
Per isolare il metallo, il metodo è quello classico del bagno di cianuro e acqua. Molta acqua: 12 litri al secondo. Una famiglia contadina deve farsene bastare 30 per l’intera giornata. «Vengono utilizzate 9 tonnellate di esplosivo al giorno per creare voragini che non verranno mai più ricoperte. Le detonazioni fanno tremare le case, di continuo. Il cianuro, poi, filtra contaminando terra e acqua. E gli abitanti non ricevono alcun beneficio: appena l’1 per cento della ricchezza prodotta resta in Guatemala, in base alla legge sulle concessioni minerarie del 1997. Gli indigeni sono rimasti poveri e per di più devono vivere in un ambiente devastato».
Una visione estremista e parziale, ribatte la Goldcorp. Eppure, alle ripetute denunce di Ramazzini e della Conferenza episcopale guatemalteca, che si è schierata contro la miniera, ha creduto un anno fa anche la Corte interamericana per i diritti dell’uomo. Che, nel maggio 2010, ha ordinato la chiusura di Marlin.
A San Marcos, però, niente è cambiato: ruspe ed esplosioni continuano a ferire la terra. E l’oro fluisce abbondante dalle sue viscere. Il governo guatemalteco del progressista Alvaro Colom ha ignorato per oltre un anno la sentenza della Corte. E lo scorso 12 giugno ha detto esplicitamente che non c’è motivo per bloccare l’attività di Marlin.
Ramazzini e le comunità di San Marcos, però, non sembrano intenzionate ad arrendersi:
«Le miniere a cielo aperto non sono una via per lo sviluppo del Paese. Che deve essere in armonia con l’ambiente e rispettoso dei diritti dei suoi popoli. Credo che il sogno di un Guatemala più giusto non sia irrealizzabile. Certo, la strada sarà lunga. Per questo non possiamo fermare la nostra marcia…». Lucia Capuzzi, Avvenire 7 luglio 2011
pubblicato anche sul sito http://orizzonte-guatemala.blogspot.com/
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