tratto da LIBERAZIONE del 18 novembre 2011
Fra lo sgomento della comunità internazionale, soprattutto quella che è più a conoscenza della storia contemporanea del Guatemala, la maggioranza degli elettori guatemaltechi ha scelto come Presidente, per il periodo 2012-2016, il generale Otto Pérez Molina.

Con Pérez Molina torna al governo una visione autoritaria e repressiva della gestione dello Stato che ha una lunga tradizione in Guatemala. Il mito dell'uomo forte con il pugno di ferro (o mano dura) che mette fine al caos sociale e impone l'ordine ha avvantaggiato Pérez Molina, come, al suo momento, avvantaggiò Efraín Ríos Montt. E' il fantasma del dittatore Jorge Ubico (1931-1944), che ritorna attraverso l'immaginario della destra più retrograda del Guatemala. Senza ombra di dubbio, la decomposizione e il degrado sociale, la dilagante violenza criminale della delinquenza di strada e comune, oltre alla criminalità organizzata, hanno creato le condizioni per un massiccio voto a favore di Pérez Molina nell'area metropolitana del paese (oltre il 71%). Sono stati i centri urbani e le loro periferie a dare la vittoria a Pérez Molina, mentre l'interno del paese, soprattutto i dipartimenti più impoveriti e con la maggioranza di popolazione indigena votarono per Manuel Baldizón, che ottenne lì il 52% dei voti. Pérez Molina e i suoi sostenitori seppero capitalizzare il desiderio repressivo delle classi medie e popolari urbane ideologizzate dai grandi mass-media, dalle Università private neoliberali e dalle mega-chiese protestanti. In questo ventaglio di alleanze, il nucleo duro della destra ha le sue radici in particolare nelle classi medie urbane animate da un pensiero reazionario sostenuto sul dogma neoliberale che è divenuto una specie di senso comune. Il resto lo fece l'inefficacia governativa nel diminuire il tasso di violenza criminale nel paese. Oggi i centri metropolitani di Guatemala e El Salvador e la Costa Atlantica dell'Honduras fanno parte della regione più violenta del mondo per numero di omicidi ogni 100mila abitanti. Tutto ciò favorisce una delle basi del successo di Pérez Molina: la richiesta di misure ferree contro la criminalità.
La vittoria elettorale di Pérez Molina non significa naturalmente il ritorno dei militari al potere. La dittatura militare terrorista non ha le condizioni esterne e interne che le diedero origine nel 1963; però, significherà il ritorno di una mentalità controinsurrezionale alleata dell'oscurantismo reazionario della classe dirigente guatemalteca. Significherà il ritorno della volontà di impunità che incoraggia tutti i genocidi del paese che hanno oggi come bersaglio immediato il Pubblico Ministero Claudia Paz y Paz che si è guadagnata l'odio per il procedimento giudiziario contro alti comandi del terrore di Stato di un periodo, i generali Humberto Mejia Victores e Héctor Mario Lopez Fuentes, così come altri imputati di livello minore. La richiesta presentata da Ricardo Méndez Ruiz Valdés, giuridicamente inconsistente, ha come bersaglio il Pubblico Ministero e non i suoi presunti sequestratori nel 1982. Per rendersene conto basta guardare la lista demenziale dei 26 accusati.
Il lato più oscuro dell'immaginario autoritario è ritornato con Pérez Molina. Il tempo ci dirà quanto durerà prima di sgonfiarsi.
*Comisión Pastoral Paz y Ecología della diocesi di San Marcos
(su gentile concessione della Fondazione "Guido Piccini" per i diritti dell'uomo onlus)
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