24 agosto 2011

Il regista vogherese che ci racconta l’altra parte del mondo

Filippo Ticozzi parla del suo ultimo lavoro in Guatemala del ruolo del cinema, della crisi delle sale e delle vacanze

Si chiama “Un cammino lungo un giorno” l’ultimo lavoro del regista vogherese Filippo Ticozzi.
In questo documentario i protagonisti della scena sono i bambini guatemaltechi, i loro pensieri, la loro vita.
Le interviste scarseggiano, la realtà e la naturalezza hanno la meglio.
Era lo scorso ottobre quando Filippo Ticozzi, Ruggero Rizzini , presidente di Ains (Associazione italiana nursing sociale) e Nicola Grignani, lasciarono l’Italia facendo rotta verso il Guatemala con l’obbiettivo di raccontare come si vive l’infanzia in quel paese.

“Un cammino lungo un giorno”, è ambientato in Guatemala, a El Poshte, un paesino sperduto cui si accede solo tramite un angusto sentiero, quindi è raro spostarsi. Un luogo simile può essere sinonimo di prigionia?
«Non credo. In realtà più che di prigionia può essere sinonimo di autoarchia: le persone che figurano nel documentario sono nate lì ed il vivere lontano dalle grandi città è una scelta personale. Non sentono il bisogno di spostarsi. El Poshte è si un villaggio povero, ma non riprende i tratti tipici delle più conosciute favelas sudamericane. E’ una povertà dignitosa dove non vi è alcun sintomo di esclusione. Credo che l’essere distanti dai grandi centri abitati sia la vera forza degli abitanti di El Poshte.I motivi per cui è stato scelto questo villaggio sono prettamente tecnici: per effettuare delle riprese è necessaria l’elettricità, che in altri villaggi sottoposti al vaglio mancava. Da lì la scelta di El Pasthe per il nostro documentario».
Il documentario racconta una giornata dal punto di vista dei piccoli. La scelta di questo soggetto vuole far avvicinare il mondo dei grandi al loro?
«L’idea è stata di Ains. Io sono stato contattato per realizzare un lavoro sui bambini del Guatemala. Il documentario è indirizzato ad un pubblico di giovani, ma è sicuramente una buona occasione per far entrare in contatto i due mondi. Sulla scena appaiono anche degli adulti, visti in alcuni momenti della loro quotidianità. L’esito finale è stato sorprendente:spesso alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” alcuni bimbi hanno risposto “da grande voglio lavare i panni, raccogliere la legna e cucinare”, dunque riprendendo quella parte di vita da adulti che loro vedono vivere ai genitori. I due mondi si incontrano».
Mino Milani si è espresso riguardo al cinema dicendo che tale attività consiste nel “narrare per immagini ritmando velocemente l’azione”. Qual’è la sua idea di cinema?
«Il reale è ambiguo, poliformo, tragico. Il cinema deve farlo risuonare».
Nel 2006 ha realizzato a costo zero il documentario “Lettere dal Guatemala”; nel 2008 con un budget ridottissimo ha scritto, diretto e montato il mediometraggio “Lilli” interamente girato in Oltrepo. E’ possibile realizzare lavori validi con budget ridotti?
«Ci si deve arrangiare. In un contesto in cui l’appoggio economico scarseggia, è necessario rimboccarsi le maniche e cercare di fare ciò che si può. Tuttavia, il grande pubblico non si raggiunge mai con produzioni indipendenti, e in Italia il mercato del cortometraggio è quasi inesistente».
In un ambiente cinematografico in cui spopolano Avatar, fantascienza e lotte spaziali, la realtà è ancora apprezzata o rischia di fare paura?
«Ci sono film, un tempo considerati di nicchia ed ora molto apprezzati, che interrogano la realtà. Pellicole come “La bocca del lupo” di Pietro Marcello, o ancora “Le quattro volte” di Frammartino premiato al Festival di Cannes. Vengono trattate storie di esuli interrogando la realtà, facendo si che il pubblico rifletta su ciò che vede e sceglie di vedere. Il reale viene totalmente esposto, ma il regista non è onnisciente e lascia spazio all’interpretazione del pubblico. In questo modo anche la comprensione viene agevolata».
A Pavia i cinema hanno chiuso in favore dei multisala. Cosa ne pensa?
«Vince la legge del mercato e nel caso dei documentari è spietata. Si sente spesso dire che a Pavia non c’è nulla da fare e ci si rassegna. Io ho avuto modo di proiettare i miei lavori grazie, ad esempio alla rassegna Sguardi Puri di Figazzolo. Sarebbe opportuno un maggiore lavoro di pubblicità, oppure sarebbe più adeguato informarsi, perchè le manifestazioni cinematografiche in città ci sono; fermo restando che sempre più spesso ci si sposta a Milano per vedere un film in sala».
Quale film avrebbe voluto girare?
«Più di uno. Sicuramente La ballata di Stroszek di Werner Herzog e Le quattro volte di Frammartino». Progetti futuri? «Ci sono ma sono ancora embrionali, dunque non preannuncio nulla. Non è certamente un periodo facile per le produzioni: o si fa qualcosa da soli, altrimenti è pressochè impossibile».
Vacanze estive: Italia, estero, o casa dolce casa?
«Sono stato all’ Elba per ragioni pratiche. Ho due bambine piccole e l’ideale per questa estate 2011 era la combinazione offerta dall’isola nostrana: vicinanza e relax».

Stefania Campari
la provincia pavese, 24 agosto 2011


Una giornata nel villaggio dei bambini

El Poshte è un piccolo villaggio sulle montagne del Guatemala. Non è molto lontano dalle città, ma l’unico modo per raggiungerle è un lungo e impervio sentiero, perciò raramente ci si sposta dal villaggio. La maggior parte degli abitanti sono bambini. Il documentario di 15 minuti ne racconta una giornata. Spiega Ticozzi: «Volevo raccontare una storia di bambini dall’altra parte del mondo per i bambini “nostri”. Per questo ho scelto una comunicazione elementare, che non significa povera, lasciando alle inquadrature lunghe il compito di aprire quel mondo senza interpretare e senza guidare troppo la narrazione. Ho voluto anche fare interviste, ma sempre ad “altezza bimbo”, cioè seguendo i piccoli, senza forzature, nei loro rapidi e naturali ragionamenti». Vogherese, 38 anni, Ticozzi ha scritto e diretto il mediometraggio Lilli (2008) e il cortometraggio Dall’altra parte della strada (2010), che hanno ottenuto diversi riconoscimenti nazionali e internazionali, è autore di documentari indipendenti e per la televisione, scrive su Pulp libri e organizza rassegne di cinema.

Stefania Campari
la provincia pavese, 2 agosto 2011

23 agosto 2011

"Un cammino lungo un giorno": il documentario

Un piccolo film, nato dalla collaborazione tra il regista pavese Filippo Ticozzi e AINS (Associazione italiana nursing sociale) sta portando i volti e le parole dei bambini del Guatemala per l’Italia e per il mondo. Lo scorso ottobre sono partiti da Pavia, Ruggero Rizzini, presidente di AINS, Filippo Ticozzi e Nicola Grignani con l’obiettivo preciso di raccontare l’infanzia del Guatemala ai “nostri” bambini. Il film, nato per essere visto nelle scuole, in pochi mesi è stato selezionato in 11 Festival nazionali e internazionali, arrivando fino in Russia e negli Stati Uniti, dove verrà presentato a novembre.

la provincia pavese, 19 agosto 2011

Sinossi

El Poshte è un piccolo villaggio sulle montagne del Guatemala. Non è molto lontano dalle città, ma l’unico modo per raggiungerle è un lungo e impervio sentiero, perciò raramente ci si sposta dal villaggio. La maggior parte degli abitanti sono bambini. Il documentario vuole raccontarne la giornata e i pensieri rimanendo ad “altezza bimbo”.

Biofilmografia
Filippo Ticozzi ha scritto e diretto il documentario Lettere dal Guatemala (2006), il mediomentraggio Lilli (2008) e il cortometraggio Dall’altra parte della strada (2010), che hanno ottenuto diversi riconoscimenti nazionali e internazionali. Per l’evento d’arte contemporanea Gemine Muse ha realizzato la videoinstallazione Testa di Vecchio+Testa d'Orientale (2009) e per la tv ha scritto e diretto la serie documentaria Il Paese Sottile (2008).


21 agosto 2011

Inverno, «Il Melograno» cerca sapone e dentifricio

INVERNO E MONTELEONE - RACCOLTA PRO-GUATEMALA
Una nuova battaglia a favore del prossimo: è quella intrapresa dal gruppo volontari Il Melograno di Inverno e Monteleone per la popolazione del Guatemala, in stretta collaborazione con Ains onlus di San Martino Siccomario. Per aiutare gli ospiti della casa di Mazatenango. Si tratta di una realtà la maggioranza della popolazione non ha accesso ai servizi essenziali; nelle zone rurali, le difficoltà aumentano, per la mancanza di strade ed infrastrutture basilari. Nell’area, una delle più arretrate del Guatemala, il tasso di mortalità infantile altissimo. L'81% dei bambini al di sotto dei 5 anni soffre di livelli più o meno alti di denutrizione. L’associazione «Il Melograno» si è impegnato a reperire spazzolini da denti, dentifrici e saponette per l'igiene personale. Fino al 31 agosto in Comune a Inverno ma anche nei negozi del territorio sarà presente un contenitore in cui sarà possibile depositare quanto si vorrà offrire. Aiutare queste popolazioni significa anche evitare infezioni, qui causa spesso di mortalità. Intanto i volontari de «Il Melograno» continuano anche con un altro impegno: la raccolta di tappi che finora ha permesso di donare molto a chi aveva bisogno. Per questo è possibile rivolgersi direttamente in municipio. (ch.riff)

la provincia pavese, 21 agosto 2011

PIÙ CITTADINI E MENO CONSUMATORI

Per vivere felici e solidali

Oggi veniamo considerati sempre meno cittadini e sempre più consumatori. Viviamo immersi in un sistema consumista che sta dominando totalmente la nostra realtà quotidiana. Considerato, oggi, da vari sociologi non più solamente consumista ma iperconsumista, facendoci approdare alla stagione degli ipermercati o shopping center. Qualche esperto lo definisce addirittura “consumerismo”, ossia tutto gira attorno ai consumi. Basti dare uno sguardo al documentario, chiamato “la storia delle cose” (lo si può vedere mediante you tube), per rendersi conto che siamo davvero di fronte ad un sistema tutto concentrato, dal mattino alla sera e da lunedì alla domenica, a farci girare attorno alle tante cose che bisogna prima di tutto desiderare e poi possedere.

Stiamo passando dai diritti e doveri del cittadino ai desideri e acquisti del consumatore. Il cittadino viene ridotto quindi ad essere solamente un tubo digerente che deve ingoiare sempre più prodotti, anche se non ne ha necessità, costretto addirittura ad ammalarsi di obesità.
É impressionante notare che nel mondo abbiamo circa un miliardo di ipernutriti e obesi, e quasi un miliardo di denutriti e affamati. È bene ricordare che la fame e l'obesità globali sono sintomi dello stesso sistema problema ed effetti dello stesso sistema iperconsumista, il quale fa ammalare non solamente le persone ma anche l'ambiente. Infatti, il consumatore viene legato dal supermercato alla fogna, ossia deve inghiottire avidamente una tale quantità di merci che poi vanno finire nella fogna, inquinando altamente l'ambiente e facendo ammalare la gente.
Come è possibile ridurre la persona umana ad un tubo digerente? Siamo di fronte ad una questione antropologica che deve preoccupare tutti e che deve darci coraggio per dire ad alta voce che la persona umana non può mai essere considerata un mero consumatore e basta. Questo significa distruggere la persona umana, strappandole il suo essere e costringendola a svolgere un ruolo che non gli appartiene e che conduce alla sua morte.
Questo sistema è arrivato fino al punto di esigere che ogni persona diventi un consumatore potente, altrimenti verrà denunciato come un consumatore difettoso, accusandolo di essere la causa della disoccupazione, perché non consumando in maniera potente riduce il PIL e blocca la crescita illimitata di questa economia di mercato, riducendo la produzione e quindi facendo licenziare i lavoratori.
No, non possiamo più accettare questo iperconsumismo che fa male a tutti: alla gente, all'ambiente ma anche alla stessa economia. Diceva bene un grande vescovo brasiliano, Mons. Pedro Casaldaliga, che questo sistema non è solamente omicida ma anche suicida.
Bisogna capovolgere la situazione: da consumatori a cittadini. Dobbiamo impegnarci per recuperare la cittadinanza che pone come priorità la vita del cittadino e non del consumatore.
Oggi c'è un lavoro prezioso di ricerca e di attuazione dei nuovi indicatori di benessere per non essere più sotto il regime dell'unico indicatore che è il prodotto interno lordo (PIL). Ecco allora il FIL (la felicità interna lorda) che pone la priorità sulla felicità della persona e non tanto sulla quantità di cose possedute e consumate. La felicità è frutto della dignità umana, ossia far crescere il cittadino con diritti e dovere. I diritti che rivelano le grandi esigenze e dimensioni della vita umana che non si possono emarginare e tanto meno eliminare. I doveri che sono i percorsi per poter custodire e globalizzare la dignità per ogni persona e ogni popolo, come cittadini del mondo.
L'economia di felicità esige che l'economia, oggi soprattutto la finanza, riprenda finalmente questa priorità della cittadinanza, per poter dare ad ogni cittadino il sufficiente che gli garantisca la possibilità di raggiungere tutti gli altri obiettivi fondamentali della sua vita. Come, per esempio, dedicarsi alle relazioni sociali e umane che sono essenziali per l'obiettivo della felicità della vita, senza più essere annegato nel mare del consumismo.
E allora, più cittadini e meno consumatori!

Padova, 7 agosto 2011
Adriano Sella
(missionario e discepolo dei nuovi stili di vita)
e-mail: adrianosella@virgilio.it





20 agosto 2011

Infermiere pavesi in Africa e Sudamerica con le onlus

Infermiere senza frontiere, dal San Matteo al mondo per un’esperienza di lavoro e solidarietà.
E rafforzare i ponti già esistenti tra Pavia e Guatemala, Senegal, Kenya e Togo. A partire col progetto “Interscambio culturale e professionale alla pari tra operatori sanitari” promosso dal Collegio infermieri della provincia di Pavia, Csv, Ains Onlus, associazione Pavia Asti Senegal, Canossiane Pavia e Federazione italiana laureate e diplomate Fildis saranno Cinzia Anacarani, del dipartimento di prevenzione medica dell’Asl di Pavia, Sabrina Storni, che lavora nel reparto di oncoematologia pediatrica al policlinico San Matteo, Federica della Fiore di Ematologia ed Eleonora Ragni. La prima a partire,a settembre per due settimane sarà Ancarani, 45 anni, di Pavia: «Andrò in Kenya, sul lago Turkana, con la Fildis – spiega – . Io mi occupo di prevenzione malattie infettive, e in Kenya la Federazione italiana donne laureate e diplomate ha un progetto di sviluppo locale basato sul turismo sostenibile. Andremo lì per osservare il contesto del villaggio e del distretto sanitario locale per capire quali possano essere i margini di collaborazione con le infermiere del posto e progettare percorsiu di educazione all’igiene e alla salute, in modo da rendere possibile il turismo».Ancarani, da sempre interessata alla prevenzione delle malattie infettive, ha di recente cominciato un progetto a Pavia sulla diffusione dell’Hiv-Aids, e porterà la sua esperienza sul campo africano, dove tubercolosi e hiv sono quasi endemici. Le altre partiranno tra ottobre e dicembre, per due settimane ciascuna. Ragni andrà in Guatemala con Ains, Della Fiore in Togo con le Canossiane, Storni in Senegal con il comitato Pavia Senegal.

(anna ghezzi)

La Provincia Pavese, sabato 20 agosto 2011

"Diario del saccheggio"- Solanas rilegge gli ultimi anni di storia argentina

Sin dall'inizio della dittatura militare, venticinque anni fa, l'Argentina e la sua gente hanno dovuto lottare contro la peggiore crisi economica e sociale vissuta da un paese in tempo di pace. L'Argentina, un paese che è stato prospero, ha dovuto lottare contro i traumi inflitti dal liberalismo sfrenato: grossissimi debiti nazionali, la corruzione politica ed economica e la rapina sistematica dei beni pubblici. Tutto questo è descritto da Fernando Solanas in un documentario che racconta come la sua patria sia giunta alle condizioni economiche disastrose in cui versa attualmente.

Com'è possibile che in Argentina, un tempo chiamata "il granaio del mondo", si soffra la fame? Com'è possibile che, in nome della globalizzazione e del più selvaggio neoliberismo, si siano fatte in silenzio più vittime di quelle provocate dalla dittatura militare e dalla guerra delle Malvine? Questo documentario dell'autore di L'ora dei forni è un atto di accusa contro i governi di Carlos Menem e Fernando De La Rua (costretto alle dimissioni dopo una sanguinosa rivolta popolare nel 2001); contro il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, loro complici; contro la mafiocrazia, spuria alleanza tra corporazioni politico-sindacali, potere giudiziario, banche, multinazionali e istituiti finanziari internazionali. Cineasta di intransigente coerenza, Solanas ha fatto un film pedagogico dove mescola cinetelecronache con riprese dal vivo; divide il resoconto in capitoli che, con la forza ossessiva di un martello pneumatico, illustrano il succedersi degli eventi, i tradimenti, i compromessi, le privatizzazioni trasformate in tristi svendite; contrappone gli astratti e sfarzosi scenari del potere con le immagini dei ragazzini che cercano da mangiare nella spazzatura. Orso d'oro alla carriera a Berlino 2004, il 70enne Solanas ha in parte curato anche fotografia e montaggio.



17 agosto 2011

progetto concime El Poshte

Cari amici di Ains, questa mia comunicazione contiene un nuovo microprogetto per El Poshte. Nelle scorse settimane ho avuto modo di parlare con le famiglie residenti nell’aldea le quali mi hanno informato che avrebbero bisogno di un certo quantitativo di fertilizzante chimico per migliorare e potenziare la coltivazione di mais e fagioli.
Penso che sarebbe utile insegnare loro a produrre concime organico attraverso la lombricoltura cioè l’allevamento di lombrichi.
A tal proposito vi inoltro il progetto relativo chiedendovi di valutarlo e di farmi sapere se lo potete sostenere e finanziare. Con il sostegno a distanza dei bambini e l'introduzione delle pecore El Poshte sta cambiando e già ora, la qualita' della vita è diversa, nettamente migliorata rispetto a qualche mese fa, quando siete venuti in visita.

Alvaro Aguilar Aldana


Relazione progettuale di Alvaro Aguilar Aldana
referente ains onlus in Guatemala

Dopo la costruzione dell’aula scolastica, della latrina utilizzata dagli studenti del villaggio (divisa per maschi e femmine), del sostegno scolastico-famigliare di 12 bambini e dell’acquisto di 13 pecore (donate 1 a ogni famiglia), durante l’ultima riunione di comunità a cui ho partecipato, mi è stato chiesto un aiuto economico per acquistare concime per migliorare e potenziare la produzione di mais e fagioli e di sottoporvi il progetto denominato “Potenziamento della coltivazione di Mas e fagioli”. Migliorare la coltivazione di mais e fagioli, alimenti base nell’alimentazione quotidiana di noi guatemaltechi, permette a chi lavora la terra di ottenerne una sufficiente scorta per tutto l’anno per il consumo famigliare e da' la possibilità di venderne una parte al mercato il cui ricavato viene utilizzato per acquistare altri beni di prima necessità come farina, zucchero, olio, fiammiferi, ecc, ecc. Regalare loro il concime non è sufficiente. Occorre insegnare la produzione di concime organico ricavato dalle foglie per poterlo integrare con quello chimico. Per fare ciò si è pensato ad un momento formativo (quattro incontri) sulla creazione e utilizzo del concime organico e chimico. Il concime migliora la produzione e conseguentemente il raccolto e la qualità della vita delle persone che usufruiscono di questo beneficio. Questo progetto è importante perché le famiglie che vivono nell’aldea hanno scarse risorse economiche per soddisfare i bisogni minimi primari.Attraverso questo aiuto si inizia un percorso che in un futuro non molto lontano porterà all’autosufficienza e allo sviluppo sia famigliare che comunitario. Questo microprogetto è stato proposto direttamente dalle famiglie del villaggio e, visto che noi pensiamo che lo sviluppo debba essere opera delle persone e non opera di aiuti solamente esterni, lo reputiamo importante in quanto esso è nato dopo una discussione tra la comunità. La realizzazione successiva sarà opera del lavoro delle stesse famiglie le quali necessitano di un primo aiuto per avviare l'impresa. L’aldea di El Poshte è completamente abbandonata dalle autorità governative guatemalteche e grazie all’aiuto di Ains ha potuto iniziare un percorso di crescita sia comunitario sia di dignità delle persone ivi residenti.

Preventivo di spesa

Il costo totale del progetto è di 857 euro ( pari a 10.025,00 quetzales) [cambio: 1 euro=11.7 qtz]

Così suddiviso:
15 sacchi di concime tipo 15-15-15: 333 euro ( 22,20 euro a sacco )
15 sacchi di concime tipo 20-20-0 : 353 euro ( 24 euro a sacco )
Due viaggi per trasportare il concime : 77 euro (38,50 euro a viaggio)
Quattro momenti formativi : 43 euro (10,75 euro a momento formativo)
Acquisto di materiale per i momenti formativi : 51 euro
Abono 15-15-15 Q 260,00 15 Q 3.900,00 (333 euro)
Abono 20-20-0 Q 275,00 15 Q 4.125,00 (353 euro)
Transporte de Producto Q 450,00 2 Q 900,00 (77 euro)
Capacitación Q 125,00 4 Q 500,00 (43 euro)
Materiales para capacitar Q 150,00 4 Q 600,00 (51euro)







Intervento di Ernesto 'Che' Guevara alla IX sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU dell'11 dicembre 1964 (parte conclusiva)

"...Come afferma la Seconda Dichiarazione dell'Avana: "Nessun popolo dell'America latina è debole, perché fa parte di una famiglia di duecento milioni di fratelli che soffrono le stesse miserie, sono animati dagli stessi sentimenti, hanno lo stesso nemico, aspirano tutti ad uno stesso destino migliore e godono della solidarietà di tutti gli uomini e le donne del mondo." Questa epopea che sta davanti a noi la scriveranno le masse affamate degli indios, dei contadini senza terra, degli operai sfruttati; la scriveranno le masse progressiste, gli intellettuali onesti e brillanti che sono così abbondanti nelle nostre sofferenti terre d'America latina. Lotta di masse e di idee, epopea che sarà portata avanti dai nostri popoli maltrattati e disprezzati dall'imperialismo, i nostri popoli sconosciuti fino ad oggi, che già cominciano a non farlo più dormire. Ci considerava come un gregge impotente e sottomesso e già comincia ad aver timore di questo gregge, gregge gigante di duecento milioni di latinoamericani nei quali il capitalismo monopolistico yankee vede già i suoi affossatori. L'ora della sua rivincita, l'ora che essa stessa si è scelta, viene indicata con precisione da un estremo all'altro del continente. Ora questa massa anonima, questa America di colore, scura, taciturna, che canta in tutto il continente con la stessa tristezza e disinganno; ora questa massa è quella che comincia ad entrare definitivamente nella sua storia, comincia a scriverla col suo sangue, comincia a soffrirla e a morire; perché ora per le campagne e per i monti d'America, per le balze delle sue terre, per i suoi piani e le sue foreste, fra la solitudine o il traffico delle città, lungo le coste dei grandi oceani e le rive dei fiumi comincia a scuotersi questo mondo ricco di cuori ardenti, pieni di desiderio di morire per "quello che è suo", di conquistare i suoi diritti irrisi per quasi cinquecento anni da questo o da quello. Ora sì la storia dovrà prendere in considerazione i poveri d'America, gli sfruttati e i vilipesi, che hanno deciso di cominciare a scrivere essi stessi, per sempre, la propria storia. Già si vedono, un giorno dopo l'altro, per le strade, a piedi, in marce senza fine di centinaia di chilometri, per arrivare fino agli 'olimpi' dei governanti e riconquistare i loro diritti. Già si vedono, armati di pietre, di bastoni, di machetes, dovunque, ogni giorno, occupare le terre, immergere le mani nelle terre che gli appartengono e difenderle con la loro vita; si vedono con i loro cartelli, le loro bandiere, le loro parole d'ordine, fatte correre al vento, per le montagne e lungo le pianure. E quest'onda di commosso rancore, di giustizia reclamati, di diritto calpestato, che comincia a levarsi fra le terre dell'America latina, quest'onda ormai non si fermerà. Essa andrà crescendo col passar dei giorni; perché formata dai più; dalle maggioranze sotto tutti gli aspetti, coloro che accumulano con il loro lavoro le ricchezze, creano i valori, fanno andare le ruote della storia e che ora si svegliano dal lungo sonno di abbrutimento al quale li hanno sottomessi.


Perché questa grande umanità ha detto basta e si è messa in marcia. E la sua marcia, di giganti, non si arresterà fino alla conquista della vera indipendenza per cui sono morti già più di una volta inutilmente. Ora, ad ogni modo, quelli che muoiono, moriranno come quelli di Cuba, quelli di Playa Girón; moriranno per la loro unica, vera e irrinunciabile indipendenza.


Ernesto Guevara de la Serna


 
tratto da: http://www.elgranma.altervista.org/articles.php?lng=it&pg=130

8 agosto 2011

Guatemala, la giustizia batte il secondo colpo

di Riccardo Noury


Con quasi 30 anni di ritardo, la giustizia batte un colpo in Guatemala, il secondo dell’anno. Con una condanna impressionante per quanto simbolica: 6060 anni di carcere nei confronti di quattro soldati.
Simbolica perché il massimo della pena è di 50 anni. Impressionante perché rende l’idea del massacro avvenuto nel 1982 a Dos Erres, nella regione settentrionale del Petén. Una delle stragi peggiori del conflitto interno che ha sconvolto per 36 anni, dal 1960 al 1996, il paese centroamericano.
Il 5 dicembre dell’anno ’82 del secolo scorso, un’unità speciale dell’esercito denominata Kaibiles occupò Dos Erres e, nel giro di tre giorni, torturò e uccise 201 uomini, donne e bambini prima di radere al suolo il villaggio. Molte donne e ragazze furono stuprate e diversi abitanti, compresi i bambini, vennero gettati nel pozzo del villaggio.Martedì 2 agosto gli ex soldati Manuel Pop Sun, Reyes Collin Gualip, Daniel Martínez e Carlos Carías sono stati condannati a 30 anni di carcere per ogni omicidio e ad altri 30 anni per aver commesso crimini contro l’umanità. Totale: 6060 anni a testa.
Potevano essere persino di più: il giudice che ha pronunciato il verdetto ha fatto riferimento a 201 vittime. Secondo i sopravvissuti (alla violenza e al tempo che è passato da allora), i morti furono 250. Nel 2011, l’allora presidente Alfonso Portillo aveva ammesso la responsabilità delle autorità risarcendo con una somma pari a 1,8 milioni di dollari le famiglie di 226 vittime.
Un quinto soldato che aveva partecipato al massacro, Gilberto Jordán, sta scontando una condanna a 10 anni di carcere negli Stati Uniti per aver violato le leggi sull’immigrazione. Quando uscirà dal carcere, dovrebbe attenderlo l’estradizione in Guatemala: ha confessato, infatti, di aver gettato un bambino vivo nel pozzo del villaggio.
Il massacro di Dos Erres riceve così un po’ di giustizia, sebbene tardiva. Chissà che questa sentenza non possa aprire la strada ad altri processi, anche nei confronti degli ufficiali che ordinarono l’operazione del battaglione Kaibiles. Considerando che nel conflitto interno 200.000 persone vennero uccise o fatte sparire e furono commessi oltre 600 massacri, specialmente nelle comunità native e rurali, la stragrande maggioranza dei crimini di allora rimane impunita.
Come i lettori ricorderanno, a giugno le autorità del Guatemala avevano arrestato l’ex generale Héctor Mario López Fuentes, accusato di aver programmato e ordinato genocidio e altri crimini contro l’umanità della comunità native maya nel 1982-1983.


articolo pubblicato su http://lepersoneeladignita.corriere.it/ l'8 agosto 2011

LE PERSONE E LA DIGNITÀ


E’ un blog sui diritti umani che nasce dalla collaborazione tra Amnesty International e il Corriere della Sera. Il nostro obiettivo comune è tenere lo sguardo fermo su quello che succede nel mondo, tra grandi crisi internazionali e fatti quotidiani nelle nostre città. Dalla libertà d’espressione al rischio di genocidi in luoghi dimenticati, dal traffico illegale d’armi alle violenze domestiche. Raccontando le storie di attivismo, coraggio e resistenza. Perché la candela accesa da Peter Benenson 50 anni fa resti un piccolo faro per chi naviga e combatte le ingiustizie.



1 agosto 2011

El Poshte cresce con piccoli progetti concreti!

El Poshte cresce con piccoli progetti concreti!
D'altronde che si può fare di diverso in una comunità che chiede aiuto se non dare loro fiducia, crederci e inviare denaro per creare sviluppo e benessere? Il bello è che i risultati ci sono e sono visibili: i bambini sostenuti scolasticamente vanno a scuola, le pecore crescono e si moltiplicano, le donne del villaggio si impegnano e, grazie a Filippo Ticozzi, il video "Un cammino lungo un giorno" girato l'anno scorso a El Poshte, viene proiettato in giro per l'Italia partecipando ai festival.
Che dire di più? Bene!!!!
E poi sabato scorso sono saliti a El Poshte Lucia e Massimo, due cari amici di Fano. Lucia è maestra elementare di sostegno mentre Massimo lavora per la Cooperativa Sociale Mondo Solidale ONLUS, una cooperativa di commercio equo radicata nelle Marche, composta da 16 Botteghe del Mondo e più di 3.000 soci, di cui 300 volontari e 5 lavoratori. Massimo segue, in Guatemala, il progetto del caffè EL BOSQUE (se non l'avete ancora comperato, fatelo e gustatevi il migliore caffè del mondo!) e, con la moglie, sono andati ad incontrare i soci lavoratori della cooperativa LA NUEVA ESPERANZA composta da piccoli produttori di caffè appartenenti alla comunità di El Bosque situata nel Municipio di Santa Curz Naranjo. Già che erano li, hanno fatto un "salto" a El Rancho e da, accompagnati da Alvaro, a El Poshte. La visita degli amici di Fano è stata anche l'occasione per portare alle famiglie dell'aldea i pacchi alimentare mensili di luglio ed agosto e gli stivali per i ragazzi e le ragazze dell’aldea che in quest’epoca di pioggia sono molto utili e necessari.




Desmond Tutu: «La nostra fame è colpa dei governi»

di Umberto De Giovannangeli, l'Unità

Un «Grande d’Africa» alza la sua voce per «quelli che non hanno più la forza per farlo»: le «sorelle e i fratelli della Somalia e del Corno d’Africa, i più indifesi tra gli indifesi». Alza la voce per lanciare un appello accorato alla Comunità internazionale perché agisca subito, «con determinazione e generosità» per salvare milioni di vite umane messe a rischio dalla carestia che sta segnando la regione dopo due anni di siccità. A parlare è Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace nel 1984, Arcivescovo benemerito della Chiesa anglicana a Città del Capo, eroe, assieme al suo amico di una vita Nelson Mandela, della lotta contro il regime dell’apartheid in Sud Africa.
«Vorrei poter dare un nome e un volto al mezzo milione di bambini che nel Corno d’Africa rischiano di morire di fame - dice Desmond Tutu - Ogni giorno, mentre noi stiamo parlando, nella sola Mogadiscio muoiono 6-7 bambini. Ognuno di loro è una entità unica, irripetibile. Non sono numeri, sono esseri umani». Il Nobel per la Pace è tra le personalità mondiali che hanno aderito alla campagna lanciata a giugno da Oxfam : COLTIVA. Il cibo. La vita. Il pianeta». Nello scritto che ha accompagnato la sua adesione, Desmond Tutu concludeva così: «Naturalmente molti governi e imprese opporranno resistenza al cambiamento delle loro modalità operative, delle loro abitudini, delle loro ideologie e del loro modo di perseguire il profitto. Dipenderà pertanto da noi – da voi, da me – convincerli, scegliendo alimenti che sono prodotti in modo corretto e sostenibile, riducendo al massimo la nostra impronta di anidride carbonica, schierandoci con Oxfam e pretendendo che le cose cambino. Non sarà facile. Ma non è mai valsa la pena lottare per niente di più importante». Un impegno tanto più vitale oggi, a fronte della caastrofe umanitaria in atto in Somalia e nel Corno d’Africa. «In tutto il pianeta - ricorda l’Arcivescovo anglicano - sono circa un miliardo gli uomini, le donne e i bambini che anche questa notte andranno a dormire affamati. Malgrado tutto, l’esperienza di tutta una vita mi ha insegnato che non esiste problema così grande da essere insolubile, né ingiustizia così radicata da non poter essere estirpata. E tra queste vi è la fame».

Le notizie che giungono dalla Somalia si fanno sempre più drammatiche. C’è chi parla della più grave catastrofe umanitaria oggi al mondo…

«Purtroppo è così. Nonostante l’impegno generoso, eroico, dei volontari delle Ong internazionali e delle agenzie delle Nazioni Unite, la situazione rimane gravissima. A rischio è la vita di nove-undici milioni di esseri umani. E a rendere ancor più devastante la situazione è il costo dei generi alimentari, del carburante, e i conflitti regionali che segnano l’area. Il mondo non può chiudere gli occhi di fronte a questa immane tragedia. Nessuno può dire: non sapevo, non potevo”. A cominciare dai Grandi della Terra. E’ a loro che mi rivolgo in primo luogo, ai Paesi ricchi che altre volte in passato hanno dato prova di generosità. A loro dico: Ricordate l’Africa!. L’Onu ha valutato che occorrono 1,4 miliardi di dollari per far fronte alla più stretta emergenza. Cosa sono, chiedo, di fronte al denaro delapidato in armamenti…Usare il denaro per salvare vite e non per spezzarle: quale miglior uso…Un appello sento di doverlo rivolgere anche alle nazioni dell’Africa: non indietreggiate. Diamo il buon esempio. Costituiamo la linea più avanzata di attenzione per i nostri fratelli, le nostre sorelle, i nostri bambini e parenti che si trovano in queste terribili difficoltà. Dimostriamo di essere uniti nella solidarietà, ciò ci renderà più forti e autorevoli nel mondo. La malnutrizione è diffusa a Mogadiscio, in una vasta area del centro e nel nord della Somalia, e tra i profughi somali che hanno attraversato i confini del Kenya, spesso a piedi, a centinaia di migliaia. Per tutti loro speranza significa vivere. Spetta a ognuno di noi garantirla. Fare appello ai potenti della Terra non significa in alcun modo delegare un impegno che deve riguardare ciascuno di noi. E’ un concetto a me caro, che ripeto spesso a quanti hanno la pazienza di ascoltarmi: fai la tua piccola parte di bene dove ti trovi; sono queste piccole parti di bene messe insieme che riempiono il mondo».
Quando si parla di carestia, di emergenza-fame spesso si fa riferimento a “catastrofi naturali”…

«Non sono d’accordo. La fame non è un fenomeno naturale, bensì una tragedia provocata dall’uomo. Non si ha fame perché non c’è abbastanza da mangiare, ma perché i meccanismi che trasportano i generi alimentari dai campi alla tavola non funzionano bene. I nostri governi dovrebbero addossarsene la responsabilità. Le loro politiche di governo e di amministrazione stanno favorendo un sistema fallito che offre benefici a poche industrie potenti e pochi gruppi di interesse a discapito di molti. Hanno speso miliardi di dollari per il settore dei biocombustibili e per i coltivatori a nord, ma hanno abbandonato 500 milioni di piccoli coltivatori che messi insieme sfamano però un terzo del genere umano. I governi, soprattutto quelli dei potenti Paesi del G-20, devono dare il via alla trasformazione, devono investire nei produttori poveri e assicurare loro il sostegno di cui necessitano per adattarsi al cambiamento del clima. No, la fame non è davvero un «fenomeno naturale».
I primi ad essere colpiti sono i più deboli tra i deboli: i bambini.
«È sempre così. Vorrei poter dare un nome e un volto al mezzo milione di bambini che nel Corno d’Africa rischiano di morire di fame. Ogni giorno, mentre noi stiamo parlando, nella sola Mogadiscio muoiono 6-7 bambini. Ognuno di loro è una entità unica, irripetibile. Non sono numeri, sono esseri umani. Di fronte agli appelli lanciati dalle agenzie Onu, dalle organizzazioni umanitarie, in molti, tra i potenti, rispondono facendo promesse. Una promessa fatta ai poveri è particolarmente sacra. È un atto di grazia e di grande autorità quando vengono fatti tutti gli sforzi per onorare questi patti. A volte, però, queste promesse restano tali. Ciò non deve accadere in questo terribile frangente. Una promessa fatta a un povero è particolarmente sacra. Non mantenerla è un peccato».


31 luglio 2011