29 agosto 2010

Hola compañeros!: notizie dal Guatemala

Carissime amiche ed amici, sabato 21 agosto, con il solito aereo delle 8, è partito da Linate alla volta del Guatemala un nostra caro amico e sostenitore: Luca Rossi. Milano-Madrid-Città del Guatemala...una vecchia conoscenza, ormai, questo percorso aereo e che costituisce l'effettiva realtà del verbo 'andare' , misura del viaggio attraverso le nuvole dell'Oceano Atlantico per raggiungere le coste del Nuovo Mondo. Anche per Luca non è una prima volta. E' un ritorno. Un gradito ritorno - dopo il viaggio di Marzo di Emanuele e Anna - a visitare i luoghi dove Ains promuove e realizza i proprii progetti di solidarietà. Noi,è inutile dirlo, siamo pieni di nostalgia. Di senso d'attesa spiegato a immaginare, a breve, di essere là, e che conta i giorni per un altro nostro ritorno. Vorremmo, tutti, essere sopra l'aereo insieme a lui. Speriamo solo che la nostra attesa sia breve... Per ora accontentiamoci di leggere ciò che Luca ci scrive….

Hola compañeros!
Finalmente riesco a trovare un po' di tempo per scrivere.
Come ben sapete sono venuto subito a El Rancho ed ho trovato una situazione climaticamente differente da quella che mi ricordavo perchè, fa sempre caldo, ma piove spesso e forte, ma nonostante questo dal mio arrivo non ho ancora visto scendere una goccia d'acqua dal rubinetto e si continuera` cosi ancora per parecchio tempo.
Inizio dai danni dell'Uragano Agatha: spaventoso e terribile vedere come sono ridotti i pali in ferro del ponte, sono tutti aggrovigliati, i basamenti in cemento sono mezzi rotti. Con Madre Lucita abbiamo percorso la parte che costeggia il rio seguendo la linea della ferrovia. Ho ascoltato i racconti di alcune persone che si trovavano li quella notte (tra cui donna Julia che ora è malata e non lavora più) e si vedeva ancora il terrore nei loro occhi.Alcune case non ci sono piu` ed in particolare alla scuola ho visto velocemente i bambini che hanno perso tutto (pero' li incontrerò con la famiglia piu' avanti.Le case ancora in piedi sono veramente messe male, ne ho vista una che si trova a strampiombo sul rio, fatta di pali e terra occupata da una famiglia estremamente povera. Presumo che se dovesse piovere forte e con molto vento rischierebbero seriamente di fare una caduta di circa 15 metri ed andare direttamente nel rio che e` tutt'ora alquanto pieno con una corrente veramente forte.Questa era la prima cosa che mi premeva dirvi.
Domenica ho seguito la prima delle due giornate della salute in 2 aldee.
La strada per arrivarci e' spaventosa, peggio del peggior Colmenas.
La povertà è presente, ahime', in maniera consistente ed in un'aldea dove Alvaro ha appena iniziato a lavorare (7 mesi) ci sono 5 casi di bambini denutriti.
La giornata della salute è fondamentale perchè lo stato li ha completamente dimenticati.
Lunedi sono stato tutto il giorno alla scuola, sia al mattino che al pomeriggio salutando e abbracciando i bambini. Hanno cantato canzoni, ringraziato, abbracciato.
Ieri sono andato a vedere il terreno donato per il centro nutrizionale. Ho parlato con Alvaro e mi ha chiarito un pó le idee. Non vuole limitarsi ad una mensa bensi’ vuole essere un piccolo centro per anziani, all'interno del quale vuole anche inserire una piccola farmacia e anche un piccolo centro di studio per lo sviluppo alimentare.
Il terreno ha le dimensioni di 25 x 30 metri; accanto c'è un terreno in vendita che vorrebbe acquistare. Mi ha però specificato che ci sarà un'unione di forze perchè coinvolgerá in questo progetto Ains, una associazione spagnola e i cavalieri di Malta che si sono giá impegnati nelle fo rniture di cibo. Non ho ben capito se ci sará anche l'intervento del Cfca.
Penso di aver scritto abbastanza, il programma è cambiato rispetto alle previsioni per impegni improvvisi di Alvaro cosi il programma di giovedi salta e alla giornata di salute di Colmenas lui non potrà venire però io andrò cmq insieme ai ragazzi del Cfca che lavorano di bestia e veramente bene.Fo` il modo di aggiornarvi costantemente.

Luca

P.s. Da solo non mi lascia andare da nessuna parte, sono sempre accompagnato da qualche ragazzo del Cfca, perché la delinquenza è aumentata (anche madre Lucita non mi ha mai lasciato solo un attimo)

10.750,90 euro: continuano ad arrivare fondi per l'emergenza post uragano agatha


Carissime amiche ed amici,
stanno arrivando le ultime offerte per il fondo di solidarietà.
Grazie a tutte e a tutti.
4.500 euro sono stati già mandati in Guatemala per contribuire a soddisfare i bisogni e le necessità delle famiglie dei 15 bimbi iscritti al Liceo San Jose'. In questi giorni si trova a El Rancho Luca rossi, un nostro amico e collaboratore.
Vi invitiamo a leggere la lettera che Luca ci ha inviato nei giorni scorsi aggiornandoci sulla situazione nel villaggio.
Continueremo a tenervi aggiornati. Continuate a seguirci.

Grazie.
giulia dezza, elisa moretti, andrea bellingeri, lele chiodini, ruggero rizzini

24 agosto 2010

Il partito del buonsenso

riceviamo e pubblichiamo

Da: "Comuni virtuosi" marcoboschini@alice.it
A: "associazione ains" associazioneains@yahoo.it
Cc:
"Michele Dotti"
mikuel@fastwebnet.it

Ciao,
ti invito a leggere questo sogno-appello scritto dall'amico Michele Dotti di Mani Tese, con il quale ho avuto il piacere di condividere l'esperienza del libro "L'Anticasta: l'Italia che funziona" (EMI, 2009).

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/27/i-have-a-dream-il-partito-del-buon-senso/44603/

Con lui, e con molti altri, stiamo lavorando per mettere intorno ad un tavolo tutte le persone di buona volontà che in questi anni, in vario modo e a vario titolo, hanno lavorato per tenere in piedi questo nostro trasandato Paese, e mantenere un briciolo di dignità e senso al senso del nostro fare politica, dentro e fuori le istituzioni...

Il tentativo, anzi il sogno, è davvero complicatissimo: mettere insieme tutti quei gruppi, comitati, ong, associazioni (nazionali e non), personaggi noti e meno noti, che si riconoscono nel buon senso e nell'onestà, nella trasparenza e nel rispetto delle regole, e che condividano un paradigma di società basato su sobrietà e integrazione, tutela ambientale e qualità della vita.

Stiamo contattando informalmente in questi giorni vari personaggi con i quali abbiamo condiviso un percorso culturale e progettuale nelle tante sperimentazioni messe in campo dal basso, a livello locale: da Gesualdi a Zanotelli, da Pallante a Fo, da Perna a Petrella e tanti altri ancora...

Stiamo recuperando i riferimenti e contattando tutti i gruppi dove siamo stati in visita in questi anni per presentare il libro, i comuni virtuosi, il nostro lavoro quotidiano. Centinaia e centinaia di realtà territoriali che si battono per salvaguardare il proprio paese, la propria salute, il proprio futuro, e che rispondono con entusiasmo al nostro appello, sintomo che forse stiamo davvero sognando in tanti un cambiamento di passo radicale.

Stiamo anche lavorando per coinvolgere e convincere quei bravi ed onesti amministratori delle istituzioni (soprattutto degli enti locali) che, ad oggi, continuano a militare in partiti con i quali non vogliamo avere più nulla a che fare: troppe contraddizioni, troppi compromessi e ritardi, una classe dirigente del tutto inadeguata...

A fine ottobre saremo a Teano, dove, se tutto va bene, vorremmo annunciare la nascita del nuovo movimento.
http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=5751&catid=39&Itemid=68

Vorrei capire cosa ne pensi, scambiare con te qualche riflessione in merito, vedere se la cosa può in qualche modo interessarti.
Se non ti dispiace ti vorrei chiamare per parlartene di persona, aspetto un tuo cenno e, in attesa di un riscontro, ti ringrazio fin d'ora per l'attenzione.


Un abbraccio sincero, a presto.
Marco Boschini
Assessore di Colorno (PR)
Coordinatore Associazione Comuni Virtuosi
tel. 3346535965 - 3384309269

I have a dream: il partito del buon senso

di Michele Dotti

Ho fatto un sogno, è meraviglioso e non intendo più svegliarmi.

Ho sognato che un bel giorno, un giorno non lontano, stanchi di attendere e sperare in tempi migliori, i settori più attivi della società civile si riuniranno per organizzare tutti insieme il cambiamento politico nel nostro paese, creando un’alternativa credibile, seria, affidabile che tutti gli italiani potranno abbracciare al di là dei rispettivi percorsi politici di provenienza. Un nuovo soggetto politico, estraneo a tutte le vecchie logiche partitiche, né a destra né a sinistra, ma semplicemente “avanti”…

Un movimento fondato semplicemente sul “buonsenso”; quanto basta a capire che la raccolta differenziata è mille volte meglio degli inceneritori, che il risparmio energetico e le rinnovabili sono le vere alternative alla follia del nucleare, che le grandi opere servono solo ai grandi affari mentre sono le “piccole opere” quelle che migliorano davvero la vita della gente!

Un movimento che sa dire si quando è il momento di dire si e no quando è il momento di dire no, in modo chiaro e comprensibile a tutti: si all’integrazione, al rispetto delle diversità, al pluralismo, alla libertà d’informazione, alla pace. No al razzismo, all’esclusione, al monopolio dell’informazione, alla censura, alla guerra e ad ogni forma di violenza.

Sarà così, riflettendo tutti insieme sui contenuti, che i rappresentanti della società civile -raccolti intorno a un tavolo- si accorgeranno di avere fra di loro molti più punti in comune di quanti non ne abbia mai avuti al proprio interno nessun partito nella storia repubblicana. Si renderanno conto cioè di avere creato in tutti questi anni di impegno silenzioso, non soltanto un orizzonte di valori comuni, ma anche un vero “programma” di azioni da realizzare per risollevare il paese, un programma fondato su una visione della società che nessun partito -fino ad ora- ha mai realmente promosso.

E così, mostrando una saggezza che non si è mai vista in Italia, questi “leader” di un “movimento senza leader” sceglieranno consapevolmente di fare ciascuno un passo indietro, per poterne fare dieci avanti tutti insieme.

Ho sognato che ognuno metterà da parte per un attimo quel pizzico di orgoglio, più che legittimo… direi quasi sacrosanto, per i percorsi meravigliosi che ha creato fino ad ora e rinuncerà alla propria sigla, al proprio nome, al proprio logo, per vederne i contenuti aprirsi all’intera società.

Sarà un atto di coraggio e grandezza d’animo, oltre che di lungimirante umiltà!

Un gesto di portata storica, che aprirà uno scenario nuovo per il paese.

E sarà così che in un solo giorno “scompariranno” -per fondersi tutti insieme, invincibili- i Comuni Virtuosi, il Movimento per la Decrescita Felice, le Città della Transizione, i Comuni solidali, le Città del Bio, tutto il mondo del Commercio Equo e Solidale, della Finanza Etica, del Consumo Critico, tutti i Gruppi di Acquisto Solidale, le Associazioni di Volontariato, le ONG, tutte le Liste Civiche e i Comitati spontanei, tutto il Movimento per l’acqua pubblica, gli ambientalisti, quanti si battono contro le mafie, per fondersi in uno straordinario progetto politico unitario ed aprirsi ad ogni singolo cittadino onesto del nostro paese!!!

E tutti insieme creeranno il “Partito del buonsenso e dell’onestà”, che inizierà da subito a presentare il proprio programma su internet, nelle piazze, in tutte le riviste della società civile, nei bagni in spiaggia e nelle baite in montagna, nelle liste d’attesa dei pediatri e delle poste, nei pub e ai concerti… spinto dall’entusiasmo di milioni di volontari di ogni età che ritroveranno finalmente il piacere di impegnarsi civilmente per il proprio paese.

I sondaggi daranno questo partito al 45%, per cui presto anche le tv non potranno più ignorarlo e la visibilità sarà così moltiplicata.

I tentativi di screditarlo -e ve ne saranno diversi- falliranno miseramente, perché la credibilità delle persone che lo rappresentano è tale che non potrà essere smontata così facilmente.

I migliori esponenti della società civile, infatti, si impegneranno in questa sfida che la storia ha posto sul loro cammino; da padre Zanotelli a Francuccio Gesualdi, da Maurizio Pallante a Marco Boschini, da Riccardo Petrella fino ad arrivare a Don Luigi Ciotti, che verrà scelto all’unanimità come candidato premier.

Il nome di Don Ciotti raccoglierà subito la fiducia di milioni di cittadini del Sud d’Italia, da decenni esasperati dai ricatti delle mafie, che vedranno in lui finalmente la speranza concreta di liberarsi dalla criminalità organizzata, e così i sondaggi saliranno ulteriormente portando il partito del buonsenso oltre il 53%.

Gli altri partiti, terrorizzati, reagiranno come possono, alla vecchia maniera, facendo mirabolanti promesse a cui nessun italiano ormai crede più e insinuando che i rappresentanti del nuovo “partito” non possono essere all’altezza della sfida, troppo inesperti dei meccanismi della politica e dell’economia…

A quel punto però nessuno li ascolterà, né replicherà, perché il “programma di governo” della nuova realtà è ormai chiaro a tutti e soprattutto pare scritto dalla gente, finalmente.

Si taglieranno gli inutili e costosissimi investimenti in armi, così come tutti i vergognosi privilegi della Casta, si riaffermerà con forza il valore della cultura, dell’istruzione pubblica, della sanità pubblica, dell’acqua pubblica, si ridistribuirà finalmente la ricchezza nel paese dopo decenni di accresciuta disuguaglianza, si stringerà un patto di solidarietà fra le generazioni che interromperà quella odiosa “guerra fra genitori e figli” sul piano professionale, sociale ed economico.

Liberi dalla paura, così a lungo strumentalizzata per fini elettorali, si ritroverà il piacere di uscire di casa, di stare insieme, di incontrare l’altro. Il razzismo sarà sconfitto dall’amicizia (e quando è il caso anche dall’amore) promossa da precise politiche volte a favorire l’incontro fra le culture.

Le esperienze virtuose -dopo innumerevoli e conclamati successi- verranno prese a modello per tracciare le politiche nazionali, finalmente improntate su una sana ricerca della felicità, più che sulla assurdità della crescita illimitata del PIL.

L’occupazione ripartirà fondata su base più solide, libera dalle fluttuazioni e dalle speculazioni della finanza e più concretamente incentrata sull’economia reale, sull’energia verde, sugli scambi locali, sulla solidarietà. Una solidarietà che andrà anche oltre le frontiere affrontando le sfide globali della fame, della sete, dell’analfabetismo, del lavoro minorile, con la necessaria efficacia.

Ho sognato che la stragrande maggioranza degli italiani -gente onesta che si alza la mattina per andare a lavorare, fa la fila in posta, rispetta il rosso al semaforo- troverà nel “Partito del buonsenso e dell’onestà” il proprio riferimento naturale alle elezioni, e milioni di cittadini che avevano abbandonato il voto perché esasperati e delusi, ritorneranno alle urne non dovendo più scegliere il “meno peggio”, ma potendo finalmente scegliere il “meglio”!

E così alle elezioni sarà un vero trionfo e la gente tornerà a sorridere, libera da quel velo grigio che impedisce oggi di guardare al futuro con speranza e serenità.

Le divisioni ideologiche presto saranno dimenticate e i nostri nipoti un giorno non riusciranno a capire, studiando la storia sui libri di testo, come noi abbiamo potuto impiegare tanto tempo prima di renderci conto di avere la forza necessaria e le capacità sufficienti per realizzare questa rivoluzione pacifica, prima di divenire consapevoli che questo sogno poteva davvero divenire realtà.

Sbarca in Francia il film del regista pavese Ticozzi


“ Dall’altra parte della strada “, abusi tra le mura domestiche

Pavia. “Dall’altra parte della strada”, il medio-metraggio girato a Pavia da Filippo Ticozzi sbarca in Francia al Festival du Film Court de Dijon. Dopo la presentazione in alcuni dei principali festival di cinema indipendente italiani, il film inizia l’avventura francese. Il film racconta una storia di abuso tra le mura domestiche. Una violenza fisica e mentale che consuma i protagonisti fino alla resa dei conti. Vittorio è un uomo affascinante, colto e intelligente. Ha sposato la giovane e brillante marina, che lo ama. Ma questo non gli basta. Raramente film che trattano questo tipo di tematica sono scritti e girati da uomini, lo stesso Ticozzi ha detto: “ Non è facile raccontare la violenza sulle donne: un problema diffuso ma ben nascosto da luoghi comuni (degli uomini) e “silenzio” (dalle donne).
Qualcosa di bestiale, lontano dall’umano, eppure presente pressoché ovunque: tra i ricchi come tra i poveri, tra i colti come tra gli analfabeti, negli Stati Uniti come in Europa; in modi tanto diversi quanto simili “. Gli interpreti del film sono Silvio Castiglioni e Giorgia Sinicorni.

Rischio la vita senza paura per difendere i poveri del mio Guatemala

Mons. Alvaro Ramazzini parla della sua esperienza di Vescovo al fianco dei deboli

di Daniela Scherrer

Mons. Alvaro ramazzini, coraggioso Vescovo del Guatemala (diocesi di san Marcos) rischia ogni giorno la vita schierandosi contro il potere militare e colonialistico per difendere coloro che affettuosamente chiama “i miei poveri”.
Il suo predecessore, mons. Juan Gerardi, pure grande difensore dei diritti dei più deboli, venne assassinato nel 1998. ma questo non intimorisce mon. Ramazzini, che continua nella sua opera di denuncia di sfruttamenti con caparbietà ma anche con una serenità di fondo dovuta alla grande fede che lo sostiene. A lui abbiamo rivolto alcune domande per inquadrare la delicata situazione guatemalteca, dove circa tredici milioni di abitanti hanno davvero molti problemi.
Mons. Ramazzini, come spiega la realtà attuale nel suo paese?
Se possibile è ancora più difficile che in tempo di guerra. La crisi economica mondiale ha complicato tutto, c’è un enorme sofferenze per mancanza di lavoro e quindi si assiste a una forte emigrazione verso gli Stati Uniti. Poi le deportazioni sono notevolmente aumentate e si assiste a ogni sorta di violenza accompagnata da impunità per l’assenza di uno Stato forte. La speranza viene dalla CC (Corte Costituzionale) che negli ultimi tempi sta svolgendo un buon lavoro. E viene anche dalla pastorale giovanile, che si sta rafforzando molto e questa è una nota davvero lieta”.
Lei si occupa anche dei migranti in una zona dove – ha detto – l’emigrazione è forte. Si parla di razzismo anche nelle vostre zone?
Purtroppo si. La mia diocesi è vicino al Messico e quindi in una zona di confine vedo molti emigranti diretti negli Stati Uniti che provengono dal Messico,dall’Honduras, dallo stesso Guatemala. Ma là spesso non vengono trattati da esseri umani, il sentimento della xenofobia è qualcosa di veramente triste che deve toccare la nostra fede cristiana”.
La disgregazione familiare in Guatemala è un problema?
Un grande problema. Soprattutto a causa delle migrazioni tanti uomini hanno lasciato la famiglia e la maggior parte dei bambini non hanno mai conosciuto il padre. Questa è una enorme sofferenza, perché è dalla famiglia che nasce la forza di risollevarsi”.
Lei è costantemente schierato al fianco dei deboli, a costo di rischiare la vita. Le capita mai di avere paura?
Sono perfettamente cosciente di non essere simpatico a molta gente potente, ma la mia soddisfazione sta nel poter essere la voce di chi è troppo debole per far sentire la propria. Questo per me è l’importante, il resto conta poco. Se ho paura? Quando ci penso un po’ si, è umano credo, però cerco di non pensarci…anche perché alla fine la mia vita è nelle mani di Dio”.

19 agosto 2010

Ains arruola medici e infermieri per il Guatemala

Ecco il progetto “Giornata della salute”: sei tappe fino a dicembre nei villaggi più poveri
PAVIA. Un intero villaggio in fila, per farsi visitare. E’ il progetto promosso da Ains, la onlus pavese che da anni coopera con il Guatemala. «Si chiama “Giornata della salute” - dice Ruggero Rizzini, infermiere fondatore della onlus -. E’ un progetto sperimentale che quest’anno ci autofinanziamo. Ma per il prossimo anno apriamo le porte a nuove collaborazioni. E invitiamo infermieri e medici pavesi a diventare volontari: è un’esperienza unica. Nel 2011 la apriremo a chi volesse partecipare, per ora invece è affidata ai medici e agli operatori del posto».
Patologie che qui raramente si intercettano, malattie dimenticate che però, a volte, arrivano anche nel pronto soccorso dei nostri ospeali con gli immigrati. Le “giornate della salute” sono partite all’inizio dell’estate. In tutto sono sei tappe, fino a dicembre. «Prima di partire con le visite ci siamo informati al centro di Salute di Jocotàn - spiega Alejandra Ramirez Perez, uno dei cinque giovani studenti del quinto anno di medicina dell’Università di città del Guatemala -. E l’infermiera ci ha annunciato che avremmo incontrato persone con anemia, raffreddore, malattie del fegato, parassitismo, presenza di funghi, ustioni, allergie, artrite, dissenteria amebica e gastrite». Intere famiglie, mamme con i figli in fasce tra le braccia, piccoli scalzi ma anche molti uomini, Tutti ordinatamente in fila fuori dal dispensario. Tanti i farmaci richiesti, che hanno comportato la spesa maggore del progetto. «Abbiamo riscontrato molte piccole ustioni, soprattutto nei bambini - dice la dottoressa - causate dal contatto con i fuochi che normalmente vengono accesi all’interno delle umili case. Fuochi accesi quasi tutto il giorno e utilizzate per cucinare e scaldarsi. Ma abbiamo curato anche molte infezioni intestinali, carenze vitaminiche per malnutrizione e soprattutto difficoltà respiratorie per il fumo respirato all’interno delle abitazioni». Sono state visitate moltissime persone. E altrettante ne arriveranno alle prossime Giornate della Salute. «Un ruolo importantissimo lo svolge l’infermiera che insegna educazione sanitaria alle mamme - spiega la dottoressa -.
In questo villaggio ci sono 324 famiglie con 54 bambini, non c’è acqua, la situazione igienica è scadente, non c’è luce e dal punto di vista alimentare molte sono le carenze nutritive». L’alimentazione è composta esclusivamente da mais, fagioli e caffè, poca verdura e pochissima frutta. Chi volesse partecipare nel 2011 al progetto in Guatemala può contattare Ains all’indirizzo associazioneains@yahoo.it.
(martia grazia piccaluga- la provincia pavese, 18 agosto 2010)

18 agosto 2010

Prostituzione, quando l’uomo sottomette rivelando le sue debolezze

Francesco Provinciali autore del libro “Tutte a casa”: storie di violenza, solitudine, scelte sbagliate che fanno riflettere.

di Daniela Scherrer, il Ticino
sabato, 10 luglio 2010

Diciotto capitoli su un tema estremamente delicato e di attualità: la prostituzione, punta dell’iceberg di una condizione femminile che da sempre vede la donna come incarnazione della corporeità a disposizione dell’uomo.
Una condizione difficile da sradicare, nonostante le tante battaglie e i troppi discorsi.
Ne abbiamo trovato desolante conferma anche nei recentissimi tragici eventi di cronaca nera, dove le donne hanno pagato con la vita la fine di storie d’amore. Autore di “Tutte a casa” è Francesco Provinciali, da vent’anni Ispettore del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e membro dell’Osservatorio sui Minori della Regione oltre che già Giudice onorario minorile presso il Tribunale di Milano.
La prima domanda è scontata: perché questo libro e che messaggio vuole trasmettere?
La causa occasionale è stato il provvedimento governativo Carfagna-Alfano-Maroni con cui è stato vietato l’esercizio della prostituzione per strada. Mi è venuto spontaneo allora scrivere un libro, che non vuole essere di denuncia sociale – ce ne sono già troppi – ma cerca di ispirare sentimenti e coinvolgimenti emotivi. Soprattutto vorrei far capire come il “mandarle tutte a casa” non consenta di estirpare alla radice il problema, specialmente se si pensa che per molte di loro casa è sinonimo di una condizione uguale se non peggiore di quella che trovano sulla strada. Pensiamo alle ragazze che vengono spedite in Italia dall’Est o dall’Africa e anche ai molti casi di violenze subite tra le mura domestiche da padri, mariti, fidanzati”.
Lei è particolarmente coinvolto nell’ambito minorile…
Si, dove i dati sulla prostituzione sono veramente raccapriccianti. Si riferiscono al 2005, ma adesso la situazione non è certo migliorata, anzi…il 10% della popolazione femminile dedita alla prostituzione in Italia è di età compresa tra dieci e quindici anni, il 30% tra i sedici e i diciotto. Il che significa che quasi la metà delle prostitute è minorenne…un popolo della notte sottomesso fisicamente e psicologicamente, sfruttato, spesso percosso e qualche volta ucciso. È un fenomeno di ingiustizia sociale alimentato anche da persone “double-face” che all’apparenza sono lavoratori, mariti e padri modello e che invece poi si trasformano in predatori”.
Alla fine però questi uomini dalla doppia vita si svelano in tutta la loro debolezza, nell’incapacità di gestire la propria vita.
E’ vero. L’anello debole di questo fenomeno è proprio l’uomo e, se è vero che ogni storia di corpi è anche storia di anime, la sottomissione fisica esercitata da questi uomini è specchio di una straordinaria debolezza emotiva da parte di chi cerca una condizione di appagamento introvabile altrove”.
L’incomunicabilità che spesso regna in famiglia gioca quindi un ruolo importante.
Indubbiamente la condizione di solitudine esistenziale crea premesse importanti. Spesso in famiglia i sentimenti prevalenti oggi sono quelli di sopportazione reciproca. Si vive nella stessa casa, ma non ci si parla più se non per affrontare le criticità e le problematicità della coppia e dei figli. E così alla fine ciascuno sviluppa una vita sentimentale parallela e ci sono anche casi di uomini che cercano una prostituta solo per parlare o per essere ascoltati o per un abbraccio”.
Una delle storie più “forti” del suo libro è “la bambola del nonno”, che pone l’accento sul turismo sessuale e veramente fa riflettere…
E’ la storia di un nonno che parte da casa alla volta della Thailandia e là concupisce una bambina di otto anni, la stessa età della nipotina. Poi all’aeroporto, prima di tornare a casa, compera una bambola per la nipote: una è bambina, l’altra oggetto di piacere, simbolo della doppiezza del vivere di questi – mi si perdoni il termine – vecchi bavosi”.
Un’ultima domanda. Sinora abbiamo parlato di donne costrette a prostituirsi. C’è anche però una consistente fetta di prostituzione per scelta, cui anche lei fa riferimento nel suo libro. Che ne pensa?
E’ vero. E’ la fascia di prostitute più sofisticate, di alto bordo, le cosiddette escort. Donne che si prostituiscono perché hanno capito che quello che gli uomini ritengono il loro punto di forza è in realtà il punto più debole. E così mercificando il proprio corpo in maniera programmata per alcuni anni si fa carriera, si raggiungono quelle condizioni di agiatezza che mai sarebbero possibili con una vita di lavoro. Questo fenomeno dal punto di vista morale non è certamente meno negativo, anzi lo è di più. E aggiungerei anche che molto negativo è l’atteggiamento generale di fronte a tutto ciò: si tende infatti a liquidare tali situazioni con una strizzatine d’occhi, ritenendola ormai parte naturale del degrado del mondo politico, dello spettacolo, della società nel suo complesso”.

Sedici donne, sedici storie di lividi nel corpo e nell’anima

Laura Romano, consulente pedagogica, racconta perché il dolore pretende di essere ascoltato

di Daniela Scherrer, Il Ticino-31 luglio 2010

Giulia ha sei anni e all’asilo si trasforma da bambina modello ad alunna ingestibile perché inconsapevolmente vuole attirare l’attenzione dei suoi genitori immersi nella gestione della sorellina disabile. Clarissa di anni ne ha ottantuno e sono i vicini a salvarla dalle percosse del figlio cresciuto sulla stessa lunghezza d’onda del padre violento. In mezzo un ventaglio anagraficamente molto variegato di donne ferite nel corpo e nell’anima, raccontate da Laura Romano nel suo ultimo libro “Lividi”, raccogliendo testimonianze dal suo lavoro di pedagogista.
Per lei si tratta della terza pubblicazione, dopo quella sull’adultità femminile e la seconda dedicata alle problematiche adolescenziali. In autunno uscirà un altro suo libro, un’indagine psico-pedagogica sulla costruzione dell’identità di genere femminile.
Un libro scritto “da donna”raccontando d donne ferite: così scrive lei nella sua introduzione. Quanto conta essere donna in questi casi?

Innanzitutto vorrei sottolineare che non ho scelto di scrivere storie al femminile perché le donne soffrono più degli uomini. Penso che in questi ambiti esista sicuramente anche una sofferenza al maschile. Semplicemente interessava maggiormente a me esplorare il pianeta “in rosa”. Ho sottolineato “da donna” perché ritengo che le donne siano capaci di cogliere più in profondità alcuni aspetti della sofferenza che si vede nell’altro, che abbiano occhi e cuore differenti e probabilmente anche una sensibilità maggiore perché finiscono sempre col sentirsi coinvolte in prima persona”.
La sua professione la porta a contatto con infinite realtà di sofferenza sul modello di quelle raccontate nel libro. Perché allora ha scelto proprio queste? C’è un filo conduttore particolare?
Ho voluto scegliere storie che coprano un ventaglio molto ampio generazionale: c’è la bambina di sei anni e la donna di oltre ottant’anni. Desideravo in questo modo essere esemplificativa di una vita che si vive fino all’ultimo giorno. Diciamo che due sono le caratteristiche che accomunano queste sedici storie: innanzitutto raccontano sofferenze molto forti, poi le protagoniste avevano manifestato segnali che avrebbero potuto essere colti dalle persone intorno a loro prima che il dolore culminasse per alcune addirittura in tragedia. Vuole essere l’invito a tenere sempre aperti gli occhi, sia in famiglia che a scuola che anche nel vicinato”.
Essere amati abbastanza…Lei usa questi termini per spiegare come si possano evitare lividi e ferite nella vita. La sofferenza dell’anima quindi è sempre strettamente correlata alla mancanza di amore?
All’essere amati poco oppure troppo. L’eccesso di amore porta comunque a distorcere il sentimento, a trasformarlo in patologico e quindi distruttivo anziché costruttivo. L’amore ha senso senza se o ma, prendiamo ad esempio quello genitoriale: deve essere incondizionato per aiutare un figlio a costruire solide basi nel rispetto di se stesso e nella realizzazione di una certa autostima. Il genitore non deve amare un figlio per ciò che fa ma per ciò che è”.
L’amore ricevuto quindi è più importante ancora nei bambini o è ugualmente importante in tutte le fasce di età?
L’amore ricevuto dalla famiglia nell’infanzia e nella preadolescenza consente al figlio di costruire quelle barriere di protezione che lo renderanno poi capace di affrontare più saldamente eventuali casi futuri di amore distorto senza soffrire troppo. Quando viene a mancare da bambini, invece, si diventa meno capaci di distinguere in età adulta l’amore vero da quello distorto, patologico. Ma anche da adolescenti episodi ad esempio di abuso sessuale possono segnare a tal punto da trasformare l’idea di coppia in qualcosa di così distorto che diventa molto difficile lavorare per restituire speranza”.

Ecco, speranza…Al termine di ogni storia lei entra nel dettaglio psicologico, dando la spiegazione di quei lividi. E chiude sempre lasciando semi di speranza…
La speranza è qualcosa da lasciare a tutti, indistintamente, senza peraltro negare che il lavoro dovrà essere più profondo nel caso di lividi di vecchia data. E che l’identità di genere femminile è tradizionalmente più complessa rispetto a quella maschile”.
Lei ha 41 anni, chi scrive 42. qual è l’errore più grosso che commettono gli adulti di oggi nell’educare i figli?
Credo che principalmente i genitori di adesso fatichino molto a offrire progetti di medio/lungo termine ai loro figli perché si sta vivendo nell’epoca del “tutto e subito”. E la mancanza di progettualità porta scarsa tensione verso il futuro e alla difficoltà nel costruire relazioni significative”.
Un’ultima curiosità: perché sulla copertina del libro è raffigurato un maglione roso “buttato” sopra un calorifero? Qual è il messaggio?
Non ho scelto io la copertina, ma l’ho comunque condivisa subito perché ho visto la volontà di proporre un oggetto banale e di uso comune come un calorifero che acquisisce un senso totalmente diverso se c’è un particolare che lo modifica, come questa “macchia rossa” (il maglione) che ai miei occhi incarna la violenza”.

8 agosto 2010

Alcune informazioni circa la “giornata di salute” organizzata nell’aldee di tatutù in Guatemala

Il mese scorso è partito il progetto “Giornate di Salute” presso l’aldea d Tatutù. Qui sotto trovate un’ intervista ad Alejandra Maria Ramirez Perez, uno dei cinque giovani studenti del quinto anno di medicina, presso l’università di città del Guatemala, che hanno dato la loro disponibilità per il progetto che nasce dalla collaborazione tra la nostra associazione (AINS onlus), l’associazione Moises lira Serafin, nostra partner progettuale da anni a El Rancho e l’ONG statunitense C.F.C.A. Domande semplici per capire qualcosa in più di quel che succede nei “nostri” luoghi. Spaccati umani di Guatemala.
Dialogando e costruendo.

Dottor.ssa Ramirez quali sono le malattie che avete riscontrato durante la prima giornate di salute fatta presso l’aldea di Tatutù?
Prima di iniziare il progetto che è di sei giornate di salute, da luglio a dicembre, ci siamo informati e i dati forniti dall’infermiera del Centro di Salute a Jocotán hanno evidenziato che avremmo incontrato, come è successo, persone con anemia, perdite vaginali, raffreddore, mal di testa, malattie peptiche, parassitismo,presenza di funghi, ustioni, allergie, impetigine, cellulite, artrite, congiuntivite, dissenteria amebica, gastrite”.
Quali farmaci avete usato durante la prima giornata a tatutù?
Le visite hanno richiesto l’utilizzo di antibiotici, antistaminici, antifunginei, antiparassitari, antipiretici, creme vaginali, vitamine, sedativi della tosse, espettoranti. Abbiamo riscontrato molte piccole ustioni, soprattutto nei bambini, causate dal contatto con i fuochi che normalmente vengono accesi all’interno delle umili case in cui vivono le persone di questa aldea.Fuochi accesi quasi tutto il giorno e utilizzati per cucicare e per scaldarsi. Molte sono state le infezioni intestinali, della pelle, le carenze vitaminiche per malnutrizione e soprattutto abbiamo usato molti espettoranti in quanto quasi tutti avevano tosse e lievi difficoltà respiratorie anchesse causate dal fumo respirato sempre all’interno delle loro abitazioni”.
Quante persone avete visitato?
Tantissime, soprattutto donne e bambini. Un ruolo importantissimo l’ha svolto l’infermiera presente alla giornata. In un contesto di giornate mediche la parte importante è quella riguardante l’educazione sanitaria. In questa aldea di 324 famiglie, non c’è acqua, la situazione igienica è scadente, non c’è luce e dal punto di vista alimentare ci sono problemi nutritivi con carenze soprattutto vitaminiche. L’alimentazione è composta esclusivamente da mais, fagioli e caffè. Poca verdura e soprattutto pochissima frutta. C’è bisogno di momenti educativi sanitari e il ruolo infermieristico è fondamentale”.
Quanti bambini vivono in questi villaggi e quanti hanno bisogno di un medico?
Nell’aldea di tatutù ci sono 324 famiglie e il numero dei bambini è di 54. Tutti, in linea di massima, hanno bisogno di un medico”.
Ci permetta alcune domande generiche per inquadrare meglio la situazione sanitaria della zona dove si è svolta la giornata di salute. Esiste un centro di salute a tatutù?
“I Centri di Salute sono a Jocotan e Camotán e coprono le esigenze per l'assistenza sanitaria di base. Non esiste però una presenza quotidiana di questi servizi in questi villaggi. In generale, data la situazione precaria della sanità pubblica in Guatemala, lo stato organizza solo una volta l'anno l'inizativa delle giornate mediche.E, data la carenza di farmaci nei villaggi, qualora qualcuno si ammalasse è costretto a trasferirsi nel centro municipale più vicino con gravi disagi in termini logistici.Spesso le persone più deboli non riescono ad affrontare questi spostamenti, sovente difficoltosi, e si lasciano morire “naturalmente” nel loro villaggio di residenza”.
C'è la disponibilità di un medico o di un infermiere in quese aldee?
Non vi è nessuna presenza medica o infermieristica permanente. Sorprendentemente, molti bambini muoiono senza avere il minimo di assistenza sanitaria. L'appoggio sanitario è dato solo dal medico municipale residente a distanze molto grandi dai villaggi”.
Quante ore è aperto il Centro di salute durante la settimana?
Nel capoluogo municipale sono aperti tutto il giorno. Il governo ha istituito alcuni centri di salute aperti 24 ore al giorno...il problema non è l'apertura ma la mancanza di disponibilità di farmaci”.
Nelle comunità esiste un promotore di salute?
Esiste un promotore di salute a livello rurale. E' una presenza che funge da tramite tra il villaggio e il centro di salute municipale. Organizza e promuove le giornate mediche presso il villaggio e dispone, per il primo intervento, di una cassetta di pronto soccorso. E’ positivo e necessario avere i promotori di salute in un villaggio”.
Cosa ci può dire della prima giornata di salute?
Durante la giornata di salute abbiamo visitato molte donne e molti bambini, categorie decisamente più esposte a rischi. Durante questo primo giorno,ad esempio, abbiamo effettuato moltissime medicazioni oltre ad auscultazioni dei polmoni, del cuore e palpazione delle pance di molti bambini.
Le giornate di salute nelle aldee rurali, sia come momento d'assistenza, sia come momento educativo, è una priorità e un'urgenza assoluta che va continuata in quanto lo stato è assente”.

INTERVISTA AD ANNAMARIA, STUDENTESSA PRESSO IL LICEO SAN JOSE' A EL RANCHO

Qui sotto trovate una breve intervista ad Annamaria.
Domande semplici rivolte ad una giovane ragazza attualmente iscritta al Liceo San Josè a El Rancho, la scuola dove Ains promuove da diversi anni il progetto di sostegno scolastico a distanza.
Annamaria frequenta il ciclo 'basico', un ciclo scolare di tre anni, in Guatemala frequentato dai ragazzi in età tra i 14 e i 16 anni. E' la porta d'accesso al successivo bienno di specializzazione; da lì in poi si sceglie cosa 'diventare'; maestre, periti contabili, periti economici, periti informatici. ecc.ecc., secondo le attidudini di ciascuno.
A questa serie di piccole domande, certo semplici, corrispondono risposte di vita quotidiana ma anche progetti per il futuro prossimo e qualche sogno nel cassetto.
Leggete cosa dice Annamaria. Così, per capire qualcosa in più di quel che succede nei 'nostri' luoghi. Spaccati umani di Guatemala.
Seguiranno altre 'interviste' ad altre persone a noi vicine: amici, collaboratori, suore, lavoratori, altri ragazzi.
Dialogando e costruendo.


Ciao Annamaria! Iniziamo dalle presentazioni. Chi è Annamaria...???...(nome, cognome, dov'è nata, quanti anni ha, dove ha vissuto e dove vive attualmente etc.etc.)
"Buongiorno carissimi amici italiani di Ains! Mi chiamo Annmaria Mendez Aguilar. Sono nata il 26 Agosto 1996 nel villaggio di El Rancho, dove vivo attualmente. Tra pochi giorni compirò 14 anni".
C'è un interesse da parte dei nostri sostenitori italiani, ragazzi e adulti di conoscere qualcosa in più. Com'è organizzata, ad esempio, la tua giornata?
"La mia giornata è organizzata così: al mattino aiuto mia mamma nel disbrigo delle faccende domestiche. Poi, quando lei esce per andare al lavoro utilizzo il restante tempo per fare i miei compiti scolastici. Al pomeriggio vado a scuola, al Liceo San Josè, rimanendo occupata dalle 13,30 alle 18,30. Rientrata a casa, dopo la scuola, aiuto mia mamma a preparare la cena, guardo un poco la televisione, organizzo i miei compiti per il giorno seguente; dopodiche' vado a dormire".
Sappiamo bene che frequenti il Liceo San Josè e sei molto brava. Che rapporto hai con lo studio e cosa di piacerebbe studiare terminato il ciclo basico? Ti piacerebbe arrivare all'Università?
"Credo di intrattenere una buona relazione con lo studio e la scuola. Per ora il mio interesse è quello di riuscire bene, di fare bene , in questo ciclo scolastico denominato, qui in Guatemala, 'basico' e di aiutare mia mamma a portare avanti la nostra casa. Quando avrò terminato, dopo il terzo anno basico, mi piacerebbe iscrivermi al biennio di specializzazione denominato 'magisterio' per poter diventare insegnante elementare. Tuttavia questo corso non è organizzato a El Rancho, così dovro' andare a Guastatoya per seguire queste lezioni (la città capoluogo del dipartimento che dista da El Rancho circa 20 km)...e viaggiare tutti i giorni. Il mio sogno, in prospettiva, rimane quello di iscrivermi all'Università e di laurearmi".
Passiamo a due domande più 'leggere'. Raccontaci brevemente, e molto liberamente, del tuo tempo libero, dei tuoi passatempi preferiti, di come sono organizzati i tuoi tempi di vacanza?
"Diciamo...che non ho molto tempo libero...tra lo studio e l'impegno in casa. Però mi piace molto ascoltare musica. Durante il periodo delle vacanze (in Guatemala, dalla metà di Ottobre alla metà di Gennaio),solitamente, mi trasferisco da una zia che abita alla capitale , Città del Guatemala. Lì divido il mio tempo tra passeggiate al parco pubblico, gite in piscina o ai parchi acquatici e visite a luoghi guatemaltechi di cui ancora non conosco l'esistenza o la storia".
Cosa ci dici di noi 'italiani' che ogni tanto arriviamo lì da te in Guatemala? Ti piacerebbe, un giorno, fare un viaggio in Italia?
"Certo sono molto contenta quando venite in Guatemala e passate a trovarmi. Tutti noi siamo molto contenti delle vostre visite frequenti frutto dei vostri viaggi e impegni. Sono molto contenta di poter scambiare la mia amicizia con voi e con tutti coloro che di volta in volta hanno l'opportunità di visitare il nostro villaggio. Io stessa conosco le vostre attività di
solidarietà e so che siete impegnati per garantire a tanti bambini e giovani della nostra terra, un'opportunità, una possibilità in più per costruirsi un futuro migliore.
Infine...a tutti noi piacerebbe conoscere il vostro paese, l'Italia. Conoscere le vostre abitudini, la vostra storia, le vostre città...la vostra cucina...Io non sono l'eccezione: se, in futuro, mi si presenterà la possibilità, mi piacerebbe davvero venire a conoscere l'Italia. Un caro saluto a tutti!!! Grazie!!!".




7 agosto 2010

10.050,19 euro: raggiunto l'obiettivo

10.050,19 euro

Carissime amiche ed amici,
possiamo dire di aver raggiunto l'obiettivo.
Grazie a tutte e a tutti.
Grazie per la fiducia manifestata al nostro gruppo associativo.
Grazie per la generosità e l'impegno di ciascuno.
Questi fondi saranno utilizzati in Guatemala per contribuire ad alleviare i bisogni e le necessità delle famiglie dei 15 bimbi iscritti al Liceo San Jose', “atterrati”, dopo il passaggio di “Agata” anche da El Rancho.
Nei prossimi giorni e mesi sono programmate alcune partenze per le nostre tappe Centroamericane.
Vi terremo aggiornati sull'impiego di questo denaro, frutto esclusivo di solidarietà, e sullo stato effettivo dei nostri progetti avviati laggiù.

Grazie.
giulia dezza, elisa moretti, andrea bellingeri, lele chiodini, ruggero rizzini



Ospedali psichiatrici giudiziari: quando il recupero è impossibile

di Elia Belli, Il Ticino-31 luglio 2010

Nell’ambito della Commissione Sanità è stata avviata un’inchiesta da parte del Sistema Sanitario Nazionale sulla cura della malattia psichiatrica nell’applicazione della legge 180. alcuni membri della commissione parlamentare si sono recati negli istituti di detenzione e cura, un tempo noti con il nome di “manicomi criminali”, e oggi denominati “ospedali psichiatrici giudiziari” (o.p.g.). tra questi, Daniele Bosone, senatore pavese del Partito democratico, che lancia in questa intervista la sua denuncia della grave situazione oggetto dell’inchiesta fino a pochi giorni fa secretata.
Quanti sono in Italia?
In Italia sono sei e come commissione di inchiesta li abbiamo visitati tutti dal momento che abbiamo avuto diverse segnalazioni di situazioni di degrado. Da queste segnalazioni è scaturita una volontà di verifica della commissione che si è tradotta nelle visite che abbiamo effettuato e che fino a poco tempo fa erano assolutamente coperte dal segreto.
E che cosa avete scoperto?
Abbiamo scoperto un vero e proprio mondo a parte fatto di strutture che dovrebbero essere riabilitative e, quindi, medico-ospedaliere soprattutto dopo il passaggio in capo al Servizio sanitario Nazionale del 2008. e invece ci siamo trovati davanti ad istituti sostanzialmente detentivi con una maggioranza di personale penitenziario rispetto a una proporzione assolutamente esigua di personale medico-ospedaliero. Pensate addirittura che in alcune strutture non è presente neppure un medico psichiatra, ma è “a disposizione” per essere chiamato. Abbiamo scoperto vere e proprie carceri dove l’elemento sanitario è assolutamente assente come in Sicilia, a Barcellona, nell’istituto di Pozzo di Gotto dove impera una situazione in cui le persone vengono trascurate dal servizio sanitario e abbandonate dalla società. Insomma un vero e proprio “inferno” dei dimenticati.
Chi sconta una pena detentiva in queste strutture?
In queste strutture sono ricoverate, ma forse, dovremmo dire rinchiuse, persone che non sono condannate perché non imputabili in quanto non capaci di intendere e di volere. La cosa che però è decisamente strana è che la misura cautelare è reiterata negli anni perché di queste persone nessuno si fa carico, né le famiglie né i servizi sanitari territoriali. Ci sono persone che scontano pene detentive da decenni semplicemente per un oltraggio a pubblico ufficiale e che da 20-25 anni sono dimenticate li dentro.
Di quante persone stiamo parlando?
Negli ospedali psichiatrici giudiziari attualmente sono detenute circa 1500 persone in strutture per lo più fatiscenti, in condizioni di sovraffollamento e con situazioni igieniche decisamente precarie. Sono persone al di fuori della tutela anche della Costituzione.
Quali le strutture “problematiche”?
Sicuramente l’istituto di Barcellona, in Sicilia, poi quella di Aversa in Campania e, infine l’Ospedale giudiziario di Montelupo Fiorentino, in Toscana. Le situazioni sono davvero al limite con 3 pazienti in celle da 9 metri quadrati, senza servizi igienici. Penso che nessuno in queste condizioni possa essere curato o avere una speranza in termini riabilitativi. Anche perché non si sa quando e come queste persone potranno uscire.
Che fare?
Sicuramente relazioneremo in Commissione Sanità della situazione facendo una forte denuncia di ciò che abbiamo visto e di come vengano calpestati quotidianamente i diritti di queste persone più alcuni di questi detenuti/pazienti hanno una pericolosità sociale rilevante e per questi l’aspetto detentivo va tenuto presente. Ma è anche vero che, al contrario, per il 50% circa dei soggetti oggi detenuti sarebbero necessari e sufficienti percorsi di cura e affidamento sanitario alle Asl del territorio. Sembra banale, ma ad oggi nulla di ciò è successo. E credo che le responsabilità vadano equamente divise tra sistema carcerario e sistema sanitario.
Qualche fiore all’occhiello tra le strutture visitate?
Beh si…l’unica struttura davvero a posto è quella di Castiglione delle Siviere vicino a Mantova. È una struttura esemplare in cui la comunità riabilitativa è in mano a personale medico sanitario che, contrariamente rispetto a quanto accade altrove, è in maggioranza rispetto al personale penitenziario. E a Mantova sono ricoverate anche persone con una pericolosità molto alta eppure si sono visti notevoli risultati sotto il profilo terapeutico. Invece per le strutture di Barcellona, Montelupo Fiorentino e Aversa bisognerebbe prendere in considerazione la chiusura, in qunato si tratta di strutture sicuramente non più compatibili né con una detenzione rispettosa delle dignità umana, né tantomeno con una qualsiasi possibilità di cura. Comunque il sistema degli OPG così come sono va sicuramente superato obbligando le ASL a prendersi in carico di questi pazienti nell’ambito dei propri servizi territoriali. E poi probabilmente andrebbe modificato anche il codice penale.
In che senso?
Nel senso che, a volte, la non imputabilità è un grave danno perché queste persone scontano pene non commisurate al reato commesso. Carcerazione di decenni per reati minori. Comunque gran parte del nostro sistema carcerario va rivisto per evitare nuovi casi limite o emblematici. Penso, ad esempio, all’episodio grave che capitò a Cucchi; cose del genere non devono succedere più. Da ora, come commissione sanità cominceremo ad occuparci di questo mondo dimenticato perché, come sosteneva Dostoevskij, “il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”.

5 agosto 2010

la Champa, Guatemala

Il rumore di camion che accelerano e che cambiano marcia in salita, mi sveglia. Marciano bolsi, a fatica. Vedo un cartello a bordo strada che mi dice che siamo sulla carretera atlantica. Una vera e propria autostrada ben asfaltata, con guardrail e segnaletica.
La carretera atlantica attraversa il paese e collega Puerto Barrios, a nord sul Mar Caraibico – golfo dell’Honduras a Puerto Quetzal sull’oceano Pacifico. Passando dalla capitale per un totale di 310 km.
E’ una carreggiata a tre corsie: due nella direzione Nord-Sud, cioè dagli Stati Uniti verso l’America Centrale e infatti è trafficatissima. L’altra corsia nel senso Sud-Nord, dal Guatemala verso i carabi e gli States, ha decisamente meno veicoli. Tra cui il nostro pulman, infatti noi stiamo andando a Nord. Per la verità dobbiamo andare ad Ovest, ma Cesar ha in testa il suo percorso.Ad un certo punto il pulman rallenta parecchio. ai lati della strada vedo parcheggiati diversi camion. Sono quelli con la motrice presente e il rimorchio raso terra portato da almeno otto ruote. Adesso stiamo proseguendo a passo d’uomo. Per strada c’è molta gente. Alcuni bambini si arrampicano sui cam
ion con in mano dei sacchetti di plastica o dei cesti coperti da una stoffa. Le donne invece, da terra parlano con gli autisti che non sono ancora scesi dal veicolo. Siamo alla Champa.
Nella Champa non ci arrivi, ti ci trovi dentro. La prima cosa cheti viene in mente sono i nostri autogrill, con tanto di distributore di benzina e il bar-supermercato. Ma qui, attorno a queste due strutture, è sorto un mercato. Di più, un paese in cui, per 365 giorni l’anno, 24 ore su 24, vivono almeno 1.000 persone. Hanno costruito delle baracche da cui si affacciano come statuine di un presepe. Poche assi, sembrano più dei ripari. Alcune davanti hanno un grosso braciere e su di un muretto espongono tegami fumanti che mostrano spezzatini di carne o verdure al pomodoro. Il distributore di benzina Texano è lo stesso di quelli che si vedono negli Usa. Molto largo, ampio, con tutte le strutture a misura di tir mastodontici. Sotto alle pensiline, come lillipuziani, si muovono decine di persone. Quelli di passagg
io che scendono dai mezzi pubblici, da auto, da carri e carretti, e da pic-up, e si fermano per far benzina, per riposarsi e fare uno spuntino. E quelli che invece alla Champa ci vivono, lavorano e muoiono. Questi offrono in vendita tutto il possibile e l’inimmaginabile a chi transita qui. Mi piacerebbe scendere e vedere. Ma gli altri stanno dormendo e il pulman sembra non sosti per far benzina. Lascio Lorenzo e mi siedo nel sedile dietro che è libero, così posso guardare dal finestrino.
“ E’ la prima volta che vedi la Champa?”La voce viene dal sedile dietro. Fatico a riconoscere una donna sotto ad una cuffia di lana scura calata sino ai sopraccigli folti che incorniciano un paio di occhi neri. Ha lineamenti occidentali, ed è minuta e magrissima. “La Champa per qualcuno è un’aldea a sé – dice -. Per altri invece è la parte peggiore di El Rancho. Il paese a dieci chilometri da qua.
Da li ogni mattina scendono decine di persone, donne e bambini con il loro misero carico di mercanzia da vendere: cicles, tamales, pesce del rio Motaguà. Alcuni stanno giù anche qualche giorno o qualche settimana. Ogni momento è buono per fare affari”.
“Ma come sai queste cose?”, chiedo e lei mi fa segno di passare dietro. Così faccio.
“Ci ho lavorato. Nella Champa ogni cosa ha il suo posto da anni. E non cambia, non può cambiare, è meglio non cambiare – la donna parla con scioltezza in un perfetto castigliano -. La c’è il supermercato Food Mart, aperto tutti i giorni, anche di notte. Dietro al Texano ci sono le prostitute, davanti c’è il comedor gestito da quelle che non possono più fare il mestiere. In fondo si gioca d’azzardo, adesso non c’è nessuno, ma soprattutto al pomeriggio ci sono i ragazzi che fanno i trucchi con i bicchieri e si scommettono soldi. Da quella parte ci sono tutte le officine: gommista, elettrauto, meccanico. La Campa è pur sempre un autogrill”.
“Ah autogrill…, anche in Italia si chiama così….”, dico perplessa.
Lei sorride e continua: “Ogni cosa ha il suo posto, così se ripassi la trovi subito senza perdere tempo”. E come se la donna con il berretto avesse fermato il filmato della vita là fuori. Prima era tutto confuso, ora vedo e distinguo: le prostitute che as
pettano i clienti, alcune sono sedute in braccio ad un giovane, forse il protettore. E poi le signore al comedor, la trattoria. E’ notte eppure sono occupate come se fossero le otto di sera. Stanno facendo il succo di canna da zucchero e ridono e scherzano. Forse sono pure un po’ brille. E poi vedo i venditori. In mano reggono una sorta di gruccia, a cui sono appesi dei sacchetti di plastica trasparente che lasciano intravedere pezzetti di melone, ananas e papaia. Ma soprattutto un frutto che ricorda una prugna.
“E’ il cocote. In Guate è molto diffuso e mangiato in vari momenti della giornata – mi spiega la mia interlocutrice che estrae dalla sua borsa un sacchettino -. Vedi quello verde che da sul giallo, lo mangi cosparso di sale. Quello arancione invece va spruzzato di lime. E poi quello marrone è mangiato così, perché è al massimo della maturazione”. E mi offre quest’ultimo che alla mia lingia ha il gusto di caco acerbo. Con l’allappo dell’intera bocca.
Un giovane venditore di frutta sta facendo affari è “assalito” da uomini, particolarmente bassi di statura, che sopra ad una camicia e un pantalone in tessuto multicolore, portano un grembiulino scuro ricamato a fiori.
“Chi sono?”, chiedo sempre alla donna.
“Sono di Chiquimula, mi sembra Maya Kekchi. Il loro pulman ha gli addobbi per partecipare alle cofradias (processione religiosa). Ce n’è una dopodomani ad Antigua. Vestono il costume locale, ci tengono molto perché è un modo per dichiarare pubblicamente di appartenere ad un’etnia. Anche in Europa qualche secolo fa era così, i francesi, gli inglesi tutti avevano il loro costume. Tu da dove vieni?
“Dall’Italia”.
“E cosa ci fai sul pulman per Coban?”.
“Stiamo facendo turismo io e i miei amici”.
La donna con il berretto dice che vuol tornare a dormire, che il viaggio è ancora lungo. Ritorno al mio posto, insieme alle mie domande. Continuo a chiedermi che lavoro possa aver fatto quella donna così sobria nel parlare, nel vestire. Con un viso pulito, dallo sguardo sereno.
Alle sei il nero della notte è diventato grigio. In fondo si scorge il rosa dell’alba. Stiamo percorrendo una strada sulla costa di una montagna. Giù si vede una piana circondata da piccoli vulcani. A pelo d’erba vagano sottili nuvole bianchissime.
Un cartello informa che siamo nella riserva naturale del biotopo.
Quello che stiamo attraversando è il biotopo del Quetzal.
È una foresta nebulare creata per proteggere il Quetzal l’uccello simbolo del Guatemala.
Ne rimangono pochi esemplari: con la scomparsa delle foreste tagliate e bruciate è scomparso anche il suo habitat.
Lo descrivono come una sorta di uccello lira, con una lunga coda verde e blu, piumaggio che abbelliva l’abbigliamento dei re maya.
Passiamo attraverso foreste di latifoglie, conifer
e, piante rampicanti.
E riconosci dai colori fosforescenti, moltissime orchidee.
I punti bianchi, sono la monja blanca, l’orchidea – fiore nazionale, i suoi petali bianchi carnosi e grandi come un fazzoletto illuminano l’ombra della foresta. Chissà che profumo hanno? Non lo saprò mai, il pulman non fa nessuna sosta. Non è una gita. E’ trascorsa un’ora e il paesaggio è decisamente cambiato. Il pulman adesso passa attraverso pendii verdissimi in cui pascolano delle mucche e girovagano dei cavalli. Sembra la Svizzera: pascoli ordinati e ville tipo chalet. Proseguendo si incontrano invece casette intonacate di bianco, che aumentano di chilometro in chilometro e diventano un paese che si chiama Tactic. Mi colpisce anche qui l’ordine e la pulizia nelle strade.
La donna che mi aveva spiegato la Campa si sta preparando ed è qualche sedile avanti per recuperare del bagaglio. Ci salutiamo scambiandoci un sorridente “Buenas dias”.
Dalla cuffia di lana scura ancora calata sulla testa si scorge un taglio di capelli che cerco ostinatamente nella memoria.
Il pulman ferma in piazza, di fianco ad una chiesa in classico stile coloniale dipinta in bianco e in rosa.
Dalla porta del pulman entra un’aria frizzante, anzi fredda. Qualcuno ne approfitta e apre i finestrini. Così posso sentire un vocio da fuori che dice in coro: “Bienvenida madre Teresa”: mi precipito al finestrino dei sedili di fianco a me. Tre suorine dall’abito nero come quello portato nel collegio delle Orsoline dove ho fatto le scuole elementari, stanno salutando la donna della Campa. Tutte e quattro salgono su di un auto e se ne vanno.


Carmen Morrone
“Le battaglie non finiscono quando si fermano”,
Luigi Ponzio e figlio - Editori in Pavia –
2005 - pag. 88-92

















4 agosto 2010

il segreto dei suoi occhi

Ieri sera sono andato al cinema Anteo a vedere 'Il segreto dei suoi occhi'.
Ne è valsa la pena andare a Milano per assistere a questa proiezione.
Naturalmente bisogna andare all'Anteo per vedere film di questo genere, un luogo storico di promozione di libera cultura e libero pensiero.
Speriamo che questa 'polisala cittadina, questa agorà vera e non finta come le multisale dei centri commerciali, resista in questa Italia triste e soggiogata.
Quest'Italia dove la libertà di stampa è messa in mora quotidianamente e dove l'opinione pubblica non è più definibile come tale.
Ma questo lo sappiamo.
Deve 'solo' passare la nottata 'Il segreto dei suoi occhi' è un capolavoro.
Di storia e di poesia, come il grande cinema sa essere. Infatti, non a caso, questa pellicola ha conseguito un premio oscar.
E' una di quelle trame che ti tengono attaccato alla poltrona. Non c'è spazio per torpori o distrazioni.
Si segue istante per istante la storia e le storie che dentro di essa vengono dipanate.
C'è Buenos Aires dall'inconfondibile fascino misto a una velata malinconia.
Fa parte, da sempre, del gioco del continente Latinoamericano.
C'è l'Argentina degli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta dalla storia controversa culminata in una voragine negativa con la dittatura militare e fascista di Videla e dei suoi sodali. Annientarono una generazione di giovani; li fecero sparire, da codardi e vigliacchi quali erano, con dei voli sopra il mare.
Ci sono tanti nomi d'italia a conferma del fatto che laggiù, nel cono americano, parecchi dei nostri 'vecchi', sono salpati dal pontile di 'questo Novecento', per andare a cercare 'fortuna' da quelle parti e per non morire di fame a casa propria. L'Argentina accolse: i pronipoti sono ancora là. Oggi noi invece ci permettiamo il lusso di fare i razzisti. Nostrani. E senza provare un minimo senso di vergogna. Perchè nessuno è straniero. E poi c'è una donna, bellissima e intelligente. Mediterranea e sensuale.
C'è un Idea di Giustizia, di ricerca di giustizia, prima affermata e poi demolita in un baleno dalla gerarchia del potere, violento, padrone, senza ritegno nel calpestare la mitezza dei giusti e per asservire e addomesticare, a sua volta, l'uso sconsiderato della violenza.
C'è un treno che se ne va, lasciando a terra sentimenti spezzati, come spesso accade. Perchè, ahinoi, troppo veri, troppo incarnati.
E una montagna di ricordi. Che tornano ma non travolgono. Che tornano e si incontrano.
Gli occhi e il loro magnetismo cromatico, e l'alfabeto silenzioso - ma eloquente - degli sguardi, sono l'immagine perfetta di questo suggello.
emanuele chiodini

Dal Guatemala ai piani di Lesima


Carissime amiche ed amici,
qualche giorno fa, colto da puro disinteresse e senza fini pubblicistici, ho scritto un raccontino sulla falsa riga dell'invito che appare nelle pagine "estive" del nostro quotidiano locale, La Provincia Pavese.
Vi anticipo: nulla di eccezionale.
Solo fantasia, mediata dalle situazioni quotidiane e dagli episodi accaduti nel tempo.
Questo raccontino è stato pubblicato, insieme ad altri, sul sito della Provincia Pavese on-line.
Buona lettura!
Emanuele Chiodini


Racconti per l'Estate
Dal Guatemala ai piani di Lesima
di Emanuele Chiodini

Rividi Annamaria dopo dieci anni. Ci incrociammo, l’ultima volta, in Guatemala nel suo villaggio, El Rancho, dove frequentava la scuola San Josè. Eravamo soliti, io e i miei amici, recarci in America Latina almeno una volta l’anno. Ci imbarcavamo in questi viaggi lunghissimi soltanto e unicamente per soddisfare le brecce del nostro carattere, aperte sul registro della solidarietà e del disinteresse. Niente di più. Niente ricerche spasmodiche di se stessi. Niente ricerche di benessere personale. Non sentivamo nè la necessità di adorare luoghi comuni, nè di rincorrere l’abbaglio di facili evasioni esotiche. Nessuna fuga dal nostro ambiente d’origine, il Siccomario, terra di confine e di passaggi millenari. E di grandi ritorni. Si andava laggiù per ritrovare le bambine e i bambini della scuola e i tanti amici che ripagavano con naturali gesti fraterni i nostri passaggi in Centro America. Con un’antica semplicità ormai scomparsa dalle nostre parti. Allora Annamaria aveva quattordici anni, ragazzina intelligente e determinata. I risultati scolastici non lasciavano dubbi: negli anni successivi sarebbe arrivata con scioltezza all’università per conseguire la laurea in diritto e per esercitare, subito dopo, la professione di avvocato. La ritrovai in Italia dopo così tanti anni di silenzio. Giovane donna, dal fascino dirompente: alta, capelli nerissimi, corvini e lucenti, occhi di uno scuro profondo. Una sintesi perfetta della genetica indigena e mediterranea. La sua persona un libro aperto di bellezza frutto di impasti secolari.Venne nella nostra città, borsa di studio alla mano, ospite di un noto collegio cittadino: stava seguendo a Milano un corso di specializzazione in diritto internazionale. Un dottorato di ricerca che le avrebbe aumentato la fama, già larga nel suo paese d’origine, come avvocato difensore dei diritti delle donne. L’emozione e la mia sorpresa furono grandi. Ci vedemmo e organizzammo in breve tempo una festa ai piani di Lesima a casa di Serena e Maria Paola, architetti pavesi cresciute alla scuola di Zaha Hadid. Le due professioniste dividevano un vecchio casolare, ristrutturato rispettando i criteri rurali e montanari, posto quasi in cima alla montagna più affascinante del nostro Alto Oltrepò: si ritiravano quassù d’estate aprendo spesso la loro dimora ad amici e conoscenti. Un quadrivio di province, i piani di Lesima, adatti ad accogliere le situazioni sorprendenti.Annamaria, ricordavo bene, aveva tra i suoi talenti anche quello della musica. Suonava alla perfezione il flauto traverso: riuscì, tra i tanti suoi impegni, a diplomarsi con il massimo dei voti al Conservatorio Nacional de Mùsica di Città del Guatemala. Suonammo insieme: io dilettante, al pianoforte di Serena, e lei musicista col suo flauto traverso. Eseguimmo, con l’eco dei boschi in contrappunto, solamente musiche di Piazzolla. Ci travolse «Libertango». Ci lasciammo sulle note di «Oblivion».Passarano altri dieci anni prima di rivedere ancora, bellezza immutata, Annamaria

(03 agosto 2010)

IL CENTRO NUTRIZIONALE DI EL RANCHO: UN PROGETTO PER IL FUTURO.

Progettare il futuro non è mai cosa semplice soprattutto in questo momento storico in cui vediamo e viviamo un mondo affaticato e in preda alle sue crisi più lancinanti: sociali, economiche, finanziarie. La crisi di un mondo, in particolare dei suoi equilibri storici fin qui conosciuti.
Ma questo mondo, quello che sperimentiamo tutti i giorni, non riserva certo benefici a chi è in uno stato di bisogno.
Qui in Occidente la forbice tra i ricchi, espressione della potente e finora imperitura oligarchica borghesia capitalistica, e coloro che si ritrovano a vivere di un lavoro spesso precario e mal retribuito si sta allargando a macchia d'olio.
Meno certezze per tutti, più sfruttamento, maggiore riduzione degli spazi di libertà, meno servizi sociali, più dipendenza da messaggi privi di costrutto e sostanza (il consumismo), meno sogni per tutti, meno futuro per tutti.
Ecco il punto in cui siamo, in cui si trova a navigare il cosiddetto “primo mondo”.
Finirà prima o poi quest'ordine profondamente diseguale, o, come dice un canzone di Luigi Tenco “vedrai che cambierà”.

Certo, finirà.
La speranza c'è sempre, guai a privarci di un orizzonte più elevato del contingente.
Guai a privarci di giusti auspici di radicale cambiamento.
Di necessari, giustificati e fondamentali momenti di incisivo cambio di rotta.
Ne va di noi tutti, ne va della nostra vita.
Ecco cosa significa combattere per il diritto “alla vita”.
Una vita più giusta, più onesta, più solidale.
E in Guatemala che dicono?
Beh, in Guatemala sono “acustombrati” - abituati - alla sofferenza e alla lotta.
Loro ne sanno qualcosa da almeno cinque secoli, tanto dura il loro periodo di “crisi”.
Quello che il nostro mondo sta vivendo - crisi economica e finanziaria - cosa può tangere alle migliaia di bambini de la calle, di campesinos senza terra, di donne e bimbe abbandonate, sole, al loro destino, ad anziani (per chi ci arriva) senza nessun tipo di protezione sociale o familiare?
Nulla di più rispetto a cio' che vivono quotidianamente.
Bisogni e necessità.
Permanenti nei paesi impoveriti come il Guatemala.
Leggete, se vi capita, “Le vene aperte dell'America Latina” di Eduardo Galeano giusto per capire cosa significa per un paese essere “impoverito” non banalmente “povero” come la vulgata occidentale tende sempre a definire.
"Le vene”, come un testo sacro. Bisogni e necessità.
Precarietà di vite e esistenze.
Ma voglia di sognare certo maggiore rispetto alle nostre quote, ormai in riserva di, di pensieri lunghi e di nuvole di futuro, di apertura al futuro.
In Guatemala, tra l'altro, il sogno è accompagnato anche da un pizzico di allegria e gioia, magari condito con musica e balli; il ritmo scandisce la capacità di sognare.
Dunque perchè non sognare la realizzazione di un Centro Nutrizionale a El Rancho?
Alvaro Aguilar, in uno scambio di battute con Ruggero Rizzini avvenuto l'anno scorso, ne traccia i segni progettuali.
E' un progetto che verrà, ma a cui noi tendiamo, crediamo. Saremmo estremamente contenti se si riuscisse a realizzare.
Puo' darsi che in questa nuova avventura di solidarietà salgano sulla nostra barca nuovi compagni di viaggio.
Ne avremmo bisogno perchè difficilmente da soli potremo arrivare all'ambizioso traguardo.
Il tempo ci aiuterà, come sempre.
L'impegno nostro non mancherà, come sempre.
La sfida è aperta, l'amicizia con El Rancho, con i suoi, bambini, con il suo popolo continua.
“Quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?(...) Rispondendo, dirà loro: in verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me'
(Mt 25, 37.40).
Il vento fresco e rigenerante della solidarietà continua a soffiare.


Emanuele Chiodini
volontario Ains onlus




Guatemala. Dialogo tra Alvaro Aguilar e Ruggero Rizzini

Alvaro Aguilar Aldana sostiene che “sognare non costa nulla e permette di avvicinarsi alla realtà”. Il nòcciolo di verità contenuto in questo proposito lo possiamo riscontrare attraverso l’ultima sua idea in ordine di tempo. Costruire un centro nutrizionale a El Rancho dove ospitare bambini denutriti e malnutriti delle aldee situate nelle vicinanze e garantire loro un piatto di fagioli e riso almeno tre volte al giorno. Così come agli anziani che vivono soli, non hanno una famiglia e una pensione che li possa sostenere, dopo una vita passata a lavorare.

Come nasce l’idea di questo progetto?
"È un sogno, uno dei tanti che mi capita di fare e che cerco di realizzare. Tra il sogno e la realtà c’è un lungo spazio, ma perché non sognare? Vivo a El Rancho da sempre; anche se ci sono arrivato a otto anni, conosco tante persone, alcune solamente di vista, altri li ho conosciuti grazie all'impegno sociale presso l’organizzazione C.F.C.A. (Fondazione Cristina di sostegno ai bambini e agli anziani) per cui lavoro da dieci anni".
Non conosci solo le persone, sei a conoscenza anche della situazione globale del territorio in cui operi...
"Si, conosco bene anche le diverse zone del villaggio. El rancho ha poco più di undici mila abitanti. Non solo di origine guatemalteca; anche qui c'è di tutto. Honduregni, Salvadoregni, Messicani, Italiani. Si, c’è anche un italiano che vive qui da parecchi anni".
Una realtà mista, per così dire?
"Si, un misto di razze, di culture e di modi di pensare differenti con cui è difficile lavorare perché vivono alla giornata e tanti preferiscono non impegnarsi in un progetto continuativo. Le donne, ad esempio, preferiscono andare alla Champa a vendere cibo sulla strada. La Champa è un villaggio in un villaggio. Dista tre chilometri da El Rancho ed è nato intorno ad un distributore di benzina. Ora c’è tutto. La banca, una scuola, ristoranti, un supermercato. Prima c’era solo un distributore di benzina. Alla Champa si commercia di tutto; spesso si muore banalmente; non è raro incontrare bande giovanili che si sparano (le maras). Si commercia tutto, anche la droga, naturalmente. E poi ci si prostituisce. Da noi i luoghi dove ci sono le prostitute si chiamano bar (ride). Mi dicevi che d a voi in Italia i bar sono altra cosa".
Si Alvaro, normalmente nei bar in Italia si beve il caffè...
"Si, altra cosa".
Mi stavi dicendo del progetto
"Conoscere El Rancho mi ha aiutato a comprendere dove le situazioni di povertà sono presenti. La povertà c’è ma ci sono luoghi a El Rancho dove è estrema, con persone anziane che non hanno la famiglia che li può sostenere e vivono male non avendo più le forze per piccoli lavori. Alcuni vivono con quel poco di denaro risparmiato negli anni che gli è rimasto, altri hanno solo la casa e sopravvivono. Qui a El Rancho, ma in quasi tutto il Guatemala, non esiste la cultura del risparmio. Ai ragazzi che lavorano con me dico sempre. “risparmiate, pensate al futuro, quando invecchierete”. Ma loro non mi ascoltano. Più hanno e più spendono. Noi, lavoratori per il C.F.C.A., percepiamo una mensilità all’anno che è chiamata “catorcina” ( in Italia corrispondente alla nostra quattordicesima mensilità) e ogni anno, alla fine dell’anno, ci danno la liquidazione. Io chiedo ai ragazzi e alle ragazze che cosa ne fanno di questi soldi. Uno mi dice “ho comprato un letto nuovo”, l’altro una televisione, l’altro la motocicletta.
Io questi soldi non li tocco, li deposito in banca perché so che mi possono servire quando sarò anziano.
Non si è abituati a risparmiare. A mia sorella, per fare un esempio concreto, maestra elementare, piace fare debiti. Se le piace una cosa la compra senza chiedersi se le serve e se potrà pagarla. È così. Io le dico sempre “hai una figlia, che insegnamento le stai dando?” Ma lei niente. Mi ricordo che quando ero piccolo, eravamo 11 tra fratelli e sorelle e se non avevamo niente da mangiare mia mamma ci diceva “mangiate fagioli ed eruttate pollo”. Era un modo di dire, naturalmente. E quando uno dei miei fratelli diceva “
andiamo a comprare nel negozio, poi passa papà a pagare”, mia mamma rispondeva “no! Si mangia quello che c’è ma non si fanno i debiti”.
Per cui ci sono tanti anziani che necessitano di appoggio sociale?
"Si, hanno bisogno di mangiare: garantire loro almeno tre pasti al giorno sarebbe un grande aiuto. Poi c’è un latro aspetto che riguarda il recuperare la memoria di queste persone, le loro esperienze, il loro sapere. Queste persone hanno sicuramente tanto da raccontare. Ma questa è un’altra cosa, prima si deve dare loro da mangiare".
E i bambini come pensi di aiutarli?
"Ora il Guatemala vive una situazione di crisi alimentare causata dalla siccità. Non piove da parecchi tempo e in alcune zone del paese, anche la zona di El Rancho è stata colpita dalla siccità, il sole ha bruciato i raccolti di mais e fagioli che rappresentano l’alimentazione base del guatemalteco. Girando per le aldee tra le montagne ho incontrato situazioni tragiche. Famiglie senza più scorte di mais e fagioli. Si prevede che il 2010 sia ancora peggio.
Bambini malnutriti e denutriti, con la faccia gonfia, le mani e le gambe gonfie, le pance grandi probabilmente piene di vermi. Pensa che manca anche l’acqua. In un’aldea ho incontrato un giovane sdraiato in un piccolo letto di legno, senza forze, senza cibo e sanza acqua da giorni. Il fiume si è seccato e puoi immaginare la situazione in cui vivono queste persone.
Noi come C.F.C.A. siamo intervenuti immediatamente con borse di alimenti che contengono mais, fagioli,acqua, zucchero, caffè e incaparina, un latte energetico. Distribuiamo queste borse per risolvere l’emergenza ma il problema poi rimane se non si interviene con microprogetti agricoli. Se piove, però, perché senza acqua non cresce nulla. I bambini sono i più colpiti dalla siccità, hanno meno resistenza per cui vanno seguiti e salvati.
Un centro nutrizionale potrebbe essere un primo importante aiuto. Cosa prevedo? Che, se la famiglia è d’accordo, i bambini vengano portati al centro nutrizionale e qui vi rimangano insieme alla mamma il tempo necessario per riprendersi".
E perché non portarli in ospedale?
"In ospedale non li prendono. Prendono solo i casi più gravi e poi l’ospedale costa e le famiglie non hanno denaro sufficiente per le eventuali spese sanitarie".

Però per realizzare un progetto come questo ci vogliono tanti soldi, un terreno dove costruire e persone che ci lavorino.
"Si, ci vuole tutto questo, però il terreno c’è già. Una signora di El Rancho, un giorno mi ha telefonato dicendomi che le avevano regalato un terreno per destinarlo ad un progetto di solidarietà….."
Allora anche in Guatemala ci sono persone che hanno voglia di fare del bene?
"La signora lo voleva regalare a me. Le ho detto che andava bene, che accettavo se lo regalava all’associazione Moises Lira Serafin di cui sono presidente e che collaboriamo in Italia con voi di Ains. Per la signora non c’erano problemi per cui siamo andati da un avvocato e abbiamo intestato il terreno al’associazione".
Una grande generosità da parte di entrambi.
"Lavoro con la povertà da parecchi anni e inizio a capire cosa significa non avere nulla. Il CFCA mi garantisce uno stipendio mensile che mi permette di vivere bene. Non ho esigenze particolari e non mi manca nulla. Comunque il terreno non era destinato a me. Alla signora lo cedettero per regalarlo a chi ne aveva bisogno. A me la signora aveva detto “ te lo regalo perché tu lo utilizzi a favore di chi ne ha bisogno”.
Non pensi che i figli della signora possano reclamare questo terreno?
"Per questo motivo, in accordo con la signora, siamo andati da un avvocato per farlo intestare all’associazione Moises Lira Serafin".
Quanto pensi possa costare la costruzione di un centro nutrizionale come quello che hai in mente?
"Non lo so. Occorre conoscere il parere di un architetto che realizza il disegno della struttura. Non so quanto possa costare. Questo dipende dalle dimensioi. Io penso che serva una cucina, una grande sala dove mangiare, un piccolo ambulatorio, due bagni, almeno due stanze da letto, una stanza dove alloggiare i bambini e almeno due stanze da usare come uffici. Una volta che si ha chiaro cosa si vuole si può conoscere il costo dell’architetto e i costi per i permessi burocratici, il costo della manodopera dei muratori e del materiale".
Hai previsto anche quanto personale serve?
"Una nutrizionista, una donna che cucina, una che fa le pulizie, un’infermiera o due e un guardiano".
E la presenza di un medico?
"Si, da prevedere, ma lavorerebbe solamente quando è necessario. Non serve averlo fisso nello struttura. Ci appoggeremmo alla clinica San Josè con la quale abbiamo un buon rapporto di collaborazione da anni".
Una struttura come questa non si autofinanzierebbe. Non c’è il rischio che sia improponibile?
"Certo, non si può chiedere a chi non ha nulla per vivere, di pagare per mangiare. Nasce come un luogo di aiuto a chi non ha nulla. Sarebbe un centro di solidarietà finanziato dalla solidarietà. Penso che in Italia, AINS, la vostra associazione, possa trovare chi è disposto a credere in un progetto con queste finalità. Molte persone di El Rancho che conoscono il lavoro che facciamo con i poveri e per i poveri, ci aiutano. Non ci danno soldi ma mais, fagioli e altro. E poi si possono trovare altre forme di autofinanziamento. Se la famiglia del bambino che viene ospitato ha 2 quetzales (circa 20 centesimi di euro), ne da due. Se ne ha solo uno, darà quello. È un progetto che va pensato e strutturato bene. Intanto partiamo con un terreno che c’è qui a El Rancho ed è di proprietà dell’associazione di cui faccio parte. Certo, oggi è un sogno ma potrebbe diventare realtà se si lavora duro, tutti insieme. Noi qui in Guatemala e, se lo vorrete, voi in Italia. Speriamo".
Come nasce un progetto?
"Mai per caso. Ascoltando le persone che si incontrano nelle aldee. Noi viaggiamo molto, è il nostro lavoro. Andiamo dove le altre organizzazioni non arrivano. C.F.C.A. è un’organizazione nata per servire la povertà attraverso progetti. Non regaliamo nulla. Interveniamo nell’urgenza fornendo il cibo e poi coinvolgiamo le persone nel lavoro progettuale. Chi ha voglia di lavorare con noi deve sapere che è fondamentale l’istruzione per cui chiediamo che i loro figli vadano a scuola. Arriviamo in un’aldea dove seguiamo un progetto e molto spesso la gente ci segnala un problema in un’altra vicino. Ci andiamo, parliamo, ascoltiamo e valutiamo insieme a loro cosa si può fare. “Caminados juntos" (camminando insieme) è il motto di C.F.C.A.. Camminiamo con i poveri per i poveri".
Come è composta l’associazione moises Lira serafin? Tu sei il presidente, se non sbaglio.
"Si, sono il presidente, madre Antonietta la vice presidente e altri amici, tra cui la titolare del ristorante “El Ranchon” della Champa. La signora è molto generosa. Quando è stata costruita la clinica di El Rancho diede un grande aiuto a madre Antonietta e alle suore che iniziarono a lavorare alla clinica".
Come siete organizzati?
"Vorremmo continuare la collaborazione con Ains. Non penso che voi direte di no (ride)".
Dipende Alvaro (rido anch’io)
"... poi ho parlato agli amici del progetto del centro nutrizionale e del terreno donato. C’è molto entusiasmo. Solo madre Antonietta all’inizio non era molto d’accordo ma poi si è convinta. E poi…"
Perché non era d’accordo?
"Perché ha detto che già un’altra volta si era pensato di costruire un centro per i bambini di El Rancho e poi non si è riusciti a fare nulla. Ma era una cosa diversa. Si voleva costruire un asilo dove le mamme che andavano a vendere alla Champa potevano lasciare i bambini. Era una cosa diversa dal centro nutrizionale. Ne abbiamo parlato e madre Antonietta si è convinta. Le ho spiegato le differenze. Io penso che si possa realizzare se si uniscono le forze come si è sempre fatto in questi anni dove, ad esempio, Ains continuava e si faceva carico di un lavoro iniziato dal CFCA o ne integrava un altro.
In questo caso si tratterebbe di unire le forze e lavorare insieme in Italia e in Guatemala.
Trabajando juntos (lavorando insieme).....".