Rischio la vita senza paura per difendere i poveri del mio Guatemala

Mons. Alvaro Ramazzini parla della sua esperienza di Vescovo al fianco dei deboli

di Daniela Scherrer

Mons. Alvaro ramazzini, coraggioso Vescovo del Guatemala (diocesi di san Marcos) rischia ogni giorno la vita schierandosi contro il potere militare e colonialistico per difendere coloro che affettuosamente chiama “i miei poveri”.
Il suo predecessore, mons. Juan Gerardi, pure grande difensore dei diritti dei più deboli, venne assassinato nel 1998. ma questo non intimorisce mon. Ramazzini, che continua nella sua opera di denuncia di sfruttamenti con caparbietà ma anche con una serenità di fondo dovuta alla grande fede che lo sostiene. A lui abbiamo rivolto alcune domande per inquadrare la delicata situazione guatemalteca, dove circa tredici milioni di abitanti hanno davvero molti problemi.
Mons. Ramazzini, come spiega la realtà attuale nel suo paese?
Se possibile è ancora più difficile che in tempo di guerra. La crisi economica mondiale ha complicato tutto, c’è un enorme sofferenze per mancanza di lavoro e quindi si assiste a una forte emigrazione verso gli Stati Uniti. Poi le deportazioni sono notevolmente aumentate e si assiste a ogni sorta di violenza accompagnata da impunità per l’assenza di uno Stato forte. La speranza viene dalla CC (Corte Costituzionale) che negli ultimi tempi sta svolgendo un buon lavoro. E viene anche dalla pastorale giovanile, che si sta rafforzando molto e questa è una nota davvero lieta”.
Lei si occupa anche dei migranti in una zona dove – ha detto – l’emigrazione è forte. Si parla di razzismo anche nelle vostre zone?
Purtroppo si. La mia diocesi è vicino al Messico e quindi in una zona di confine vedo molti emigranti diretti negli Stati Uniti che provengono dal Messico,dall’Honduras, dallo stesso Guatemala. Ma là spesso non vengono trattati da esseri umani, il sentimento della xenofobia è qualcosa di veramente triste che deve toccare la nostra fede cristiana”.
La disgregazione familiare in Guatemala è un problema?
Un grande problema. Soprattutto a causa delle migrazioni tanti uomini hanno lasciato la famiglia e la maggior parte dei bambini non hanno mai conosciuto il padre. Questa è una enorme sofferenza, perché è dalla famiglia che nasce la forza di risollevarsi”.
Lei è costantemente schierato al fianco dei deboli, a costo di rischiare la vita. Le capita mai di avere paura?
Sono perfettamente cosciente di non essere simpatico a molta gente potente, ma la mia soddisfazione sta nel poter essere la voce di chi è troppo debole per far sentire la propria. Questo per me è l’importante, il resto conta poco. Se ho paura? Quando ci penso un po’ si, è umano credo, però cerco di non pensarci…anche perché alla fine la mia vita è nelle mani di Dio”.

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