29 novembre 2012

Padre Sella spiega le piccole azioni per un mondo migliore

Le piccola azione quotidiana di ognuno di noi può determinare un importante cambiamento degli stili di vita. Anche ai più alti livelli. Ne è convinto padre Adriano Sella - ex missionario saveriano in Brasile – che lunedì sera al Collegio Senatore di Pavia  ha presentato il libro intervista di Daniela Scherrer “Come cambiare il mondo con i nuovi stili di vita”, a cura di Ains Onlus, all'interno del Festival dei Diritti.
Padre Sella, cosa racconterà questa sera? «Farò alcuni semplici esempi di come sia possibile incidere ogni giorno per il cambiamento degli stili di vita che ci stanno portando alla deriva su tanti livelli (personale, relazionale, economico, valori ecc..). Perché se è vero che ogni azione è una goccia nel mare è pur vero che tante gocce insieme hanno una forza tale da erodere le rocce». Si riferisce al consumismo? «Al consumismo, delle cose e delle relazioni, e a quelle cose, “grandi” e incomprensibili, macro sistemi come la finanza speculativa che, proprio perché le sentiamo fuori dalla nostra portata, ci convincono del fatto che noi non contiamo niente. E' quella che io chiamo la una “nuova rassegnazione”. Invece dobbiamo capire che paroloni, cifre, mode e modelli indotti, sono una strategia per manipolarci e per indurci ai consumi: la nostra è totalmente fondata sui consumi». In concreto, come può incidere il singolo per cambiare gli stili di vita? «Primo: sapere che la sua condizione di consumatore è un potere importante. Secondo: attuare quella forma di boicottaggio quotidiano che fa molto paura a chi produce, commercia e promuove prodotti e stili di vita non sostenibili. Gli esempi sono infiniti: evitando di comprare prodotti freschi fuori stagione; privilegiando la spesa a chilometro zero; comprando nelle botteghe di commercio equo e solidale, che garantiscono salari e condizioni di lavoro equi ai produttori del sud del mondo; non facendo la spesa di domenica; usando mezzi di trasporto sostenibile; insegnando ai nostri figli a non sprecare cibo, acqua, giochi e abiti. Ogni giorno possiamo fare il nostro boicottaggio personale. E' quella che noi chiamiamo “rivoluzione silenziosa”». Come si passa dal cambiamento personale a quello istitutuzionale? «I micro cambiamenti sono alla base di quelli macro, e questa è una rivoluzione che parte dal basso e vince con la strategia del contagio. Se la gente mi vede sereno anche quando ho poche cose e uno stile di vita sostenibile, sarà portato ad imitarmi. Il cambiamento agisce su tre livelli: personale, comunitario e istituzionale. Noi abbiamo già contagiato nel piccolo, tanto che è nata una rete dei “comuni virtuosi”. Ma anche alcune più in alto: ci sono regioni che hanno già fatto leggi a favore del commercio equo solidale e dei nuovi stili di vita, come l'Emilia Romagna, la Toscana; la regione Umbria è la prima che ha fatto una legge a favore dei gas, l'unica fino ad ora e poi altre, a favore della mobilità sostenibile». (marta pizzocaro, la provincia pavese, 26 novembre 2012)

20 novembre 2012

Dover spiegare un terremoto

El Rancho, El Progreso – Guatemala. 8 novembre 2012

Ieri l’ho sentito. Stavo leggendo un bel libro di Maurizio Chierici dal titolo La scommessa delle Americhe. Sono al primo piano di una struttura in mattoni, piuttosto ben fatta rispetto alla media delle abitazioni de El Rancho. Eppure la scossa è intensa, breve ma forte. Scendo a chiedere alla famiglia guatemalteca che mi ospita se stanno tutti bene. Apriamo internet e le notizie iniziano ad arrivare.
L’epicentro è stato nella zona di San Marcos, nella zona ovest del Paese, al confine col Messico. I morti sono molti e molte zone del Guatemala occidentale sono senza rete. La giornata è scandita dagli aggiornamenti su internet e dall’attesa di ricevere notizie dal mio referente che si trovava in quella zona. Finalmente arriva un messaggio. Sta bene. I soccorsi intervengono immediatamente ma si capisce dalle prime ore che il bilancio è ben peggiore di qualche strada inagibile e di energia elettrica interrotta.
La cifra dei morti è elevata. Più di 50 vittime, molti i feriti e 21 dispersi. La difficoltà delle comunicazioni non permette di sapere i dati con correttezza ma si parla di 17 mila individui coinvolti.
Mi immagino le tipiche domande da giornalista italiano: si poteva evitare? Non sarebbe il caso di incentivare maggiormente l’edilizia antisismica in un Paese estremamente sismico come il Guatemala?
Io però giornalista non sono. Sono cooperante e come tale ho un pessimismo innato. A quelle domande risponderei: Ma non lo vedi il Paese come sta? È uno dei paesi peggiori al Mondo per denutrizione cronica infantile, le case spesso non hanno acqua, lo stato è in grado di garantire solo la presenza dei soldati a proteggere gli interessi forti, le strade sono perennemente invase da detriti che si staccano dai pendii alla prima pioggia ed io dovrei pensare che si dovrebbe fare una legge per incentivare le strutture antisismiche?
Si, forse con un po’ di freddezza avrebbe ragione quel giornalista con le sue domande ma il morale non mi permette di assentire. Anche perché qua al Rancho la vita scorre come sempre. Mi arrivano i tanti messaggi preoccupati dall’Italia. Io mi guardo un po’ attorno, e dico che va tutto bene a prescindere, per tranquillizzare. Fa niente se stamane mi sono svegliato alle 6 col letto che ballava.
Poi vado dai “miei” bambini di un’aldea vicina con cui giochiamo, leggiamo e ragioniamo insieme. Un agglomerato di mattoni coperti da lamiere, una attaccata all’altra; giusto lo spazio per le galline che razzolano tra le hamache e le cucine. Qua non hanno televisione, non hanno radio; solo alcuni hanno i genitori che leggono El Diario, un quotidiano imbarazzante che ogni giorno bombarda la mente dei guatemaltechi con cronache per violenza. Il Presidente “mano dura” ringrazia il giornale dell’operato e ne raccoglie i risultati alle urne.
Ho accantonato l’attività tipica per parlare ai bambini di ciò che è successo. Ho preparato un po’ di immagini per spiegare loro cosa è un terremoto, immaginandomi che sarebbero stati contenti di sapere qualcosa sul proprio Paese. Si erano accorti che la terra tremava, e mimano un ballo latinoamericano ridendo. Guardano al pc le foto che gli mostro di San Marcos. Stanno un attimo in silenzio, con la faccia stupita e poi esclamano: guardiamo un cartone animato?
Li guardo e sì, qua a El Rancho forse va proprio tutto bene.

Incontro con Mario Cardenas, compagno della Kato Ki

Chimaltenango, Giovedì 27 ottobre 2012

Di ritorno da una tre giorni molto intensa che mi ha visto ad Antigua ad intervistare alcuni familiari di desaparecidos tra cui Rosalina Tuyuc e, successivamente, a Chichicastenango ad ammirare il mercato maya, sono andato a Chimaltenango dove sapevo di poter raggiungere due infermieri spagnoli impegnati in attività di formazione.
La motivazione principale della sosta è stata la forte volontà di conoscere l’esperienza della cooperativa Kato-Ki, organizzazione di cui avevo molto sentito parlare.
Nei primi passi in questa città caotica a me sconosciuta mi imbatto per pura coincidenza nella sede della cooperativa. Con un po’ di timidezza per il mio spagnolo precario e per non aver avvisato prima mi butto dentro.
L’ingresso ricorda molto una filiale di banca etica. Sportelli bancari classici ma con un’atmosfera meno asettica, più accogliente e cordiale. Kato-Ki nell’idioma Q’eqchi del luogo significa “aiutiamoci”.
Dopo pochi minuti giunge il presidente della cooperativa, Mario Cardenas. L’avevo già visto nel video Historias de Guatemala e mirare quel volto mi risvegliava un affetto come tra amici di vecchia data.
Mi parla con naturalezza, abituato a ricevere inaspettati visitatori interessati a fare due chiacchiere. Ha mal di testa. Anche lui oggi ha fatto su e giù dall’altipiano per accompagnare una studentessa che sta svolgendo la tesi proprio sopra l’attività della cooperativa.
Mi fa accomodare in un atrio senza gente e senza mobilio, solo due sedie. Dice che quella stanza è il luogo di incontro della cooperativa; per un attimo mi perdo, fantasticando, immaginandomi nel bel mezzo di quelle assemblee, cuore pulsante della cooperativa.
Beve un’aspirina e comincia, senza bisogno di chiedergli nulla. Siamo nati quarant’anni fa. Ne abbiamo viste tante. La prima attività fu l’acquisto di due grandi appezzamenti di terra e la loro successiva redistribuzione ai soci della cooperativa. Qua la condizione dei campesinos era quella tipica dell’America Latina. Grandi latifondi rivolti alla monocultura, condizioni lavorative da schiavitù e nessuna prospettiva di cambiamento, né per se né per la propria famiglia. Parla con semplicità Mario. Questa era la situazione, e noi abbiamo ridistribuito la terra. La questione fondiaria è la chiave di tutto. Stavamo iniziando ad allargarci, a crescere. Pensavamo che il conflitto potesse diminuire di intensità e abbiamo fatto questi investimenti. Si rattrista e prosegue. Ci sbagliavamo. Proprio in quel periodo arrivò la fase più violenta della guerra, con l’eliminazione sistematica dei leader delle comunità e di ogni realtà che cercava di aiutare la gente. In passato la politica del governo era di lasciare le popolazioni Maya sull’altipiano, come fossero in quarantena. La situazione cambiò quando il governo militare identifico le comunità indigene come sostegno alla guerriglia e procedettero con operazioni militari volte ad uccidere tutti, specialmente gli uomini. Fu il periodo più difficile per noi. Degli 8500 soci che eravamo ci siamo ritrovati nel 1984 con 3300 soci, tutte donne.
Il dramma è quello comune a tutto il Guatemala. Un popolo martire che dovette subire una violenza inaudita aggravata dall’assenza totale di leader comunitari o sindacali, uccisi prima degli altri insieme alle proprie famiglie.
Quello fu il periodo più difficile della cooperativa. I prestiti andarono in gran parte perduti. Lo stato di guerra e la mancanza di stato di diritto non permettevano di lamentarsi per ciò che era stato perduto. Fu un lavoro paziente e lungo, aggravato dalla paura della gente di concedere la propria fiducia. Ancora oggi molte persone pensano che un giorno la guerra possa tornare e non vogliono esporsi. Le ferite sono ancora aperte.
Oggi la cooperativa sta tornando a crescere e conta 4500 soci. Il capitale disponibile non è molto ma sono stati fatti recentemente degli investimenti importanti, primo tra tutti quello della scuola Monte Cristo. Mario con un sorrisetto prosegue. La gente che ha ricevuto prestiti ha avviato le sue piccole attività ma c’è una cosa curiosa. Le famiglie non hanno utilizzato il denaro per fare il pavimento nuovo nella propria casa. Hanno deciso di spendere quei soldi per mandare i propri figli a scuola. Perché è sull’educazione che come cooperativa abbiamo deciso di puntare. È una scuola speciale. Anche i genitori partecipano, per apprendere nozioni, per imparare nuove professioni e per sentirsi parte del progetto. La maggioranza della popolazione è maya e la vita della cooperativa è pienamente impregnata dell’aspetto comunitario di questa cultura. Abbiamo bisogno di ricreare la classe dirigente delle nostre comunità, e senza educazione non si va da nessuna parte.
Ride ancora. Vent’anni fa le ragazzine a 14 anni andavano in giro con il bambino in spalla. Oggi a 18 vengono nella nostra scuola con lo zaino in spalla!
Sia essa l’educazione dei ragazzi, il coinvolgimento dei padri nella formazione, il microcredito o la redistribuzione della terra delle grandi piantagioni… tutto questo è parte della stessa lotta per emanciparsi. Mi fa ridere, dice, che con tutto quello che succede nel mondo e in Guatemala, gli unici che non hanno problemi a mangiare sono proprio i nostri soci e le loro comunità che in passato hanno saputo creare degli orti per potersi rendere autonomi dal mercato. Sembra una cosa da poco, ma un tempo qua le coltivazioni erano le grandi fincas dei latifondisti. Poi abbiamo cominciato a studiare possibili utilizzi diversi della terra che finalmente avevamo a disposizione, ed oggi Chimal è famosa in tutta la zona per la vendita di tante verdure differenti. Anche questa è una vittoria.
Sono tanti i progetti che Mario ha in mente ma i soldi non sono molti. Ricorda con molto affetto le ong italiane che lo hanno aiutato e mi spiega come il loro aiuto sia sempre stato doppio. Ogni persona ed ogni aiuto che viene nella cooperativa è essenziale perché rappresenta sia un appoggio economico che un supporto politico importante. Sapere che la cooperativa ha tanti amici in europa e nel Mondo è una cosa che frena molto chi ci vuole male. E tutto questo ci fa sentire meno soli ed in qualche modo ci da un’ulteriore ricompensa degli sforzi portati avanti.
Un mesetto fa ha ricevuto una attestato dalla FAO che lo ringrazia per quanto fatto per il proprio popolo per migliorare la condizione alimentazione. Durante la guerra l’esercito bruciava le coltivazioni per affamare la gente. La denutrizione era enorme. Il governo non sarà contento di questo attestato.
I suoi occhi. Mi ci perdo ancora un po’ sapendo che l’incontro sta per finire. Insolitamente chiari per essere in Guatemala. Occhi buoni che si rattristano al parlare dei tanti momenti difficili della guerra e dei mali del mondo di oggi. Occhi di speranza, pronti a illuminarsi e a contagiare, quasi meccanicamente, ogni volta che dalla bocca di Mario esce un racconto di resistenza.
Con un po’ di supponenza giovanile e pensando di ricevere una risposta negativa chiedo se è cambiata la situazione dopo la firma dei trattati di pace. Si illumina più di prima. È cambiata si. I problemi continuano ad esserci però c’è una differenza sostanziale, soprattutto negli ultimi tempi. Durante la guerra se ti esponevi morivi o sparivi. Oggi puoi lottare. Continuano ad esserci fatti gravi, come quello di Totonicapan dove l’esercito ha sparato sui manifestanti, ma anche in quel caso si può vedere come l’esercito non può più fare quello che vuole. Siamo tornati a chiedere i diritti ed il rispetto della legge e a questo non sono pronti. Reagiscono e non è una lotta facile. Prima della pace non avevamo la libertà di poter lottare. Oggi torniamo ad avere una comunità che vuole emergere e pretende di essere ascoltata, ed è questa la strada da percorrere. Per i nostri compagni e familiari morti in questi anni e per il futuro dei nostri ragazzi.

Festa del Patrono - Santa Gertrudis

Trascrivo dal mio diario di bordo.
Una precisazione: Santa Gertrudis è l'aldea dove opero per la maggior parte del mio tempo. Una sorta di baraccopoli dimenticata dal commercio, dallo stato e dalla chiesa.
Tornato dalla messa a Santa Gertrudis. Siamo arrivati in tuc tuc e nela strada già c'era la processione. La piccola statua portata in spalla insolitamente da 4 donne. Molti bambini, molte donne, pochi uomini. Alcuni bambini mi vengono a fianco abbracciandomi. Di solito non lo fanno, in particolare i maschietti. Invece oggi si, mi abbracciano e non mi mollano mentre camminiamo.
4 o 5 musici facevano da banda. A chiudere il piccolo corteo un camioncino che piazzava della musica che copriva la "banda". Tutti, comunque, ubbidienti alla legge del più forte, pronti a cedere il passo alle mitraglie e ai mortaretti che aprivano il passaggio alla processione.
Legge del più forte dicevo? Già! ...E allora tutti fermi che un tir della Chiquita deve passare. Non può aspettare due minuti. Pare fatto apposta per farmi incazzare.
Poi si arriva alla scuola, addobbata. Il parroco non c'è. Anche oggi avrà avuto di meglio da fare che non stare con gli ultimi della sua parrocchia.
Mi chiedo cosa possa intendere questa gente delle preghiere che si recitano una volta l'anno. Sicuramente i bambini che si sono accalcati attorno a me non colgono nulla della messa. Soprattutto keier che si supera estraendo una pistola giocattolo durante la comuniione, puntandola verso il prete.
L'alcalde ha offerto i fuochi d'artificio e la gente gradisce. Unico problema è che li sparano bassi bassi. Sembra sia l'unico a preoccuparmene. Nonostante tutto, gradisco anche io!
Le mamme e i bambini sono stati molto affettuosi. Anche al segno della pace molte venivano da me, alcune donne solo perché ero bianco. Ancora non ho capito come cavolo si deve fare qua a salutare o a dare il segno della pace. Alcune toccavano il gomito, altre davano la mano, altre l'avanbraccio, altre abbraccio, altre bacio... mbah!
Sicuramente sono più a mio agio con questi bambini e le loro famiglie che in ogni altro luogo del Guatemala.

«Io nell’inferno dell’Afghanistan»

«Gli afghani avrebbero amato Giacomo Leopardi non perché siano degli inguaribili pessimisti. Credo che ne avrebbero apprezzato la malinconia e la profonda sensibilità poetica che costituisce una cifra fondamentale della loro stessa natura. È strano che un popolo che si sente vivo solo se impugna un fucile abbia un debole per la poesia». Inizia così un capitolo del libro “L'inferno chiamato Afghanistan. Storie del paese dei talebani” (Lampi di stampa, 2012) che l'autore Giuseppe Bresciani ha presentato lunedì 19  alle 21 al Collegio Senatore (via Menocchio 1), nell'ambito del Festival dei Diritti. Dialogando con Marco Dotti, l’autore ha parlato della sua esperienza in Afghanistan durante la quale - munito solo di un visto turistico e privo di credenziali, senza mansioni e scorta armata - ha scoperto quanto questo paese dilaniato dalla guerra sia diverso da come viene raccontato nei reportage giornalistici. Nato a Como, 57 anni, ex imprenditore umanista, scrittore, opinionista e giornalista del quotidiano la Provincia di Como e già autore di romanzi pubblicati con lo pseudonimo “Astor”, Giuseppe Bresciani ha esordito con il suo nome anagrafico con questo terzo libro: non un saggio né un romanzo, ma un mosaico narrativo che delinea i contorni della vita “infernale” del popolo afghano, scandita da momenti felici e momenti disperati, mettendo a nudo le condizione femminile e quella non meno drammatica dei bambini, la quotidianità nelle carceri e nei campi per sfollati, i retroscena delle operazioni di guerra e di pace del nostro contingente militare, la vera destinazione degli aiuti umanitari, il fenomeno dilagante della droga, il vuoto sanitario, la corruzione politica, ma cogliendo anche gli aspetti poetici di un popolo condannato alla guerra.
Bresciani, perché è andato in Afghanistan?
«Per curiosità: quando mia figlia ha accettato un lavoro in una organizzazione non governativa afgana ho deciso di accompagnarla e poi sono rimasto tre mesi. Tre mesi trascorsi con la sensazione di essere invisibile, per quanto sia impossibile esserlo in un paese in guerra, in cui sono passato per pazzo e per agente segreto del Sisde perché non avevo credenziali e tutela e perché alla Franesina non c'erano faldoni a mio nome. Ho vissuto nelle case degli afgani e, libero da ogni vincolo, mi sono mosso dappertutto, molto più di quanto possano vedere giornalisti e funzionari aggregati alla colonna militare».
Per esempio?
«Mi sono fatto accompagnare nel carcere della morte, sono entrato in una moschea di venerdì pomeriggio durante la preghiera e ho fatto un pic nic in un territorio controllato dai talebani, perché ero al seguito di un signore della guerra. In Afghanistan ho imparato che il fattore sorpresa è destabilizzante, ho capito che gli afgani fanno più attenzione a chi è particolarmente protetto, ma per loro trovarsi di fronte un occidentale che passeggia liberamente per le strade di Kabul, spesso vestito da afgano, non era motivo di preoccupazione. Anche se non è stata una passeggiata: ho subito due attentati e sono stato arrestato».
Di chi ha avuto più paura?
«Dei militari americani. Mentre i nostri militari hanno l'ordine di sparare solo dopo essere stati attaccati e mai prima di un colpo di avvertimento, americani e inglesi girano per le strade con le armi spianate e il colpo in canna, con l'ordine si sparare al minino sospetto di pericolo. Questo causa migliaia di morti civili innocenti. Noi italiani non siamo esenti da accordi e baratti con i signori della guerra, ma tra gli “occupanti” siamo di sicuro quelli che si comportano meglio: abbiamo costruito strade, scuole e rifugi per le donne e per questo gli afgani, anche se non ci amano, ci rispettano».
Marta Pizzocaro

Gianmaria Testa, a Pavia c’è un poeta con la chitarra

Gianmaria Testa, classe 1958, è italiano, vive nelle Langhe, in Piemonte, eppure c’è voluta la Francia per scoprirlo. Da quando ha mandato al Festival di Recanati la sua cassetta registrata chitarra e voce, vincendone il primo premio una prima volta nel ’93 e poi di nuovo nel ’94, sono passate un bel po’ di cose: otto dischi (Da Montgolfières nel 1995 all’ultimo Vitamia del 2011), più di duemila concerti in Francia, Italia, Germania, Austria, Belgio, Canada, Stati Uniti, Portagallo, quattro serate tutte esaurite all’Olympia e una lunga teoria di articoli omaggianti sui principali giornali (“Le Monde” in testa). In Italia il percorso è stato un po’ più complicato e difficile perché condotto senza compromessi, con pochissime apparizioni tivù o passaggi radiofonici e nessun tipo di pubblicità. La sua vera forza è stata ed è ancora il passaparola. Chi va ad un suo concerto non riesce a dimenticarlo: l’emozione nasce palpabile e si divide tra tutti; Gianmaria Testa scherza coi suoi musicisti ed è naturalmente comunicativo; i testi sono belli, sono semplici, sono piccole poesie che parlano della vita e che vivono anche al di là della musica; e lei, la musica, insieme ad una voce che si muove tra rauche asprezze e teneri velluti, i testi li trasporta, li puntualizza, li sottolinea. Perché le cose cominciassero a cambiare anche in Italia c’è voluto,paradossalmente, “Il Valzer di un giorno”, quarto disco della sua carriera e il primo di produzione totalmente italiana, che è forse il suo lavoro più “difficile”: canzoni riportate alla loro forma più nuda ed essenziale, due chitarre e voce soltanto.
Domenica sera  Gianmaria Testa ha tenuto un concerto presso l’Aula Magna dell’Università  nell’ambito del Festival Dei Diritti promosso da Centro Servizi Volontariato di Pavia.
Dopo le centinaia di date che hanno portato Gianmaria Testa in tutto il mondo con il suo “Vitamia Tour”, cominciato subito dopo l’uscita dell’omonimo album prodotto da Paola Farinetti, distribuito in Italia da Egea Records e nel resto del mondo da Harmonia Mundi – Le Chant du monde, ora il cantautore piemontese decide di tornare a regalare al pubblico lo spettacolo intimista del “Solo Tour”, accompagnato solo dalla sua chitarra. Può sembrare curioso che proprio Gianmaria Testa, uno degli artisti italiani più aperti alle collaborazioni, agli incontri e ai progetti speciali che mescolano generi e carte (ha collaborato e collabora con Erri De Luca, Paolo Rossi, Paolo Fresu, Gabriele Mirabassi, Enrico Rava, Rita Marcotulli, Stefano Bollani) scelga di tornare ad esibirsi con un concerto in solo, voce e chitarre. Ma a pensarci bene, strano non lo è poi così tanto. Da sempre, infatti, Testa parla di “forma canzone”, di quell’equilibrio perfetto di testo, melodia ed armonia che da solo sa reggere il tutto. Ripete spesso che se le canzoni non vivono ed emozionano da sole, suonate semplicemente alla chitarra, non c’è arrangiamento, non c’è invenzione che le possa salvare.
Ed ecco spiegato il motivo di questa operazione coraggiosa che cerca di guardare alla sostanza delle cose. “Solo dal vivo” è un concerto che restituisce alle canzoni di Testa -alcune delle sue più note- la stessa emozione di quando sono nate, una sorta di grado primo, molto emozionante e intimo, della musica.
 

3 novembre 2012

Il Festival dei diritti dedicato al viaggio

Ben 42 appuntamenti tra teatro, libri, musica, letture e riflessioni per muoversi nello spazio e nel tempo


fotografia di Giovanni Ferma

PAVIA Il Festival dei diritti arriva a Pavia con la sua settima edizione, carico di proposte culturali gratuite, per tutte le età e per tutti i gusti. Sono in tutto 42 gli eventi in cartellone dal 5 al 30 novembre, realizzati grazie al contributo di 44 associazioni del territorio, coordinate dal Centro servizi di volontariato di Pavia e tutte incentrate sul tema del “viaggio”. Viaggio inteso come viaggio nel tempo, nello spazio e nella mente, come diritto inalienabile di ogni individuo e quidi come occasione di evasione gratuita, accessibile a tutti. Tra gli eventi di punta di questa edizione ci sono: quello promosso da Ains in apertura del Festival dei Diritti, lunedì 5 novembre alle 21 al Collegio Senatore (via Menocchio 1), che vedrà protagonista Marco Boschini, autore del libro “Viaggio nell’Italia della buona politica”, viaggio in un'Italia diversa, composta di migliaia di cittadini e amministratori pubblici che quotidianamente realizzano una buona politica, nei loro comuni virtuosi; quello di sabato 24 novembre (ore 21, Aula del '400, Piazza Leonardo da Vinci) che porterà in scena per la prima volta a Pavia lo spettacolo teatrale “Il Grande Viaggio”, di Giuseppe Cederna e Francesco Niccolini, strana cronaca di un viaggio e di altre storie che portano in India, sull’Himalaya e alla sorgente del Gange; per i bambini, la “Biblioteca vivente” promossa da Babele onlus (sabato 24 novembre, ore 15.30, Santa Maria Gualtieri ) una vera e propria biblioteca con lettori e bibliotecari, in cui i libri sono persone in carne ed ossa, ognuna delle quali mette a disposizione la propria storia offrendo al lettore l'opportunità di abbattere i pregiudizi: infine, domenica 25 novembre (ore 19, Salone San Lanfranco, via San Lanfranco 4), la prima “Sunday Soup Pavese”, cena aperta alla cittadinanza, nella quale associazioni e gruppi giovanili hanno l’occasione di presentare un proprio progetto, sottoporlo al voto di ogni commensale (che con 15 euro avrà diritto alla cena e al voto) e cercare di accaparrarsi la maggioranza dei voti, per portare a casa l’intero incasso della serata per la realizzazione dell’idea proposta, con il supporto del Csv. Per il resto, la settimana “tipo” del Festival dei Diritti è ripartita in ambiti di interesse: i viaggi del lunedì porteranno tra libri e riflessioni, attraverso incontri con gli autori (tra i quali Giuseppe Bresciani, Flavio Bianchini e Adriano Sella); quelli del martedì saranno dedicati a “un altro modo di viaggiare”, con proposte di turismo responsabile e viaggi solidali proposti dalle associazioni del territorio, con l'accompagnamento musicale del duo Vercesi-Gusmaroli (flauto e pianoforte); il mercoledì si viaggerà tra cinema e arte, con gli appuntamenti dell’ormai consolidata rassegna cinematografia “MotoSolidale” a cura di Roberto Figazzolo e Filippo Ticozzi; il giovedì sarà il giorno di “Aperigiri e pensieri”, di chi parte, chi arriva e chi si ferma a pensare” (nell'Austria di Mozart, nel Parco del Gran Paradiso, nell'isola più verde della Grecia, nei meandri del sapere, in Kamchatka); il venerdì sarà un girovagare tra immagini e parole, aperitivi e racconti di cooperazione internazionale; i viaggi del sabato raccoglieranno grandi e piccini per portarli ad esplorare l'arte e il teatro; con i viaggi musicali della domenica, il Csv proporrà spettacoli, come quelli con Gianmaria Testa in “Solo” (18 novembre in Università, alle 21 ) e i Dodecacellos, (11 novembre in San Salvatore, via Riviera, alle 21). Tutte le iniziative sono ad ingresso gratuito fino ad esaurimento posti. Info:. 0382.526328; consulenza@csvpavia.it; www.csvpavia.it. (marta pizzocaro, la provincia pavese, 31 ottobre 2012)

Sono impegnate decine di associazioni del terzo settore

PAVIA Sono 44 le associazioni del terzo settore coinvolte nell’organizzazione del Festival dei diritti: Ados, Agape, Aiesec Pavia, Associazione Amici de “La Mongolfiera-Centro Interculturale”, Associazione Amici dei Boschi (Bosco Grande), Associazione Amici di San Mauro, Associazione culturale Antigone, Associazione genitori@scuola, Avvocati di Strada, Calypso, Cooperativa LiberaMente, In Scena Veritas, Italia Uganda Onlus, Parrocchia S. Salvatore, Associazione Filippo Astori, A Ruota Libera, Ains Onlus (per il Guatemala), Aleph Pnl, Amnesty International, Anffas Pavia, Arci, Associazione Momento, Auser Comprensoriale Pavia, Babele Onlus, Cafe (Commercio Equo e Solidale), Caritas Pavia, Centro Affidi del Comune di Pavia, Centro Diurno per la Salute Mentale della Casa del Giovane, Centro Migrantes, Centro Nuvole a Soqquadro, Centro Sportivo Italiano, Collegio Senatore, Consulta Comunale del Volontariato di Pavia, Coordinamento Genitori Democratici, Crm Villa Flavia, Emergency, Incontramondi, Lipu -sezione di Pavia (Bosco Negri), Parrocchia di San Lanfranco, Progetto Con-tatto, Radio Aut, Sogni e Cavalli Onlus, Teatro di Mutuo Soccorso, Uildm-Sezione di Pavia, Unicef – Comitato Provinciale di Pavia. Sostengono l'iniziativa con il gratuito patrocinio la Regione Lombardia, la Provincia di Pavia, il Comune di Pavia, e Aler Pavia, con la collaborazione di Cie Pv (proiezioni del Politeama).

Racconti e foto dei turisti per caso

Iniziativa “Il viaggio di...” E' prorogato fino alla fine del Festival dei diritti (30 novembre, anziché 31 ottobre) il termine per partecipare al contest “Il viaggio di...Raccolta di esperienze di viaggio”, promosso dal Centro servizi volontariato di Pavia e lanciato in agosto, in prospettiva del Festival dei diritti. L'obiettivo dell'iniziativa è quello di portare le persone di ogni età a raccontare il proprio vaggio: quello che è piaciuto di più, quello che ha cambiato la vita e il modo di vedere le cose, quello che semplicemente ha emozionato per un piccolo particolare o un ricordo o anche quello “nel cassetto” che, prima o dopo si vorrebbe fare e che man mano si arrichisce di particolari. «Perché anche sognare è un diritto di tutti» dicono dal Csv. Per partecipare basta inviare il proprio racconto scritto a computer (una pagina) e tre foto, all'indirizzo consulenza@csvpavia.it. Tutto il materiale verrà stampato su pannelli che seguiranno il Festival dei diritti nei vari luoghi della città che l'evento toccherà da qui al 30 novembre. Informazioni e regolamento sul sito www.csvpavia.it – tel. 0382.526328