15 maggio 2013

"Non c'è pace senza giustizia". In Guatemala Ríos Montt condannato per genocidio

Si è concluso il 10 maggio, con la condanna a 80 anni di carcere per genocidio, un processo chiave per la storia del piccolo Paese centroamericano: quello contro Efraín Ríos Montt, l'ex generale considerato mandante del massacro di 1.771 maya Ixiles (nell'immagine in un fotomontaggio). La curatrice di un blog specializzato, Orizzonte Guatemala, ha raccolto per Popoli il commento del vescovo Alvaro Ramazzini, da anni impegnato nella difesa dei diritti delle popolazioni indigene.


«In Guatemala è stato compiuto sistematicamente un genocidio ai danni della popolazione maya Ixil», ha dichiarato la giudice Jazmin Barrios. Si è concluso così, dopo due mesi, il processo contro due ex generali, l’ex capo di Stato de facto, Efraín Ríos Montt, e l’ex capo dell’intelligence militare, Josè Mauricio Rodriguez Sànchez, accusati di genocidio e di delitti contro l’umanità.
La sentenza, pronunciata il 10 maggio, dopo una ventina di udienze e un centinaio di testimonianze, ha riconosciuto colpevole di genocidio e crimini contro l’umanità l’86enne Efraín Ríos Montt. Per essere stato ritenuto responsabile del massacro di 1.771 indigeni delle comunità maya Ixiles l’ex generale è stato condannato a 80 anni di carcere, di cui 50 per il delitto di genocidio.
Una decisione storica per il Guatemala, di cui abbiamo parlato con monsignor Alvaro Ramazzini, vescovo di Huehuetenango, e attivo da anni nella promozione e difesa dei diritti dei popoli indigeni. «Il processo - spiega Ramazzini - ha fatto capire quanto la polarizzazione sociale sia forte nel Paese. Nella società guatemalteca ci sono profonde divisioni: mentre in tribunale alcuni indigeni maya Ixiles hanno testimoniato raccontando le violenze subite e chiedendo giustizia per i loro parenti uccisi, contemporaneamente venivano organizzate manifestazioni a favore di Rios Montt alle quali partecipavano gruppi di Ixiles».
Il vescovo denuncia come la violenza mediatica si sia scagliata anche contro la Chiesa cattolica. «In una pubblicazione intitolata La farsa del genocidio, che circolava nelle scorse settimane in Guatemala, la Fondazione contro il Terrorismo sosteneva che il processo contro Rios Montt è una cospirazione marxista dalla Chiesa cattolica». Notevole anche la preoccupazione per la criminalizzazione e le persecuzioni dei leader comunitari: «Risale a solo poche settimane fa il sequestro e l’assassinio di Daniel Pedro Mateo, leader comunitario della comunità di Santa Eulalia, nella mia diocesi».
Lo scorso 26 aprile ricorreva poi il 15° anniversario dell’assassinio di monsignor Juan Gerardi, vescovo ausiliare di Città del Guatemala, ucciso per il suo instancabile lavoro di ricerca della verità sugli anni della guerra civile. In questa occasione la Conferenza episcopale ha pubblicato un messaggio nel quale ha dato una lettura della situazione del Paese (La paz estè con ustedes). Riprendendo quel testo, Ramazzini presenta le sfide che ancora rimangono aperte: «Sono passati 17 anni dalla firma degli accordi di pace. È vero che questi accordi hanno posto fine al conflitto armato. Ma constatiamo che nei loro aspetti principali sono rimasti lettera morta, frustrando così le speranze del popolo guatemalteco. Dobbiamo riconoscere che le cause strutturali che hanno dato origine al conflitto armato non sono state superate, si rafforza un modello economico che concentra la ricchezza nelle mani di pochi. In questi anni abbiamo visto politiche che non offrono soluzioni alla situazione di povertà, emigrazione forzata, razzismo ed esclusione. Continuiamo a constatare la costante mancanza di rispetto della dignità umana, di crescente e pericolosa polarizzazione sociale, di calunnie e voci ricorrenti che creano confusione».
Ramazzini sottolinea il senso del prezioso lavoro di recupero della memoria storica di cui Gerardi è stato l’anima: «La Chiesa cattolica pensava che fosse importante conoscere le ragioni e le cause della guerra che per 36 anni ha sconvolto la società guatemalteca, con migliaia di morti, desaparecidos, sfollati interni e in Messico. Volevamo capire, per evitare che succedesse ancora una tragedia simile. Siamo convinti che una guerra causa ferite molto profonde sia a livello personale che nel tessuto sociale».
E il vescovo sottolinea anche l’impegno per il futuro: «Gerardi voleva che il progetto del recupero della memoria storica potesse continuare. Voleva fare in modo che i colpevoli potessero chiedere perdono alle vittime, e le vittime potessero perdonare. Molti non hanno inteso il lavoro capillare di raccolta di testimonianze e di ricerca della verità, e pensano che la Chiesa abbia voluto fare rivivere sentimenti di vendetta e di odio. La Chiesa cerca la riconciliazione attraverso la verità».
Pur in una situazione di violenza diffusa, di mancato compimento degli accordi di pace, che posero fine alla guerra interna, con le annose problematiche legate alla terra, in assenza di una riforma agraria, con una politica economica neoliberista che apre le porte agli investimenti delle multinazionali straniere senza curarsi della volontà delle popolazioni indigene e del rispetto della natura, nonostante tutto ciò, mons. Ramazzini vede alcuni segni di speranza, in particolare nella forte presa di coscienza delle popolazioni indigene, che si stanno organizzando per la salvaguardia dei loro diritti, nell’impegno degli operatori pastorali e sociali, che sul territorio collaborano anche con le attività della Chiesa per migliorare le condizioni di vita della popolazione, e nella grande solidarietà e nell’amicizia che sente sia nei suoi confronti sia del suo Paese.
Mons. Gerardi sosteneva che fino a quando non si conoscerà la verità le ferite del passato rimarranno aperte. Quasi facendogli eco, la giudice Barrios durante la lettura della sentenza di condanna a Rios Montt ha aggiunto: «Perché esista pace in Guatemala deve esistere prima giustizia».
Con il riconoscimento del genocidio, si può aprire una pagina nuova nella storia del piccolo Paese centroamericano.
Daniela Sangalli
curtatrice del blog Orizzonte Guatemala

3 maggio 2013

“La mia tesi? Un progetto per il Guatemala”

Laura Sarchi, neo-ingegnere, sogna di girare il mondo e unire tecnologia a cooperazione

Laura Sarchi si è laureata da una manciata di giorni, con il massimo dei voti, in ingegneria edile e architettura alla Facoltà di Ingegneria della nostra Università. Laura è di Sairano e la sua tesi, che ha avuto come relatrice Daniela Besana, è nata da un'esperienza speciale: l'Ordine degli Ingegneri, sempre particolarmente sensibile alle esperienze di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo, le ha pagato i biglietto per il Guatemala, laddove insieme all'Associazione Ains c'era bisogno di lei per progettare un centro di recupero nutrizionale nell'Aldea El Rancho. Sotto l'egida del suo Ordine, e in particolare di Marco Majocchi e Lorenzo Buratti che seguono da vicino i progetti di cooperazione internazionale, Laura ha avuto modo di collaudarsi “sul campo”, nello scorso mese di ottobre, e di redigere un progetto molto concreto per questo centro nutrizionale che avrà tra le numerose suefinalità soprattutto quella di garantire almeno un pasto caldo ai bambini più poveri. “E' stata un'esperienza veramente speciale – commenta Laura – che mi ha aiutata a crescere sia a livello professionale che mano, in una realtà molto diversa e anche complessa come quella guatemalteca”. Chiaramente progettare una struttura in un ambiente così differente dal nostro significa anche misurarsi con compeDiciamo che ho tenuto in considerazione soprattutto tre aspetti – spiega – innanzitutto che fosse adeguato al Guatemala, sia come utilizzo di materiali che come realizzazione di ambienti; quindi che puntasse sulla cooperazione concreta, pertanto coinvolgesse il personale del luogo e che quindi potesse essere realizzabile anche senza specializzazioni particolari; e infine, essendo un centro soprattutto per i bambini, che fosse effettivamente rivolto a loro con tutta una serie di attenzioni sia ralizzative che cromatiche”. Ecco dunque l'esperienza di Laura, che è confluita in questo progetto racchiuso nella sua tesi brillante e apprezzata. Una soddisfazione per lei e per tutti coloro, dall'Ordine sino ad Ains, che l'hanno seguita e sostenuta in questi mesi di lavoiro. Adesso ad attendere Laura c'è l'esame di stato, ma lo sguardo è già proiettato in avanti, al futuro. Come lo immagina? “Vediamo come evolverà la situazione – conclude Laura – certamente il mio desiderio sarebbe quello di viaggiare e vedere altre realtà diverse dalla nostra, proprio perchè mi piacerebbe mettere la mia professionalità e le competenze al servizio dei progetti di cooperazione. Si, sarebbe questo il mio vero sogno”. Soddisfazione viene anche espressa da Ruggero Rizzini, presidente di Ains: “Per un'associazione piccola come la nostra collaborazioni di questo tipo costituiscono senza dubbio un valore aggiunto molto importante. Per questo ringrazio Laura e soprattutto l'Ordine degli Ingegneri, che si rivela sempre molto sensibile ai progetti di cooperazione e che ci ha onorati del suo appoggio”.
tenze ed esigenze estremamente specifiche. Chiediamo allora a Laura quali siano stati i capisaldi del suo progetto. “
Daniela Scherrer
Il Ticino, venerdì, 3 maggio 2013

1 maggio 2013

Perché fare volontariato? Ecco 9 buoni motivi

di Gabriella Meroni


Decidere di impegnarsi gratuitamente per gli altri può dare una svolta alla vita, sia in campo lavorativo che personale. Non ci credete? Date un'occhiata a questa mini-guida per indecisi. E forse cambierete idea
Agli americani, si sa, piacciono le guide. Sono pratici, adorano la sintesi e gli schemi. Davanti alla domanda "perché mai dovrei fare volontariato", dunque, sono pronti a buttare giù un elenco di nove buoni motivi. Visto che, al di là delle semplificazioni, sono veramente ottime ragioni, ve le proponiamo (dal blog www.wisebread.com http://www.wisebread.com/9-unexpected-benefits-of-volunteering).

E' bene fare volontariato perché....
1. Sviluppa competenze
Fare volontariato permette di mettere alla prova sul campo i propri talenti, e di apprendere nuove competenze. Se si agisce insieme ad altri, come spesso capita, si possono mettere in comune le esperienze e imparare da chi già sa fare cose per voi nuove. Ovviamente le competenze acquisite si possono spendere poi nel resto della vita, sul lavoro, nel percorso di studi e in qualunque campo.
2. Dà un esempio ai ragazzi
Le nuove generazioni devono imparare il valore della gratuità, e voi potete contribuire a questo insegnamento. Facendo volontariato con i giovani, soprattutto con i bambini, potrete contribuire a migliorare il loro futuro concretamente; chi riceve aiuto gratuito è poi molto più propenso a fare qualcosa per gli altri, una volta diventato adulto.
3. Vi aiuta sul lavoro/1
Molti dei "colleghi" volontari che conoscerete potrebbero un giorno dare una mano anche a voi in campo lavorativo. E' sorprendente quanto possa essere utile il passa parola, soprattutto se siete alla ricerca di prima occupazione o di un lavoro migliore. Per di più questi compagni di volontariato vi conosceranno come una persona altruista, disponibile, estroversa ma anche pronta a lavorare sodo. E chi non assumerebbe un tipo così?
4. Vi aiuta sul lavoro/2
L'attività di volontariato potrebbe esservi molto utile anche se non cercate lavoro perché l'avete già. Le abilità che conquisterete attraverso l'esperienza solidale vi possono aiutare a migliorarvi anche nel settore lavorativo, e quindi a fare carriera. Tutti i datori di lavoro sono normalmente attratti dalle qualità di un leader, e scegliendo di fare volontariato avete già dimostrato di possederne un bel po'.
5. Fa risparmiare soldi
Vi piacerebbe dare una mano alla vostra associazione preferita ma non avete molto da spendere? Offrire il vostro lavoro in cambio di una donazione è molto più importante per l'organizzazione e molto più vantaggioso per voi. Non è necessario impegnarsi due o tre volte la settimana: basta anche solo aiutare in occasione di eventi speciali, fiere, vendite straordinarie. Bastano davvero poche ore al mese.
6. Aiuta a trovare nuovi amici
Non c'è modo più facile e interessante di farsi nuovi amici che lavorare per un'associazione di volontariato. Oltretutto si tratta generalmente di persone simpatiche, generose, disinteressate. Insomma, gli amici perfetti per chiunque.
7. Riempie la vita
Perché sprecare il tempo libero nei centri commerciali o davanti alla tv? Fare volontariato è molto meglio: si partecipa ad attività interessanti, si mettono in circolo le idee, si fanno nuove esperienze, si esce di casa! Molti volontari hanno visto riempirsi senza sforzo la loro agenda sociale in poco tempo, e si divertono molto più di prima.
8. Vi fa viaggiare
Potete fare volontariato per l'associazione sotto casa, o sceglierne una che lavora all'estero. In questo caso avrete l'opportunità di viaggiare e vedere nuovi paesi a costi contenuti, contribuendo inoltre a migliorare le condizioni di vita di popoli lontani. Anche il turismo sociale è un'ottima occasione per migliorare se stessi e il mondo.
9. Vi insegna a dire grazie
Uno dei regali migliori dell'attività di volontariato è che vi fa rendere conto di quanto siete fortunati rispetto ad altre persone. E per questo vi insegna a dire grazie e a smettere di volere sempre di più, all'infinito. Vi cambia la prospettiva: capirete cosa conta davvero nella vita e vivrete in modo più semplice, autentico e rilassato. E' sufficiente?

Tratto da: http://www.vita.it/non-profit/volontariato/perch-fare-volontariato-ecco-9-buoni-motivi.html