L’altra faccia della Terra, il libro di Monica Triglia dedicato a Medici senza Frontiere

di Monica Triglia

tratto da: http://www.donnamoderna.com/tempo-libero/libri/libro-monica-triglia-medici-senza-frontiere

L'autrice, caporedattore centrale attualità di Donna Moderna, ha raccolto in quest'opera le testimonianze delle operatrici di Msf insieme a tante storie delle donne che vengono aiutate dall'organizzazione umanitaria in Pakistan, Haiti, Guatemala, Lampedusa, Malawi.


Gli ultimi sei mesi li ho vissuti… pericolosamente. Non perché abbia corso qualche pericolo, questo no. Ma perché mi sono regalata un'esperienza straordinaria, emozionante e faticosa che ha un po' stravolto la mia solita vita. Sono partita con Medici senza Frontiere, la grande organizzazione umanitaria che nel 1999 ha ottenuto il premio Nobel per la Pace. Per cercare di capire chi sono le donne e le ragazze che ci lavorano. Psicologhe, medici, infermiere, ingegneri, architetti, addette alla logistica che scelgono di interrompere carriere ben remunerate e di prestigio per impegnarsi nei Paesi più difficili della Terra.

Sono andata a cercarle in Pakistan, dove aiutano le bambine che i genitori vendono per poche monete come spose a uomini anziani. Ad Haiti, dove si occupano di chi ha perso la famiglia nel terremoto e deve guardarsi dal contagio del colera. Le ho trovate a Città del Guatemala, dove tentano di riportare a una vita normale le ragazzine che vengono stuprate per strada, in pieno giorno, senza che nessuno muova un dito per aiutarle. A Thyolo, in Malawi, dove si occupano delle mamme e dei neonati colpiti dall'Aids. E a Lampedusa, dove con una carezza consolano le migranti che, dopo viaggi infernali su barche marce, approdano sulle coste italiane senza sapere neppure in che Paese si trovano. Le ho incontrate a Donetzk, in Ucraina, dove combattono con la burocrazia per poter assistere i detenuti malati di tubercolosi. E a Bruxelles, sede centrale di Msf, dove dirigono le operazioni di emergenza, quelle che consentono, in caso di crisi (una guerra, uno tsunami, un terremoto), di mandare sul posto staff completi di soccorritori in poche ore.
È nato così L'altra faccia della Terra (Mondadori Strade Blu) che trovate nelle librerie dal 27 settembre. Dove ho raccolto le testimonianze delle operatrici di Medici senza Frontiere insieme a tante storie delle donne che sono impegnate ad aiutare: la storia di Marie, che dopo aver perso la figlia Laurette nell'epidemia di colera seguita al terremoto di Haiti, ora insegna alle altre donne in una scuola di Msf come difendersi dall'infezione. Quella di Marie Lucie che ha vagato due giorni fra le macerie di Port-au-Prince stringendo a sé la piccola Marianne. Quella di Lidia, di Guatemala City, caricata a forza su un'auto e violentata tra la folla in un mercato. E ancora, la storia Anaya che ha partorito a sessanta miglia da Lampedusa su una carretta del mare in avaria. E quella di Jeany e Mercy, infettate dal virus dell'hiv in Malawi, che si curano e continuano a sperare.
Sono partita curiosa di scoprire chi fosse davvero l'umanità femminile di Medici senza Frontiere. Sono tornata con risposte diverse, nessuna certezza e una sola convinzione: quello che queste donne non sono. Non sono esaltate, né pazze, né animate da un particolare credo religioso. Ma persone come tante che vogliono fare qualcosa che abbia un senso. "Essere donna al mondo, soprattutto nelle zone in cui operiamo noi di Medici senza Frontiere" mi ha detto una dottoressa di Msf che ho incontrato sulla mia strada "è ancora sinonimo di discriminazione, vulnerabilità, insicurezza, meno accesso alle cure e quindi maggiore suscettibilità a malattia e morte. Essere donna tra gli ultimi della Terra significa essere l'ultima tra gli ultimi. Curare una donna, restituirle la salute, significa irrobustire tutta la sua famiglia, significa dare una chance in più ai suoi figli, significa irrobustire la sua comunità, rafforzare la rete sociale."
Per quanto mi riguarda, ho preso, e perso, molti aerei e ho conosciuto persone di tutto il mondo, in una Babele di lingue che incredibilmente ho capito. Ho indossato il velo a Peshawar e camminato sulle macerie mai rimosse della case crollate un anno e mezzo fa a Port-au-Prince e percorso strade rosse di polvere nell'Africa più povera... Mi rimangono un groviglio di emozioni e pensieri e dubbi e speranze che ancora non sono riuscita a sciogliere. Il mio solito tormento sul nostro mondo e "sull'altro mondo", miserabile e ingiusto. E le persone incontrate, in grado di dare una mano senza la presunzione di risolvere situazioni drammatiche che nessuno, forse, potrà mai cambiare. Il mio libro è per loro. E mi piacerebbe che aiutasse voi, che state leggendo queste righe, a conoscerle più da vicino. E ad apprezzare quella straordinaria organizzazione umanitaria che è Medici senza Frontiere.

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