30 aprile 2010

GUATEMALA/ANNIVERSARI: Juan Gerardi, un vescovo contro la dittatura

di Geraldina Colotti, (Il Manifesto-27.04.2010)

Nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1998, Juan Gerardi Conedera, vescovo dei poveri e degli indigeni, viene ucciso nella sua casa parrocchiale di San Sebastian, nel centro storico di Città del Guatemala. Omicidio politico o delitto a sfondo sessuale? Le indagini governative ricostruiscono un ambiente torbido in cui la personalità del vescovo, uomo gioviale e incline alla bevuta, assume una luce ambigua. Una folla di 20.000 persone, però, manifesta per le vie della capitale, e punta il dito contro i militari. L'Odha, l'Ufficio per i diritti umani dell'arcivescovado di Guatemala, svolge una controinchiesta che rivela i contorni dell'«omicidio di stato»: fra depistaggi e testimoni eliminati, si arriva alla condanna di alcuni militari e un sacerdote, resa definitiva dalla Corte costituzionale il 25 aprile 2007. Un caso «complesso e disorientante», scriverà il giornalista Francisco Goldman nel volume L'arte dell'omicidio politico (Il Saggiatore). Il libro farà rumore: tanto da disturbare la candidatura del generale Otto Perez Molina - dato per vincente alle elezioni del 2007, che porteranno invece alla presidenza il socialdemocratico Alvaro Colom - rivelando la sua presenza intorno alla casa parrocchiale la notte dell'omicidio. I mandanti dell'assassinio, però, non sono mai stati individuati. Due giorni prima di morire, Gerardi aveva presentato il rapporto da lui introdotto, Guatemala: mai più, sulle violenze perpetrate dai militari durante il conflitto trentennale terminato con un accordo di pace nel 1996. Per 19 anni, il Guatemala era stato nella lista dei peggiori violatori dei diritti umani. Era incorso nelle sanzioni Onu e aveva dovuto far fronte alle periodiche sospensioni di forniture d'armi da parte degli Usa: armi che venivano comunque assicurate sottobanco dalla Cia, da Taiwan o da Israele, che aveva costruito per l'esercito una fabbrica di munizioni. Era stato così fin dal 1954. Allora, la Cia aveva tolto di mezzo il presidente democratico Jacobo Arbenz, colpevole di aver approvato la riforma agraria, infastidendo il potere della multinazionale United Fruit Company, principale proprietario terriero del paese. Dopo la rivoluzione cubana, gli Usa avevano puntato sui militari, in Guatemala ogni rivolta pacifica era repressa nel sangue. Nel 1980, nel dipartimento di El Quiché, 37 contadini maya occupano l'ambasciata spagnola di Città del Guatemala. Vengono massacrati tutti (tranne uno), insieme al personale dell'ambasciata. Fra loro, anche il padre del futuro premio Nobel, Rigoberta Menchù. Gerardi è vescovo di El Quiché. I militari vogliono che denunci la guerriglia, ma lui non ci sta. Parla con un superiore, il quale però benedice i carri armati in nome dell'anticomunismo, piuttosto che ascoltare gli indigeni. Gerardi, invece, celebra messa in lingua maya, e scrive: «Se i poveri sono fuori dalla nostra vita, allora, forse, anche Cristo lo è». Qualche mese dopo l'uccisione, in Salvador, dell'arcivescovo Romero, tentano di farlo fuori. Per paura, Gerardi chiude la diocesi e va in esilio in Costa Rica. Dopo il colpo di stato del generale Efrain Rios Montt, nell'82, ritornerà in Guatemala, sempre vicino agli ultimi. L'omicidio del vescovo pesa ancora sulla memoria di un paese segnato dall'ingiustizia sociale, la cui ricchezza resta nelle mani di una ventina di famiglie. Parlando al centro Juan Gerardi (Ravenna), monsignor Alvaro Ramazzini - minacciato di morte per l'impegno a fianco dei senza terra guatemaltechi - ha denunciato il crescente impoverimento della popolazione e l'assenza di una pur moderata riforma agraria. Il presidente Colom, ricattato dai grandi imprenditori che gli hanno finanziato la campagna elettorale, teme di far la fine diZelaya in Honduras, deposto dai militari.

GUATEMALA:A Palo Viejo, una diga contro gli indigeni

di Geraldina Colotti, (il manifesto, 24.04.2010)

«Ieri lottavamo per vivere, oggi per sopravvivere: allo sfruttamento del lavoro e a quello dell'ambiente», dice al manifesto Rosalina Tuyuc, attivista guatemalteca per i diritti umani di origine maya kaqchikel. Invitata dall'associazione Gruppo amici di Rekko 7 di Ravenna, Rosalina ha raccontato la lotta delle popolazioni indigene per la difesa dei beni comuni, la resistenza allo sfruttamento del territorio da parte delle multinazionali come L'Enel. Enel, che in Guatemala è presente da oltre un decennio, ha investito circa 150 milioni di dollari per la costruzione di quattro centrali idro-elettriche per una produzione complessiva di 76 Mgw. Nel 2008, ha ottenuto il permesso di attuare, nel dipartimento del Quiché, il progetto idroelettrico Palo Viejo, per un investimento totale di 260 milioni di dollari, che dovrebbe concludersi nel 2011.«Secondo le leggi internazionali e nazionali - spiega Rosalina - tutte le licenze di ricognizione, esplorazione o sfruttamento delle risorse, concesse dal Ministero dell'energia e delle miniere senza consultare i popoli indigeni che abitano i territori, sono illegali. Vale anche per i progetti idroelettrici. La costituzione politica della Repubblica e gli accordi internazionali in materia di diritti umani ratificati dal Guatemala lo dicono chiaramente. Purtroppo, però, le leggi non vengono rispettate e bisogna farsi sentire».El Quiché è un luogo storico di resistenza. Lì, il 31 gennaio 1980, 37 contadini maya occuparono l'ambasciata spagnola della capitale per attirare l'attenzione sulle violenze subite. A farsi sentire, Rosalina ha imparato fin da giovanissima. Nell'82, durante un conflitto armato durato 34 anni, l'esercito le ha ucciso il padre, medico dei poveri, e nell'84 il marito. Due anni dopo la firma degli accordi di pace, nel '96, Rosalina ha fondato l'Associazione nazionale delle vedove del Guatemala (Conavigua): un punto di riferimento per chi oggi cerca giustizia per le oltre 200.000 vittime dei militari, fra cui molti desaparecidos. Nel '95, Rosalina è stata eletta in Parlamento. Oggi, la sua associazione, insieme ad altre come Madre Selva, ha presentato uno studio che quantifica i danni ambientali del progetto Palo Viejo: «Le informazioni presentate dalla multinazionale sull'impatto ambientale del progetto Palo Viejo sulla biodiversità, la qualità dell'acqua, l'inquinamento provocato, sono incomplete, parziali, inesistenti e contraddittorie - dice l'attivista mostrando il testo dello studio realizzato dalla biologa Ana Lucia Grajeda a febbraio 2010 -. Per noi, è un progetto che non fornisce sufficienti garanzie». Per esempio, si legge nell'opuscolo, il progetto non indica parametri chimici e biologici importanti come temperatura, ossigeno sciolto, Doq (domanda chimica di ossigeno), Dbo (domanda biologica di ossigeno), e presenza di colibatteri.«Il fallimento del vertice di Copenhagen - conclude Rosalina - ha mostrato la stretta relazione fra cambiamento sociale e cambiamento climatico. Come ha detto Evo Morales, la Madre Terra sta reagendo, e noi dobbiamo aiutarla».

22 aprile 2010

Scuola in ospedale, ecco la tesi di Luigi

Un giovane infermiere di Agrigento si è laureato a Pavia

PAVIA. Luigi Lo Curto ha svolto il tirocinio nel reparto di Oncoematologia del San Matteo. E così al momento di preparare la tesi, al 3º anno del corso universitario per infermieri, ha raccontato l’esperienza della scuola interna all’ospedale, coordinata da Annamaria Mariani. L’altra mattina si è laureato e anche il preside dell’istituto Volta, il professor Salvatore La Marca, ha voluto essere presente per congratularsi personalmente con lui. «Non è una scuola come le altre - ha detto La Marca -. Servono insegnanti con una particolare sensibilità». Ma anche il personale medico e infermieristico che ruota attorno alla scuola deve saper cogliere i tempi, gli umori, i bisogni dei ragazzi e dei bambini che spesso, sottoposti alle cure, non sono nello stato d’animo per seguire una lezione o studiare. «Nella mia tesi ho messo in evidenza anche questo aspetto - spiega Luigi Lo Curto, 23 anni, di Agrigento -. Perchè sono gli infermieri del reparto a valutare se il paziente è nelle condizioni per andare a seguire le lezioni». Luigi è arrivato a Pavia per frequentare la scuola universitaria per infermieri, triennale, come molti altri ragazzi da ogni parte d’Italia. Una professione, quella dell’infermiere, molto corteggiata. Tanto che una volta usciti non faticano a trovare offerte di lavoro. «A me piacerebbe rimanere a Pavia - dice. E al San Matteo dove l’esperienza di tirocinio è stata molto costruttiva». Il relatore della tesi di Duse è stata Eleonora Bascapè, tutor della scuola infermieri.

(maria grazia piccaluga, la provincia pavese, 21 aprile 2010)

21 aprile 2010

LESIONI, INFERMIERE PAVESE UNO DEI 30 MASSIMI ESPERTI

Bellingeri del S.Matteo unico italiano che redigerà una guida

Nuovi passi avanti nella frontiera delle cure delle lesioni da decubito che solo in Italia interessano 500 mila persone e il 13-15% dei ricoverati negli ospedali. Fondata nel ’93 proprio a Pavia, l’AISLeC, Associazione italiana per lo Studio delle Lesioni Cutanee, ha partecipato infatti alla stesura di linee guida internazionali universalmente riconosciute per affrontare sempre più incisivamente cura e prevenzione delle lesioni da pressione, degli arti inferiori, vascolari, del piede diabetico e ustioni. Due commissioni, una europea e una americana, si sono riunite per dare vita all’importante documento che sancisce un passo avanti significativo nel “wound care”, come viene definito a livello mondiale. E tra i 30 esperti chiamati a redigere la guida, come unico italiano, c’è il fondatore dell’AISLeC, Andrea Bellingeri, che fa l’infermiere al san Matteo nell’ambulatorio vulnologico della Chirurgia Vascolare diretta dal professor Attilio Odero.
Un ulteriore riconoscimento per lui e l’associazione che raduna oggi 800 tra Infermieri, Medici, Podologi e Fisioterapisti e che il 17 aprile si sono riuniti a Montecatini per il congresso nazionale.
“ Ci siamo dati appuntamento a Montecatini per mettere a punto nuove strategie e migliorare il trattamento delle ulcere da pressione. Ci siamo prodigati anche per tradurre in italiano le nuove linee guida in modo che vengano recepite anche dai nostri ospedali” ha dichiarato Angela Peghetti, Presidente di AISLeC.
Infatti, per il momento la guida integrale esiste solo nella versione inglese ed è a pagamento, tranne la versione ridotta che è disponibile gratuitamente su internet. Ovviamente lo scopo di AISLeC è quello che venga adottata dal maggior numero possibile di ospedali e consultata dagli addetti ai lavori per applicare i principi poi nella pratica quotidiana.
Barbara Mangiacavalli, segretaria nazionale dell’IPASVI, la federazione degli infermieri, che lavora anche lei al San Matteo ci dice che “ si tratta di un lavoro ad alta caratura scientifica”. oltre all’obiettivo della divulgazione della linea guida, AISLeC sta per avviare una nuova ricerca, dopo l’ultima che risale al 2000, sulla situazione delle lesioni e della loro incidenza sociale, sull’inquadramento diagnostico, sullo stato di avanzamento del trattamento, perché non esiste una specializzazione medica sul “wound care”, si tratta di una pratica che l’AISLeC ha portato avanti negli anni riuscendo a fare passi da gigante nelle cure e nella prevenzione.

Rossana Trepidi, il Settimanale Pavese, giovedì 15 aprile 2010

17 aprile 2010

Emergency:lettera alla provincia pavese

Gentile direttore,

Noi non conosciamo direttamente le attività svolte "sul campo" dall’associazione umanitaria Emergency e

dai suoi volontari. Ne veniamo a conoscenza solamente attraverso il loro sito internet, gli articoli

sui giornali e le interviste rilasciate dal suo fondatore, Gino Strada, e dai tanti volontari che partono per mettere a

disposizione le loro professionalità e competenze, la loro dose di umanità, tempo e

solidarietà.

Dovremmo forse esimerci dall'intervenire e non esprimere nessun giudizio su ciò che non conosciamo, ma, in tutta franchezza, non

possiamo credere a quello che è successo in questi giorni ; cioè l’arresto di tre volontari di

Emergency accusati di aver assassinato l’interprete di Daniele Mastrogiacomo, giornalista di

Repubblica, rapito qualche tempo fa e di aver partecipato, essi stessi, ad un complotto per uccidere il

Governatore della provincia afgana di Helmad, Gulab Mangal.

Non possiamo credere che essi si siano resi interpreti di qualcosa di diverso che non sia riconducibile al concetto di solidarietà.

Certo, delle schegge impazzite ci possono essere in un meccanismo umanitario ben congegnato

come quello di questa grande e articolata associazione.Cio' detto, ugualmente, non crediamo alla tanto volgare quanto incredibile diceria del complotto, perché anche chi scrive, come sostiene il giornalista Daniele

Mastrogiacomo, pensa che “coloro che fanno parte di Emergency sono persone che praticano e non

predicano vanamente la solidarietà; e solidarietà non può essere violenza, giustizia sì, ma non violenza”.

Non possiamo credere che dopo anni di attività umanitaria a favore di chi soffre, non vi sia un
a selezione "qualitativa" in termini di affidabilità nei confronti di chi parte in missione. Non possiamo credere che Emergency corra il rischio di mettere in

discussione il suo serio lavoro non puntando sulla qualificazione del personale che si impegna a svolgere un delicato lavoro nel contesto di una

missione umanitaria. Non lo crediamo perché il mondo dell’associazionismo è, in larga misura, serio, composto da

persone serie, da progettualità, formazione, selezione del personale che parte.


Pensiamo invece, al di la' e al di fuori di ogni possibile sospetto veicolato in modo strumentale e demagogico oltre che bugiardo, che Emergency sia una Organizzazione Non Governativa indipendente e neutrale

nei conflitti il cui unico obiettivo rimane quello di curare i sofferenti senza chiedere alle persone interessate la propria origine o identità, qualunque essa fosse in un conflitto armato sempre ingiusto, sbagliato, irrazionale e doloroso.

E' chiaro: tutto questo da' fastidio.


Giulia Dezza
Elisa Moretti
Emanuele Chiodini
Ruggero Rizzini

volontari ains onlus

LABORATORIO DI REGIA CINEMATOGRAFICA

condotto da Filippo Ticozzi

A PAVIA presso la sala formazione del Centro Servizi Volontariato-Via Taramelli 75

INCONTRI:

4 INCONTRI SERALI DA TRE ORE E UNO DIURNO DA 5 ORE (lunedì dalle 20 alle 23) (sabato dalle 14 alle 19)
DAL 24 MAGGIO AL 19 GIUGNO

MINIMO 5 ISCRITTI-MASSIMO 15 ISCRITTI

FINALITA'

Il laboratorio si concentrerà sui diversi aspetti del lavoro del regista: dall’idea alla sceneggiatura, dalla direzione degli attori alla fotografia, dalla produzione al montaggio. Cercheremo di fare una panoramica generale sulle inevitabili questioni teoriche, cercando però assiduamente una loro applicazione immediata, poiché la narrazione nel “grande” e nel “piccolo” cinema risponde sempre alle stesse regole, anche quando infrante. Investigheremo il rapporto forte che esiste tra cinema e reale-reale inteso nella sua forma più complessa- e vedremo quanto sia labile il divario tra finzione e documentario. Particolare attenzione sarà data al filmmaking, ossia al cercare di fare film con pochi o pochissimi soldi, oggi possibile grazie alle tecnologie digitali. La teoria non sarà mai fine a se stessa, ma sempre coadiuvata da esercitazioni pratiche ed esemplificazioni. Sono anche previste esercitazioni da svolgere negli intervalli del corso,nello specifico la scrittura/adattamento di un brevissimo testo (sceneggiatura, scena, sequenza, idea, trattamento per documentario, racconto, ecc.) e la sua fattibilità cinematografica, sia dal punto di vista registico, sia dal punto di vista economico.A chi fosse interessato e non ha nessuna competenza si consiglia la lettura di un testo di grammatica filmica prima dell’inizio del laboratorio.

PROGRAMMA

Primo incontro
Cos’è un regista?A ciascuno il suo cinemaRuoli nel cinema Professionismo e low budget
Secondo incontro
Scrivere per vedereIdea, sceneggiatura, messa in scenaIl linguaggio e lo stileDocumentario vs Finzione: ha senso?
Terzo incontro
Costruire le immagini ovvero “ogni tecnica rimanda a una metafisica”Attori, persone e personaggiLa location come personaggio
Quarto incontro
Messa in scena: dalle intenzioni alla pratica Il regista sul set La regia e l’hic et nunc della produzioneLe nuove tecnologie digitali: speranze e delusioni
Quinto incontro
Analisi degli scritti dei partecipanti: fattibilità filmica, le fasi della realizzazione, quanti soldi ci vogliono, come reperirli, come distribuire il prodotto. Fare il regista è un mestiere?

DOCENTI

Il laboratorio sarà condotto da Filippo Ticozzi. Interverranno altri esperti del settore.Filippo Ticozzi è tra i fondatori, nel 2004, della casa di produzione La Città Incantata, per la quale realizza diversi filmati istituzionali, cortometraggi e documentari. Nel 2006 gira a costo zero il documentario Lettere dal Guatemala, selezionato a diversi festival italiani e premiato all’Imperia Film Festival. Nel 2008, con un budget ridottissimo, gira il medio metraggio Lilli, in concorso in molti festival internazionali (tra gli altri San Francisco Indipendent Film Festival, Festival du Film de Vendôme, Manchester European Film festival, Ahmedabad International Film Festival, Rome International Film Festival, New York Zero Film Festival, ecc.), che riceve premi in Francia e in Italia. Il suo ultimo corto, Dall’altra parte della Strada del 2010, ha avuto la prima proiezione in concorso a Visioni Italiane. Per Sky ha girato la serie documentaria sul Cile (12 episodi) Il Paese Sottile. Ha collaborato alla cattedra di istituzioni di RegiaCinematografica presso la facoltà di Lettere e Filosofia Cattolica di Brescia e ha insegnato in diversi corsi di regia (Officina Film, CSV, ecc.)

COSTO E LIMITI ISCRIZIONE:

130 EURO ENTRO L’ 8 MAGGIO 2010
150 EURO ENTRO IL 22 MAGGIO 2010

COME ISCRIVERSI
CONTATTARE ALICE alice@lacittaincantata.it +39 3336171993
FILIPPO filippoticozzi@alice.it +393485181553

16 aprile 2010

L’opzione per i poveri è un rischio che vale la pena vivere

La forza di Monsignor Alvaro Ramazzini, vescovo di San Marcos,
che non indietreggia davanti alle difficoltà

di Daniela SangalIi (tratto da Noticum, marzo 2010)

La sua è una testimonianza co­raggiosa e determinata: mons. Alvaro Ramazzini, vesco­vo di San Marcos, per due anni presidente della conferenza epi­scopale del Guatemala e oggi presidente della Commissione dei migranti della Ceg, è un uomo d'azione e testimone che de­nuncia le contraddizioni e le sof­ferenze del suo Paese, tanto che è stato oggetto di minacce di morte e costretto più volte a vi­vere sotto scorta.
«In Guatemala non ci sono leggi che regolano l'uso dell'acqua - afferma i! presule durante l'ulti­ma visita in Italia -. Le industrie minerarie utilizzano tutta l'acqua di cui hanno bisogno, mentre il 70% della popolazione non ha acqua potabile per la vita quoti­diana, con una grave ricaduta sulla salute».
A San Marcos la pastorale so­ciale ha sviluppato un program­ma che in venti anni ha creato almeno 80 installazioni di ac­qua potabile: pur essendo una città con tanta acqua, mancano gli aiuti statali per estrarla. Senza contare che le grandi aziende ne usano tanta a loro beneficio, per produrre bevan­de oppure per la coltivazione della canna da zucchero, di ba­nane e palma africana. Ma an­che l'attività estrattiva di oro e argento ne consuma molta.
«Nella nostra diocesi, a San Miguel Ixtahuacàn, è presente la compagnia mineraria canadese Montana, filiale della Gold Corp inc, che ha iniziato lo sfrutta­mento di giacimenti di oro e ar­gento con miniere a cielo aperto - spiega mons. Ramazzini -. La diocesi ha più volte denun­ciato il danno ambientale e le conseguenze per la popolazione, soprattutto per l'inquinamento delle acque causato dal processo di lisciviazione. La Montana sostiene di osservare le misure stabilite dalla. Banca mondiale, ma la diocesi vuole conoscere la qualità dell'acqua».
La Montana ha anche organizza­to una grande manifestazione a San Miguel alla quale hanno par­tecipato oltre 1200 persone, per sostenere che l'attività mineraria fa bene alla comunità, perché, crea posti di lavoro. Però su 245 milioni di dollari di guadagno net­to della Montana, solo l'1% vie­ne restituito a! Guatemala. «Sono preoccupato per il futuro perché la compagnia mineraria sta cercando di comperare altre terre per espandersi. Ma la po­polazione sta resistendo, la gen­te è consapevole dei rischi anche se è difficile frenare i gruppi che ricevono benefici dalle miniere.
La malnutrizione, un problema che da sempre affligge il paese, è il risultato di: una condizione strutturala legata alla mancanza di una riforma agraria. La situazione si è aggravata per l’aumento della produzione di biocombustibili: si usa tanto terreno, per produrre etanolo, e si riducono le coltivazioni per la sussistenza della popolazione. È significativo che gli investimenti dei privati per la produzione di biocombustibili sono otto volte rnaggiorì che quelli del ministero dell'agri­coltura dà ai contadini per l'agri­coltura di sussistenza.
«Oggi lo Stato guatemalteco do­vrebbe favorire l'accesso alla terra ai contadini, se volesse fronteggiare in modo serio e profon­do il problema dell'insufficiente e inadeguata alimentazione per la maggioranza della popolazio­ne - continua il vescovo -. Due anni fa è iniziata la riflessione per una legge che prevede la riforma agraria, a luglio le orga­nizzazioni contadine hanno bloc­cato le strade perché non si era fatto ancora nulla, ma il governo di Colom è debole, il presidente teme un colpo di stato come in Honduras, quindi non si espone a rischi eccessivi e alle riforme».
La violenza, inoltre è aumentata nel paese, a tutti i livelli, così come lo sono i sicari, le maras, i narcotrafficanti, i gruppi militari che vorrebbero mantenere il po­tere. «Nonostante la nuova legge sulle armi, non si riesce a con­trollare l'uso delle armi, alle volte si vedono in giro persone armate di fucili kalashnikov. È aumentata la corruzione nella Polizia, anche se negli ultimi mesi tanti poliziot­ti corrotti sono stati allontanati dalla polizia nazionale. La Cicig (Commissione internazionale contro l'impunità in Guatemala) sta facendo un buon lavoro, ma la situazione rimane difficile, la popolazione non fa denuncia per­ché mancano leggi adeguate che proteggano i testimoni». Importante quindi la presenza della Chiesa per tenere alta l'at­tenzione sui problemi della popolazione. «Rispetto agli anni di guerra civile la conferenza epi­scopale ha un po' ridotto la sua voce nella denuncia - afferma mons. Ramazzini - anche se da sempre è impegnata ad appoggiare i temi dell'immigrazione, delle miniere e della pastorale sociale. Senza dubbio si deve rafforzare la pastorale sociale, unificando gli sforzi dei vari setto­ri (terra, diritti umani, migranti, carcere), per presentare una vo­ce unita a livello nazionale, se­condo gli orientamenti della V Conferenza dell'Episcopato latinoamericano di Aparecida nel maggio del 2007». Monsignor Ramazzini vede anche segni di speranza, nella presa di coscienza della gente, nella ricer­ca di soluzioni, in ogni tentativo di unione della base a beneficio del­la collettività, e anche in tante forme di resistenza pacifica della gente. E con la sua testimonian­za offre un esempio concreto di impegno e di donazione, anche a rischio della sua stessa vita, per quei poveri che sono la scelta preferenziale di Cristo e della sua Chiesa in America Latina

10 aprile 2010

INTERVISTA CON MONS. ALVARO RAMAZZINI, VESCOVO DI SAN MARCOS

Mons. Alvaro Ramazzini Imeri, vescovo di San Marcos, già presidente della Conferenza episcopale del Guatemala (2004-2008), di cui attualmente presiede le Commissioni pastorali della mobilità umana, penitenziaria e Caritas, è una delle figure dell’episcopato latinoamericano maggiormente impegnate sul piano sociale, essendo stato ripetutamente minacciato di morte per l’appoggio ai contadini senza terra e il sostegno alle proteste contro le miniere a cielo aperto.

Com’è la situazione del Guatemala?
Molto negativa: l’impoverimento cresce, toccando l’80 per cento della popolazione, con un 60 per cento nella miseria, aumentano gli emigranti, nonostante migliaia siano deportati dagli Stati Uniti (e oggi si aggiungono le vergognose leggi europee in materia), la denutrizione infantile arriva al 49 per cento dei bambini sotto i 5 anni (59 per cento tra gli indigeni) secondo l’Unicef, in un paese che può realizzare tre raccolti all’anno. Tutto ciò è frutto di una struttura sociale ingiusta ed escludente, in cui la ricchezza è detenuta da una ventina di famiglie, e al cui centro c’è il problema dell’iniqua distribuzione della terra, che nessuno ha voluto finora affrontare e sulla quale si fonda il modello agroesportatore prevalente nel paese. Basti pensare che oggi, come denuncia un recente “Rapporto sulla situazione dell’alimentazione in Guatemala” preparato dalla cooperazione allo sviluppo austriaca, vasti terreni ed enormi quantità d’acqua sono destinati alla produzione di agrocombustibili, coltivando canna da zucchero e palma africana, a scapito del mais. È pazzesco: non abbiamo cibo, ma avremo diesel! E così i contadini cominciano a coltivare papaveri da oppio. Sono molto preoccupato anche per l’annunciato Accordo di associazione tra Centroamerica e Unione europea. Il negoziato pare che adesso si sia bloccato per la crisi in Honduras, ma finora i nostri governi hanno condotto la trattativa senza aprire alcuna discussione con la società civile. Non vorrei si ripetesse quanto avvenuto col Trattato di libero commercio tra Stati Uniti e America centrale (Cafta), che non ci ha aiutato per nulla perché la disuguaglianza tra i partner è enorme. Questo accordo dovrebbe invece essere prima di tutto un patto di aiuto allo sviluppo dei nostri paesi, mettendo in secondo piano l’aspetto commerciale.

Quale sarebbe un primo passo per superare questa situazione?
In Guatemala la radice dei problemi sociali e ambientali è l’assenza di una riforma agraria. Nell’enciclica Caritas in veritate anche Benedetto XVI parla di riforma agraria, dandoci un sostegno autorevole, ma noi vescovi lo diciamo da anni. Oggi la soluzione passa per il varo di una Legge di sviluppo rurale integrale che assegni alla terra non solo il compito di produrre per l’esportazione e ciò implica toccare la proprietà fondiaria. Le organizzazioni contadine, con l’appoggio della Commissione pastorale della terra, hanno elaborata una proposta, peraltro non molto radicale, concordata con il governo, che però non è andata avanti, per cui in luglio i movimenti popolari hanno realizzato blocchi stradali in tutto il paese e ora pare che il presidente della Repubblica, Alvaro Colom, intenda appoggiarne il varo. Non sarà facile perché il nostro progetto prevede aspetti come l’introduzione di un Codice agrario, di Tribunali agrari e di un Ministero di sviluppo rurale a sostegno dell’economia contadina di sussistenza, che trovano l’opposizione dei grandi proprietari terrieri. I latifondisti hanno presentato, attraverso la Camera dell’agricoltura, una propria proposta, che si somma a quelle del precedente governo conservatore del presidente Oscar Berger e di Otilia Lux, già ministra della Cultura e dello sport nell’esecutivo del presidente Alvaro Portillo (2000-2004), oggi deputata indipendente legata al partito indigeno Winaq dopo essere stata eletta con Incontro per il Guatemala, di centrosinistra. Ma senza un cambiamento a questo livello aumenterà la povertà e quindi la violenza, perché la grande maggioranza dei giovani non ha prospettive. Programmi governativi come “Coesione sociale” o l’erogazione di 150 quetzales (12 euro) mensili alle famiglie povere delle campagne, purché mandino i figli a scuola, non sono risolutivi.

Chi sono i responsabili della violenza diffusa nel paese?
È difficile capirlo. C’è la criminalità organizzata, è aumentato il numero dei sicari che ammazzano per soldi, ci sono i narcotrafficanti, che a loro volta si appoggiano alle maras, bande giovanili disposte a uccidere o minacciare, come successo un paio d’anni fa col missionario italiano p. Pietro Nota, che ha dovuto lasciare il paese, e si parla pure di un gruppo di militari che vorrebbero conservare potere fomentando il disordine. L’azione di contrasto da parte dello Stato è scarsa, perché nella polizia c’è ancora molta corruzione nonostante numerosi agenti siano stati cacciati, le indagini non vengono realizzate, tanto che è stata la Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala dell’Onu a scoprire 9 persone coinvolte nell’omicidio, avvenuto in maggio, dell’avvocato Rodrigo Rosemberg, e la legislazione sulla protezione dei testimoni andrebbe rafforzata. Inoltre le carceri sono controllate dai detenuti.

Da anni lei è in prima fila nelle proteste contro la presenza nella sua diocesi dell’impresa mineraria Montana exploradora de Guatemala, una sussidiaria della canadese Goldcorp Inc. Quali sono gli ultimi aggiornamenti?
Due mesi fa abbiamo reso pubblici i risultati delle nostre analisi sull’inquinamento dei corsi d’acqua della zona, che aumenta a livello di metalli pesanti, mentre non abbiamo trovato cianuro. L’impresa ha replicato che rispetta gli standard stabiliti dalla Banca mondiale, ma noi vogliamo conoscere la condizione dell’acqua della laguna creatasi in seguito alla costruzione di una diga. Abbiamo chiesto al loro avvocato di mettere a confronto i risultati delle nostre analisi e delle loro, ma soprattutto abbiamo proposto di affidarle a un organismo indipendente specializzato, suggerendone uno del Belgio. A San Miguel Ixtahuacan, dove c’è la miniera e la comunità è spaccata a metà tra favorevoli e contrari, l’azienda ha inoltre organizzato una manifestazione pubblica di sostegno al progetto estrattivo, cui hanno partecipato 1.200 persone, in maggioranza lavoratori dell’impianto, durante la quale hanno gridato al parroco belga, p. Erik Gruloos, che è straniero e se ne deve andare. Allora il parroco ha scritto alla società in Canada, chiedendo ragione di questi attacchi. La ditta gli ha risposto e ha scritto anche a mons. Thomas Collins, arcivescovo di Toronto chiedendogli di intervenire perché vogliono avere buoni rapporti con la Chiesa guatemalteca. Venutolo a sapere, il parroco ha scritto all’arcivescovo per spiegargli la situazione. Mons. Collins non mi ha interpellato; se lo farà gli risponderò, ma non c’è motivo perché lui intervenga in questa vicenda. Intanto la Commissione della trasparenza del Parlamento guatemalteco è venuta a San Marcos per verificare la situazione del sito minerario perché c’è una deputata, Rosa Maria De Frade, eletta con la Grande alleanza nazionale (di destra, al governo nel 2004-2008 e oggi all’opposizione) e attualmente appartenente al Gruppo parlamentare “Guatemala”, che è impegnata per la riforma della legge sulle miniere. Abbiamo chiesto a Colom di sollecitare il Congresso ad approvare la proposta di legge concordata nel 2006 con la società civile, a cominciare dai movimenti ambientalisti e dalla Conferenza episcopale. Un gruppo ecologista radicale rifiuta qualsiasi attività mineraria, ma la Costituzione l’ammette per cui bisognerebbe cambiare la Legge fondamentale. In Bolivia ed Ecuador l’hanno fatto, ma da noi è molto difficile, per cui puntiamo a modifiche della normativa ordinaria che mettano vincoli rigorosissimi a questa industria. D’altro canto le royalties che il Guatemala riceve sono minime: fino a marzo la ditta canadese ha ottenuto profitti per 245 milioni di dollari e ha ne ha dati al paese solo 7. Adesso sta cercando di comprare altra terra per allargarsi e a volte qualche contadino vende perché ha bisogno di denaro, ma in generale la resistenza della popolazione a questi progetti, compresa la costruzione di centrali idroelettriche, come quella sul fiume Salá, cresce e la situazione è molto tesa.

Come giudica il governo del presidente Colom?
È un governo molto debole, che non ha il coraggio di affrontare i problemi fondamentali del paese, anche perché Colom deve molti favori agli imprenditori che gli hanno finanziato la campagna elettorale, quindi non mi aspetto granché. In settembre ho incontrato il Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’alimentazione, Olivier de Schutter, che si era appena riunito col presidente. Mi ha detto che Colom teme si ripeta in Guatemala quello che sta succedendo in Honduras, per cui non intende realizzare cambiamenti profondi perché paura di un colpo di Stato. Secondo me, invece, il governo potrebbe realizzare alcune riforme senza correre questo rischio.

Quale scenario si prospetta per le presidenziali del 2010?
Temo che sarà una partita tutta giocata a destra, tra il generale a riposo Otto Perez Molina, già capo dello Stato maggiore presidenziale dal 1993 al 1996, oggi leader del Partito patriota e alfiere della “mano dura” (del cui ruolo nell’omicidio del vescovo Juan Gerardi parla il libro “L’arte dell’omicidio politico” di Francisco Goldman), e Harold Caballeros, un ex pastore evangelico della Chiesa “El Shaddai” (la stessa dell’ex presidente Jorge Serrano, eletto nel 1990 e fuggito dal paese nel 1993 dopo aver tentato un autogolpe) che ha fondato il partito Visione con valori (Viva). Forse si candiderà anche la moglie di Colom, Sandra Torres.

E il movimento popolare? L’impressione è che le organizzazioni nazionali siano ancora quelle degli anni ’80 e fatichino a raggiungere una massa critica che le renda efficaci.
Credo sia così e manca soprattutto un coordinamento tra le varie organizzazioni che apra la strada a un movimento popolare forte e incisivo. Non ci sono leader capaci di unire, perché prevalgono gli interessi di gruppo, le ambizioni personali e il protagonismo dei dirigenti. Dal movimento di resistenza contro le miniere è nato nel 2008 il Consiglio dei popoli dell’Occidente, che riunisce diverse organizzazioni sociali indigene e no; spero cresca e si estenda alla parte orientale del paese. Secondo alcuni potrebbe costituire la base di un partito politico, ma nelle elezioni del 2016.

La Conferenza episcopale interviene puntualmente su singoli problemi (emigrazione, miniere, ecc.), ma rispetto a qualche anno fa sembra meno capace di indicare un’idea di paese.
In effetti come episcopato abbiamo purtroppo un po’ ridotto il nostro impegno di denuncia. Lavoriamo molto sul tema dei migranti, anche perché il segretario della Commissione episcopale di mobilità umana, p. Mauro Verzelletti, è molto attivo, e la Commissione pastorale della terra si sforza di essere incisiva, ma come Conferenza episcopale ora manteniamo un profilo più basso perché i vescovi non hanno tutti la stessa opinione sulla situazione del paese, soprattutto su alcuni problemi sociali, a cominciare da quello della terra, anche per la diversa realtà concreta delle singole diocesi. Certo tutti consideriamo importante la lealtà nella Conferenza episcopale, per cui se si prende una decisione a maggioranza, chi non è d’accordo tace e poi nella propria diocesi può muoversi anche in un'altra direzione. Tuttavia la mancanza di consenso ci ha fatto perdere un po’ della forza che avevamo durante la guerra civile. Mi auguro che possiamo recuperarla anche grazie al contributo dei nuovi vescovi, gli italiani Rosolino Bianchetti a Zacapa e Mario Fiandri nel Peten.

Oggi a che cosa dovrebbe secondo lei dare priorità la Chiesa guatemalteca?
Credo dovremmo rafforzare la nostra pastorale sociale, coordinando gli sforzi dei diversi settori che la compongono (salute, terra, Caritas, penitenziaria, diritti umani, mobilità umana) per avere più peso a livello nazionale e magari convincere anche agli imprenditori a sedersi a un tavolo per prendere atto che così il paese non può andare avanti e concertare un nuovo progetto di nazione.

Che significato ha la particolare sensibilità sociale espressa dal Consiglio ecumenico cristiano del Guatemala, creato nel 2007?
Quello di presentare una pratica cristiana, che coinvolge cattolici e non cattolici, in cui, come diceva Giovanni Paolo II, non c’è divorzio tra fede e vita, a differenza di certi gruppi neopentecostali e carismatici, che rimangono estranei ai problemi sociali. E dimostrare che l’ecumenismo è possibile.

Il lavoro di questo Consiglio ha un’eco?
Sui mass media direi di sì, mentre tra la gente per ora meno, anche perché le Chiese protestanti storiche che lo compongono (luterani, episcopaliani, presbiteriani, ecc.) sono piccole. Oggi in Guatemala la maggioranza dei non cattolici appartiene a Chiese evangeliche settarie, che fanno molti seguaci proponendo riti di guarigione, ma intervengono pubblicamente solo su questioni che riguardano la famiglia.

Come interpreta i casi di due preti scomunicati, Eduardo Aguirre, che ha formato la Chiesa cattolica ecumenica rinnovata in Guatemala, facendosi consacrare vescovo dal primate della Chiesa cattolica apostolica brasiliana, e di Armando Diaz Duque, che si è inserito nella Chiesa cattolica antica del Centroamerica ricevendo la consacrazione episcopale dal primate della Chiesa cattolica apostolica antica del Rio de la Plata?
Credo che questi scismi siano frutto di vicende individuali, dovuti alla personalità di questi preti, che hanno però trovato un ambiente favorevole in gruppi carismatici lasciati senza accompagnamento pastorale. Così, per esempio, Aguirre aveva creato la Comunità Santa Maria del nuovo esodo nella diocesi di Huehuetenango, garantendo l’amministrazione dei sacramenti a molte persone semplici.

Alla vigilia della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, lei aveva sottolineato l’importanza che ad Aparecida fossero affrontate alcune questioni intraecclesiali, per esempio quella dei ministeri, che però non sono poi state toccate. Come pensa sia possibile farlo, se lo ritiene ancora necessario?
Nelle presentazioni della situazione del proprio paese, fatte all’inizio della Conferenza dai presidenti dei diversi episcopati emergeva una sorta di contraddizione tra l’insistenza sulla necessità rafforzare nelle comunità cristiane la percezione dell’importanza della vita sacramentale, in particolare dell’eucaristia, e l’insufficienza di ministri ordinati per celebrarla. Questo tema non è stato poi affrontato ad Aparecida, ma resta pendente. In Guatemala, per esempio, ci rendiamo conto che le celebrazioni della Parola guidate dai delegati della Parola sono un’esperienza molto positiva e ricca, ma spesso i fedeli finiscono per identificarle con l’eucaristia, per il semplice fatto che raramente hanno la possibilità di partecipare a una Messa. Dobbiamo trovare il modo per cui alle comunità non manchi la celebrazione dell’eucaristia e della riconciliazione. Secondo alcuni con una forte promozione delle vocazioni risolveremo il problema della scarsità dei preti, ma io non credo sia così. Io penso che dovremmo almeno avviare una discussione ampia e approfondita su nuove alternative, ma questa possibilità mi pare ancora lontana. Sono curioso di vedere se il tema sarà affrontato al Sinodo per l’Africa. Temo però che anche a livello di Conferenze episcopali i tempi non siano maturi, perché la maggioranza di noi vescovi non ritiene questi argomenti materia di dibattito, per cui quando qualcuno li solleva i più rispondono che non se ne deve parlare e l’interessato rischia di essere guardato con sospetto. Penso che se ci fosse un ambiente di maggiore libertà anche tra noi vescovi forse questi problemi verrebbero esplicitati. Ma in futuro dovranno essere affrontati.

Un aiuto ai bambini

L’esperienza di una farmacista in Guatemala «Sono poveri, basta poco per dare una mano»

SAN MARTINO. Dalla farmacia di piazza Petrarca al Guatemala. Anna Cazzani, studentessa 25enne di farmacia, abita a San Martino e studia a Pavia. Per quindici giorni si è confrontata con una realtà lontanissima da quella pavese. «Mi ha spiazzato sia la povertà - racconta - sia il modo di affrontarla della gente del posto». Anna Cazzani è partita con Emanuele Chiodini dell’Associazione italiana nursing sociale, Ains, per visitare il Guatemala e i progetti che l’associazione pavese segue: «La prima settimana l’abbiamo trascorsa nella casa delle bambine - spiega la giovane farmacista - abbiamo giocato con loro, abbiamo fatto un po’ di spesa al mercato. Hanno dai 2 ai 18 anni, sanno ripagare con un sorriso capace di mandare al settimo cielo». Per la farmacista, viaggiatrice esperta, si trattava del primo “viaggio di solidarietà”. Un posto in cui la povertà si mescola alle contraddizioni del consumismo: fagioli a pranzo e cellulare in mano, per esempio: «Avevo visto video, foto, letto libri - prosegue -. Arrivando là, sono però rimasta piacevolmente sorpresa della capacità di arrangiarsi. E senz’acqua corrente a disposizione ho condiviso il loro stile di vita». Anche nel cibo che, racconta la giovane «non abbondava», ed era costituito prevalentemente da fagioli, patate, verdure. «Mi ha colpito il bisogno di affetto dei bambini: ti si fiondano addosso, ridono, urlano. Ti affezioni subito. Sto spargendo la voce tra gli amici, consigliando il viaggio a tutti quelli che vogliono vedere con i propri occhi un altro mondo che coesiste con il nostro. E da qui, in attesa di tornare, mi piacerebbe sostenere un bimbo a distanza: bastano 160 euro per un anno». Anna Cazzani ed Emanuele Chiodini sono andati anche al Rancho, dove Ains sostiene 150 bambini di una scuola: «Siamo andati in classe - spiega Anna Cazzani - nei villaggi sulle montagne, nei progetti di educazione alimentare, alla clinica e alla farmacia: è stato bello vedere con i miei occhi dove le risorse vanno a finire, che cosa si può fare anche con poco».

(anna grezzi, la provincia pavese-10 aprile 2010)

5 aprile 2010

DI RITORNO DAL GUATEMALA, FINE MARZO 2010

Dopo il viaggio di Gennaio di Ruggero e Giulia è toccato a noi trasferirici temporaneamente nella conosciuta e ri-conosciuta terra del CentroAmerica.
Quindici giorni ad alta intensità. Ad ogni livello: per il clima, ora caldo torrido, subito dopo il passaggio frenetico di banchi di nuvole, fresco e ristorante. Per il paesaggio, mutevole nella morfologia geografica e urbana. Per gli insediamenti umani: la capitale col suo centro direzionale, affaristico, politico, l'areoporto; i barrios e le colonie circostanti, accattastamenti di casette e baracche una sopra l'altra, una addosso all'altra; i quartieri periferici signorili e borghesoni dominati da muraglie di sicurezza e fili spinati. E poi le campagne, i monti improvvisi, i corsi d'acqua bassissimi al limite della sopravvivenza biologica, i pianori larghi e brulli, le messi di canna da zucchero a riempire all'inverosimile camion giganteschi e pronte per la trasformazione in prodotto finito, le piantagioni di frutta esotica come oasi nel mezzo del caldo tropicale, le comunità di campesinos agli estremi con fini della povertà.
Questo è il Guatemala, in trenduesimo; ma pur sempre Guatemala.
Diventa difficile raccontare per filo e per segno quindici giorni vissuti in pienezza, ora per ora, minuto per minuto. Non è semplice raccogliere in un articolo colpi d'occhio, visioni, relazioni, emozioni, sensazioni.
Un viaggio "on the road" come direbbe Keruack è esperienza progressiva. In Guatemala si ritorna è non è mai la stessa cosa. Non è mai come l'anno precedente.
Circolando e parlando, tessendo relazioni sulla strada e sul campo scopri sempre qualcosa di nuovo.
Certo ci sono alcuni luoghi fissi: la Casa delle bimbe in Mazatenango come abbiamo avuto modo di raccontare nello scritto precedente. Un'opera da sostenere e da indirizzare, nel prossimo futuro, verso una piena autonomia gestionale. Sul presente la speranza e' quella di mantenere cio' che abbiamo visto: serenità nella vita quotidiana, mensa e alimentazione adeguate e ampiamente sufficiente, scuola per tutte. Ecco perchè l'obiettivo di raccogliere 10000 euro da investire in questa struttura non è vana: è la vita di 48 bambine (oggi), domani forse ancora di più. Bambine sottratte alla strada e ad ogni forma di violenza: anche questa è povertà.
C'è sempre il Liceo San Josè, a El Racho, e la comunità di suore che lo amministra. La scuola funziona bene nei suoi turni: la "jornada matutina" (scuola elementare) e "vespertina" (scuola media). Abbiamo trovato un clima d'accoglienza e di festa. Una comunità di suore simpatiche e allegre. E uno stuolo di bambini e ragazzi che ormai ci "riconoscono".
Siamo stati con loro, nelle loro aule, durante una mattina di lezione e durante un pomeriggio dove mettevano in scena "l'acto publico", una speciale recita a base di educazione civica tra il patriottico e il sociale. E poi la fiera di "San Josè" svoltasi in un tripudio di sfilate, mortaretti, fuochi d'artificio, elezioni di miss, balli e divertimenti, tra il 17 e il 21 marzo.
Abbiamo rivisto volentieri Annamaria: sempre più in alto, sempre meglio. Ottimi voti a scuola per un elegante signorina lanciata verso i quindici anni.
Siamo stati anche ai limiti della povertà, dove si respira l'indigenza e la contraddizione profonda di cosa significhi vivere in miseria. L'aldea del Chanrayo, collocata sui monti vicini a San Agustin Acasaguatlàn: campesinos che vivono nel loro mondo di abbandono. Tantissime donne, tantissime ragazzine, un figlio all'anno, valanghe di ninos, uomini al mercato perchè era domenica. E loro tutte lì nella "piazza centrale" dell'aldea, uno sterrato prospieciente la chiesa parrochiale senza prete, ad ascoltare gli incaricati del CFCA a spiegare il valore nutrizionale della soia.
Campesinos, poveri, con una canasta di figli, senza risorse economiche, sfruttati nelle fincas circostanti, abitanti in casette di terra e di legno. Dovrebbero essere l'avanguardia della rivoluzione contro lo stesso sistema economico che li opprime. Invece se ne stanno lì a subire il colonialismo di ritorno: quello del consumo pret-a-porter, grande allucinogeno verso giustificati motivi di riscatto, quello che crea un falso benessere: due sigarette, una coca-cola, un telefonino cellulare e tutto si spiana. E, soprattutto, il dato generale resta fisso com'è. Con l'anestetico il rapporto sfruttatore-sfruttato non muta di una virgola. Ecco perchè diventa sempre ragionevole pensare che le varie forme di solidarietà che si sperimentano (va bene insegnare cos'è la soia) non debbano mai essere disgiunte dal perseguimento della giustizia sociale composta di diritti sacrosanti e li velli di vita decenti (educazione, ecologia, emancipazione sociale, formazione di una coscienza libera).
In mezzo a tutto questo c'è stato anche un altro Guatemala: Tikal e Quiriguà con i loro imponenti monumenti Maya, l'Oceano Pacifico e il litorale delle conchas, Il lago di Flores, Panajacel e il lago di Atitlan, l'AltavVeraPaz con i suoi boschi (che alcune multinazionali del legno nordamericane stanno saccheggiando con grave danno dell'ambiente) e la comunita di Tamahù, la scampagnata Marajuma a casa di donna Tita, il mercato generale di Città del Guatemala e il pranzo con Chiara brava e simpatica cooperatrice italiana da queste parti da alcuni anni a prestare la sua grande professionalità.
Si torna in Italia. Si torna a casa: alle proprie abitudini, al proprio lavoro, alle proprie conoscenze.
Si torna in Italia e si lascia là una molecola di cuore: i mercati colorati, l'allegria lungo le strade, la musica latina a manetta, il caos del trasporto "urbano", il sapersi divertire con poco. Si lasciano là le contraddizioni e si torna a casa a vivere in un'altra più grande contraddizione.
Ma è così, la realtà è sempre razionale.
Un anno passa in fretta.

Anna Cazzani, Emanuele Chiodini

volontari Ains onlus

2 aprile 2010

Buona Pasqua in...millesimi...

"Al popolo della fame hanno raccontato dai palazzi punto per punto i loro sofisticati menù. Hanno sporcato di briciole d'elemosina la fame dei popoli. E da volti levigati più che cioottoli del torrente l'hanno chiamata giustizia".
don Angelo Casati
“ L'unico commento che si possa aggiungere alle parole di questa poesia di don Angelo Casati è il richiamo ad alcuni freddi dati statistici. Agli aiuti ai paesi in via di sviluppo - e che in realtà sono in via di aggravamento del sottosviluppo, desertificazione, assetamento, affamamento, malattie, violenze, come risvolti dello sfruttamento - l'Italia destina attualmente circa lo 0,12 del suo bilancio, la quota più bassa tra i paesi europei, la cui media è circa dello 0,39. Mentre la banca mondiale chiede ai paesi industrializzati di arrivare allo 0,70 (neppure l' 1 per cento) e alcuni paesi europei hanno aumentato le loro quote, il nostro paese le ha ulteriormente diminuite. Questi dati sono importanti per non reagire solo con passeggere emozioni alla vista di una icona della sofferenza di miliardi di esseri umani, di milioni di bambini; per rendersi conto che la cosa peggiore non è neppure che li facciamo o li lasciamo soffrire, vivere e morire così, ma che chiamiamo tutto questo "giustizia", che non ci vergogniamo di mettere a bilancio le cifre insultanti delle nostre briciole, sempre più scarse; non ci vergogniamo di chiamarli sfortunati, quando sono depredati; non ci vergogniamo di allestire faraonici G8 (per quello italiano del 2010, tra la Maddalena e L'Aquila, per tre giorni di vertice è stato speso oltre mezzo miliardo di euro) continuando a tenere per noi "come rapina" (lettera ai Filippesi 2,6) il nostro benessere, continuando a non mettere il diritto eguale di tutti gli esseri umani a una vita dignitosa al centro di tutte le politiche economiche, finanziarie e sociali.”

(di Maria Cristina Bartolomei, tratto da "Jesus" Aprile 2010)
Care amiche ed amici, con le parole appena sopra tracciate auguro a tutti voi una Serena Pasqua. E vi chiedo di leggere la mail fino in fondo affinchè gli auguri non siano sempre la solita litania, retorica e fine a se stessa. Noi non abbiamo sovrastrutture da mantenere come le grandi ONG o le grandi (supposte tali) organizzazioni di volontariato nazionale e internazionale.
Dai soldi, raccolti a fatica, non ricaviamo lo stipendio per nessuno di noi, grazie al cielo.
E per scelta precisa.
I nostri e vostri quattrini vanno a finire in una Casa d'Accoglienza a Mazatenango dove vivono 48 bimbe, al Liceo San Josè di El Rancho dove vanno a scuola in 400 di cui 150 seguiti dalla nostra piccola realtà associativa, e in diverse comunità di campesinos sparse sui monti del Guatemala.

Non siamo ne' missionari, nè cooperanti.

Per noi la solidarietà non è un lavoro; è semplicemente un valore da perseguire.
Insieme all'affermazione di Diritti sacrosanti e di uno straccio di Giustizia Sociale.
Navighiamo in un mondo spudorato, dissestato, ipocrita, pieno di sè, di certezze e di verità incrollabili fondate su consumismo e beni superflui.

Ma navighiamo, resistendo, in direzione "ostinata e contraria".
Cari saluti a tutti,
Emanuele Chiodini
per ains onlus

5xMille
Anche quest'anno è possibile destinare il 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche a sostegno di associazioni di volontariato riconosciute.
Per destinarlo all’associazione AINS
Codice Fiscale: 01885520187

1 aprile 2010

Cresce l’interesse da parte dei Gas

PAVIA. I prodotti dell’agricoltura biologica si fanno sempre più strada anche grazie ai Gruppi d’acquisto solidale (Gas), che partono da un approccio critico al consumo e che vogliono applicare il principio di equità e solidarietà ai propri acquisti. Lo conferma Annamaria Seves, referente Coldiretti per il progetto Educazione alla Campagna Amica. «Registriamo un interesse crescente da parte di Gruppi d’acquisto di varie zone della nostra provincia: i partecipanti raggiungono i punti di vendita diretta per acquistare, per esempio, confetture e conserve che si portano via nelle classiche cassette di legno - spiega il funzionario della Coldiretti di Pavia - La nostra organizzazione è da anni sensibile al tema dell’agricoltura biologica, tanto che abbiamo creato Campagna amica, un programma che mira al riavvicinamento del consumatore alla realtà agricola tradizionale dal punto di vista storico produttivo e di conoscenza del territorio».

(u.d.a.) (LA PROVINCIA PAVESE, 01 APRILE 2010)

Biologico è “buono” nel Pavese

Da settore di nicchia sta prendendo sempre più piede nonostante la crisi.
I NUMERI Sono 277 le aziende su un totale di 8.300 che coltivano sorgo, mais, avena, ortaggi e frutta

UMBERTO DE AGOSTINO
LA PROVINCIA PAVESE,GIOVEDÌ, 01 APRILE 2010

PAVIA. L’agricoltura biologica, cioè coltivare senza affidarsi ai fertilizzanti, fa sempre più breccia anche in provincia di Pavia. Da settore produttivo di nicchia, il «bio» sta prendendo piede sia fra gli imprenditori agricoli sia fra i consumatori di Pavese, Lomellina e Oltrepo, che confermano il dato nazionale diffuso dalla Coldiretti e relativo al 2009: aumento del 7% negli acquisti familiari per i prodotti biologici, che trainano la ripresa del made in Italy. Più di un italiano su due (56%) ha messo prodotti biologici nel carrello della spesa almeno qualche volta nonostante la crisi. Non è un dato da sottovalutare se si pensa che i prezzi dell’agricoltura biologica sono superiori a quelli dell’agricoltura «convenzionale». «La bioagricoltura è un mercato in costante espansione, alimentato da un consumatore che si colloca in una fascia medio-alta per disponibilità economiche e per cultura - spiega Walter Cibrario, presidente dell’Unione agricoltori di Pavia -. Inoltre, dobbiamo confermare che il mercato del bio ha risentito meno, in proporzione, della crisi economica che ha messo in ginocchio molti comparti dell’agricoltura tradizionale. Da qualche anno il bio è un filone di pensiero che si basa sul basso impatto ambientale e che riconosce la qualità accettando di pagare cifre più alte». Gli operatori biologici della provincia di Pavia, secondo un dato diffuso da Piazza Italia e relativo al 2008, sono 277 su un totale di 8.300 aziende agricole iscritte alla Camera di commercio: poco più del 3% del totale. Si tratta di un’esigua minoranza che fa tendenza e che si sta facendo conoscere sul mercato in modo immediato ed efficace. «Ormai i prodotti coltivati con il metodo biologico sono numerosi: si va dal riso ai cereali più vari come frumento, mais e sorgo, da cui si traggono farine naturali - spiega Annamaria Seves, referente Coldiretti per il settore biologico -. Poi abbiamo un’ampia gamma di ortaggi, come peperoni, melanzane e zucchine, e di frutta, dalle albicocche alle pesche, dalle ciliegie alle fragole e alle more. E anche le cantine dell’Oltrepo stanno chiedendo sempre più quintali di uva biologica». Anche le mense delle scuole, secondo la Coldiretti, dovrebbero acquistare prodotti dell’agricoltura senza fitofarmaci, che considera l’intero ecosistema agricolo, sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati e promuove la biodiversità dell’ambiente. «La Lombardia dovrebbe prendere esempio da regioni come il Lazio, la Toscana e l’Umbria che incentivano l’uso di alimenti provenienti da aziende biologiche», aggiunge Seves. La tendenza a coltivare sostituendo fitofarmaci con sostanze organiche è confermata anche da Roberto Bigi, presidente della Confederazione italiana agricoltori di Pavia. «E’ una tendenza trascinante, ancora di nicchia ma comunque vincente: coltivare in modo naturale, come una volta, è un biglietto da visita che non può non fare breccia fra i consumatori del terzo millennio - afferma Bigi -. Tanto più che la stessa Unione Europea sta spingendo molto in questa direzione: la produzione agricola tradizionale è inevitabilmente destinata a conquistare fette di mercato sempre più ampie». Nel giugno 2007 è stato adottato un nuovo regolamento comunitario per l’agricoltura biologica (n. 834/2007), che abroga i precedenti ed è relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici sia di origine vegetale sia animale (compresa l’acquacoltura). Ciò ha favorito la forte crescita di un segmento di consumatori che non si accontenta di acquistare biologico, ma che vuole conoscerne la provenienza.