1 novembre 2008

Il consumismo non sia più il nostro stile di vita!”

Tra commercio equo-solidale e consumo critico, a Pavia l’appello del missionario saveriano padre Adriano Sella

di Daniela Scherrer

Nuovi stili di vita è stato il tema attorno a cui si è sviluppata la giornata di sabato scorso a Pavia, in via Vercesi, presso le ex-serre comunali dietro al Collegio Borromeo. Organizzata dalla Cooperativa Sociale La Piracanta e dal Csv, insieme ad Ains e al Crea, l’iniziativa ha voluto costituire una sorta di percorso guidato attraverso alcuni esempi di nuovi stili di vita, ovvero le buone pratiche per un quotidiano consapevole.
Dai Gruppi Acquisti Solidali di Pavia all’incontro con Bruno Contigiani, il manager trasformatosi nell’ideatore della “giornata mondiale della lentezza” sino alle tante rappresentanze di associazioni volontaristiche che hanno dato vita al mercatino sociale, ai visitatori è stata data l’opportunità di incontrare concretamente alcuni esempi di nuovi stili di vita.
Ospite d’eccezione della giornata è stato padre Adriano Sella, missionario saveriano, autore di libri di successo tra cui “Una solidarietà intelligente”, e “Miniguida dei nuovi stili di vita”. Da lui sono giunti spunti di grande utilità per alcune riflessioni collettive e anche individuali.
Eccolo nell’intervista.
Padre Adriano, perchè solidarietà intelligente?
Partiamo da un dato positivo. In giro c’è tanta solidarietà, tanta generosità. Ma chi ne è protagonista deve anche chiedersi se ciò che fa davvero riesca a rimuovere le cause che generano il male. Altrimenti si rischia di alleviare la sofferenza, ma il male resta e la solidarietà rimane a un livello assistenzialista. Un po’ come quando prendi un antidolorifico perchè ti fa male un dente. Ecco perchè è importante dare intelligenza alla nostra solidarietà.
Quindi i nuovi stili di vita della sua miniguida sono una conseguenza della solidarietà intelligente?
Esattamente. Direi che ne sono la risposta giusta. L’esempio lampante di questi nuovi stili di vita è il commercio equo-solidale: qualcuno che faceva solidarietà intelligente ha capito che non bastava raccogliere fondi per aiutare i produttori nelle zone povere. Il problema era combattere il commercio gestito dalle multinazionali (che non sono più di duecento in tutto il mondo), che davvero genera ingiustizia. E così si sono cominciati a tessere contatti stretti con i produttori, impegnandosi a pagarli giustamente per il loro lavoro. Con questo sistema oggi milioni di produttori nel Sud del mondo sono usciti dalla miseria. Per sempre. Non sono ricchi, ma hanno di che vivere dignitosamente.
Lei sostiene apertamente che i nuovi stili di vita devono essere un processo di cambiamento che parte dal basso...
In questi anni abbiamo visto i risultati ottenuti partendo dall’alto... Appelli, trattati, protocolli...nel 2000 i Grandi del mondo si sono impegnati a dimezzare entro il 2015 la povertà del mondo. Siamo nel 2008 e la Fao recentemente ha fatto sapere che nel mondo ci sono 852 milioni di poveri. Anni fa erano 830 milioni. Per guarire il mondo dalla povertà basterebbe investire un po’ meno nel commercio delle armi, ma non accadrà mai. Capisce perchè bisogna partire dal basso? Prendo ancora ad esempio il commercio equo-solidale, avviato da un gruppo di giovani olandesi e oggi diffuso in tutta Europa.
Perchè li chiama nuovi stili di vita? Significa che non ci sono mai appartenuti? Noi abbiamo innati degli stili di vita prodotti dall’economia di mercato attuale. Tutta la nostra vita, se ci pensiamo, è strutturata in un certo modo. Basti pensare al consumo di acqua minerale in bottiglia, che vede gli italiani al primo posto nel mondo con il 97%. Mentre invece potremmo aprire il rubinetto e mettere quell’acqua, oltretutto molto più controllata, nella brocca di casa. E’ solo un esempio di come ormai la pubblicità abbia invaso la nostra vita e le nostre teste, creando uno stile che costa molto anche al nostro portafoglio.
Nel nome del consumismo...
Chiaramente. Il consumismo è il nostro stile di vita. Abbiamo sete e fame di consumo, anche perchè chi non consuma alla fine quasi si sente in colpa perchè non sostiene il prodotto interno lordo...Vede a che punto ci fanno arrivare? Quando sono tornato dall’Amazzonia, nel 2003, una delle prime notizie che ho sentito in televisione fu che in Italia un’alta percentuale di famiglie è costretta ad affittare un box per depositare ciò che non ci sta più in casa...Ho pensato che stavamo diventando tutti matti! Mediamente in Europa si calcola che ogni famiglia ha diecimila oggetti nella propria casa. Siamo schiavi delle cose e non abbiamo più tempo per le relazioni umane. Ma tutto ciò fa male a noi e anche al nostro portafoglio.
Ma come si può concretamente diventare protagonisti in prima persona di un nuovo stile di vita?
E’ una domanda che mi viene posta spesso. Che cosa possiamo fare noi così piccoli? I nuovi stili di vita si basano su cose possibili a tutti, quotidiane. Non siamo alla ricerca di eroi nè di santi. Un esempio concreto: tutti facciamo la spesa. Quando acquistiamo un prodotto siamo mossi dalla pubblicità oppure ci chiediamo anche che cosa ci sia dietro quella marca? Il consumo critico è un nuovo stile di vita, attraverso cui non si comperano i prodotti di una certa impresa che fa danni in giro per il mondo. Quando conosci cominci a cambiare e spesso cambia anche il tuo consumo.
Lei parla anche di nuovi rapporti con le persone. In che senso?
Oggi viviamo in una condizione di grande povertà relazionale. In Brasile la gente è povera, ma ha una grande ricchezza relazionale: sono accoglienti, sorridono tutti, i volti sono pieni di gioia. Ogni volta che tornavo in Italia, invece, mi colpivano i volti tristi della gente, neanche i bambini sorridono più. Si parla tanto, troppo di malattie psico-mentali, di antidepressivi, di suicidi: è il segno di un malessere forte.
Nuovo rapporto con la mondialità: che significa?
Stiamo costruendo una società multietnica. L’obiettivo di fondo deve essere quello di instaurare rapporti positivi con queste culture affinchè l’interscambio diventi reciprocità positiva. Dobbiamo vincere le resistenze che ancora oggi sono invece molto forti.

ADRIANO SELLA, missionario saveriano, nato a Gambugliano (VI) il 28 aprile 1958, ha conseguito la licenza di teologia morale presso la Facoltà Teologica di Sao Paulo (Brasile). Dal 1987 al 1989, durante l'esperienza pastorale nella diocesi di Vicenza, si è impegnato nel settore dell'emarginazione a favore degli immigrati, degli zingari e anche dal lato dei tossicodipendenti attraverso la comunità terapeutica di San Gaetano di Thiene. 
Dal 1990 lavora in Amazzonia (Brasile) in un grande territorio di 84.417 kmq, chiamato Sao Felix do Xingu - PA, dove ha svolto l'atività pastorale in questi anni, ha accompagnato la ricca realtà delle comunità ecclesiali di base, si è messo a fianco dei tanti contadini che rischiavano di perdere la terra a causa della forte concentrazione della terra nelle mani dei pochi ma grandi latifondisti e ha potuto apprezzare e difendere la cultura e la vita molto interessante degli Indios.

Ora faccio l'infermiere, in passato mi sentivo infermiere

Ruggero Rizzini, quindici anni tra le corsie, confessa scetticismi e delusioni legate alla professione

di Daniela Scherrer

Quarantun anni, infermiere professionale dal 1993 (“per scelta”, sottolinea), Ruggero Rizzini ha alle spalle quindici anni vissuti tra le corsie d’ospedale e tantissime esperienze accumulate in reparti diversi: Oncoematologia Pediatrica, Malattie Infettive, Medicina, Chirurgia Gastroenterologica e Mammaria al San Matteo, quindi anche qualche parentesi al Mondino e alla Maugeri.
Ora è tornato alla Clinica delle Malattie Infettive del Policlinico, dove attualmente presta servizio.
Ruggero, come mai tutti questi cambiamenti nel curriculum lavorativo?
E’ stata una mia scelta, perchè credo che per un infermiere non sia proficuo restare nello stesso ambito per tutta la vita lavorativa. Personalmente ho sempre considerato la mia professione legata a filo doppio alla possibilità di fare il maggior numero di esperienze possibili, affinchè si possa arrivare un giorno ad avere quella esperienza necessaria per poter quantomeno gestire nell’emergenza quasi tutte le situazioni.
Dopo sei anni alla Chirurgia Gastroenterologica e Mammaria sei tornato a Malattie Infettive. Perchè?
Ho voluto ritornare in una Clinica dove c’è il cosiddetto operatore unico, che significa la presenza contemporanea in reparto di due infermieri professionali. Per quanto mi riguarda ritengo infatti fallimentare l’esperienza vissuta al fianco dell’operatore di supporto e non sono d’accordo con la scelta di introdurre questo soprattutto in certi reparti delicati. In passato mi sono trovato a gestire da solo, sotto il profilo infermieristico, ventotto malati, potendo contare solo sul supporto di un operatore che mi dava una mano ma senza responsabilità precise.
Quindi è vero che voi infermieri siete troppo pochi per garantire un’assistenza di qualità?
Sono due le considerazioni che vorrei proporre. In primo luogo indubbiamente nei reparti mancano infermieri e siamo costretti a turni spesso veramente usuranti. Secondariamente, però, aggiungo anche che il personale a volte è mal distribuito. Ad esempio fatico a capire come mai gli ambulatori possono contare sulla presenza tutto sommato equa di infermieri professionali, mentre nei reparti questo non avviene. Forse perchè l’attività ambulatoriale alla struttura sanitaria rende di più rispetto a quella nei reparti? Certamente peraltro non investire a sufficienza sul personale infermieristico per un ospedale significa automaticamente non essere in grado di garantire un’assistenza di qualità.
Tu sei un infermiere turnista. Come funziona il sistema?
Il turno ideale, secondo me, è quello che io sto ad esempio effettuando a Malattie Infettive, ossia una notte ogni cinque giorni. Il ritmo è questo: pomeriggio dalle 13 alle 21, poi mattina e notte (7-13 e 21-7), quindi riposo per quella giornata e per la successiva. E dopo ricominci. Significa una notte ogni cinque giorni. Da altre parti invece l’infermiere fa la notte ogni quattro giorni. E comunque spesso i turni saltano e sei chiamato a coprire orari non tuoi, che costringono a un sovraccarico forte.
E’ vero che di notte l’infermiere fa poco e può anche dormire?
Chiaramente il ritmo è ridotto rispetto a quello del giorno. Innanzitutto sei chiamato a preparare il lavoro per il collega che subentra la mattina successiva e poi l’attività è soprattutto quella del soddisfacimento delle richieste dei pazienti che suonano il campanello. I ricoveri notturni fanno parte dell’eccezionalità. Però alla lunga la notte diventa usurante, anche perchè non è vero che puoi dormire tranquillamente. Io faccio l’infermiere da quindici anni e difficilmente ho visto colleghi dormire la notte. Al massimo puoi riposare un po’ e chiudere gli occhi mezz’oretta.
E’ cambiato il tuo modo di vivere la professione oggi rispetto a quindici anni fa?
Molto. Quando ero più giovane mi sentivo infermiere, oggi faccio l’infermiere. Non è la stessa cosa. Continuo a svolgere questa professione perchè comunque mi piace, ma non ho più così tanti stimoli e lo stesso interesse. Sono fortunato perchè al di fuori dell’ambito sanitario ho trovato una grossa valvola di sfogo, che è l’appartenenza all’Associazione AINS. Fare volontariato mi consente di recuperare serenità, ha migliorato la mia qualità di vita.
Perchè oggi sei più scettico riguardo alla tua professione?
A livello sociale credo che quelle di insegnante, medico e infermiere siano le professioni più utili in tutto il mondo, se ben svolte. Ma devo essere sincero: non credo che il lavoro dell’infermiere, così impostato, sia davvero utile. L’infermiere oggi si tira il collo tutto il giorno tra lavori di manovalanza e burocrazia, senza potersi dedicare a quella educazione sanitaria che sarebbe invece compito prioritario. Invece non riusciamo nemmeno più a trovare il tempo per parlare con il medico, con lo stesso paziente e con i parenti.
Infermiere e sofferenza, addirittura morte. Un incontro quotidiano, vissuto strettamente. Quanto incide questo a livello interiore?
Moltissimo. Anche sotto questo profilo mi rendo conto di essere cambiato con il passare degli anni. Oggi più di allora mi pesa il clima di sofferenza, di dolore che si respira tra le corsie. Ho 41 anni e mi rivedo nei malati che stanno male e che lentamente si spengono. Poi c’è anche la difficoltà nell’affrontare la disperazione dei familiari.
Non venite preparati anche psicologicamente all’incontro col malato e con i parenti?

No e questa secondo me è una lacuna. Non c’è alcuna preparazione nè alcun sostegno psicologico dato all’infermiere, chiamato ogni giorno a incontrare nei reparti dolore e morte. Almeno una volta al mese sarebbe invece importante poter avere un colloquio con uno psicologo, per potersi sfogare e anche confessare stress, paure e sofferenze interiori. Altrimenti il rischio in agguato è quello di andare in “burnout”, con conseguenze sia per se stessi che per il sistema sanitario perchè non si rende più sul posto di lavoro.

Grazie a una Cooperativa ho ricominciato a vivere

Lorena, 47 anni, racconta il suo passato difficile e ringrazia la Cooperativa La Piracanta per l’aiuto ricevuto

di daniela Scherrer

Ha il coraggio e la voglia di tornare ad affrontare la vita che solo una madre può avere, quando tira fuori le unghie pensando al futuro dei propri figli.
Lorena Bendinelli, 47 anni, due figli, non abbassa lo sguardo nel parlare del suo passato, che ella stessa definisce “pesante”. Tossicodipendenza. Depressione. Un uomo al fianco che distrugge corpo e mente. Marchi che si imprimono a fuoco sulla pelle e soprattutto nel cuore. Che ti fanno alzare da un letto improvvisato, la mattina, con un solo pensiero: come arrivare alla fine della giornata. Fino al momento che ti rendi conto che hai toccato il fondo e che devi assolutamente cominciare a risalire la china perchè sei una madre.
Così Lorena ha trovato la forza di reagire alle intemperie della vita. Ha cercato di rialzarsi anche se, senza un diploma e con il famoso “marchio a fuoco”, bussare alle porte e sperare che si aprano è molto difficile.
Invece Lorena ha avuto la sua occasione e l’ha colta al volo: per lei si è aperta la porta della Cooperativa Sociale La Piracanta, di cui è presidente Alberto Moggi. Un portone, si può dire, più che una porta. Perchè all’interno della Cooperativa Lorena ha trovato non solo un lavoro part-time, che le consentisse di riconquistare almeno in parte quell’autonomia perduta, ma delle persone che l’hanno presa in carico globalmente e con amore. Una parola sconosciuta per Lorena.
Il suo “tutor”, in particolare, è Giulia Dezza, volontaria alla Cooperativa, con la quale Lorena è riuscita a instaurare un rapporto di amicizia e di grande fiducia. “Io non pensavo potessero esistere persone così –sorride Lorena- Giulia, insieme agli altri, si è occupata di me come persona a tutto tondo. Per la prima volta mi sono sentita capita, ho realizzato che potevo aprirmi e fidarmi di qualcuno. Che potevo tornare a sentirmi viva e considerata”.

Lorena lavora nel negozio della Cooperativa, in corso Garibaldi, che vende oggettistica prodotta da Cooperative che impiegano soggetti provenienti dal mondo del disagio.
E’ stata assunta nel giugno 2007, dopo un periodo di prova di sei mesi con borsa lavoro. Quattro ore per cinque giorni alla settimana. E la Cooperativa, che al momento non può permettersi un’assunzione a tempo pieno, la sta anche aiutando a trovare qualche altra piccola opportunità lavorativa per arrotondare.
Lorena ora è riuscita ad affittare un appartamento. E’ piccolo, ma per lei è un gioiello, anche perchè è qualcosa di suo. Il segno tangibile di una vita che ricomincia, partendo proprio da un tetto sicuro sopra la testa. E dalla consapevolezza che al suo fianco ci sono persone di cui potersi fidare. Che la ascoltano e la aiutano in questo percorso di risalita, duro ancora oggi ma molto meno scosceso di un tempo. Giulia aggiunge: “La Cooperativa ha fortemente voluto una donna per questo lavoro, perchè crediamo che per il sesso femminile sia ancora più difficile ricostruirsi una vita dopo un passato difficile. Al di là delle pulizie o della catena di montaggio non c’è nulla. Soprattutto quando devi districarti anche nella gestione dei figli. E siamo molto contenti di Lorena, che addirittura a volte, quando c’è bisogno, resta in negozio a fare la volontaria. Il nostro obiettivo è quello di renderla responsabile di questo negozio, in maniera tale che a sua volta potrà un giorno diventare lei stessa “tutor” di un’altra persona da reinserire”.
Lorena sorride. La prospettiva le piace particolarmente. “Sì- ammette- perchè è proprio tale prospettiva a dare un senso alla mia vita di oggi. Io ho sbagliato tanto e questa è la mia occasione di riscatto, che desidero sfruttare al massimo per aiutare altra gente a non sbagliare, e soffrire, tanto quanto me. Ora sento dentro di me una grossa carica. E’ bellissimo alzarsi dal letto la mattina sapendo finalmente che cosa fare. E ricominciare a fare progetti per il futuro”.

Il seme di Nasiriyah, la speranza dalla tragedia

A cinque anni dall’attentato in un libro la splendida storia di Giuseppe Coletta, una delle vittime

di Daniela Scherrer

Nella prima mattinata di un tragico 12 novembre 2003 le violente immagini di guerra entrano prepotentemente nelle case degli italiani. Un camion bomba colpisce la base di Nasiriyah, in Iraq. I morti sono diciannove, tutti italiani: dodici carabinieri e quattro soldati dell’esercito. Il più grave tributo di sangue dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Dolore e rabbia si mescolano nella gente, anche perchè tutte le vittime erano in Iraq per una missione di pace: “Antica Babilonia”. L’intento era quello di ricostruire, di aiutare la gente a ricominciare dopo la Guerra del Golfo. Tra le vittime c’è anche Giuseppe Coletta, carabiniere, un uomo dal cuore grande ma anche gonfio di dolore, che ha scelto di andare lontano per aiutare i padri e le madri a non soffrire per la morte dei loro figli. Lui che ha provato sulla sua pelle lo strazio di perdere il suo Paolo, colpito dalla leucemia. Nel giorno stesso dell’attentato le immagini di tutti i telegiornali che scrutano nel dolore dei familiari delle vittime mostrano una donna che tiene in braccio una bambina di due anni e mezzo e che tra le mani ha il Vangelo. E’ Margherita Coletta, dice a tutti che lei perdona chi ha ucciso suo marito, perchè è questo che insegna Gesù. Quelle parole colpiscono al cuore la gente che ascolta i telegiornali e anche chi, per lavoro, è dietro a un computer e sta scrivendo a raffica per preparare la nuova edizione del giornale. E’ Lucia Bellaspiga, giornalista di “Avvenire”, che si ripromette di intervistare al più presto Margherita per raccontare quella straordinaria vicenda di fede. Così avviene, qualche giorno dopo Lucia incontra la vedova Coletta e tra le due inizia un rapporto di fiducia reciproca destinato a sfociare in amicizia. A tal punto che per cinque anni Margherita rifiuta cortesemente l’approccio con qualsiasi altro giornalista e decide di affidare proprio a Lucia Bellaspiga la storia del suo amore con Giuseppe. Nasce così “Il seme di Nasiriyah”, edito dalla Casa Editrice Ancora, in libreria da pochi giorni, testimonianza di fede e di perdono a meno di un mese dal quinto anniversario dell’attentato. Ne abbiamo parlato con l’autrice del libro, Lucia Bellaspiga, già autrice di altri profili di figure di alto spessore umano, come Carlo Urbani, il medico che sacrificò la propria vita per combattere la Sars.
- Partiamo dal titolo: perchè “Il seme di Nasiriyah”?
“Sono passati cinque anni da quando, a poche ore dalla perdita del marito e col Vangelo in mano, Margherita Coletta ripeteva che Gesù ha detto di perdonare il nostro nemico. Ancora di più ha elaborato il lutto e ha capito che dal dolore doveva nascere qualcosa di grande, facendo sua la frase evangelica “se il seme non muore non dà frutto”. Margherita ha visto nella strage di Nasiriyah questo seme che muore e ha creato l’associazione “Bussate e vi sarà aperto”, che nel nome di Giuseppe ha già salvato la vita a famiglie indebitate, a ragazzi malati, a popolazioni in miseria. Il libro che adesso ha scritto insieme a me è intanto il mezzo per diffondere questo messaggio di speranza e di positività e poi lo strumento per raccogliere tanti fondi, visto che tutti i proventi andranno alla sua associazione. Ora, ad esempio, è stato costruito un grande orfanotrofio in Burkina Faso e il denaro servirà a riempirlo di tutto quanto necessario per farlo funzionare. Ma al di là dei soldi credo che davvero importante sia il messaggio di Margherita, una donna che il giorno della strage parla già di perdono. E aggiungo che questa donna aveva da poco perso il suo bambino di sei anni, morto di leucemia. E allora l’altro grande messaggio che passa è quello della fede. Margherita parla di una sola certezza nella sua vita. Dio non sarebbe Dio se non fosse amore. E se Dio ama non può volere male, quindi Margherita non comprende perchè le mandi queste disgrazie però si affida e ai fida perchè sa che sono per un bene più grande. “Io e Giuseppe siamo ancora insieme –dice Margherita- solo che lui è andato in cielo con nostro figlio, io sono rimasta quaggiù con l’altra figlia. Ma non lo dice nè da esaltata nè parlando da alcun pulpito. E’ una donna normalissima, che a volte mi telefona piangendo perchè le mancano da morire sia il suo bambino che il marito. Non è che non soffra, però si affida e soprattutto non cerca di capire ciò che non si può capire”.
- E’ stato più difficile affrontare il lavoro dal punto di vista umano o professionale?
“Ti aspetteresti forse che ti dicessi umanamente. Invece rispondo professionalmente, perchè non trovavo la chiave per descrivere una storia gigantesca e, nel contempo, piccolissima. Qui non parliamo di un eroe (Giuseppe) e di una santa (Margherita). Parliamo di due persone normali, del Sud, con tutte le grandi difficoltà che hanno dovuto vivere crescendo in un paese piccolissimo, con un amore contrastato, con litigi perchè entrambi avevano un carattere molto forte. Tutto però vissuto in un contesto di amore vero: lei aveva dodici anni e mezzo e lui diciassette quando si sono fidanzati e non si sono mai più lasciati. E’ stato difficile riuscire a rendere lo spessore di una storia senza lasciarsi cadere nella banalità, nell’idealizzazione dei due protagonisti oppure nella retorica del grande amore tipo fiction o telenovela. Bisognava essere asciutti nel raccontare una vicenda senza aggiungere commenti personali. E questa è stata la difficoltà professionale.
Umanamente invece è stato tutto molto facile grazie a Margherita, perchè lei è di un entusiasmo contagioso. Ha solo la terza media, ma racconta la sua storia con una sincerità e una trasparenza che sono davvero trascinanti. Allora se tu come giornalista ti affidi a lei sei a posto. Ed è questo il motivo per cui in copertina, come autrici, figurano entrambi i nostri nomi: è vero che il libro l’ho scritto io ma i contenuti sono tutti suoi. E’ come se ci fossimo sedute insieme al computer: lei che dettava, io che scrivevo”.
- Com’è il rapporto tra Margherita e Maria, la figlia rimasta, che adesso ha sette anni e mezzo?
“Per una donna normale sarebbe stato ovvio parlare di Maria come dell’unica grande forza rimasta. Invece per Margherita non è così. La sua grande forza è il Vangelo vissuto ogni giorno e anche Maria rientra in tutto questo. Poi naturalmente è una madre che letteralmente adora la bambina, anche perchè è l’unica cosa che le resta di Giuseppe e tra l’altro Maria assomiglia molto al papà, ha gli stessi suoi occhi, atteggiamenti identici come la caparbietà. Anche la bambina adora la mamma, come tutti coloro che hanno dovuto fronteggiare una disgrazia è cresciuta molto in fretta, è già una piccola adulta e sa tutto della morte del padre perchè Margherita non le ha mai edulcorato la “pillola”. Il loro è un legame molto forte”.
- Margherita ha perso un figlio e il marito. Ha mai fatto paragoni tra i due tipi di dolore?
“ Io le ho chiesto un giorno se fosse vero che il dolore per la perdita di un figlio supera ogni altro dolore. Mi ha risposto che per lei non è stato così. “Quando ho perso Paolo –mi ha raccontato- ero annientata dallo strazio, però eravamo in due a sostenere questo nostro dolore. Un figlio, se è figlio dell’amore, è parte di entrambi e quando muore in due si reagisce stringendosi ancora di più. Invece quando è morto Giuseppe ho avuto la sensazione di dover sopportare da sola un dolore che era peggio di una montagna caduta sopra di me”. L’unica cosa che ha potuto fare è aggrapparsi alla Croce e da lì è rinata”.
- Quali sono i messaggi forti che speri i lettori riescano a cogliere dal libro?
“Quelli che io stessa cerco di cogliere dal libro e dalle parole di Margherita. Innanzitutto l’invito a non avere paura. Personalmente ho molta paura del dolore, della sofferenza, ho il terrore di ciò che può capitare nella vita e di non essere in grado di superare una disgrazia. Ho conosciuto una donna che ha saputo reggere i dolori più grandi che possano capitare nella vita perchè si è affidata a Qualcuno di più grande. Ecco allora che il messaggio che spero arrivi è quello di non disperare mai nella vita perchè c’è sempre Qualcuno che può sorreggerci nel momento del bisogno. L’altro messaggio è il non vivere per noi stessi. Giuseppe ha cominciato ad andare lontano rischiando la vita dopo la morte di Paolo, ha sentito il bisogno di andare in quei posti dove la gente vive l’inferno sulla terra e dove i bambini muoiono continuamente perchè non ci sono incubatrici, soluzioni fisiologiche nè medicine. Lui da lì scriveva lettere disperate, si faceva mandare camionate di aiuti, organizzava staffette di aerei e camion da ogni parte dell’Europa. Queste erano per lui le missioni di pace. Diceva che doveva fare qualcosa perchè altri genitori non piangessero per la morte dei loro figli. E’ un invito a ricordarsi che il mondo non finisce tra le pareti di casa nostra e del nostro ufficio”.
- Prefazione e postfazione sono affidati a due grandi giornalisti: Toni Capuozzo e Ritanna Armeni...
“Mi dai l’occasione di ringraziare questi due grandi giornalisti: uno è l’inviato di guerra Toni Capuozzo, l’altra è Ritanna Armeni, donna non credente, di sinistra, quindi di posizioni diametralmente opposte. Dopo aver letto il libro ha scritto un testo bellissimo ripetendo tre volte “Io da non credente non avrei mai immaginato che fosse possibile una storia simile.” E Toni Capuozzo scrive: “C’è molto male in giro, ma anche il bene sa essere contagioso”. E’ un po’ la chiave del libro. Anche solo aiutare una persona in crisi fa capire che è valsa la pena scrivere questo libro. E Margherita sta già ricevendo lettere e mail di questo tipo. I giovani non hanno più esempi da seguire: c’è chi vuol fare la Velina, chi si innamora di Fabrizio Corona perchè è il massimo della vita, chi scrive lettere in carcere a Erika e Omar perchè hanno ammazzato e quindi sono eroi. Ma quando tu presenti queste figure esemplari, credimi, alla fine i giovani si innamorano veramente di loro”.

12 ottobre 2008

a San Martino Siccomario il 4 ottobre

di Concetta Malvasi

Sabato 4 ottobre a San Martino Siccomario come AINS abbiamo organizzato un incontro con altre associazioni di volontariato, che sviluppano i propri progetti di solidarietà in Guatemala, per conoscerci sapere di cosa ci occupiamo ed eventualmente collaborare insieme su progetti.
Ruggero ha avuto una serie di comunicazioni scritte con due associazioni che ha trovato navigando in internet, le due associazioni sono “gli amici di Rekko 7” e “S.O.S. Guatemala.
Il Gruppo “Amici di Rekko 7” di Ravenna è un’associazione di volontariato con sede a Ravenna, E’ una “ONLUS”, cioè un’associazione non lucrativa di utilità sociale. Ossia, i membri dell’Associazione non ricavano alcun utile dai proventi delle attività svolte e dalle donazioni ricevute, ma tutto viene devoluto in ulteriori attività di solidarietà e di aiuto. Il Gruppo è nato per sostenere il “Centro de Ayuda sanitaria Rekko 7” di San Pedro Yepocapa (Chimaltenango – GUATEMALA), in collegamento con l’organismo missionario laico “Rekko, Terza Età per il Terzo Mondo”, per contribuire alla conoscenza, a Ravenna e in Italia, della realtà guatemalteca.
S.O.S. Guatemala è un Comitato Spontaneo nato a Rivalta nel 1999.
Dopo il passaggio dell’uragano Mitch (1998) in Guatemala, Don Piero Nota, missionario in un quartiere di Città del Guatemala, comunità della parrocchia “Cristo Nuestra Paz” (situata nella colonia de El Limon, alla periferia di Città del Guatemala), invia una richiesta di aiuto. Alcune persone, famiglie, scuole, associazioni, parrocchie di Torino e di paesi della provincia, hanno risposto all’appello mobilitandosi attraverso una raccolta fondi
Il 13 dicembre 1999, a Rivalta, si costituire il Comitato “S.O.S. Guatemala” che adotta il progetto “Un pasto al giorno per le bambine e i bambini di El Limon” elaborato da don Piero e dai suoi collaboratori. Gli obiettivi del progetto sono stati::
1 - di garantire la colazione e il pranzo a circa 150 bambini in difficoltà;
2 - di garantire loro un sostegno scolastico, educativo e formativo;
3 - di costruire due fabbricati in muratura dove poter ospitare le mense. Il primo, nell’insediamento di Esquipulas, è stato terminato nel 2001; il secondo, nell’insediamento della Candelaria, nel 2004.

L'incontro è stato molto interessante e vivace.
Di seguito le mie impressioni.

Don Piero

Sabato, a San Martino
ci incontriamo con questi nuovi amici
c'è lui
Don Piero....
viso smunto, voce flebile, esitante e leggermente roca
capelli radi, pettinati all'indietro
atteggiamento dignitoso
attento a tutto ciò che lo circonda
ha rughe profonde
negli occhi, dietro due lenti spesse, lampi di curiosità...
ci parla del Guatemala, della sua attività
“.....Gesù non voleva una conversione alla religione, ad una chiesa
gesù chiedeva fiducia nel padre...
io non sono andato a convertire le persone
io sono andato a vivere con la gente
povero tra i poveri..
i poveri, in tutto il mondo
sono quelli che hanno meno e che spesso sono costretti ad essere banditi...
io sono arrivato là
ho fatto piccole assemblee con la gente della parrocchia
per cercare di capire quali fossero le necessità ed i vari bisogni
ed insieme dare le risposte....
il programma di lavoro
va costruito dal basso
la democrazia sta alla base delle nostre azioni...
è nata la nostra comunità di base..”
ed io che non sono credente
mi riconosco in questo uomo
che parla di rispetto,di solidarietà, tolleranza e democrazia.
Padre Pedro
ci racconta l'aiuto ricevuto dagli amici torinesi
dei soldi raccolti per fornire un pasto al giorno
ai bambini del limon
e poi tutto il lavoro fatto
per educare la gente ad una dieta migliore,
....ad una vita responsabile...
ma è stato costretto a scappare
e non si tratta di bravate di qualche balordo
ma le minacce delle “maras” (le bande di gangster diffuse in tutto il Centro-America)
che non scherzano.
Un centro sportivo, un asilo, una mensa che dà da mangiare ogni giorno
a centinaia di bambini del “barrio”, un ambulatorio, un doposcuola,
ecco tutto quello che ha dato fastidio
con queste attività, e soprattutto con la tenacia e i valori di una vera famiglia,
Don Piero ed i suoi amici Mario, Gladis e loro figli
ogni giorno toglievano ragazzi dalla strada e
li sottraevano alla manovalanza......
ai signori del crimine...
Si sente nella voce
rabbia e nostalgia
ma
lui
non si arrende, oggi, qua, anche in Italia
c'è bisogno...
e intanto parla con noi
e con le persone che sono venute ad ascoltarlo
oggi è un giorno stupendo
un giorno speciale
siamo uniti, ci riconosciamo
e sappiamo che
il cambiamento, la dignità di essere uomini e donne
passa anche per questo piccolo grande incontro
a san martino.....

22 settembre 2008

Ains compie 10 anni. A novembre si riparte di nuovo

di Emanuele Chiodini

Ains compie dieci anni. Dieci anni di ottimismo. Per questo anniversario non sono in programma particolari celebrazioni. Non è nostra abitudine perdersi in particolari forme cerimonialistiche o indire feste di compleanno. Semplicemente, proseguiamo sulla strada tracciata e avviata. Una strada iniziata dieci anni fa da Ruggero, Claudia, Silvestro, Luca, i cominciatori, gli esploratori di una realtà, il Guatemala, ai più sconosciuta o, se vogliamo. appositamente dimenticata dall'Occidente, dal profondo ed egoista Nord del mondo dove tutti noi abitiamo. A loro va reso un grande merito, va reso l'onore che si deve, al di là e al di fuori delle feste di rito. Non è cosa di tutti i giorni decidere, in un momento particolare della propria vita, di prendere e andare a vedere cosa succede, per esempio, in un villaggio situato in uno dei paesi più poveri dell'America Latina. Certo, in principio gli stimoli di don Renato .e della Fondazione Piccini di Brescia sono stati, a loro modo, molto importanti. Ma chi avrebbe immaginato al momento della "decisione" cosa sarebbe successo dopo? E' stato così aperto un varco, divenuto poi sentiero che negli anni a seguire si è trasformato in una strada carrabile, la quale ha condotto molte persone a conoscere il Guatemala sia direttamente (recandosi sul posto fisicamente) che indirettamente attraverso pubblicazioni, letture, articoli, incontri. Da un nucleo di soggetti iniziatori è sorta poi un'associazione grazie - in particolare - alla forza di volontà di Ruggero con lo scopo di dare stabilità, continuità e credibilità ai progetti che vengono proposti all'attenzione di tutti i nostri sostenitori qui in Italia. Ains è un piccola realtà associativa al cui interno convivono persone che non la pensano tutte allo stesso modo, non uniformate ad un pensiero unico; ciò non toglie che tutti condividano la dinamica del fare indirizzata unicamente alla buona riuscita delle iniziative di solidarietà concordate con i nostri ( e ormai conosciutissimi) referenti in Guatemala. In dieci anni il gruppo di Ains e' cresciuto. Alcuni si sono persi per strada, nuovi volti e nuove coscienze sono arrivate, nuove amicizie si sono costruite. Tutti appassionati, tutti però accomunati da un identico denominatore di speranza (come i cominciatori dell'avventura) costruito giorno dopo giorno per essere offerto alle sofferenze quotidiane di popolazioni a cui non è ancora stata riconosciuta l'affermazione della propria dignità e che noi abbiamo saggiato da vicino. Il decennale dunque lo festeggeremo a nostra immagine. In primis partendo di nuovo. Un viaggio è programmato dal 7 al. 23 novembre.Si imbarcheranno Ruggero (ma questo è scontato...) e tre amici dell'associazione "Cuore clown" che hanno deciso di condividere questa originale esperienza di amicizia transoceanica. Se tutto va bene, se tutte le coordinate corrisponderanno, a gennaio 2009, dovrebbero ripartire nuovamente Emanuele, Giulia e, ovvio, ancora Ruggero. In secondo luogo tutti gli interessati sono invitati ad un momento di riflessione comune che si terrà a San Martino il giorno 4 ottobre 2008, nel primo pomeriggio, presso la sala della biblioteca comunale: in questa occasione avremo il piacere di ascoltare la grande esperienza di don Piero Nota che ha prestato il proprio servizio sacerdotale e missionario per diversi anni in un dei quartieri più difficili, il "Limon", di Città del Guatemala. Sarà un momento molto importante in cui metteremo a confronto le nostre idee, i nostri progetti e in cui metteremo in discussione anche noi stessi. Giusto per ricordarci che nessuno ha la verità in tasca e che bisogna essere sempre aperti all'ascolto e all'approfondimento. Dulcis in fundo, un appuntamento di festa è programmato: sabato 11 Ottobre presso il teatro "Mastroianni" di San Martino verrà organizzata e proposta alla cittadinanza una serata musicale il cui ricavato, a noi devoluto, verrà impiegato per la realizzazione di un progetto specifico sempre legato al circuito di solidarietà targato Ains. Ains compie dieci anni. Dieci anni di ottimismo. Dieci anni di piccola ma costante concretezza. Continuate a sostenere le nostre idee e i nostri sogni. Questo il nostro biglietto da visita.

Linea diretta col Guatemala: due lettere a noi indirizzate e pervenute alcune settimane fa scritte da Madre Antonieta Leon Coloma

Ecco la prima:

"Ringrazio l’associazione Ains Onlus per l’aiuto offerto alle bambine e alle ragazze della Casa Santa Maria del Gesù di Mazatenango. Invio questa piccola relazione circa lo stato di salute delle nostre ospiti. Nella Casa esiste un regolamento interno nel quale è contemplato che (per il buon funzionamento della struttura) le ragazze, coadiuvate da giovani consorelle, ruotino e svolgano tutte le mansioni previste affinchè imparino a realizzare tutti quei piccoli compiti attinenti alla vita della Casa stessa. Ogni settimana si compra verdura, carne e altri alimenti che si utilizzano durante lo stesso periodo. In questo modo si riesce a garantire un accettabile livello dello standard nutrizionale dei pasti somministrati. Quando bambine e ragazze entrano alla Casa, generalmente non godono di uno stato nutrizionale sufficiente. Migliorando l'alimentazione dopo circa tre mesi si possono osservare cambiamenti radicali nel loro equilibrio psico-fisico. Alle ospiti della Casa viene fornita una assistenza medica per mezzo di due medici sposati e benefattori dell'Hogar. Grazie al loro sostegno e con gli strumenti previsti dal progetto di salute recentemente approvato dalle autorità locali vengono effettuate vaccinazioni, esami, si prescrivono ricostituenti e vitamine; si stabilisce inoltre una corretta dieta a base di latte, uova, frutta, cereali e altri alimenti procurati anche con il loro aiuto.Col tempo si sono potuti migliorare alcuni ambienti dell’edificio per permettere una migliore convivenza di tutte noi, suore e ragazze, durante i pranzi. Stiamo cercando di sfruttare i terreni intorno alla Casa per organizzare una serie di coltivazioni da cui trarre prodotti naturali come: banane, castagne, yucca, cacao, chipilin(una verdura silvestre), carambola e limoni. Questa operazione va inquadrata in un tentativo di limitare le dipendenze economiche della Casa per l'aquisto dei generi alimentari provenienti della terra. Nuovamente esprimo a voi tutti la mia gratitudine. Vi aspettiamo a novembre in modo tale che possiate verificare i frutti del vostro aiuto. Molte grazie per il vostro aiuto a favore dei bambini del Guatemala. Questa Casa manda un saluto fraterno a tutti i nostri amici, Ruggero, Giulia, Claudia, Emanuele, Elisa, Maria Grazia, Conchita, Silvestro, Taqui e a tutto il gruppo dei Clawns e anche a tutti coloro di cui non ricordo il nome ma che sono e rimangono nei nostri cuori

Dio vi benedica sempre , Madre Maria Antonieta León Coloma


Ecco la seconda:

Grazie all’aiuto dei nostri amici italiani di Ains, abbiamo ricevuto il sostegno economico per assistere psicologicamente le bambine della Casa. La dott.ssa Clarissa (una giovane laureata in psicologa) è l’incaricata ad assistere le bambine e di seguire il loro processo di crescita psico-fisica. Le bambine arrivano alla Casa per differenti motivi.Tra questi: abuso sessuale da parte del padre, del padrino o dello zio; maltrattamenti famigliari in genere; abbandono (bambine orfane),povertà o altri fattori socialmente rilevanti. Si stabiliscono sessioni di gruppo o, a seconda dei casi, sessioni individuali.Si è creato un ambiente di fiducia, responsabilità, perdono e risanamento delle ferite che avevano generato, a suo tempo, un alto livello di aggressività nelle bambine. Si sono stabiliti periodi di vacanza durante i quali le bambine possono fare rientro, laddove si presenta una situazione familiare normale e sotto controllo, alle loro abitazioni originarie. Durante l'anno scolastico si opera per stimolare in loro l’amore per il lavoro, lo studio, l’arte, la musica e lo sport. Le attività dela nostra Casa sono state anche riprese dalla televisione del Guatemala. Bambine e suore, nell'occasione, hanno spiegato i programmi didattici e di formazione che vengono perseguiti all'Hogar. Questi gli obiettivi raggiunti:una autostima equlibrata Un atteggiamento piu docile, aperto, altruista, suffragato da sani ideali e da chiari obiettivi da raggiungere Si sono sviluppati valori quali, spirito di servizio, altruismo, solidarietà e fratellanza. Si è registrato un miglioramento nello studio. Le ragazze hanno compreso l'importanza di specializzarsi in una professione specifica che permetta loro di realizzarsi culturalmente ed economicamente Giova infine ricordare che alcune ragazze che hanno subito gravi abusi devono sostenere una serie di colloqui e udienze presso i dipartimenti di giustizia. Questi fatti provocano in loro, spesso, traumi molto forti. Per cui, in questi casi, si lavora molto su temi come: La famiglia, la dignità della persona, la sessualità, l’amore per Dio e il perdono, i valori , la personalità (temperamento e carattere), la leadership positiva , la società, l’autostima , libertà e dissolutezza , il lavoro e lo studio. Sono tematiche che a loro interessano e che sono trattate per favorire la loro crescita integrale. A nome delle bambine e delle ragazze della Casa, ringrazio profondamente tutti voi per il grande affetto che ci donate e ho fiducia, spero e prego perche' Dio vi ricompensi il cento per uno di tutti i vostri sforzi.

Con Gratitudine, Madre Antonieta León Coloma.

Nostra intervista ad Alvaro Aguilar *

(*) Dirigente dell'organizzazione CFCA Guatemala e referente AINS

Chi e'Alvaro Aguilar?

Alvaro Aguilar è un laico impegnato nel sociale con le persone povere delle aree del Guatemala. Specificamente nel dipartimento di El Progreso, Izabal, Chiquimuka, Baja Verapaz e Alta Verapaz. Mi dedico al lavoro di promozione sociale dall’anno 1990,quando cominciai a lavorare nella Parrocchia San Josè. In modo particolare ho seguito l’evoluzione e le necessità del Liceo San Jose e dei progetti come la clinica San Josè,la Guarderia San Josè (che tutt’ora non funziona)e il progetto di protezione del CFCA e ora collaboro con i progetti di Ains.Ho deciso di non sposarmi per dedicarmi unicamente alle necessità delle persone povere del mio territorio che hanno bisogno del nostro aiuto per andare avanti.Sono già molti anni che lavoro e il mio unico sogno è aiutare le persone con progetti di cooperazione.Sono del Rancho e per questo mi interessa lo sviluppo della realtà in cui vivo ma anche delle altre comunità.

Quale è la tua occupazione nel Cfca? Sei l’incaricato di cosa? Spiegaci per favore in cosa consiste concretamente il tuo lavoro.

Nel Cfca sono il Coordinatore regionale dei progetti di patrocinio e adozione scolastica organizzati nei cinque dipartimenti. Raggiungiamo quasi 12,000 famiglie (bambini e anziani) attraverso il suddetto patrocinio. Monìtoro e accompagno il lavoro dei 54 membri del personale Cfca nella Regione e sono incaricato del buon funzionamento delle attività della regione stessa.Il mio sogno è la creazione di piccole imprese famigliari e vado alla ricerca di organizzazioni come Ains per dare un appoggio ulteriore a quello del patrocinio che offre il CFCA. Aiuto nel lavoro alla Clinica,alle scuole medie e alla scuola della Champas. Mille usi, diciamo qui in Guatemala.

Sono molti anni che Ains collabora con le suore del MCMI e nello stesso Rancho.C’è una collaborazione tra CFCA e la congregazione? Quali i valori?

CFCA è una organizzazione internazionale che Madre Antonietta coordinava nella nostra Regione. Quando la madre se ne andò dal Rancho,l’organizzazione mi affidò il coordinamento che ho cercato di portare a capo facendo del mio meglio perchè tutto andasse bene. Io collaboro con la congregazione MCMI perchè intervengo nelle attività della scuola, dell' istituto della Champas e con il liceo San Josè. Presto il mio aiuto anche nelle questioni amministrative della Clinica. Esiste una relazione diretta tra la Congregazione e CFCA anche perchè aiutiamo alcuni bambini e le loro famiglie attraverso la distribuzione di generi alimentari e altri benefici; bambini che studiano nella Scuole, alle medie o che si servono dell’ambulatorio che è finanziato dal Cfca. C'è poi un grande affetto verso le suore dato che le conosco quasi tutte. I valori che professiamo sono molto semplici ma impegnativi: spirito di servizio, altruismo, rispetto della dignità della vita umana, solidarietà, senso della comunità, condivisione.

Iniziando dalla situazione generale del Guatemala, ci può dare una panoramica generale della situazione economica e sociale dl Rancho?

Il Rancho è una comunità dove ci sono molti problemi da risolvere. Crediamo che l’educazione dei bambini sia importante per cambiare le cose.La diserzione scolaristica è un indice molto alto,dovuto al fatto che i bambini o i giovani devono iniziare a lavorare ad una età molto giovane e si recano perlopiù nelle Champas, dove vendono generi alimentari.Questa situazione è dovuta anche alla disintegrazione della famiglia che è un dato molto diffuso in Guatemala. Il rincaro dei prodotti a livello generale fa si che le famiglie non mandino i figli a scuola. Le fonti di lavoro sono unicamente nelle segherie, nelle aziende della trasformazione e lavorazione del limone e nella vendita di generi alimentari. Il lavoro è scarso e mal retribuito. C’è anche un cattivo uso delle risorse economiche: molte famiglie hanno figli o genitori alcolizzati, si spende in cose non necessarie come il cellulare, per non parlare poi delle frequentazioni ai numerosi postriboli.

Come si potrebbe misurare l’importanza in questo luogo della scuola S.Josè.

In una comunità dove i valori fondamentali si perdono, c’è il liceo San Josè, amministrato dalle suore che non solo ha informato ma anche formato bambini e giovani per il futuro della nostra città e del nostro Paese.Si è ravvisata questa necessità perchè alcune altre scuole sono piene di alunni e la qualità dell’educazione molte volte non è che sia scarsa ,però a causa della sovrapopolazione degli studenti si fa meno significativo il processo educativo dei bambini e delle bambine. Però, a stessa povertà delle famiglie fa si che queste non possano mandare i bambini a scuola,ed è per questo che è necessario l’appoggio economico di altre associazioni affinchè i bimbi possano avere un miglior processo educativo. In aggiunta al Liceo, la scuola della Champa che aiuta i giovani dell’area rurale con le formazioni basica e differenziata il sabato e la domenica.Molti di loro lavorano e altri aiutano i genitori nei villaggi nei lavori agricoli da lunedi a venerdi e a causa delle grandi distanze non possono studiare ogni giorno. Ecco perché la scuola rimane aperta nei fine settimana

Quali sarebbero i dettagli di grande significato del progetto “Adozioni a distanza”?

Il rapporto dei bambini con i padrini rende importante il progetto "Adozioni". Questo non solo per considerare i padrini come coloro che elargiscono il denaro per pagare gli studi, ma anche come persone che la pari degli altri genitori si interessano di loro. I bambini e i giovani sentono di essere considerati se gli si offre una attenzione quasi personale e se si esprime loro affetto e rispetto. Il Progetto “Adozioni” ha dato l’opportunità a molte famiglie di mandare i loro figli a scuola per avere una formazione integrale. Senza, conciò, trascurare nessun aspetto e ottenere l’affetto e l’attenzione che molto spesso non ricevono in famiglia.

E la clinica? E' un altro riferimento per la Comunità in questa realtà tanto povera?

La clinica nacque per la mancanza di organizzazione del Governo che non dispone ancora oggi di un piano sanitario adeguato al fabbisogno reale del Guatemala.Alla clinica non si regala niente e i servizi sono erogati quantomeno ad un prezzo di costo. Si forniscono i servizi di ambulatorio,laboratorio e medicazioni.Per le persone che non possono comprare le medicine si cercano alternative per poter offrire il necessario perchè possano curarsi.Molte persone hanno trovato nella clinica il mezzo per curarsi e fruire di un servizio privato a basso costo. Comunque si ricevono tutte le persone anche se non possono pagare. Le borse di studio rivolte alle giovani che studiano per diventare infermiere sono servite perche' anche al Rancho possano lavorare persone specificamente preparate a prestare un servizio sanitario di qualità.

POVERTA’ E SOCIETA’

di Concetta Malvasi

Aumentano sempre di più i “nuovi poveri” non solo tra i giovani ma anche e soprattutto tra gli anziani che sono poveri due volte: reddito basso, salute che non c’è più, bisogno di medicine, di ricoveri, di attenzioni. Gli anziani hanno bisogno di cure mentre lo stato sociale si sta impoverendosi sempre più a favore di un modello privatistico; le associazioni di volontariato spesso stanno prendendo il posto di quei servizi che dovrebbero essere erogati dallo stato; spesso le famiglie si trovano sole a gestire una situazione difficile e gli anziani che sono soli...spesso se ne vanno all'altro mondo in totale solitudine. Nel passato le zone disastrate e disperate del mondo erano molto lontane da noi e facilmente riconoscibili e la linea di demarcazione era stabile: era il terzo mondo, ci bastava dare un piccolo aiuto per sentirci contenti. Ora non è più così: La povertà insieme al degrado ambientale, sociale, psicologico che la produce è qui, è arrivata nel mondo occidentale, sacche di miseria che vengono ignorate dai potenti.Un paese ricco non è necessariamente prospero e la distribuzione della ricchezza non è compresa tra i progetti di sviluppo di chi ha nelle mani tutta questa ricchezza. Che, si badi bene, è concentrata in un clan (una ventina di gruppi secondo alcune statistiche) di super potenti, estranei ad ogni forma di controllo democratico, che possono decidere delle sorti di un paese e di migliaia di persone.Questo clan di superpotenti persegue il proprio obiettivo che è quello di arricchirsi, di alimentare sempre più i consumi favorendo la distruzione delle risorse del mondo intero.
Di conseguenza, nell'occidente, aumenteranno sempre di più coloro i quali saranno estromessi dai processi produttivi e che vivranno ai margini del mondo. La povertà. La nuova povertà aumenta inevitabilmente e aumenta notevolmente il numero di coloro che sono espulsi dal mondo del lavoro o che per vivere dignitosamente devono avere due o tre lavori diversi senza garanzie contrattuali. Sempre di più è vero il detto: “ o si mangia o si è mangiati” Bisognerebbe fermare questo processo: ognuno deve fare la sua parte. Il degrado ambientale, se vogliano invertirlo, impone una trasformazione degli stili di vita di ciascuno. Tutti possiamo dare il nostro contributo rendendoci conto che, con le scelte attuali, viene alimentato questo sistema consumistico che sta portando il pianeta sull’orlo del baratro. Siamo figli di una cultura che ha esaltato la logica del massimo: guadagnare il massimo per consumare al massimo, per vivere al massimo. Viviamo dominati dal culto del denaro e dell’egoismo: abbiamo questo ultimo prodotto alla moda = siamo realizzati, non ricerchiamo ideali ma solo benessere fine a se stesso; consumiamo perché abbiamo la sensazione di poter essere felici salvo renderci conto a posteriori che, una volta consumato quel determinato prodotto, ritorniamo al nostro malessere esistenziale. Questa società alimenta l’infelicità e la perdita di valori Questo modo di pensare non tiene conto della non illimitatezza delle risorse della terra. Siamo del tutto indifferenti ai segnali d’allarme che ci stanno arrivando dal mondo che ci circonda, dalla natura (guerre, disastri naturali ecc...)
L'obiettivo da perseguire è quello di invertire questo modo di pensare apatico. Si rende necessario schierarsi e far parte di una o dell’altra fazione: se non siamo d’accordo con questa società consumistica che prende senza dare che rincorre il massimo profitto e sta devastando la natura lo dobbiamo dire!!! e non dobbiamo più essere corresponsabili di questi modelli di vita.
Ritornare a impossessarsi dell’esistenza, ritornare a cercare la bellezza in un libro che ti fa riflettere, in una musica che ti piace, disporre attivamente della propria vita sottraendosi all'influenza del modello di pensiero dominante, partecipare o creare una rete di persone dallo stile di vita "alternativo". Cambiare le nostre abitudini di vita: ad esempio acquistare alcuni prodotti nei negozi del circuito equo-solidale, costituire associazioni che comprano derrate alimentari direttamente dal produttore, utilizzare l’automobile una volta in meno, possedere un telefonino in meno e tutta una serie di altre piccole cose che ci potrebbero rendere protagonisti del cambiamento.
Rendersi conto, in fondo, che l’interesse collettivo coincide con quello personale e viceversa A molti questo modo di procedere può sembrare “utopistico” , irrealizzabile e poco incisivo. Cio' detto il cambiamento può e deve partire dal singolo il quale può operare per aggregare altri singoli facendo crescere “la società civile”. Prendiamo in mano la nostra vita! Non permettiamo che una singola persona possa decidere per noi (che so, il sindaco in una piccola o grande città, il direttore generale in una ASL, il primo ministro in una nazione). Io penso che questo sia l’unico modo per cercare ancora una speranza di vita nel futuro.

Riso Scotti Volley Team: presentata la squadra versione 2008/9

di Luca Rossi

Nei giorni scorsi ha avuto ufficialmente inizio la stagione della Riso Scotti Volley Team. La società pavese in collaborazione con il nuovo sponsor, la pizzeria Green Park di Borgarello, ha organizzato la festa di presentazione della nuova formazione. Una serata che ha visto la partecipazione di circa 400 persone che, sbalorditi, hanno assistito ad una serie di spettacoli degni di Hollywood e ad appassionati scambi di battute tra i vari protagonisti alternatisi sul palco. Una grandissima sorpresa è stata la partecipazione del noto presentatore Gerry Scotti, uomo immagine della Riso Scotti e grande amico di Sandro Moda, presidente della team pallavolistico pavese, che si è dimostrata persona disponibilissima e grande appassionato di sport. Nel suo entusiasmante intervento ha raccontato come è iniziata la storia che lo lega sia al dottor Dario Scotti sia al gm Gigi Poma ma, soprattutto, ha promesso che quest’anno, nei pochi intervalli che il lavoro gli concede, sarà presente al Pala Ravizza pronto a tifare Riso Scotti. Al termine della festa, parlando con le giocatrici si scorgeva un’emozione impensabile! La piccola Dora Horvath mostrava gli occhi lucidi e quasi in lacrime ringraziava il gm Gigi Poma per la meravigliosa festa, Riikka Lehtonen dall’alto della sua esperienza dice di non aver mai assistito ad una presentazione di questo genere mentre Luna Veronica Carocci, coccolata da mamma e papà, lasciava trasparire dai suoi due splendidi occhi azzurri la felicità di avere scelto Pavia. “Un spirito di squadra eccezionale, sono certo che queste ragazze ci regaleranno soddisfazioni”, questo il commento di Gigi Poma che, durante tutta la serata, ha ricevuto i complimenti delle autorità, sia sportive che politiche, che si sono alternate sul palco per la meravigliosa creatura che ha saputo creare in 13 anni. Spenti i riflettori le giocatrici sono tornate subito in palestra ancor più motivate e decise a dare il meglio per regalare a tutti i tifosi gioie e soddisfazioni.

8 settembre 2008

"Quel che resta del corpo" vince il Primo Premio al Festival del cortometraggio indipendente di Torre d'Isola

Al Primo Festival del cortometraggio Indipendente di Torre d'Isola, "Quel che resta del corpo", prodotto da Ains onlus, vince il Primo Premio.
Ancora un riconoscimento a questo film, dopo la finale al Festival Internazionale del cinema di Lenola e dopo il riconoscimento del circuito SBN promosso dal ministero dei Beni Culturali.
Un grazie particolare, ancora una volta, a tutti voi che a vario titolo avete contribuito alla realizzazione ed alla rappresentazione di questo film ma anche a chi si è interessato ed ha apprezzato questo lavoro...grazie!con grande emozione...

luca littarru (regista del film cortometraggio)

ANGOSCIA

Un ricordo dal passato: ero da poco diplomata infermiera, ero al mio primo vero lavoro...non avevo ancora imparato a prendere il giusto distacco dalla sofferenza, non avevo ancora appreso come curare senza soffrire.
La persona che mi ha risvegliato questo ricordo era giovane, era arrivata nella nostra corsia per caso, si trovava nella nostra cittadina per visitare alcuni parenti e si sentì male.....ricovero in ospedale...via via la situazione appariva sempre più complicata.
Sono passati quasi trenta anni e non faccio più l'infermiera ma Lei la ricordo molto bene e ancora oggi rammento il mio smarrimento e l'ansia che mi prendeva ogni volta che le stavo vicino.

ANGOSCIA di Concetta Malvasi

L'ultima stanza della corsia
l'ultima stanza in fondo a destra
la stanza dei casi complicati
la stanza dei casi terribili
la stanza degli infetti
la stanza dei morenti
e
a volte
la stanza dei privilegiati.
In quella stanza
dove c'è sempre qualcuno che ci crea qualche problema
che ci induce a laceranti conflitti
c'è lei
lei e la sua disperazione
lei e la sua rabbia.
Ha occhi bellissimi
grandi......neri.....luminosi....
occhi da donna mediterranea che conserva nei tratti
la discendenza araba....
però
ricordo
occhi tormentati
si
occhi belli grandi luminosi
ed intensamente tormentati.
Nessuno ha il coraggio di parlarle
nessuno ha il coraggio
di stringerla al petto
è arrivata da poco
lei vede il nostro andare e venire
lei sente la nostra distrazione consapevole
lei intuisce
lei capisce
ci scruta e cerca di metterci in contraddizione.
Lei cerca la nostra crisi
senza dirlo chiaramente.
Lei ci sfida.
Sono giovane
lavoro da poco
ed ho ancora molto da imparare...
lei mi angoscia
mi stritola il cuore.....
i suoi occhi spalancati, torturati, tormentati, disperati.
E' la prima volta, per me,
è così giovane
ha solo qualche anno più di me
avrebbe una lunga vita
chissà cosa gli riserverebbe la vita
ma ora è qui
il suo cancro le sta mangiando le ossa
il suo cancro le sta mangiando ogni organo
metastasi ovunque.
Nessuno ha il coraggio di dirglielo.
C'è fuga dalla sua camera,
lei è giovane
chissà cosa avrebbe voluto dalla vita......
come tutti una esistenza
serena, bella, allegra e a volte .....qualche scampolo di tristezza...
CHISSA'.....
Lei non invecchierà.
Qualche giovane allieva
ancora più giovane di me
mi dice che non vuole vederla
io trattengo le lacrime
ogni volta che entro nella sua camera
ogni volta che devo medicarla
che devo farle un prelievo.
Sono giovane
mi fa soffrire la sua disperazione
mi fa soffrire il suo travaglio.
Sono arrabbiata.
L'altro giorno mi hanno detto che voleva buttarsi dalla finestra
“sono il diavolo....”
mi dice
“....e voi avete paura del diavolo...”
Muta
ascolto le sue frasi sconnesse
muta
ascolto il suo pianto.
Ma non riesco a tenderle la mano
ferma
ascolto
ferma non interrompo
ferma non faccio un passo verso di lei.
Il giovane psichiatra
rompe il nostro distacco
lui ha il coraggio di parlarle.
Lui si ferma spesso con lei
e torna ogni giorno
Con lui
lei comincia a dialogare.
Devo alzare un muro, devo difendermi da questo dolore.
Starò via per un po' di giorni
la vado a salutare
e
riesco ad abbracciarla frenando le lacrime.
L'imminente distacco me la fa sentire vicina.
SI, lei è come me. Giovane con un futuro davanti
NO, lei non è come me.....il futuro si perde in pochi giorni ancora di vita.
Torno
non c'è più
NON VOGLIO SAPERE.

tirando le somme si scopre che....l'appello urgente di ains onlus

Carissime amiche ed amici,
nel mese di giugno scorso abbiamo lanciato un appello a fronte di una richiesta urgente sopraggiunta dai nostri referenti in Guatemala.
Si trattava di poter garantire la frequenza scolastica ad altri 10 casi, tra bambine e bambini, che avevano presentato motivi seri di attenzione data la situazione molto precaria del contesto in cui vivono (povertà, famiglie numerose ecc.ecc.).
A fronte di questa nostra richiesta di aiuto, oggi possiamo comunicarvi l'esito largamente positivo che l'iniziativa in questione ha riscontrato.
Infatti in questo periodo abbiamo raccolto euro 2.910 che verranno così destinati:
- 1600 euro per provvedere al mantenimento scolastico dei bambini di cui ci siamo fatti carico (i bambini andranno a frequentare il ben noto Liceo San Josè di El Rancho in Guatemala).
- 1310 euro verranno destinati alla Casa d'Accoglienza femminile di Mazatenango ("Hogar Santa Maria de Jèsus"), dove attualmente presta il proprio servizio Madre Antonietta, per far fronte alle esigenze di vitto e alloggio delle ragazze ospiti.

Cogliamo l'occasione per manifestare la nostra piena soddisfazione per l'obiettivo raggiunto e, allo stesso modo, ringraziamo tutti coloro (persone, gruppi, associazioni, enti, ditte...) che ci hanno permesso di raggiungere questo importante risultato.

Per il gruppo di Ains-onlus

Giulia Dezza, Emanuele Chiodini, Ruggero Rizzini



Ains è una Organizzazione di Volontariato non ha scopo di lucro che persegue esclusivamente finalità di solidarietà, socialità e attenzione verso gli esclusi per mezzo di attività rivolte alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle situazioni di crescente povertà, emarginazione sociale ed emergenze di natura sanitaria sia all'estero che a livello nazionale e locale. Ains persegue i propri obiettivi promuovendo progetti destinati all'individuazione, all’analisi, alla valutazione, alla pianificazione e alla realizzazione in Italia e all’estero di progetti educativi, sanitari e sociali che coinvolgano operatori sanitari e altri professionisti non sanitari, che coniughino conoscenze scientifiche, assistenziali, sanitarie e di scienze sociali. Da dieci anni finanzia in Guatemala, in collaborazione con la Clinica San Josè e la ONG FundaMaya, progetti sociali, scolastici, edili e sanitari

1 settembre 2008

Colmenas, lo “spicchio” di speranza del Guatemala

E a mazatenango cresce la Casa di Accoglienza per le bambine vittime di violenza
Un altro mondo è possibile. Ma non bastano gli atti di elemosina per mettere a tacere la coscienza. Bisogna lavorare affinché chi oggi è costretto a vivere nella miseria possa essere posto nelle condizioni di risollevarsi. E costruirsi un futuro con dignità. Questo è quanto sta accadendo a Colmenas, in Guatemala. Un piccolo “miracolo”, frutto della buona volontà di Ains (associazione Italiana nursing Sociale), a cui oggi guardano con ammirazione anche le grandi associazioni di volontariato, tra cui l’americana CFCA che al progetto di autonomizzazione della gente di Colmenas non aveva creduto molto ed oggi invece ha deciso di unirsi nella scommessa.
Il piccolo “miracolo" di quella terra è presto detto. Case per vivere dignitosamente, un forno per cucinare con le principali norme igieniche, orti comunitari per sfamarsi e una capra per famiglia. Con un caprone per tutti, che ha compiuto in pieno il suo dovere. Ed oggi le capre sono gravide, con l’allevamento destinato a crescere. E un buon concime da utilizzare per un terreno dove si coltivavano solo ananas e dove invece a breve cominceranno a crescere anche le piantine di caffè. La comunità inizia adesso a diventare un modello di indipendenza per tutti. La gente guarda con fiducia al futuro e intravede le possibilità di una vita decorosa. L’intenzione di ains è quella di continuare in questa opera chiedendovi aiuto per:

· costruire un salone dove ospitare i bambini della comunità che frequentano la scuola elementare.
SERVONO 2.165 EURO
· costruire un forno comunitario a legna con lo scopo di avviare una piccola cooperativa alimentare per la produzione di pane e dolci
SERVONO 658 EURO
· acquistare materiale finalizzato a creare un sistema di irrigazione degli orti.
SERVONO 957 EURO


Ains onlus [associazione italiana nursing sociale]
Sede legale: Via flarer 6, c/o AISLeC, 27100 Pavia
telefono 339.2546932 - fax.0382.523203
e-mail:associazioneains@yahoo.it
sito web: ainsonlus.blogspot.com
anno di costituzione 2003
iscrizione al registro PV 72 del 9.9.2004
Conto.Corrente.Postale. 46330429

UNA RETE SOCIALE NATA IN CORSIA

DALL’INIZIATIVA DI ALCUNI INFERMIERI DELL’OSPEDALE DI PAVIA, IN’ASSOCIAZIONE CHE OPERA A FAVORE DI SITUAZIONI DI EMARGINAZIONE IN ITALIA E ALL’ESTERO.

a cura di Claudio Ragaini, famiglia cristiana – n. 27/2008

Una decina di anni fa, due infermieri dell’Ospedale San Matteo di Pavia, in servizio in reparti particolarmente impegnativi (infettivi e psichiatria), cominciarono a interrogarsi sul loro ruolo professionale, non soltanto all’interno della struttura nella quale lavoravano, ma in una proiezione esterna, a contatto con i problemi e i disagi della società. In altre parole si domandavano: il compito dell’infermiere si esaurisce in corsia, nel lavoro quotidiano di assistenza ai malati, o non deve estendersi anche alla cura e al soddisfacimento dei bisogni primari del prossimo vicino o lontano che sia?
I contatti con un prete-operaio, don Renato Piccini, che operava in Guatemala e che aprì loro la conoscenza della realtà del Paese centroamericano, diede una prima risposta alle loro domande. E fu così che a Pavia nacque in quegli anni l’Associazione italiana nursing sociale (Ains), che si propone di operare a favore di situazioni di povertà ed emarginazione, tanto in Italia che all’estero, sia attraverso un’attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, sia con interventi diretti in campo sociale, sanitario ed educativo.
Sinergie di forze
I contatti con il Guatemala hanno portato in questi anni a sviluppare una serie di progetti gestiti con un’associazione non governativa locale, Fundamaya, nel villaggio di El Rancho, un centro di 10 mila abitanti a 90 chilometri da Città di Guatemala, dove esistono una clinica gestita da alcune suore, un paio di scuole, ed in costruzione un centro di aggregazione.
I progetti sostenuti dall’Ains con il coinvolgimento dei suoi soci sono diversi: sussidi scolastici per i bambini delle elementari, ricostruzione di case distrutte dall’uragano, corsi per infermiere, dotazione di forni per cucinare, l’acquisto e la consegna di 10 capre ad altrettante famiglie per avviare un’attività di allevamento e commercio nella piccola comunità.
L’aspetto interessante dell’attività dell’associazione pavese è dato dall’essersi aperta alla collaborazione con altre realtà del volontariato sociale cittadino: una “rete” di attività solidali diverse (il cui nome “TIK” è mutuato dalla lingua Maya e significa “NOI”) che coprono diverse realtà, dal sociale, all’ambientale, allo sport.
Viste da vicino sono: la cooperativa sociale “La Piracanta”, le associazioni di volontariato “Cuore Clown Onlus”, “Incontramondi” e “Per Fare un Albero” e il progetto “Per una cultura della solidarietà con lo sport”, che ha come messaggere le ragazze della squadra di pallavolo di Pavia.
Un esempio di sinergie sul territorio che può essere d’esempio ad altre organizzazioni di solidarietà.
“ Il nostro proposito “, dice il presidente Ruggero Rizzini, “ è di allargarci ad altre realtà e di continuare a fare informazione e formazione, soprattutto nelle scuole, perché la gente esca da questo sonno che ci circonda e impari a vedere quel che succede nel mondo”.

"La musica del caffe"

Ains informa che sono a disposizione per 2,80 euro al pacchetto confezioni di caffe' da grammi 250 cadauno. Non è caffè qualsiasi. Proviene direttamente dal Guatemala dove si coltiva una delle qualità di caffè migliori al mondo. Si chiama "El Bosque" ed è commercializzato nella rete del commercio equo e solidale, lontano cioè dall'invasivo e sempre più insopportabile mercato delle multinazionali. Il ricavato di tale vendite, ovvio, andrà a finanzire i nostri progetti di solidarietà. Insomma c'è del buon caffe'...anticonformista e controcorrente.

Potete trovare questo caffè:
-direttamente telefonando o contattando Ruggero (cell. 339 2546932) o Giulia (cell. 333 4464723).-presso l'edicola Chiodini in Via Roma, 118 a San Martino Siccomario

Ains cerca aiuto per la scuola dei bimbi in Guatemala

Il liceo San Josè presso El Rancho, è una scuola frequentata da più di 250 bambini e di questi, 130 sono sostenuti dalla nostra associazione attraverso il progetto di sostegno scolastico a distanza. Gloria Luz Leon Coloma, 57enne direttrice del collegio ci ha chiesto di finanziare la messa in opera di un portone della scuola. Costa 2.700 quetzales (circa 270 euro) perché quello attuale è in gran parte rotto.
All’interno dell’edificio scolastico un’aula utilizzata dai bambini per le lezioni ha il tetto danneggiato, da riparare. Infatti una trave di sostegno in legno è inclinata e diverse lamiere di copertura sono forate e lasciano filtrare acqua piovana. In questo caso il costo del progetto è di 5.122 quetzales (circa 512 euro). L’ultimo progetto per il quale la direttrice del collegio ci ha chiesto aiuto è relativo all’acquisto di vernice per dipingere il collegio dentro e fuori. Servono circa 817 euro.

Per chi volesse aiutarci, il numero di conto corrente postale è: 46330429

LA MIA BAMBINA GUATEMALTECA

di Claudia Mossi

Claudia correva come impazzita per le strade di El Rancho. Siamo in Guatemala,Centro America e Claudia correva a raccontare a tutta la gente vicina e lontana che aveva una cartella...e dentro c'erano dei libri, libri veri e quaderni veri sai di quelli che si usano per andare a scuola. Scuola, - che parolona!!! - pronunciata dalla sua piccola bocca incredula. La felicita' dipinta sul volto stravolto per il gran correre..per raccontarlo a tutti. L'entusiamo di Claudia è l'entusiasmo di questa gente povera che crede in un futuro, che vuole riscattarsi, che non vuole permettere ai figli, i figli della guerra, della fame, della miseria, di crescere analfabeti come i padri, che vuole lottare per un domani migliore. Studiare per essere migliori, per comunicare, per lavorare, per superare le barriere di fragilità e paura che specialmente nei duri anni della guerra civile, in Guatemala hanno piegato la gente e l'hanno duramente messa in ginocchio. Claudia va a scuola grazie al sostegno a distanza, una cifra annua pagata da volonterose persone che dall'Italia vogliono dare il loro contributo per aiutare i bambini di El Rancho. Claudia l'ho adottata io quasi cinque anni fa e frequenta la quinta elementare. Ma come lei tanti altri bambini sono stati adottati e possono studiare ma tanti purtroppo no. Non e' possibile adottare tutti, è logico, ma cerchiamo comunque di stimolare le persone a farlo poichè ci sono tanti bambini in situazioni davvero disperate. Perciò, forza, continuiamo perchè crediamo sia possibile migliorare anche se poco a poco le cose. Dobbiamo crederlo. Un grazie va quindi a loro e un grazie di cuore ai bambini che con la loro gioia e il loro impegno premiano i nostri sforzi dall'Italia, e naturalmente un altro immenso grazie ai nostri collaboratori e amici del Guatemala che ci informano periodicamente
Dunque.....Crediamoci ancora un po'...per crederci sempre...

UN VESCOVO ALLA GUIDA DEL PARAGUAY

di Emanuele Chiodini

In America Latina il vento primaverile del rinnovamento continua a soffiare con la sua costante ma progressiva impetuosità. Anche il Paraguay nell'Aprile scorso ha voltato definitivamente pagina. Le elezioni presidenziali hanno visto la netta affermazione di Ferdinando Lugo, già vescovo in questo paese (ora allo stato laicale o in procinto di essere dichiarato tale dalle Autorità Vaticane), a danno di Bianca Ovelar candidata dallo storico Partito Colorado da decenni detentore del potere istituzionale paraguayano. Anche qui è crollato un sistema di potere economico, politico e militare che sembrava inossidabile (essendo erede diretto del dittatore Stroessner) e che affondava le proprie radici - alla pari di tanti altri paesi del Centro e Sud America dalla storia recente assai analoga - in un passato ancora difficile da superare. Ricordiamo alcune tappe significative: la conquista del XVI-XVII secolo, il colonialismo, il Novecento con i suoi drammi e lo spartiacque della seconda guerra mondiale, l'instaurarsi appena dopo di regimi tirannici, liberticidi, corrotti e violenti. All'alba del Terzo Millenio l'America Latina ri-comincia un cammino di ritrovata e rinnovata libertà. L'esempio lampante è quello che stiamo descrivendo, del Paraguay appunto. Che un vescovo della Chiesa Cattolica diventi Presidente della Repubblica fa pensare. E genera domande. Perchè questa scelta? Perchè uscire da una situazione di relativo privilegio dettato dallo status clericale per andare a "sporcarsi le mani" nel difficile e tortuoso agòne della politica? E poi, ancora: come mai la politica ha dovuto affidarsi ad uomo estraneo alle sue dinamiche per trovare una via di riscatto della propria funzione? Forse perchè la Chiesa stessa in questa parte del mondo è più attenta alle istanze sociali avendo sempre davanti a sè la parola d'ordine "dell'opzione preferenziale per i poveri?". E poi, in generale, cosa significa questa ventata di "rinascita" dalle molteplici sfaccettature e implicazioni, e che non è esperienza di un solo paese ma sta diventando un tratto comune di diverse nazioni? E, da ultimo, questa serie di cambiamenti radicali per mano democratica riusciranno a contagiare altre parti del mondo (del sud del mondo, in primis) allo stesso modo disagiate e vittime dello sfruttamento economico capitalista e liberista? Lasciamo la parola per alcune prime e sommarie risposte allo stesso Ferdinando Lugo. Le opinioni qui sotto riportate sono state da lui espresse l'indomani della vittoria elettorale. -"Più che l'inizio della transizione democratica, credo che sia l'inizio della fine di questo processo ormai lungo quasi vent'anni..
E quindi rappresenterà anche la fine dei sei decenni di egemonia colorada. Saremo in condizione di mettere la parola fine a 60 anni di vuoto istituzionale e di avviare un lento ma fermo processo di istituzionalizzazione del nostro paese.
Non parlo di re-istituzionalizzazione perchè in Paraguay si è sempre lamentata l'assenza dello stato e delle istituzioni e noi crediamo che ora ci sia la necessità di costruire lo stato paraguayano, che per più di mezzo secolo è stato usato per le malversazioni dell'amministrazione pubblica e l'arricchimento illecito del gruppo colorado di turno";
-"Combatteremo la corruzione e la povertà allo stesso tempo. Direi che la lotta alla corruzione e alla povertà sono intimamente legate, perchè la lotta alla corruzione sarà un'incalcolabile fonte di risorse finanziarie che serviranno, insieme ad altre, a finanziare gli ambiziosi progetti di sviluppo e di crescita che abbiamo".
-"La vita di qualsiasi persona che rappresenti un cambio, in ogni parte del mondo, corre seri rischi. Ora, dopo una vittoria così netta è logico che qualcuno sia molto nervoso, soprattutto la cricca mafiosa che si è impadronita del paese per tanti anni. Questo potrebbe spingere qualcuno di loro a gesti inconsulti. Non temo tanto per la mia vita quanto per la sorte del nostro progetto politico".
-"E' difficile smettere di sentirsi ciò che uno è. Nel mio caso un politico-religioso o un religioso-politico. Non è facile dimenticare 30 anni di formazione e di vita. E per quanto la vita politica sia molto intensa e vertiginosa, non è riuscito a cancellare l'altra vita. Continuo a credere di avere una "missione", che è quella di servire i miei simili e che il miglior modo di compierla sia oggi un'azione politica sana, ampia, includente e costruttiva".
-" Su tutto il nostro continente soffiano venti nuovi. Questo è innegabile e oltretutto inarrestabile. Non credo si possa tornare indietro dal cammino che si è aperto nei nostri paesi. Quello che accade in America Latina non è una "casualità" ma una "causalita". Le penose condizioni economico-sociali in cui si dibattono i nostri popoli sono la causa di questa tendenza verso i profondi cambi strutturali che stanno avvenendo al ritmo dell'intensità propri delle realtà di ciascun paese. La Chiesa latino-americana non può continuare a dare le spalle a questo processo e spero che anch'essa si unisca attivamente al suo consolidamento".

Questa serie di pensieri dettati da una grande determinazione e forza di volontà sono la dimostrazione pratica che nel mondo cominciano a verificarsi alcune condizioni per invertire la rotta.
Che è sempre meno tollerabile, dalle popolazioni che vivono la povertà sulla loro pelle, l'attuale sistema economico conformato e deciso dal Nord del mondo, dall'èlite dei ricchi. Che anche noi, abitanti di questo angolo di mondo definito "Occidente", non possiamo non sentirci interpellati da tutte le istanze che provengono dall'emisfero Australe e che, allo stesso tempo, dovremmo dichiararci sempre meno autosufficienti dalle nostre pretese. Esiste un muro ed è quello della povertà. Ancora in piedi, lucido, potente e solido. E' un muro frutto della negazione del concetto di uguaglianza e che genera ogni giorno sofferenza e morte. Al di là di ogni facile retorica, occorre l'impegno di tutti. Per sconfiggere questa barriera dovremmo abbattere gradualmente e quotidianamente i muri che incrostano le nostre esistenze e che impediscono di accorgersi della presenza di "un altro mondo". Mi riferisco espressamente a fenomeni quali: l'egoismo, l'indifferenza, l'individualismo, uno stile di vita basato sul consumismo e sulla ricerca del superfluo. Dobbiamo cominciare da qui, Italia, Europa, Nord del mondo. E da noi stessi. Intanto in America Latina un arcobaleno dai colori riverniciati sta recuperando a vita nuova il senso del riscatto e della liberazione.

UNA SCHEDA SUL GUATEMALA

Superficie: 108.890 kmq.
Abitanti: 12.900.000.
Gruppi etnici: il 40% della popolazione è suddiviso in diverse etnie di origine Maya.
Reddito annuo: 357 dollari pe r il 20% più povero della popolazione, meno di 1 dollaro al giorno. Indice di Sviluppo Umano: 0,689 (118° posto su 177 paesi).
Povertà: il 63,9 % dei bambini e adolescenti vive in condizioni di povertà, di cui il 19 % in estrema povertà. Il 69,5% dei bambini indigeni non ha alimentazione sufficiente. Mortalità fra i minori di 5 anni: 55 x 1000.
Accesso all'acqua potabile: 1 persona su 3 non ha accesso all'acqua potabile.
Salute: solo il 30% della popolazione fruisce dell'assistenza sanitaria pubblica.
Per oltre metà della popolazione non c'è accesso alle cure mediche. 1 medico ogni 1000 abitanti, ma l'80 % dei medici si trova nelle città, le zone rurali sono prive di servizi per la salute.Istruzione: analfabetismo al 31%, secondo i dati governativi ufficiali.Spesa pubblica per l'istruzione: 1,7% del PIL (la più bassa dell'america ce ntrale) *.

" Come potete notare dal significato di questi indici, si evince con chiarezza che il Guatemala è uno dei paesi più poveri dell'America Latina e fra i più poveri del mondo intero. Questa è la realtà nuda e cruda che troviamo durante i nostri viaggi. Provate a tradurre i numeri in un contesto visibile e concreto. Con un po' di immaginazione ci si riesce...magari aiutati, tra le altre informazioni, dalla lettura delle nostre notizie...Con questi numeri abbiamo a che fare noi di Ains. Con questa situazione devono convivere Alvaro, Madre Antonietta, i bambini di El Rancho, le ragazze di Mazatenango, le comunità indigene di Colmenas, Tatutù, Aguahiel, Los Apantes...e tutto il resto del contesto guatemalteco che ancora non conosciamo apertamente ma che esiste e vive in queste condizioni. Sono cose che dovrebbero far riflettere seriamente. Anche i numeri, a volte, possono essere oggetto di meditazione..".

[*dati tratti dalla rivista "Progetto Continenti", nr. di Gennaio-Aprile 2008.]

IL RISPETTO DELL'AMBIENTE E LO STILE DI VITA

di Emanuele Chiodini
Nel numero di Giugno abbiamo avuto modo di affrontare il tema degli "stili di vita" riflettendo su un testo propostoci dal vescovo di Pordenone. In questo numero continuiamo la discussione servendoci di un altrettanto importante documento promosso dalla Conferenza Episcopale Canadese pubblicato nelle scorse settimane dall'agenzia Adista. Mentre il vescovo di Pordenone, mons. Poletto, si preoccupava nella sua lettera pastorale di mettere in luce alcuni aspetti pratici per addivenire, sia pur gradatamente, ad un cambiamento radicale nella conduzione dello stile di vita proprio della nostra società (cioè subdolamente legato a princìpi incontrollati di consumo e di inutile ricerca dell'effimero), i vescovi del Canada partono da un tema vasto, gigantesco nelle sue proporzioni e implicazioni, che è quello dell'ambiente. Ovvero. Per operare una prima sintesi del contenuto del documento - anche qui sottoforma di lettera pastorale - bisogna ricordare che lo stile di vita può modificarsi se si mutano con nettezza i rapporti con l'ambiente che ci circonda ( con il creato e con le creature) passando cioè da un attuale atteggiamento di dominio fondato sul saccheggio e sullo sfruttamento ad una ritrovata relazione di equilibrio, rispetto e cura premurosa del nostro ecosistema. Diventa però assai difficile esaurire questo tema in un semplice e, per forza di cose, angusto articolo. Proviamo, con ciò, a ripercorrere le tappe salienti del testo in questione. I vescovi canadesi iniziano la loro esposizione del tema riferendosi al fatto che il 2008 è stato proclamato dall'ONU "Anno del Pianeta Terra"; questo a voler segnare l'ampiezza della sfida che tutti abbiamo di fronte. Il punto nevralgico della riflessione ruota attorno ad una parola-chiave: "conversione". Conversione personale e collettiva. In premessa vengono richiamati alcuni passaggi fondamentali del libro del Genesi ( il primo libro della Torah, contenuto nel Primo Testamento della Bibbia) sulla bontà della creazione. Universo e cosmo di per sè sono sinonimi di bellezza e armoniosità e il Creatore, fin dall'inizio, ha predisposto la Terra (su cui noi tutti abitiamo ) per essere custodita e coltivata come un "giardino" (Gn 2,15). Questo ambiente di cui noi tutti siamo affidatari deve essere mantenuto e amministrato con saggezza sapendo che si sarà chiamati un giorno o l'altro a rendere conto dell'opera di tale gestione. Il creato, quantunque si possa pensare, non è una proprietà privata. E', rimane e rimarrà, un grande bene comune collettivo; oggi diremmo globale. Le righe dei vescovi scorrono veloci e si introduce necessariamente la visione del mondo allo stato del presente. Il quadro è assai fosco. Certo, la tecnologia, le scoperte scientifiche accumulate negli ultimi secoli hanno portato benefici incontestabili. Tutto ciò ha però avuto effetti devastanti sulla natura. E' inutile ricordarlo, ma per una maggior consapevolezza ci torniamo: inquinamento dell'aria, dell'acqua e della terra, aumento dell'effetto serra, distruzione dello strato di ozono, deterioramento dei grandi ecosistemi, estinzioni di diverse specie viventi, riduzione della biodiversità e, da ultimo, lo scioglimento repentino dei ghiacci dei poli che sta causando un innalzamento pericoloso degli oceani producendo effetti disastrosi, soprattutto nell'emisfero Sud, dove si trovano i paesi più poveri. Sulla stessa lunghezza d'onda Giovanni Paolo II ricordava che "è ingiusto che pochi privilegiati continuino ad accumulare beni superflui dilapidando le risorse disponibili, quando moltitudini di persone vivono in condizioni di miseria (...) il dissesto ecologico è contrario all'ordine del creato in cui è inscritta la nostra interdipendenza". Invece di favorire questa interdipendenza, il Pianeta è stato lasciato in balìa a dinamiche perverse che, anzichè generare unità, hanno diviso la Terra in pezzi: terzo mondo, quarto mondo, paesi sottosviluppati, paesi poveri, paesi industrializzati, paesi ricchi. L'ingiustizia, come si può misurare, è latente. E' un'ingiustizia per il presente e per il futuro, per le generazioni che verranno. Un debito monetario si può sanare; un ambiente devastato rappresenta un vuoto difficilmente colmabile e riparabile (anche la Carta dei Diritti del Fanciullo delle Nazioni Unite ci ricorda l'obbligo morale, largamente disatteso, di preservare la natura a vantaggio della felicità dei bambini e dei giovani. ..). Ciò detto, si può invertire la rotta? Gli scienziati dell'ambiente sono molto scettici. Forse si è superato il segno senza accorgersene, forse si è andati troppo in là. I vescovi provano a dare la loro ricetta riproponendo il termine che abbiamo evocato all'inizio del della riflessione: conversione.
Conversione per ritrovare il senso del limite. Per adattare il nostro modo di vita alle risorse disponibili. Per mettere al bando la tensione continua a sprecare e a consumare oltre il normale dovuto.Per liberarci dall' ossessione di possedere e distruggere in modo insensato. Per introdurre la capacità di creare "un'austerità gioiosa o virtuosa", nel senso di una sobrietà volontaria fondata sull'essere e non sull'avere. Per uno sviluppo rispettoso di leggi e ritmi a misura d'uomo come forma di liberazione e valorizzazione dell'umanità. Il testo dei vescovi prosegue con un'ultima sezione dedicata ad aspetti eminentemente religiosi che meriterebbero di essere trattati ma i nostri spazi non ce lo consentono.(rimandiamo la lettura integrale del testo che potete trovare nel sito:
www.veneziastilidivita.it).In conclusione vorremmo ricordare che il tema degli "stili di vita", sul nostro foglio-notizie, avrà sempre largo spazio. Perchè è un tema non rinviabile e sempre più irrinunciabile. Forse siamo ancora lontanissimi da una soluzione pratica tesa a modificare, almeno in parte, il nostro "modus vivendi" quotidiano. Il fatto di continuare a riproporre ostinatamente queste importanti tematiche contribuirà, prima o poi, a lasciare una traccia, un segno tangibile. Un concetto può essere compreso con facilità e velocità. Trasporre la teoria nell'agire di tutti i giorni rappresenta sempre un passaggio irto di ostacoli. E gli ostacoli stanno nella nostra coscienza. E' nella coscienza di ciascuno che maturano convinzioni, decisioni e atti di volontà. Nel nostro piccolo siamo convinti di quello che sosteniamo e cerchiamo, nel limite delle nostre contenutissime forze, di essere conseguenti e coerenti a quanto viene professato e proclamato. Vale a dire: insisteremo sul tema. E' drammatico dover affermare che la salvezza dell'ambiente oggi appaia come un'utopia. Non importa. Inseguiremo a mani nude questa utopia. Per noi e per le generazioni future.

Le impronte ai bambini Rom:cosa ne pensa Ains

Con 336 voti favorevoli e 220 contrari (una larghissima maggioranza), il Parlamento Europeo ha approvato nei giorni scorsi una risoluzione che condanna l'Italia per la decisione di prendere le impronte ai rom affermando che il provvedimento del governo italiano " è un atto discriminatorio fondato sull'origine etnica". Questa risoluzione, al tempo stesso, chiede al nostro paese di sospendere le misure d'emergenza nei campi nomadi rimarcando il fatto che questi comportamenti "costituirebbero chiaramente un atto di discriminazione diretta fondata sulla razza e l'origine etnica, espressamente vietata dall'articolo 14 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, e per di più di un atto di discriminazione tra i cittadini dell'Unione Europea di origine rom o nomade e gli altri cittadini a cui non viene richiesto di sottoporsi a tali procedure”.
E, ancora, in relazione alla situazione dei minori l'alta istituzione di Strasburgo ritiene "inammissibile che per proteggere i bambini vengano violati i loro diritti fondamentali, criminalizzandoli". Davanti a queste parole, sia pur simboliche, ma dal contenuto chiaro e forte noi affermiamo che:
-vengano rigettati questi provvedimenti dichiaratamente "razziali" del governo italiano;
-vengano tutelati i bambini garantendo loro parità di accesso all'istruzione, una casa dignitosa, assistenza sanitaria equa e protezione dallo sfruttamento attraverso politiche che favoriscano la crescita culturale, l'integrazione delle diverse tradizioni e l'inclusione sociale;
-la nostra assoluta contrarietà alla raccolta delle impronte digitali dei rom e, in particolare, dei loro bimbi. Tenuto conto di quanto sopra espresso esortiamo il mondo del volontariato pavese a uscire dal silenzio e invitiamo la Consulta del Volontariato di Pavia ad attivarsi e a promuovere adeguate iniziative di protesta, di informazione e di "proposta" cominciando con l'aderire all'appello lanciato dall'ANPI nei giorni scorsi dalle colonne di questo giornale al quale, gli scriventi, aderiscono con convinzione e determinazione.
Se tutti noi proclamiamo che "un altro mondo è possibile", dobbiamo essere conseguenti a cominciare da casa nostra contribuendo, da qui e con fatti e atti concreti, a costruire un mondo più civile e una società più solidale, più accogliente e meno egoista.

UN NOBEL PER IL POPOLO ROM

(testo di Moni Ovadia)
"Involuzione digitale. Ecco i nuovi bambini ebrei, le impronte del'odio e della paura. Della discriminazione. I bambini sono il futuro. E questo è un futuro schedato. Inchiostro per le mani e filo spinato per gli uomini. E' solo il primo passo. Se fanno questo in tempo di pace cosa farebbero in tempi di guerra? Dopo le impronte digitali i numeri tatuati sull'avambraccio...Ecco come è trattato oggi, in Italia, chi meriterebbe il premio Nobel per la pace per non aver fatto guerra a nessun altro popolo. Lo proponiamo, ancora, con la massima serietà. Premio Nobel al popolo rom". per aderire:
segreteria@liberazione.it

W INGRID LIBERA

Ingrid Betancourt è stata liberata dopo aver trascorso sei anni di prigionia nella foresta della Colombia. All'annuncio di questa notizia tutto il modo civile si è rallegrato e ha avuto un sussulto di gioia. La biografia di Ingrid parla chiaro: è una donna che si è battuta per i diritti civili, per la dignità del suo popolo e per la dignità degli esseri umani in generale. A maggior ragione, adesso che è stata restituita al mondo, diventa ancora di più un impegno morale sostenere con forza la sua condidatura a premio Nobel. Per questo chi volesse inviare la propria adesione può farlo presso questo indirizzo mail, (noi di Ains abbiamo aderito):
nobelperingrid@unita.it

La Ballata del Gatto Nero

Gatti neri arrampicati
su vetrine colorate
fan la guardia un po' assonnatie
rallegran le giornate

Uno scruta divertito
la sua preda preferita
l'altro dorme acciambellato
una nanna da beato

Il più giovane del gruppo
fa saltare una pallina
una scena sopraffina
per filare una micina

Quello in posa a tutto tondo
vuol difendere il suo rango
passa il tempo fiero fiero
a lisciarsi il pelo nero

I piccini appena nati
se ne stanno accovacciati
son protetti e ben curati
son lavati e pettinati

Mamma gatta premurosa
li istruisce, li prepara
alla scuola tanto ardita
delle prove della vita
Sono tutti gatti neri
questo è il bello della storia
creazioni appassionate
fantasiose e ricercate

Dalla Giulia ideatide
corati e modellati
battezzati da Lorena
rendon l'aria più serena!!!

emanuele chiodini


IL GATTO NERO PORTA SFORTUNA A CHI NON CE L’HA

Un originale regalo per ogni occasione di festa
E’ un semplicissimo complemento d’arredo, un gatto che si arrampica, scende o si accuccia sugli stipiti della porta, sull’angolo di un quadro o ad un vetro di una finestra. Non richiede chiodi perché sta su da solo e costa anche poco, il giusto per ripagare l’impegno e la bravura di quegli artigiani capaci di tale manualità artistica. Per chi volesse vedere e comprare il Gatto della Cooperativa Sociale La Piracanta onlus può visitare la bottega “Il Mercatino” in Corso Garibaldi 22/a a Pavia. Il costo è di 9 euro per il gatto nero piccolo e 13 per quello grandePer informazioni: Giulia (cell. 333.4464723)