«L'Honduras è piccolo, ma è un paradiso su cui le multinazionali hanno allungato le mani facendo grandi profitti senza dare nulla alle popolazioni locali. L'Italia lo conosce solo per "L'Isola dei famosi", ma gira la testa di fronte alle violazioni dei diritti umani perpetrati da un golpista di origine bergamasca come Micheletti e alle responsabilità di un magnate dei media come Rafael Ferrari». Non usa mezzi termini padre Andrés Tamayo, quando si tratta di difendere gli ultimi: in questo caso quell'oltre 63% di honduregni che, nel paese centroamericano grande come un terzo dell'Italia, vive sotto la soglia di povertà. «Ho scelto di abbracciare la causa del popolo - dice al manifesto -, con mezzi pacifici ma senza risparmio». Al punto di diventare un dirigente del Frente di resistencia popular in Honduras: «Mi occupo - spiega - del settore Orientamento, di far crescere la coscienza nella base». Il Vangelo di Tamayo è quello della Teologia della Liberazione. Nato in Salvador, è stato chierichetto di Oscar Romero, l'arcivescovo di San

In quanto leader del Movimento ambientalista dell'Olancho (Mao), nel 2004 Tamayo ha ricevuto il prestigioso Goldman Prize, il Nobel alternativo per l'ambiente. In questi giorni, è in Italia per un giro di conferenze, ospite del centro Balducci di Zugliano (Udine) e dei missionari comboniani e ha parlato con il manifesto della situazione in Honduras e del suo impegno per la giustizia sociale.
Un sacerdote in politica e con un ruolo preminente. Com'è cominciata?
Ho sempre avuto un'inclinazione sociale per la giustizia e per il bene comune della popolazione e sempre in questa chiave ho inteso il processo pastorale. Negli anni '90, quand'ero parroco nel municipio di Salamà ho partecipato ai movimenti per la difesa della foresta, contro lo sfruttamento selvaggio delle miniere d'oro, che inquinano i corsi d'acqua, e per il governo delle risorse naturali. L'Honduras è sempre stato depredato delle sue risorse, soprattutto del legname. Nel 2000 ci siamo resi conto che, in dieci anni, il paese aveva già perso più del 10% delle proprie foreste. Gran parte del legname veniva tagliato illegalmente, venduto soprattutto negli Stati uniti e in Europa: un volum

Gli indigeni garifuna, gli afro-discendenti che vivono lungo la costa Atlantica e che sono i più colpiti dalla devastazione di propri territori, a febbraio hanno organizzato l'Asamblea Constituente de los pueblos indiegenas y negros de Honduras e il 1 di aprile hanno dato vita a una marcia contro la repressione. Qual è il loro peso politico nel movimento di resistenza?
Molto forte. I garifunas vivono in Honduras da oltre 200 anni. I loro territori sono quasi un paradiso e per questo gli indigeni vengono deportati. Il pretesto è il turismo. A Roatan, dove si sta girando il reality «L'isola dei famosi», vi sono villaggi turistici e commerci gestiti da grandi

Su cosa si basa questa speranza?
Il Frente di resistencia popular è una forza alternativa a cui partecipano gruppi di donne - che sono molto importanti-, organizzazioni contadine, intellettuali, indigeni. È nato dopo il colpo di stato del 28 giugno 2009 e si è rafforzato nel corso di quasi due anni in termini di rappresentanza e credibilità: in difesa della libertà del popolo e per la costruzione di un vero cambiamento sociale e politico in Honduras. I nostri principali obiettivi sono quattro: il ritorno in sicurezza di tutti gli esiliati come me, a partir

Uno dei principali mediatori è Manuel Santos, il presidente della Colombia, un paese non proprio campione dei diritti umani.
Anche se la politica dei governi non sempre parla la lingua del popolo (che esprime forte e chiaro i propri obiettivi), per noi questa mediazione costituisce un passo avanti. Prima eravamo costretti a cercare un dialogo impari e senza giustizia con un potere che ha tutto il potere, ora invece ci sarà qualcuno che potrà sostenere la nostra proposta in quattro punti. L'ostacolo più serio, però, è la pressione della destra Usa perché l'Honduras entri nell'Osa, in modo che i finanziamenti internazionali possano finire nelle solite tasche. Comunque vadano le cose, però, è nostra ferma intenzione procedere all'autoconvocazione dell'Assemblea costituente che porterà a una nuova costituzione a cui il popolo ha diritto: entro il 28 giugno, a due anni dal colpo di stato.
INTERVISTA di Geraldina Colotti, IL MANIFESTO del 1 maggio 2011
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