28 dicembre 2007

Il gatto nero porta sfortuna sfortuna a chi non ce l'ha


Un originale regalo per ogni occasione di festa

E’ un semplicissimo complemento d’arredo, un gatto che si arrampica, scende o si accuccia sugli stipiti della porta, sull’angolo di un quadro o ad un vetro di una finestra. Non richiede chiodi perché sta su da solo e costa anche poco, il giusto per ripagare l’impegno e la bravura di quegli artigiani diversi, ai margini della società per motivi che non dipendono da loro, i diversamente abili, che senza dare troppo nell’occhio sanno produrre qualità. Per chi volesse vedere e comprare il Gatto della Cooperativa Sociale La Piracanta onlus può visitare la bottega “Il Mercatino” in Corso Garibaldi 22/a a Pavia. Il costo è di 9 euro per il gatto nero piccolo e 13 per quello grande
Per informazioni: Giulia (cell. 333.4464723)

Progetto "Capre" a Las Colmenas - Guatemala

SCHEDA DEL PROGETTO

Paese: Guatemala
Zona dell’intervento: comunità Las Colmenas a duemila metri sul livello del mare nel municipio di Jocotan, dipartimento di Chiquimula, a 150 chilometri da città del Guatemala.
Ente richiedente: Clinica San Josè, El Rancho, San Agustin AC., El Progresso tel. 00502-5146822
La Clinica San Josè è gestita da una suora infermiera guatemalteca, madre Lucita Leon Colomna, della congregazione delle Missionarie della Carità di Maria Immacolata, con sede a El Rancho, villaggio di 12 mila abitanti a 90 chilometri da Città del Guatemala. La Clinica è l’unica realtà sanitaria della zona e vi lavorano un medico, due infermiere, una tecnica di laboratorio, un segretario, Alvaro Renè Aguilar, e due agronomi, oltre a madre Lucita e ad altre tre suore.
La clinica, oltre a prestazioni sanitarie, ha progetti educativi, formativi e di primo intervento sanitario e sociale nei villaggi circostanti a El Rancho. La clinica collabora, oltre che con Ains onlus, con ONG ed associazioni umanitarie spagnole, giapponesi e degli Stati Uniti.
Ente esecutore: Clinica San Josè, El Rancho, San Agustin AC., El Progresso tel. 00502-5146822 – Ains onlus, c/o AISLeC, via Flarer 6, 27100 Pavia
Titolo dell’iniziativa: Progetto capre. Acquisto di 11 capre presso la comunità di Las Colmenas in Guatemala.
Settore d’intervento: agricolo.
Costo dell’iniziativa: euro 440,00 * (11 capre) [* cambio 1 euro = Quetzales, variabile. Quando il progetto è stato presentato alla nostra associazione il cambio era: 1$=7.50 Quetz e 1 euro=1.35 $]
Obiettivo: produrre latte, carne, pellame e, con l'accoppiamento, iniziare un progetto che abbia come scopo la vendita di alcuni esemplari al mercato locale. La capra è importante in quanto permette alla comunità di las Colmenas di continuare il progetto di sviluppo iniziato con la costruzione di case, forni e con la creazione di orti, dove si coltiva verdura per il consumo famigliare e per il mercato locale. Con questo progetto, la comunità ha la possibilità di crescere permettendo a donne, uomini e bambini di avere a disposizione alimenti ricchi di proteine.
Durata dell’intervento: raggiunto l’obiettivo dell’acquisto di undici capre (10 femmine e un maschio), la prima fase del progetto è terminata. L’obiettivo della clinica San Josè e della nostra associazione è di acquistare entro l’anno, 50 capre e 5 caproni in modo che ogni famiglia della comunità abbia un animale.
Prospettive: l’obiettivo del progetto era l’acquisto di 55 animali entro la fine dell’anno. Al 10 novembre 2007 abbiamo raccolto 4.000 euro. Con questo contributo compreremo 100 capre che verranno distribuite alla comunità di Las Colmenas e ad altre comunità, come richiestoci dalla referente della clinica San Josè in Guatemala.

. . . per trasformare i sogni e le idee in progetti . . .

il conto corrente postale è: n. 46330429
causale: progetto capre

Incontro: “NO COMMENT”. Media e volontariato

La nostra associazione insieme a Per Fare un Albero, Incontramondi, la Cooperativa La Piracanta e il Centro Servizi del volontariato di Pavia organizza un ciclo di incontri sul rapporto tra mezzi di comunicazione e volontariato in quanto ritiene che la comunicazione tra il mondo del volontariato e quello dei media ha bisogno di essere potenziata. Infatti il rapporto tra questi due soggetti si presenta spesso difficile perché si tratta di due mondi profondamente diversi, tra i quali non sempre si stabilisce una relazione soddisfacente.
Il primo incontro, che si è tenuto il giorno 15 dicembre 2007 presso la sala San Martino di Tours in C.so Garibaldi, 69 a Pavia, alle ore 10,00 è stato con Giulio Giuzzi, vicedirettore de “Il Giorno” e moderato da Daniela Scherrer, giornalista de IL TICINO.
Il 19 gennaio 2008 alle ore 11 presso la sala San Martino di Tours in C.so Garibaldi, 69 a Pavia seguirà l’incontro con Pierangela Fiorani, direttore de “La provincia pavese” e il 26 alle ore 10 sempre presso la sala San Martino di Tours in C.so Garibaldi, 69 a Pavia con don Franco Tassone direttore del settimanale cattolico “IL TICINO”.

Sguardi puri 2007/2008

All’interno della rassegna “Sguardi puri 2007/2008” organizzata da Comune di Pavia, Provincia di Pavia e Medusa Home Entertainment, che si sviluppa attorno al tema “lo sguardo dell’altro e lo sguardo sull’altro” ponendosi l’interrogativo di sapere quale è il valore della visione, il 18 dicembre presso Santa Maria Gualtieri in Piazza della Vittoria a Pavia, alle ore 21 sono stati proiettati “Lettere dal Guatemala” di Filippo Ticozzi, realizzato in collaborazione con la nostra associazione AINS onlus di Pavia e “Antologia” (Colombia) di Nicola Grignani, in collaborazione con “Teleimmagini” e “Ipocomunicazioni”. Dopo le proiezioni si è tenuto
l’incontro con i registi che hanno raccontato la loro esperienza di cooperazione all’estero.

Compagni di Viaggio.dicembre 2007


Eccoci di ritorno dal nostro viaggio in Guatemala che ha visto coinvolte dal 10 novembre al 4 dicembre tre presone: chi scrive, Ruggero Rizzini presidente dell'associazione, Claudia Mossi vicepresidente e Lorenza Zanetti, giovane infermiera di Mortara che ha deciso di investire tre settimane della propria vita per conoscere una realtà completamente diversa rispetto a quella che, invece, è solita frequentare. Nel corso del viaggio abbiamo partecipato a numerose riunioni con i referenti locali che da anni collaborano con noi in questo piccolo paese del CentroAmerica. La prima settimana l'abbiamo trascorsa a El Rancho, un villaggio di diecimila persone a circa novanta Km da Città del Guatemala. Abbiamo visitato 26 case in cui risiedono le famiglie che aderiscono al progetto di sostegno scolastico a distanza, che seguiamo da cinque anni e che vede coinvolti 120 tra bambine e bambini delle classi elementari. In appoggio a questo progetto abbiamo lasciato alle suore i soldi necessari per permettere a ciascuno di loro di continuare la frequentazione scolastica per tutto il 2008 e ci siamo impegnati a garantire, nel corso dell'anno entrante, il sostegno ad altri dieci bambini. Nei giorni a venire abbiamo poi visitato tre comunità ubicate sulle montagne circostanti: Las Colmenas. Aguahielo e Tatutù.Las Colmenas è nel municipio di Cocotan a sei ore di macchina da El Rancho. Qui abbiamo potuto constatare diversi miglioramenti frutto dei progetti finanziati dalla nostra associazione negli ultimi quattro anni. Lo scopo della visita è stato quello di portare il denaro per l'acquisto di 25 capre da consegnare ad altrettante famiglie. La comunità grazie al finanziamento ricevuto due anni fa dall'organizzazione nordamericana CFCA sta costruendo l'edificio dove sorgerà il laboratorio di taglio e cucito ove troveranno collocazione dieci macchine per cucire finanziate dalla nostra associazione.. Da questa comunità torniamo contenti perchè prosegue la realizzazione dei programmi precedenti e, dato questo contesto che si presenta particolarmente favorevole sarà nostra intenzione inserire successivamente un ulteriore progetto per l'acquisto di sementi per gli orti famigliari. Aguahielo è una comunità a due ore di macchina da El Rancho. Ci siamo arrivati in pick-up arrampicandoci per strade che attraversano una vegetazione meravigliosa e lussureggiante. Qui abbiamo osservato i progetti di microcredito dell'associazione CFCA. A piedi, dopo quindici minuti di cammino il progetto panaderia - cioè di produzione del pane - ci appare in tutta la sua bellezza pratica e concreta. Questo lavoro impegna cinque persone che producono - utilizzando un forno a legna - pane e dolci che vengono venduti alla comunità e al mercato locale. Un altro progetto definito "allevamento polli da ingrasso" tiene occupata un'altra famiglia che ha deciso di correre un rischio d'impresa "sui generis". Essi hanno a disposizione una struttura in legno dove mettere gli animali e, per questo, hanno ricevuto un finanziamento di circa 300 euro (3000 quetzales), per l'acquisto di 200 polli, del mangime e dell'occorrente per le vaccinazioni. Interessante è stato anche l'incontro con i campesinos che hanno ricevuto un finanziamento per la coltivazione di mais di qualità superiore rispetto a quello che normalmente viene prodotto nella zona di Aguahielo. I contadini ci hanno raccontato le dinamiche organizzative del microcredito evidenziando gli aspetti positivi e quelli negativi. Avere cioè la possibilità di uno sviluppo migliore dal punto di vista agricolo e commerciale ma anche essere esposti al rischio di cambiamenti climatici, malattie e eventuali impossibilità di restituire il denaro ricevuto. Da Aguahielo ritorniamo con un progetto per l'acquisto di concime utile per migliorare la coltivazione del maiz. Potrebbe essere un'ipotesi, vista la presenza di un buon referente locale, di trasformare la proposta prima enunciata in un progetto di microcredito dove la metà del denaro viene elargita a fondo perduto e l'altra metà recuperata ad interesse zero in un anno. Tatutù, la terza aldea visitata è uno di quei posti letteralmente dimenticati da Dio e dagli uomini. Per arrivarci su per la montagna fino a raggiungere i 1200 metri di altezza, abbiamo impiegato tre ore di cui l'ultima sul cassone del pick-up. Accompagnati dal rappresentante della comunità, dopo avere attraversato piantagioni di caffè di proprietà di alcuni latifondisti di Cocotan, siamo entrati in tre "case" che non possono essere considerate assolutamente tali. Un'unica stanza di cinque passi per sei, buia con le pareti di legno e che ospita una famiglia composta da sei,sette persone. I genitori e, in questo caso, quattro figli; la più piccola,una bambina di circa tre anni. In un angolo il fuoco per cucinare e scaldarsi; nell'altro una tavola di legno rialzata come giaciglio; ad una parete una panca per sedersi e nel bel mezzo, la macina per triturare il mais ingrediente principale per le tortillas. Manca tutto, tranne l'acqua non potabile del ruscello vicino. Entriamo in casa dopo aver chiesto il permesso e scattiamo qualche foto per documentare questa situazione ancora una volta di estrema povertà. Scopriamo ancora che l'unica fonte di sussistenza è il mais e i fagioli coltivati in un fazzoletto di terra non di proprietà della famiglia; e che gli uomini lavorano saltuariamente una o due volte la settimana in una grossa finca vicino a Cocotan per venti queztales al giorno l'equivalente di due dollari e mezzo cioè due euro. Nella seconda casa non entriamo. Ci limitiamo a parlare con una donna di circa trent’anni con quattro figli e abbandonata dal marito. Ci racconta che per vivere lavora non in modo continuativo lavando vestiti, coltivando la poca terra che possiede e ricevendo un aiuto dalla famiglia di sua madre e di un cugino. Lasciamo Tatutù con la promessa del nostra referente, Alvaro, di incontrare prossimamente la comunità per capire in modo più dettagliato le loro necessità e priorità. Anche qui, con ogni probabilità, inizieremo un progetto di allevamento inserendo 25 capre. La prima settimana è termina e il nostro programma di viaggio ci porta a Mazatenango all'Hogar Santa Maria de Jesus dove è stata trasferita madre Antonietta che per 18 anni ha seguito e realizzato progetti di solidarietà a El Rancho.Hogar Santa Maria de Jesus. La prima impressione che si registra entrando all'Hogar è di pulizia e tranquillità. Visitandolo e scoprendolo a poco a poco sembra avere tutte le caratteristiche di quei centri di aggregazione giovanile dove non manca nulla: c'è la sala mensa, la cucina, la chiesa, le aule per studiare, il dormitorio e il campo-basket. "Hogar" in spagnolo significa "luogo". Questa comunità si trova a pochi Km dal centro di Mazatenango sulla strada principale che porta verso il Messico. Giunti al Km otto si gira a destra e, attraversando la campagna dopo aver passato il carcere, si arriva al Centro Santa Maria de Jesus. Varcato un primo cancello se ne deve passare un secondo dopo di che si entra nella struttura che ospita quattro suore e ventisei tra bambine e ragazze in età tra i sette e i diciassette anni. Queste giovani donne hanno tutte alle spalle una storia di violenza.La più piccola è stata accompagnata al centro da agenti di polizia qualche mese fa a causa di una segnalazione dei suoi vicini di casa che avevano notato le condizioni di vita della bimba: denutrizione, sporcizia, vita sulla strada a chiedere cibo. C'è, per fare un atro esempio, Filipa una bimba particolarmente amata che in tenera età ha dovuto subire una serie di percosse e umiliazioni. Questo le ha causato parecchi danni fisici e psichici. Filipa, pur non riuscendo a frequentare la scuola ha trovato all'Hogar un rifugio accogliente e sicuro. La situazione economica dell'Istituto retto attualmente da madre Antonietta non è particolarmente brillante. Pur essendo di proprietà dell'amministrazione comunale questo immobile è stato dato in concessione gratuita per trenta anni ad una fondazione di suore messicane denominata "Fundanina" che, in Guatemala è attiva presso altre due località: a Quezaltenango e nella capitale. "Fundanina" si accolla i costi vivi per il funzionamento della struttura (luce, gas, custode) non di più. Anche questa fondazione ha subito in tempi recenti una sorta di boicottaggio da parte di una serie di persone benestanti (tra cui la proprietaria del "Pollo campero" una catena di fast-food a imitazione dei Mcdonald's nordamericani) che hanno tagliato le loro donazioni. Questo ceto, del resto, in Guatemala è abituato ad agire per pura convenienza e si trova fortemente allineato a sostenere le dinamiche politiche del momento secondo il potente di turno che si trova al governo del paese. "Fundanina" non interessava più a questi "signori". Per sopperire alle mancanze economiche dell'Hogar è intervenuta, tramite una signora nordamericana sensibile alla solidarietà, un'organizzazione protestante degli USA che garantisce con un debito finanziamento (praticamente un sostegno scolastico) alle ragazze di poter continuare a frequentare la scuola. Per i costi vivi, trovata la soluzione. Per la scuola, anche. E per il resto? Mangiare, vestirsi, condurre una vita decente e decorosa. Qui è intervenuto il genio di Madre Antonietta. Ma, siamo solo agli inizi. In primo luogo ha creato un fondo comune interno all'Hogar dove affluiscono gli stipendi di tutte quattro le suore e eventuali donazioni. (3800 quetzales = 380 euro circa). In secondo luogo si tratterà di ideare l'allestimento di laboratori. Le ragazze ospiti,infatti, ciascuna secondo la propria attitudine dovranno imparare anche un lavoro manuale. Tant'è vero che, in via sperimentale sono stati creati e venduti, in occasione della commemorazione dei defunti, fiori finti riciclando i fondi delle bottiglie di plastica. Recuperando stoffe donate da terzi sono stati confezionati asciugamani e piccole tovaglie vendute poi al mercato. In occasione della festa di Ognissanti dalla grande cucina del centro sono stati sfornati più di 500 pandulce, tutti regolarmente venduti. Il frutto di un lavoro più organizzato per mansioni e per tipologia offrirà entrate più certe e sicure. Questo sarà un obiettivo da realizzare. Il primo dato da perseguire è quello di recuperare 24.000 quetzales annui (2.400 euro) per il sostentamento del centro e delle ragazze. A questo si arriva per due strade: l'autofinanziamento e la gestione del fondo comune in modo oculato. Un altro problema registrato al centro, più di natura personale, è la presenza di alcuni conflitti (ambientali e caratteriali) che di tanto in tanto sorgono tra le ragazze. Anche per affrontare questi problemi madre Antonietta indica due possibilità. La prima, una via più pratica, è operare - anche per tentativi - una sorta di ricongiungimento delle ragazze con le famiglie d'origine. Questo consentirebbe di ricostruire relazioni ormai compromesse e di iniziare la famiglia ad un interessamento più responsabile anche per quanto concerne il funzionamento del centro. (un esempio molto bello: alla domenica si parte col pulmino dell'istituto per andare ad assistere alla messa. Molte ragazze, in questa occasione, incontrano i loro familiari che le omaggiano con piccole cose come frutta, verdura, vestiti, qualche soldo che vengono messe regolarmente e spontaneamente in comune. Eccolo il frutto vero del termine "comunione" reso possibile in quanto madre Antonietta da luglio ad ora ha ricongiunto venti ragazze con le rispettive famiglie.). La seconda questione è più tecnica. C'è la necessità reale di avere a disposizione del centro una psicologa che affronti con professionalità, (aiutando concretamente la madre) le problematiche più difficili legate alle storie e alle condizioni di vita passate di alcune ragazze che sotto certi aspetti si manifestano con atteggiamenti provocatori o di prevaricazione. C'è la necessità reale per molte di loro di una vera educazione ad una vita "normale". La psicologa costa 500 euro all’anno e di questo progetto se ne occuperà direttamente la nostra associazione senza trascurare gli altri aspetti di aiuto materiale che indicavamo in precedenza. Sostiene madre Antonietta: "se una persona ha fame, prima gli do da mangiare, poi gli do una dignità e solo dopo gli parlo di Dio" . Ecco una sintesi di quel grande libro chiamato Vangelo. Nel Quichè, la zona Maya del paese, il nostro referente è Pablo Ceto, presidente della ONG Fundmaya con sede nella capitale e a Nebaj. Con lui collaboriamo da quattro anni e abbiamo visitato anche questa volta i villaggi di Chacul e Cotzal. Lì abbiamo incontrato gruppi di donne maya "comadronas", cioè levatrici e allo stesso tempo contadine.In questa particolare zona del Guatemala - dove ha imperversato la tremenda guerra civile degli anni passati - vediamo da vicino com'è la situazione della sanità pubblica. A Nebaj città di 30.000 abitanti circa si trova un ospedale con 38 posti letto!! Secondo i nostri criteri equivale ad un reparto di un nostro ospedale qualsiasi.Così è in Guatemala. Prima di tornare in Italia andiamo a Zacualpa un villaggio limitrofo a Santa Cruz del Quichè. Qui verifichiamo i lavori di costruzione di un centro culturale che stiamo finanziando da anni insieme a Fundamaya. Purtroppo i lavori rispetto al gennaio scorso (l'ultima volta del nostro passaggio in Guatemala) non sono continuati come speravamo.In questo lasso di tempo si è realizzata solo la copertura dei locali. Il progetto comunque non è perso. L'obiettivo di dare un luogo alle donne di Zacualpa e villaggi vicini ove imparare a conoscere e coltivare le erbe medicinali, rimane.A febbraio, quando torneremo da quelle parti, passeremo per un ulteriore verifica. Il viaggio in Guatemala è stata anche l’occasione per incontrare Mario Cardenas, presidente della Coperativa Kato-Ki di Chimaltenango e consegnare i 1.500 euro per il progetto “forni per il pane” donati dall’amministrazione comunale di San Martino Siccomario a conclusione di un progetto di sensibilizzazione sulle tematiche della solidarietà in collaborazione con le scuole elementari e medie del paese. Guatemala, alla prossima. Guatemala,arriviamo!

12 ottobre 2007

Vi racconto il Guatemala in un film

Presentato il documentario del regista pavese Filippo Ticozzi
“Vi racconto il Guatemala in un film”
scritto da Daniela Scherrer

“Filmare, per me, significa cercare di creare un luogo ove una realtà disordinata e ricchissima possa rendersi visibile al mondo, superando le barriere più superficiali, tendendo il più possibile la linea che separa il davanti dal dietro la macchina da presa al fine di trovare un angolo inconsueto dal quale sentire/vedere il mondo”. A parlare così è Filippo Ticozzi, pavese, diplomato alla scuola teatrale del CRT di Milano, quindi laureato con il massimo dei voti al Dams di Bologna. Nel 2004 Ticozzi ha fondato la cooperativa “La Città Incantata produzioni audiovisive”, per la quale ha realizzato diversi documentari sociali, tra cui “La Piracanta: un posto nel mondo” e “Bambini di Chernobyl a Pavia”. Ppresso il Centro Servizi del Volontariato di Pavia il regista ha presentato l’ultima sua fatica cinematografica, il documentario “Lettere dal Guatemala” realizzato per l’Associazione Italiana Nursing Sociale (Ains) di Pavia. Filippo, nello scorso novembre era stato in terra guatemalteca con alcuni rappresentanti dell’Associazione. Un anno di lavoro per arrivare a questo prodotto finale, in cui Guatemala svelato e rivelato dall’occhio di una macchina da presa, cercando di coglierne quegli aspetti di particolare suggestione che invitano ad una riflessione più profonda. Soprattutto laddove il fascino incontaminato di paesaggi fiabeschi camminano a braccetto con l’incredibile povertà di cui è vittima la gente.“In Guatemala ho trovato tensioni tali da rimanerne esterrefatto –ha infatti sottolineato Filippo nel corso della presentazione- paesaggi incredibili, laghi lambiti da vulcani, foreste pluviali, pianure riarse e altopiani perennemente coperti da nubi, tutto in uno stato minuscolo. La lotta che avviene tra i paesaggi funziona bene come metafora di questo posto. Una situazione politica e una storia di guerriglia che paiono la summa di tutte le disgrazie e le ingiustizie dell’America Latina. Una popolazione nettamente divisa in due, Ladinos e Maya, con religione, abitudini e tratti somatici diversi; gente unita solamente, pare, dalla gran povertà”.
Il regista ha ammesso di avere filmato moltissimo. Ma una volta tornato a casa tutto è diventato più difficile, coniugare l’immensità di emozioni con la logica narrativa che rende fruibile un prodotto cinematografico non è stato davvero facile. E allora ecco che Filippo ha scelto la via epistolare di raccontare persone e avvenimenti, sfruttando stralci delle lettere mai spedite che scriveva alla moglie lontana. L’utilizzo del racconto in prima persona ha dunque personalizzato molto il film, dando forse una visione più parziale, dunque, ma anche una garanzia d’autenticità, poiché si percepisce come chi ha fatto il film si sia messo in gioco totalmente. “Non posso dire come sia il risultato finale. –ha commentato Ticozzi-posso solo sperare che passi qualcosa di quello che ho provato, che sia come una camminata in un paesaggio impervio. “The longer I walk, the farther I’m from everything”, dice il poeta Mark Strand. Spero che sia così un po’ per tutti”.

3 ottobre 2007

Progetto "Finanziamento studi per diventare Infermiera"

[In collaborazione con la Clinica San Josè de El Rancho]

Il progetto consiste in una borsa di studio per permettere ad una ragazza di studiare presso la scuola infermieri ausiliari a Sanarate, Guatemala C.A.
La scuola ha la durata di 18 mesi, di cui gli ultimi 6 di tirocinio presso la Clinica San Josè a El Rancho. L’impegno è di 8 ore una volta la settimana come da programma di studio guatemalteco. Il professionista Infermiere in Guatemala è molto ricercato e terminati gli studi si ha la possibilità di trovare subito lavoro.
L’obiettivo è di pagare la tassa scolastica mensile corrispondente a 125 quetzales (circa 13 euro) e coprire i costi di viaggio corrispondenti a 1440 quetzales (20 quetzales per 4 volte/mese per 18 mesi) pari a circa 144 euro.

Investimento economico 370 euro

Associazione Italiana Nursing Sociale
Sede legale: c/o AISLeC – via Flarer, 6 – 27100 Pavia
Sede postale: Casella postale n. 138 27028 San Martino Siccomario (PV)
email
ruggerorizzini@yahoo.it
cell. 339.2546932 (ruggero) - 333.4464723 (giulia)
conto corrente postale n. 46330429

2 ottobre 2007

Alla scoperta di una delle patologie adolescenziali (ma non solo!) più frequenti. Anoressia, scomparire per apparire

Scomparire per conquistare quella fetta di attenzione agli occhi degli altri di cui ci si sente privati. Scomparire per apparire, insomma. E’ una delle ambivalenze tipiche che connotano l’anoressia, il disturbo del comportamento alimentare più frequente nelle giovani donne: una fascia di età che peraltro si sta estendendo in maniera preoccupante in entrambe le direzioni: sotto i dodici anni e sopra i venticinque. Si possono dare svariate definizioni dell’anoressia, più o meno esaurienti. Ma alla fine il sinonimo più comprensibile è forse uno solo: mal d’amore. Lo sottolinea più volte Luca Littarru, un esperto in materia. Infermiere professionale, Luca è attualmente il coordinatore del centro diurno a Villa Maura, che ospita giovani psicotici. Alle spalle tre anni nel reparto di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva presso il Mondino, dove sono stati numerosi i trattamenti nelle fasi acute dell’anoressia: dagli interventi salva-vita in ragazze ormai quasi “trasparenti” alla presa in carico complessiva verso il ritorno alla vita normale.

scritto da Daniela Scherrer, addetto stampa Ains onlus e giornalista de IL TICINO, Pavia

- Che definizione si può dare dell’anoressia?
“Sotto il profilo psicologico l’anoressia può essere definita come una lotta d’amore con se stessi e con gli altri. E’ un rifiuto di ogni nutrimento: non solo cibo, ma anche affetto, amore. E’ il desiderio di scomparire come ultima forma di comunicazione ritenuta possibile”.
- Perché chi soffre di anoressia punta alla magrezza eccessiva?
“Perché punta ad un modello di bellezza stereotipata, irraggiungibile, da amare e odiare contemporaneamente. Non è per niente vero che chi soffre di anoressia non ha fame, semplicemente per esercitare il controllo estremo su se stesso rifiuta qualcosa che desidera. Oppure mangia e poi va subito a vomitare, in una sorta di ambivalenza tipica della patologia. Ma è in fondo il riflesso dell’ambivalenza di tutta la società: da una parte ti propongono modelli esasperati di consumo di generi alimentari, dall’altra però ti trasmettono il messaggio che magrezza è sinonimo di successo, di perfezione. Avete mai visto un profumo pubblicizzato da una donna in sovrappeso?”
- Chi è più a rischio di anoressia?
“Innanzitutto va detto che tre milioni di italiani (su 56 milioni) soffrono di disturbi del comportamento alimentare, più o meno gravi. E questo è un primo dato significativo. Il 90% di malati di anoressia è costituito da donne e la fascia di età principalmente colpita è tra i 12 e i 25 anni, anche se adesso sono in aumento i casi in età infantile come quelli nella fascia tra i 45 e i 55 anni. Di solito è occidentale e, nel 70% dei casi, appartiene al ceto medio-alto. Un ultimo dato, infine, che ho potuto constatare dalla mia esperienza personale: la ragazza anoressica è sempre molto bella o molto intelligente oppure molto ricca. Oppure tutte e tre le cose insieme. Una persona che, in virtù del proprio status, ambisce alla perfezione”.

- Perché l’anoressia è tipicamente “donna”? Che spiegazione si può provare a dare?
“L’anoressia è una forma di distruzione, di aggressività. L’uomo tendenzialmente è più portare a dirigere la propria aggressività verso l’esterno, la donna verso l’interno, nei confronti di se stessa”.
- E quindi quale può essere il corrispettivo maschile della donna anoressica?
“Il bullismo a scuola, il nonnismo in caserma, le violenze sulle donne oppure negli stadi…Dietro ognuno di questi casi c’è sempre un maschio profondamente infelice, come nel caso di una donna anoressica”.
- Si è detto che l’anoressia è in crescita anche nella fascia di donne intorno ai cinquant’anni. Come mai?
“In alcuni casi si tratta di un disturbo sottovalutato in passato, quando ancora l’anoressia non era un fenomeno considerato e trattato su vasta scala. La donna magari è riuscita a controllare il disturbo come malattia vera e propria, ma non come forma emozionale. E quindi riesplode nel momento in cui gli anni passano, le rughe rischiano di offuscare un po’ la bellezza, i figli se ne vanno di casa e il marito ti guarda un po’ meno…Ed ecco che gli antichi meccanismi tornano a rimettersi in moto”.
- Quali possono essere le cause di questa malattia?
“Alla base dell’anoressia c’è sempre una situazione di profonda infelicità, di depressione, di deprivazione affettiva. In famiglia spesso c’è una madre troppo assente oppure, al contrario, troppo presente ossessivamente. Oppure un padre defilato dalla vita familiare. Non parliamo di colpe dei genitori, ma di situazioni oggettive”.
- Ma non è solo l’ambiente familiare da ritenersi responsabile…
Certamente no. Stiamo parlando di fasce soprattutto adolescenziali e quindi che hanno i riferimenti imitativi nel mondo della scuola. L’anoressia spesso inizia subdolamente: la compagna più bella da imitare, la voglia di attirare su di sé l’attenzione dimagrendo in tempi rapidissimi, l’ambizione di entrare a far parte del gruppo di amiche più “alla moda”… Tutti surrogati dell’amore, ma che soprattutto a quell’età appaiono sempre meglio del nulla, dell’indifferenza”.
- Dall’anoressia si può guarire clinicamente e quali sono le armi da “tirar fuori” per combattere la malattia?
“Assolutamente sì. Le armi? Soprattutto l’accettazione del fatto che la vita ha diverse valenze, non solo il modello assoluto di bellezza. E poi va percorsa una strada affettivo-relazionale al fianco della propria famiglia per guarire quello che è sostanzialmente un grande mal d’amore”.
- Quindi è fondamentale includere anche i familiari nel cammino di cura?
“E’ necessario lavorare fianco a fianco dei familiari. La famiglia deve sapere che non c’è nulla di che vergognarsi nell’avere una figlia che soffre di anoressia. E deve anche sapere che più tardi decide di uscire allo scoperto e più difficile diventa curare la malattia”
- Qualche consiglio allora ai genitori: quali sono i “campanelli d’allarme” che devono far sorgere il sospetto di anoressia nei figli?

“Una magrezza evidente, naturalmente non costituzionale, e soprattutto l’amenorrea (mancanza di mestruazioni) perdurante da almeno tre mesi. Poi anche degli atteggiamenti della ragazza, che magari si assenta dalla tavola appena terminato l’ultimo boccone: potrebbe essere il segno di un collegamento immediato piatto-tazza del water. E infine direi anche la tristezza, associata a cambiamenti umorali, depressione, tendenza alla solitudine. E’ difficile che una ragazza anoressica abbia amici o sia fidanzata: non ha amore in quel momento per se stessa, figuriamoci per gli altri”.
- Un’ultima domanda: da uomo che cosa ha imparato da questa sua esperienza al fianco di pazienti anoressiche?
“Ho innanzitutto avuto la conferma di quanto il genere femminile sia più sensibile ed emotivo rispetto a quello maschile. L’anoressia è un’estrema capacità di espressione, di comunicazione di certe emozioni che urlano più delle parole. Anche se spesso si tratta di un urlo sordo, che resta inascoltato fino a quando la malattia non esplode mettendo a rischio la vita stessa”.

A chi rivolgersi a Pavia

A Pavia sono due le strutture pubbliche che sono specializzate in anoressia. Presso la Clinica Neurologica Casimiro Mondino, nel reparto di neuropsichiatria infantile storicamente guidato dal prof. Giovanni Lanzi e attualmente diretto dalla prof. Elisa Fazzi, il responsabile dei problemi di anoressia è il dottor Giorgio Rossi.
E’ anche possibile rivolgersi al servizio di neuropsichiatria infantile dell’Asl.


Quel che resta del corpo

“Quel che resta del corpo” è il titolo del cortometraggio prodotto da AINS la cui regia e sceneggiatura è stata curata proprio da Luca Littarru insieme a Lorenzo Marvelli. Sarà presentato a Pavia dopo Pasqua, dura ventisei minuti, ha richiesto tre anni di lavoro e parla appunto di anoressia. L’aspetto più significativo è che a raccontare la malattia sono due giovani donne, rispettivamente di 24 e 26 anni, uscite dal tunnel dell’anoressia e quindi capaci di parlarne in chiave strettamente personale. Un atto di grande coraggio quello di accettare di apparire dopo aver tentato per anni di scomparire. Una protagonista e il suo “doppio”, davanti allo specchio, per evidenziare le tante ambivalenze dell’anoressia. Davvero un lavoro bello e coraggioso.


Cinque sintomi per accorgersi della malattia

L'anoressia nervosa viene diagnosticata nel 90 % dei casi a pazienti di sesso femminile.
I criteri standard raccomandati dai manuali psichiatrici per fare diagnosi di anoressia nervosa sono attualmente:
1. una magrezza estrema (non costituzionale) con rifiuto di mantenere il peso al di sopra di una soglia minima di peso ritenuta normale (il peso del soggetto deve essere sotto l'85% del peso previsto in base all'età ed alla altezza e/o l'indice di massa corporea - BMI -inferiore a 17,5)
2. una forte paura di ingrassare anche in presenza di un evidente sottopeso
3. una preoccupazione estrema per il peso e l'aspetto fisico, che includa sia una alterazione del vissuto corporeo, sia una importanza eccessiva data al peso nei riguardi della propria autostima, o ancora il rifiuto di ammettere la gravità delle proprie condizioni fisiologiche
4. nei pazienti di sesso femminile, un'amenorrea (sospensione del ciclo mestruale) che dati da almeno tre mesi.
5. spesso, ed è difficile accorgersene, i soggetti affetti da anoressia nervosa sono bugiardi con se stessi e con gli altri e fanno di tutto per nascondere questa loro malattia.
Non è necessario avere tutti i parametri, in alcuni casi ne basta anche uno solo per diagnosticare la malattia

Rivoluzione? Rivoluzione?

Rivoluzione? Rivoluzione?

Ogni “forma d’arte” (letteratura, poesia, musica, cinema…) aiuta a riflettere: il suo scopo è appunto questo. La riflessione, il ragionare, stimolano l’uomo a capire, prima, e ad agire, poi. In una parola: a fare. Per tale motivo siamo convinti che romanzi, poesie, canzoni, films, siano in grado di promuovere e orientare la cultura (anche in campo sociale), forse meglio dei convegni “tecnici” e di qualunque trattato filosofico o sociologico.
Vi proponiamo la rabbiosa invettiva contro la rivoluzione che Juan scaglia su John ( James Coburn) nel film “ Giù la testa “ di Sergio Leone durante la marcia verso San Isidro, al termine della quale l’irlandese getterà nel fango il libro di Bakunin che sta leggendo.

“ Rivoluzione? Rivoluzione? Per favore, non parlarmi tu di rivoluzione! Io so benissimo cosa sono e come cominciano: c’è qualcuno che sa leggere i libri che va da quelli che non sanno leggere i libri, che poi sono i poveracci, e gli dice: - Oh, oh, è venuto il momento di cambiare tutto – […] Io so quello che dico, ci son cresciuto in mezzo alle rivoluzioni. Quelli che leggono i libri vanno da quelli che non leggono i libri, i poveracci, e gli dicono: - Qui ci vuole un cambiamento! – e la povera gente fa il cambiamento. E poi i più furbi di quelli che leggono i libri si siedono intorno a un tavolo, e parlano, parlano, e mangiano. Parlano e mangiano! E intanto che fine ha fatto la povera gente? Tutti morti! ecco la tua rivoluzione! Per favore, non parlarmi più di rivoluzione…E porca troia, lo sai che succede dopo? Niente! Tutto torna come prima “

Progetto "Sostieni scolasticamente a distanza un bambino in Guatemala"

Il progetto “SOSTIENI UN BAMBINO A DISTANZA IN GUATEMALA” è in collaborazione con la Clinica San Josè de El Rancho, la nostra referente è madre Antonietta Leon Coloma.

Il progetto si propone di permettere ai bambini delle famiglie più povere di El rancho e dei villaggi vicini, di andare a scuola evitando che diventino forza lavoro.

Il denaro versato per il sostegno a distanza finanzia l’iscrizione al Collegio, le tasse scolastiche mensili, l’acquisto di quaderni, le penne ed i libri, la prima colazione e permette di avere assistenza sanitaria gratuita.

Attualmente sono 120 i bimbi sostenuti da altrettante famiglie italiane.

Per il sostegno scolastico versare il contributo di euro 160 sul c/c postale n. 46330429
Causale: sostegno scolastico a distanza

Sede legale:
AINS onlus,c/o AISLeC,via Flarer, 6
27100 Pavia
Indirizzo postale:
Ains onlus casella postale n. 138
27028 San martino Siccomario (PV)
cell.339.2546932
email:ruggerorizzini@yahoo.it
www.ains.it

"Una solidarieta' intelligente"

uno scritto di Emanuele Chiodini, volontario e socio Ains onlus
Una solidarieta' intelligente" è il titolo di un libretto redatto da un missionario saveriano, Adriano Sella (ED.EDB, 2007). Vicentino di nascita, nella sua missione di sacerdoate si è occupato, là dove è stato chiamato ad operare, in Amazzonia (Brasile) del movimento dei senza terra e dei senza casa e delle tematiche legate al concetto di giustizia e alla promozione della pace essendo stato coordiantore della pastorale sociale in seno alla conferenza episcopale del nord del Brasile.Attualmente non ha deèposto le sue "armi" e si trova in Italia, a Padova, dove nell'ambito delle attivita' della diocesi si adopera per far conoscere i dettati per "nuovi stili di vita a favore della salvaguardia del creato" Di per sè, la presentazione per sommi capi del suo curriculum sarebbe gia' suffici ente per favorire e promuovere l'acquisto del libro.Questo testo si occupa dei più poveri e dei bisogni che essi pongono in essere in un tempo come il nostro, colmo di sperequazioni e diseguaglianze.Tra stati sociali (divisione ricchi-poveri); per origine (contrapposizione Nord-Sud del mondo).E ancora: tra chi detiene i cordoni della borsa dell'economia del mondo e chi subisce in ogni punto cardinale la sistematizzazione di quest'ordine fondato sulla militarizzazione della societa' e su inevitabili speculazioni finanziarie. Tra il pensiero dominante occidentale fondato sull'egoismo e sull'individualismo generatore di indifferenza e tra chi si batte per una ritrovata liberazione di sè e dei proprii sogni. Tra una stile di vita consumistico e la ricerca di nuovi equilibrii che sappiano tener conto anche delle necessita' dei più deboli. Una delle domande che potrebbero sorgere potrebbe essere."ciascuno di noi potrebbe occuparsi dei poveri?"Detta così, senza una dimensione di conseguente fatticita', la domanda rimarrebbe pura retorica e quindi inevasa. Due sono le strade possibili per andare incontro a tale quesito. La nostra "conversione" (conversione, dal greco metanoia, cambiare strada, abitudini, invertire la rotta) ripetto a consuetudini consolidate e, in gran parte dei casi, dannose. (cfr. p. 67 del libro citato) cercando di porre un limite al superfluo, al lusso, alla ricerca dell'inutile. E, in secondo luogo, agire a livello politico e istituzionale perchè le nazioni si convertano a loro volta. Il problema della poverta' in realta' è un tema che riguarda in primo luogo il modus operandi della parte ricca del pianeta (G8, Unione Europea, Nordamerica, Sudest asiatico...). La poverta' esiste e continuera' a rimanere tale fintantoche i possessori delle ricchezze continueranno a tenerle per sè in sfregio ad ogni possibilita' di redistribuzione o di ritrovata condivi sione. La poverta' continuera' ad esistere nella misura in cui il mondo "sviluppato" la considerera' un affare su cui speculare e su cui affondare le proprie rendite. Attenzione però: perchè l'indigenza di intere aree del pianeta è la vera bomba atomica. Quali gli effetti quando si rompera' la spoletta?.........Questo libretto offre però anche una possibile via d'uscita. Si prospettano diversi percorsi che ci potrebbero condurre fuori dalle secche del nostro immobilismo. Sella ci fa comprendere, anche con esempi concreti, che non possiamo limitarci all'esercizio di facolta' che, pur se espresse in buona fede, diventano una mera manifestazione di vanita'. Non è più sufficiente l'elemosina o l'assistenza fine a se stessa; o forme di finanziamento di progetti in modo isolato se questi non diventano generatori di giustizia. Tutto ciò deve essere suffragato da una ricerca volonterosa che trasformi il concetto stesso di solidarieta' verso forme di effettiva incidenza del normale vivere quotidiano. (una solidarietà che sradica le radici del male rimuovendone le cause e non più alleviando solamente le sofferenze; una solidarietà che crea rapporti paritari tra i popoli della terra; una solidarieta' che genera nuovi stili di vita ispirati alla sobrieta' e alla descrescita; ecc. ecc. - cfr. indice del libro citato, pp.99-100) "Una solidarieta' intelligente" . Un libro per sognatori? Forse. Un libro per utopisti? Sì, ma con la mente e gli occhi lucidi e consapevoli del raggiungimento di un traguardo realizzabile: la sconfitta della poverta', la sconfitta dell'egoismo del mondo contemporaneo. Un libro per gli operatori di pace i costruttori di giustizia sociale (cfr.Vangelo secondo Matteo, Cap.5 "le beatitudini"). Un libro fatto su misura per che si occupa di terzo mondo e di cooperazione. Buona lettura.

Todo listo para lavarnos?

uno scritto di Emanuele Chiodini, socio e collaboratore Ains onlus.

La preziosità di un bene si riconosce e apprezza nel momento in cui se ne saggia la difficoltà a reperirlo e/o ad utilizzarlo. Purtroppo siamo dominati da inesorabili leggi di mercato e sono proprio esse che, consolidandosi nei secoli, attualizzano e rivestono di realtà l'assunto citato in precedenza.
Sì, ma questo principio può valere sempre?
Anche se il bene in questione è di prima necessità?
L'etica, il rispetto del bene comune e il senso primario dell'utilità collettiva in tanti casi dovrebbero prevalere. In particolare quando si sta parlando, come nel nostro caso, di un bene non voluttuario o di lusso ma di un elemento fondamentale della Natura e assolutamente essenziale per la sussistenza di ciascuno.
L'ACQUA.
Al Rancho, in Guatemala, dove alcuni di noi - associati AINS - sono stati in visita si può toccare con mano come questo bene sia prezioso. In primo luogo perchè l'acqua che c'è non è potabile e viene utilizzata a scopi prevalentemente non alimentari (fare il bucato, irrigare, usi non domestici in generale, etc.).
L'acqua potabile, invece, per usi alimentari deve essere acquistata. E questo, di per sè, è un'ulteriore svantaggio - a tratti una vera e propria speculazione - in una zona del nostro pianeta già svantaggiata di suo. Chi può acquista. Chi non può si deve arrangiare con l'acqua che riesce a reperire o con quella del Rio Motagua, il fiume che lambisce il villaggio. Questo non è il massimo. Nè per l'igiene personale, nè per la salute in generale.
Stante questa situazione AINS, grazie al Centro Servizi del Volontariato di Pavia, ha inteso promuovere un'iniziativa di informazione a scopo educativo per far conoscere e valorizzare l'importanza di questo bene.
DOVE? Sempre al Rancho nella struttura educativa denominata "Liceo S. Josè" dove operano alcune suore - religiose del Centroamerica - con le quali AINS intrattiene rapporti di collaborazione ormai da diversi anni.
PERCHE'? Perche' a scuola si va per imparare. Non solo le nozioni fondamentali della cultura ma anche per apprendere le regole del vivere civile, dello stare insieme, dell'educazione per la crescita globale della persona. Quindi anche dell'igiene.
Perchè per l'igiene personale occorre essere istruiti anche ad un uso corretto dell'acqua. Perchè, infine, è giusto che nuove generazioni di bimbe e bimbi crescano in una situazione di minore povertà.
COME? Attraverso un opuscoletto dal titolo "Todo listo para lavarnos?" (tutto pronto per lavarsi?) che verrà utilizzato dagli insegnanti e dalle suore guatemalteche come supporto didattico alla normale programmazione scolastica per aiutare bimbi e famiglie a comprendere la necessità di una corretta igiene personale a partire proprio da un consumo consapevole dell'acqua. L’opuscolo, disegnato da Andrea Valente, finanziato dal CSV di Pavia e con il supporto tecnico di Elisa Moretti, è stato stampato in 1.000 copie e verrà portato in Guatemala a novembre.
QUINDI: come ci si lava le mani e le dita delle stesse; come ci si lava i piedi, la faccia, i denti, i capelli e in generale tutto i l corpo.
Guatemala, El Rancho "un altro mondo è possibile".

29 settembre 2007

Il mondo del sociale attraverso i frutti del suo lavoro

Ci sono negozi che abbinano l’utile al dilettevole, come si suol dire. “Il mercatino de La Piracanta”, a Pavia in corso Garibaldi 22/A, rientra a pieno titolo tra questi. La Piracanta, innanzitutto, è una Cooperativa sociale di tipo B, per cui si occupa del reinserimento lavorativo e sociale di soggetti che arrivano dalle più svariate situazioni di disagio. Il negozio è una delle forme attraverso cui la Cooperativa promuove il reinserimento di questi soggetti, nel senso che è disponibile a promuovere tutti i lavori artigianali prodotti da tali soggetti. Si ripropone infatti di dare una vetrina a tutte le attività sociali che vogliono collaborare con la cooperativa. E sono veramente numerose. Anche perché abbondano cooperative, associazioni, fondazioni che producono perché hanno laboratori avviati, comprese alcune realtà del disagio psichico che utilizzano il lavoro artigianale come attività didattica per aiutare i ragazzi. “Noi diamo la possibilità di esporre questi prodotti gestiti in conto vendita –spiega Giulia Dezza, una delle “anime” della Cooperativa e del negozio- per cui vengono naturalmente poi anche venduti. In questo modo si fanno naturalmente conoscere queste realtà che hanno scopo sociale. E’ importante perché la gente si avvicina al mondo del sociale. Noi siamo in pratica una sorta di tramite tra il mondo “normale” e tutto questo sommerso, spesso nascosto e parallelo ma concretamente esistente e molto forte”. Gli oggetti che si trovano all’interno del negozio sono di vario tipo e spesso straordinariamente belli e impressionanti per originalità. Vanno dalla pittura alla terracotta e al cartonage sino a legno, decoupage, piantine, bigiotteria. “Essendo per la maggior parte lavori artigianali –aggiunge Giulia- possono anche essere soggetti a lavori di modifica, nel senso che si può andare incontro alle esigenze personali del cliente. Questo ultimamente ci accade sempre più spesso”. Un altro aspetto meritorio di questo tipo di attività è quello di aiutare a relazionarsi molte associazioni che, a vario titolo, si occupano del reinserimento delle fasce più disagiate della popolazione. Questo creare “una rete nel sociale” è un aspetto che si sta sviluppando con intensità e può rivelarsi davvero l’arma vincente per il futuro. Un esempio banale, ma esemplificativo. A Natale dell’anno scorso presso il negozio erano disponibili dei bellissimi cesti con prodotti interamente provenienti da un’associazione. Però il cesto era stato prodotto altrove. “Il discorso da incentivare è cercare di avere anche i cesti prodotti all’interno di una realtà sociale –chiarisce ancora Giulia- questo sarebbe veramente creare una rete di auto-aiuto efficace”. Un ultimo aspetto da non sottovalutare è che il negozio è inserito all’interno del “progetto donna”, con l’obiettivo dunque di inserire al suo interno una donna proveniente dal mondo del disagio e consentirgli di usufruire di un lavoro più che dignitoso. Anche perché all’interno del negozio c’è un laboratorio e la persona che vi lavora diventa anche artigiana della cooperativa. “Questa è un’opportunità importante –conclude Giulia- spesso infatti chi proviene dal mondo del disagio si scontra col problema di non riuscire ad ottenere un inserimento dignitoso sotto il profilo lavorativo. Per le donne questo problema è ancora più marcato. In negozio si è iniziato con una borsa lavoro, la speranza è quella di riuscire ad arrivare al più presto ad un vero e proprio inserimento lavorativo part-time”.
Scritto da Daniela Scherrer, addetto stampa Ains
pubblicato su IL TICINO del 15 settembre 2007

Solidarietà sotto rete

Calendari, gossip e ospitate in tivù? Niente di tutto questo. Le ragazze della Riso Scotti Volley, squadra pavese che milita nella serie A2 di pallavolo, hanno scelto di legare i loro nomi e volti al mondo della solidarietà. Come? Aderendo al progetto “ Per una cultura della solidarietà con lo sport “, che ad ogni partita casalinga e in trasferta le vedrà distribuire alle avversarie e alle tifoserie il materiale relativo ai progetti portati avanti da cinque associazioni di volontariato pavesi: Ains, Cuore Clown, Incontramondi, la Cooperativa La Piracanta e Per fare un albero. Si tratta di realtà che a Pavia operano in diversi settori solidaristici, dalla clowneria nelle corsie d’ospedale al reinserimento di soggetti disagiati sino all’attività missionaria in Guatemala e in altre zone del mondo. Ecco allora l’idea delle cinque associazioni, che hanno scelto di riporre progetti e speranze nelle mani delle giocatrici, impegnate non soltanto a schiacciare o “murare” le avversarie ma anche a spiegar loro come aiutare il prossimo in difficoltà. Nelle partite casalinghe al PalaRavizza, inoltre le associazioni avranno la possibilità di essere presenti con i loro stando informativi. Una chance aggiuntiva importante, visto che la Riso Scotti può contare tra le mura amiche su un pubblico numeroso. Il presidente della Riso Scoti, Sandro Moda, non nasconde la soddisfazione per il binomio sport e solidarietà di cui si è fatto paladino: “ Personalmente ammiro tutte le persone che dedicano il loro tempo a chi soffre – spiega – e quando mi hanno presentato questo progetto non ho potuto che essere pienamente d’accordo con la sua realizzazione. È’ stato il mio cuore a decidere “. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il general manager Gigi Poma: “ La Riso Scotti è orgogliosa di questa collaborazione. Credo che lavorare congiuntamente sia uno dei segreti della buona riuscita di un progetto solidaristico”.

La giocatrice
“ UN ONORE AIUTARE GLI ALTRI ”

In attesa di essere protagoniste in campo, lo sono già nella importante partita della solidarietà. Per le giocatrici parla Nadia Terranova, la più rappresentativa della squadra per la sua lunga militanza e, tra l’altro, reduce da un’esperienza missionaria in Guatemala per Ains. “ Ci fa piacere essere state scelte per questa iniziativa, anche perché ritengo che la sensibilità dell’animo femminile debba emergere anche nel mondo dello sport .“. Nadia ha ancora nel cuore il viaggio guatemalteco di qualche mese fa, che volle effettuare nell’anonimato sfuggendo alle cronache dei giornali. Non voleva pubblicità, cercava l’intimità di un’esperienza fortemente missionaria. “ Che cosa mi è rimasto nel cuore? Gli occhi dei bambini, al gioia di riuscire a farli sorridere anche solo con un pallone “.
scritto da Daniela Scherrer, Il Ticino