi. Senza vergogne ne paure, è importante comunque ammetterlo.
Mi piacerebbe lanciare un messaggio a quanti magari vorrebbero fare qualcosa, ma non se la sentono di partire per un paese del sud del mondo: non è sempre necessario partire ed agire direttamente in questi paesi. C’è molto da fare anche nel nostro paese. Il cambiamento serve anche qui ed è per questo che ho voluto fondare un’associazione che opera sul nostro territorio, per sensibilizzare, raccogliere fondi, ma soprattutto per far si che ogni persona possa sviluppare un lato critico ed obiettivo sulle disuguaglianze, insensibilità e individualismo verso cui una società come la nostra molto spesso ci porta.
Tornata, ho ancora con me una marea di dubbi che mai, probabilmente, avranno risposta. Ma credo che l’importante sia fare qualcosa, perché da solo questo mondo non cambia, anzi è destinato a peggiorare.

Sofia Bergonzani

Tratto da ForumNotizie, periodico di collegamento di Forum Solidarietà. Numero 1, marzo 2008, anno XVI

9 marzo 2010

Appello sull'acqua di Alex Zanotelli

Questo è l'anno dell'acqua, l'anno in cui noi italiani dobbiamo decidere se l'acqua sarà merce o diritto fondamentale umano. Il 19 novembre 2009, il governo Berlusconi ha votato la legge Ronchi, che privatizza i rubinetti d'Italia. È la sconfitta della politica, è la vittoria dei potentati economico-finanziari. È la vittoria del mercato, la mercificazione della 'creatura' più sacra che abbiamo: sorella acqua.Questo decreto sarà pagato a caro prezzo dalle classi deboli di questo Paese, che, per l'aumento delle tariffe, troveranno sempre più difficile pagare le bollette dell'acqua (avremo così cittadini di serie A e di serie B!). Ma soprattutto, la privatizzazione dell'acqua, sarà pagata dai poveri del Sud del mondo con milioni di morti di sete. Per me è criminale affidare alle multinazionali il bene più prezioso dell'umanità (l'oro blu), bene che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici (scioglimento dei ghiacciai e dei nevai) sia per l'incremento demografico. L'acqua è un diritto fondamentale umano, che deve essere gestito dai Comuni a totale capitale pubblico, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione per tutti al costo più basso possibile.

Purtroppo, il nostro governo, con la legge Ronchi, ha scelto un'altra strada, quella della mercificazione dell'acqua.Ma sono convinto che la vittoria dei potentati economico-finanziari si trasformerà in un boomerang.È già oggi notevole la reazione popolare contro questa decisione immorale. Questi anni di impegno e di sensibilizzazione sull'acqua, mi inducono ad affermare che abbiamo ottenuto in Italia una vittoria culturale, che ora deve diventare politica. Ecco perché il Forum italiano dei Movimenti per l'acqua pubblica, lancia ora il Referendum abrogativo della Legge Ronchi, che dovrà raccogliere, fra aprile e luglio 2010, circa seicentomila firme. Non sarà un referendum solo abrogativo, ma una vera e propria consultazione popolare su un tema molto chiaro: o la privatizzazione dell'acqua o il suo affidamento ad un soggetto di diritto pubblico.Le date del referendum verranno annunciate in una grande manifestazione nazionale a Roma il 20 marzo, alla vigilia della Giornata Mondiale dell'acqua (22 marzo).

Nel frattempo chiediamo a tutti di costituirsi in gruppi e comitati in difesa dell'acqua, che siano poi capaci di coordinarsi a livello provinciale e regionale.È la difesa del bene più prezioso che abbiamo (aria e acqua sono i due elementi essenziali per la vita!). Chiediamo a tutti i gruppi e comitati di fare pressione prima di tutto sui propri Comuni affinché convochino consigli monotematici per dichiarare che l'acqua è un bene di non rilevanza economica. Questo apre la possibilità di affidare la gestione dell'acqua ad un soggetto di diritto pubblico.Abbiamo bisogno che migliaia di Comuni si esprimano. Potrebbe essere questo un altro referendum popolare propositivo.

Solo un grande movimento popolare trasversale potrà regalarci una grande vittoria per il bene comune. Sull'acqua ci giochiamo tutto, anche la nostra democrazia. Dobbiamo e possiamo vincere. Ce l'ha fatta Parigi (la patria delle grandi multinazionali dell'acqua, Veolia, Ondeo, Saur che stanno mettendo le mani sull'acqua italiana) a ritornare alla gestione pubblica. Ce la possiamo fare anche noi. Mobilitiamoci! È l'anno dell'acqua! Alex Zanotelli

ed e' subito festa

Mazatenango, Guatemala-Centro America- 8 marzo 2010

Carissime e carissimi,
eccoci in un punto internet che funziona (quasi una rarità di questi tempi in Guatemala) nei pressi del Liceo Coperso (colegio perpetuo socorro..), dove alcune ragazze frequentano differenti corsi a seconda della loro età e del loro livello scolastico.
Siamo a Mazatenango, costa del sur, caldo tropicale e acqua che scarseggia a causa di una grande siccità che si protrae incessante dal luglio passato e che non accenna a placarsi. Uno dei risultati di questo disagio ci fa sembrare le sponde dell'Atlantico più vicine alla nostra pianura: zanzare e moschini a raffica che di notte ci tempestano...ma, le suore previdenti e sveglissime, ci hanno fornito di "pavillon" una speciale zanzariera collocata sopra i nostri letti; cosicché il sonno è assicurato. Diversamente sarebbe un disastro.
Qualche accenno di cronaca.
Il viaggio è andato nel migliore dei modi. Glia aerei hanno funzionato e siamo arrivati a Città del Guatemala giovedì scorso alle 17,30. Un'ora di ritardo ci può stare. Questa volta abbiamo avuto il piacere di sperimentare un'altra rotta rispetto a quella ordinaria, per ragioni di correnti d'aria fortissime sull'Oceano: la costa del Labrador alle falde del Canada e l'East cost degli Stati Uniti completamente coperte di neve; e poi Florida e giù per il Messico, quindi Guatemala con il suo singolare aeroporto. Ritirati i bagagli velocemente e usciti dalla porta degli arrivi è stata subito festa.
Ad attenderci Madre Antonietta con alcune delle ragazze più grandi. Baci, abbracci, festa grande.
Ma ancora di più ad accogliere il nostro arrivo al parcheggio, assiepate sul pulmino dell'Hogar (ebbene si, il solito, quello dalle sette vite, quello scassatissimo ma che "cammina" sempre) un nugolo di bambine piccole. Ed e' subito festa. Ancora e di più.
E poi via lanciati per Mazatenango: altre tre ore di scuolabus e poi l'arrivo. Stanchissimi ma con l'obiettivo raggiunto.
Alla Casa abbiamo trovato una situazione nettamente migliorata rispetto all'anno scorso: un buon clima umano e relazionale, una mensa di livello, una collaborazione tra suore reale ed efficace.
Attualmente all'Hogar vivono 48 tra bambine e ragazze tra i 18 mesi e 22 anni, e tre suore: il generalissimo Leon Coloma Antonietta (grande donna) e madre Leo e Consuelo, quest'ultima messicana.
Ad oggi devo registrare con soddisfazione che i nostri sforzi organizzativi di promozione sociale portati avanti in Italia stanno dando frutti importanti. Bisognerà proseguire ad investire, con forza e determinazione, per sostenere questa opera molto bella.
Staremo qui fino a mercoledì mattina, dopo di che ci trasferiremo a El Rancho. Con un po' di dispiacere, come sempre, quando si parte da un luogo caro.
Stamattina siamo venuti in città con lo scuolabus grande (questo si più nuovo); abbiamo lasciato le piccole alla scuola elementare e ora andremo al mercato a comprare un pò di frutta e verdura. Anche questi piccoli gesti diventano, alla casa, motivo di festa grande.
Ed e' subito festa.
Cari saluti a tutti!!!!!!!!!!!!!!! Hasta siempre y adelante!!!!!!!!!!!!!!!!

Emanuele e Anna

Ps: Anna si sta rivelando una compagna di viaggio molto brava. Pur sapendo che i nostri sono viaggi un tantino faticosi e, a loro modo, complessi sta dando prova di grande sensibilità e responsabilità. Muy bien!!Non so quando riusciremo a riconnetterci a internet...hastaluego!!!!!!!!!!!!